domenica 2 novembre 2025

A CONTI FATTI

Lo vogliamo per sempre così...
La Corte dei Conti ha "bloccato" il Ponte sullo Stretto. Le virgolette sono perché il parere non è vincolante per il governo, ma i rilievi sono concreti ed è difficile che questo abbia la forza politica per ignorarli bellamente. Il wishful thinking è che questo ennesimo stop sia finalmente quello definitivo, ma la torta è talmente grossa che difficilmente i felloni non cercheranno e magari troveranno un'altra strada per cercare di papparsela.

E' perciò utile, anche se l'argomento è uno dei più trattati di questo blog (basta seguire il tag), ricapitolare ancora una volta quali sono tutte le ragioni per cui il Ponte non può e non deve essere fatto, anche perché negli ultimi tempi, grazie anche alla sponsorship governativa (specie di uno a cui del sud non gliene è mai fregato niente, peraltro), gli argomenti a favore, per quanto fallaci, hanno trovato "buona" stampa facendo quindi breccia in una opinione pubblica sempre meno avvezza al pensiero critico.

  1. Fattibilità. Il ponte a campata unica più lungo mai costruito ha una campata lunga la metà di questo progetto. Il doppio più lungo non significa il doppio più difficile, magari: qui parliamo di un fattore difficilmente calcolabile. E certo che i progettisti dicono che si può fare, erano ingegneri, erano scienziati, anche Morandi e quelli del Vajont: non deve decidere chi è interessato. E chi deve decidere deve essere "marcato a uomo" per non essere corrotto.
  2. Terremoti. La resistenza al sisma del progetto attuale è di 7.1 gradi Richter. Ridicola. Nessuno può dire con esattezza quale fu la magnitudo del "big one" del 1908, e quale sarà quella del prossimo. Ma se fosse 7.2 non sarebbe lo zero virgola uno più forte, la scala è logaritmica, si parla di moltiplicare a ogni decimale, un 7.8 sarebbe UNDICI volte più forte del 7.1 per cui il progetto sarebbe tarato. Tutto ciò significa che è praticamente certo che, ammesso che riescano a ultimarlo, al prossimo grande terremoto, in una zona in cui ce n'è uno ogni secolo o due al massimo quindi ci siamo quasi, andrà in macerie (e se anche fosse l'unica struttura a resistere, come si vanta lo stesso Salvini, in assenza di interventi sul patrimonio abitativo dell'area dello Stretto, resterebbe a collegare due cumuli di macerie).
  3. Vento. Ma se un grande terremoto possiamo essere certi che arriverà ma non quando, i venti su quel tratto di mare, a decine di metri di altezza, sono la regola per moltissimi giorni all'anno. Un grattacielo, cioè un oggetto massiccio ancorato a terra e alto centinaia di metri, in cima deve oscillare di metri e metri per non crollare. Il Ponte, una struttura esile coi punti di ancoraggio lontani chilometri, per non crollare deve oscillare tanto da costringere a chiuderlo al transito in ogni giorno di vento. Immaginando che non ci siano più i traghetti, chi deve passare sta fermo agli imbocchi.
  4. Traffico. Si ma chi è che ci deve passare? Per giustificare la costruzione, si ricorre a previsioni di traffico vecchie di venti anni (lo stesso trucco della Torino-Lione), che la stessa CdC ha giudicato irrealistiche visti i tempi. Ma anche fossero giuste, la domanda è: ha senso nel 2025 realizzare una infrastruttura che sposterà ulteriormente i trasporti su gomma (mentre è in corso un'azione concentrica per farci abbandonare le auto, peraltro) da e verso un'isola che logica e ambientalismo vorrebbe fosse invece essere rifornita esclusivamente via mare, semmai investendo su porti commerciali e infrastrutture di trasporto interno?
  5. Tempi e costi di traghettamento. Si parla di un pedaggio di 10 euro a vettura e 20 a mezzo pesante. Ammesso che sia vero, e che si trovi il modo di non creare code agli imbocchi (salvo il vento, rivedi punto 3) risparmiando del tempo, visto che il tempo è denaro e che le code agli imbarchi attualmente si registrano solo per alcuni giorni all'anno (meno di dieci) quanto risparmierebbero gli utenti (escludendo pendolari reggini e messinesi, che se glieli lasciano continueranno a preferire gli aliscafi a 40 chilometri di strada) non ferroviari? 
  6. Treni. Unici mezzi che trarrebbero vantaggio dal ponte, su cui passerebbero dritto anziché fermarsi per essere "smontati" e traghettati. Peccato che anche calcolando, a voler essere generosi, in un'ora o due questo risparmio di tempo, esso deve essere parametrato a lunghe percorrenze col "continente" che includono le ottocentesche tratte siciliane e la tratta Reggio/Salerno per cui è stata appena riesclusa (viene fatto ricorrentemente, ad ogni tentativo di riproporla, perché l'orografia non perdona e costringe a costi altissimi) l'Alta Velocità: un conto è risparmiare un'ora su due, un conto una su dieci, o no? Quanto si accorcerebbero i tempi se si intervenisse sulle tratte a terra? A spanne, molto di più e spendendo molti meno soldi.
  7. Tempi e costi di costruzione finali. C'è mai stata una "grande opera" per cui in Italia alla fine si è speso quanto si era detto e ci si è messi il tempo che si era detto? E perché mai dovremmo credere che in questo caso si sfuggirebbe alla regola della moltiplicazione? Infatti, uno dei rilievi della Corte riguarda proprio la levitazione delle cifre rispetto al progetto in fieri, che non dimentichiamo è di vent'anni fa. E Salvini ha la faccia tosta di parlare di "natura politica" dei rilievi.
  8. Garantito duecento anni!!!! Un'opera che costa quanto una mega-manovra fiscale, e i suoi alfieri si vantano di garantirne una tenuta che magari a loro sembra lunga, a confronto delle loro miserevoli vite, ma che invece andrebbe paragonata non al ponte Morandi ma a ponte Milvio. E la garanzia peraltro è a patto di costi di manutenzione il cui calcolo approssimativo è appunto un altro dei rilievi della magistratura contabile (cosa non si fa, pur di falsare il bilancio costi/benefici!).
  9. Moltiplicatore?  La mistificazione maggiore è il ricatto morale che viene perpetrato ai danni di popolazioni storicamente tagliate fuori da investimenti produttivi (che non convengano a corrotti e corruttori): "retrogradi, osate essere contrari a una pioggia di miliardi che non può non avere enormi effetti moltiplicativi e ricadute sul territorio!" Bugia! Perché agisca, il moltiplicatore keynesiano, occorrono investimenti che insistono, sul territorio dove vengono fatti: piccole opere pubbliche a deficit che diano lavoro stabile a gente del posto o che vi si trasferisce, spendendo i guadagni sul posto e così via fino a che le maggiori entrate fiscali derivate dal maggior reddito non annullino il deficit iniziale. Un circolo virtuoso in cui una megaopera del genere per sua natura non farà sfociare che i rigagnoli, la quasi totalità del flusso ripartendosi tra general contractor, vari livelli di subappaltatori, grandi e piccoli corrotti e corruttori, e maestranze in massima parte straniere che manderanno a casa quasi tutti gli introiti e andranno via appena finito. In altri termini, se gli stessi soldi di questa unica opera gigantesca venissero ripartiti in cento iniziative sul territorio, ci sarebbe si un effetto moltiplicatore enorme; dal ponte, quasi nulla.
  10. Investimenti alternativi. Ferrovie locali, strade, porti, rete idrica, edilizia scolastica, ospedali (basterebbe la riapertura e riqualificazione dei tanti chiusi negli ultimi decenni), salvaguardia idrogeologica di zone a rischio, messa in sicurezza di coste e argini, incentivi diretti alla ristrutturazione edilizia privata (no superbonus in saccoccia alle banche e ai furbi) anche in chiave antisismica, e mi scordo di sicuro qualcosa. In tutta la Calabria, la Sicilia, e perché no il resto del Sud e isole. Con effetti moltiplicatori di molto moltiplicati, ripeto. E resterebbero soldi, rispetto a questo spreco.
  11. Mafia. L'ho lasciata per ultima non per importanza, ma perché è il fattore assieme più indiscusso e meno definibile. Di certo, è quasi impossibile tenerla lontana da pozzi senza fondo come questo. Ma il fatto che sia sul proprio territorio è solo una secondaria facilitazione: la cosa vale per qualsiasi "grande opera" ovunque si faccia. E si, vale anche per le opere più piccole, ma quelle attraggono pesci più piccoli, ed è più facile controllare che vengano ultimate senza eccessive ruberie. Sulla TAV, le privatizzazioni e le megaopere in genere, come diceva Pasolini, io non ho le prove ma so.
  12. Impatto ambientale. Consideriamola un post-scriptum, anche se è una delle carenze più pesanti rilevate dalla Corte. Per chi ama quel territorio, magari perché ci è nato, non è facile digerire lo scempio di due pilastri alti centinaia di metri e larghi decine, poggiati su colline vere o artificiali che siano, più decine di chilometri di raccordi stradali e ferroviari poggiati su altri pilastri non giganteschi ma numerosi, perché l'altezza del ponte (che dovrebbe essere sufficiente al transito delle mega navi, per non fare chiudere il porto di Gioia Tauro) è tale che con le rampe bisogna partire da lontano, coi treni da lontanissimo. Basta questo a chiudere la questione, i dettagli sono tanti ma sono in aggiunta. Tutto questo se lo finiscono e se resta in piedi. Perché visti i punti precedenti la cosa altamente più probabile è che vedremo per decenni un cantiere aperto e poi per secoli i resti di un cantiere chiuso di un qualcosa di mai ultimato o peggio ancora i ruderi di un qualcosa di ultimato e crollato per una delle ragioni di cui sopra, dai terremoti al vento allo scadere dei due secoli di garanzia. Un impatto ambientale colossale, uno scenario che si spera almeno sia da monito all'umanità, ammesso che questa si faccia davvero ammonire da qualcosa a non ripetere i propri errori.

Voglio chiudere con un ricordo personale, perché questo in fondo è un diario e perché spesso l'ultima parola in questioni serie la ottiene la risata. L'ironia, la satira, possono sgretolare il Potere, anzi spesso sono le sole forze a riuscirci o almeno a incrinarlo.

Mio papà Pepè fu protagonista, nel suo piccolo, dell'epopea delle radio libere negli anni 70. Certo, a Reggio Calabria, anzi nella frazione di Gallina, non a Bologna Roma o Milano, ma basta accontentarsi. Io gli andai a rimorchio, e ancora oggi mi vanto di avere nel curriculum di essere stato DJ, anzi come si diceva di avere "trasmesso in radio", dal 1979 al 1984. Ma nel 1976, ero piccolo, mio padre prese a telefonare a Radio Gallina Sound interpretando in diretta una serie di personaggi, figli credo come ancora oggi tanti di Alto Gradimento di Arbore e Boncompagni ma suoi originali, che gli valsero l'invito a passare dall'altra parte del bancone del mixer (vi sarebbe rimasto per vent'anni). Me ne ricordo bene due, vi giuro esilaranti: Gustavo, un omosessuale appassionato di culinaria col pallino per il pescestocco, e il professore Paolo Missineo, un saccente pieno di prosopopea che chiosava ogni suo intervento, di qualunque argomento si fosse parlato, col suo tormentone: "il ponte sullo stretto sarà fatto!". E raccontava che per sponsorizzarlo si faceva ogni giorno lo Stretto a nuoto andata e ritorno da Cannitello a Ganzirri.

Pontisti, pontofili: una risata vi seppellirà.

sabato 25 ottobre 2025

LO SPORT DEL DIAVOLO

Non so chi abbia definito per primo il tennis come "lo sport del diavolo", ma la definizione piace ad Adriano Panatta tanto che la cita ricorrentemente, e io che ho iniziato a giocare per emulare lui (e tra l'altro l'aspetto migliore del fenomeno Sinner è la torma di ragazzini che ha preso ad invadere i circoli di tennis per la stessa ragione) non posso non farla mia, visto che i suoi commenti tennistici e sportivi in generale mi trovano quasi sempre d'accordo.

La ragione principale per cui la definizione è calzante risiede nel sistema di punteggio. Ce ne sono altre, ma sono comuni ad altri sport individuali "di situazione", come la boxe o la scherma, in cui l'azione è un continuo e veloce miscelarsi di azioni fisiche e pensiero (fin qui come molti altri sport) che però deve adattarsi di continuo e rapidamente alla risposta di un altro che usa lo stesso mix per batterti. Non corri contro un cronometro, non devi centrare un bersaglio, lanciare qualcosa più lontano o resistere in qualcosa a lungo e facendo prima di altri, eccetera eccetera, no: devi "fare punti" contro un altro che deve "fare punti" contro di te, nessuna azione è uguale all'altra, la situazione è in continuo cambiamento, ed è solo tua la responsabilità della lunga serie di scelte giuste o sbagliate che prendi durante un incontro. Gli sport a squadre hanno altri pregi, e anzi anche tutti gli altri tipi di sport hanno ciascuno il suo, non sto facendo a chi ce l'ha più lungo. Ma gli sport "a duello" hanno questo pregio, ed il tennis lo è. Poi però c'è il punteggio.

Ho visto in TV una partita in cui una professionista vinceva 6-0 5-0 e match point, e poi ha perso la partita. E non è che si è fatta male, no. E' che il sistema di punteggio, che non si sa nemmeno bene chi e quando lo abbia introdotto (gli antenati del tennis sono antichissimi, dalla pallacorda indietro, ma il punteggio a 15 potrebbe essere conseguente all'invenzione degli orologi a quadrante), è congegnato in modo che tu non sia mai sicuro di aver vinto finché non hai vinto l'ultimo punto. In altri sport non è così: a pallone se sei 4 a 0 avanti e mancano pochi minuti hai vinto, a basket già è più incerto ma fino a un certo punto (se sei avanti di venti, man mano che si avvicina la fine puoi far giocare i ragazzini), a boxe se sei nettamente sotto ai punti puoi solo sperare di mettere KO il tuo avversario ed è già qualcosa, perché a scherma invece devi rimontare non puoi infilzarlo. A tennis invece... Roger Federer a fine carriera ebbe a dichiarare: "Ho vinto quasi l'80% delle partite di singolare... Ma ho vinto solo il 54% dei punti.". E stiamo parlando di uno dei giocatori più vincenti di ogni tempo, per altri grandi campioni si può dire che i punti vinti restino attorno alla metà, mentre le partite vinte non sono quante Federer ma sempre molte di più della metà. E tutto ciò grazie al fatto che i "quindici" non sono tutti uguali, conta vincere quelli che contano. Infatti, spesso nelle statistiche di fine partita mostrano anche il totale dei punti vinti, e nelle partite combattute molto spesso capita che chi ha vinto il match non sia quello che ha vinto più punti. Faccio un esempio non estremo (che si può capire: se vinco 0-6 7-6 7-6 ho vinto due tiebreak ma solo 12 game su 18, quindi facile che ho fatto meno punti): ho vinto 6-4 6-4, ma i miei game li ho vinti sempre con due vantaggi (quindi 6 punti a 4) e quelli che ho perso li ho persi sempre a zero; come minimo, il mio avversario ha perso facendo 80 punti, mentre io ho vinto essendomi fermato a 72. Non so voi, ma io la vedo come una efficacissima metafora della vita, una cosa che apprenderla sul campo mentre ragazzino ti confronti impietosamente con te stesso prima che coi tuoi avversari non può che far bene.

Sinner dunque sta facendo un grande servizio ai ragazzi italiani. E lo fa anche se ogni tanto salta una convocazione in Davis. Chi ne approfitta per fare polemiche, come l'ineffabile Vespa, dimentica che il paragone non va fatto con le "mezze pippe" per cui la convocazione in nazionale è il massimo della vita, ma coi grandissimi della storia del tennis, cui il nostro roscio appartiene di diritto; ebbene, Federer su 45 convocazioni ha risposto si in 27 occasioni (vincendo peraltro il trofeo solo una volta) e no in 18, Djokovic sta solo un filo più su (37 si e 20 no) e Nadal molto dietro (24 si e 32 no). Sinner, se ancora non cambia idea, è solo al suo secondo no, di una serie lunga si spera quanto quella di titoli slam e settimane al numero uno, i conti li faremo alla fine. Queste semplici considerazioni razionali non impediscono al tifoso di essere deluso e magari sperare in un dietrofront. Magari dettato dalla semplice considerazione razionale che uno sforzo di una settimana in più stavolta non è richiesto quando dopo hai altri tornei importanti, ma esattamente prima delle ferie, che per carità anche vista la giovane nuova fidanzata è pure comprensibile volersele godere un minimo prima di iniziare la preparazione per la nuova lunga stagione, ma insomma non credo che la vittoria all'Australian open (e meno che meno nei tornei successivi) dipenda da qualche giorno di differenza nell'inizio dello "stacco". Diciamo così, ancora con Panatta: io tutto sommato uno sforzo lo avrei fatto.

Ma torniamo a noi. C'è almeno un altro senso per cui vale accostare questo sport a Belszebù, e ha a che fare col dottor Faust. Il tennis, infatti, a differenza di altri sport, si può praticare fino ad età avanzata, come sa bene chi ha continuato a frequentare i circoli nei decenni tra l'era Adriano e l'era Yannik, o ci si affaccia di mattina, gustandosi lo spettacolo di fieri vegliardi che si sfidano e sfottono in doppietti improbabili. Ora, nella mia testa ogni tanto lampeggia il desiderio che se proprio devo morire che sia dopo un punto fortunoso ottenuto con una volée in tuffo, e ancora sono solo un ultrasessantenne (ho conosciuto e conosco molti over 70 80 e oltre che ancora giocano): non so se capita anche ad altri, ma suppongo di si. La vecchiaia, come spiega il grande Massimo Fini in questo articolo, è un pessimo affare, ma avere la fortuna di poterla trascorrere su un campo da tennis la rende meno dura. E più invecchio più capisco mia madre, il cui tennis si chiamava "campagna", che ha continuato a zappare la terra irrigarla seminarla e coglierne i frutti fino a oltre 85 anni, e ha iniziato a morire solo quando un incidente le ha tolto la condizione fisica minima necessaria a poter proseguire.

sabato 18 ottobre 2025

RICORDO CHE LA MONETA...

Come ricorda bene Agamben, il filosofo che durante la psyop Covid fu tra le poche voci dissonanti rispetto alla narrativa di regime, le parole memoria e moneta hanno etimologia comune, e ovviamente non per caso. Senza una sua moneta sovrana, uno Stato non è uno Stato, e infatti gli Stati dell'area Euro non avendo più una loro moneta non possono attuare una loro politica economica e fiscale autonoma nemmeno nell'eventuale presenza di un mandato forte e inequivocabile dell'elettorato (leggi: negli Stati che hanno adottato l'Euro è inutile votare, la democrazia non è nemmeno più un simulacro), e l'Unione Europea avendo una sua moneta ma non essendo questa una moneta sovrana (l'Euro è solo una unità di conto in mano alle élite bancarie, non c'è nessuna autorità politica democratica a poterla manovrare) non è ancora uno Stato e mai lo sarà. Anche perché senza una sua memoria una Nazione non è una Nazione, ed era sul concetto di "nazione europea" (che includeva il mantenimento blindato del modello politico-economico della socialdemocrazia) che bisognava semmai edificare l'Unione, non su fondamenta monetarie che da un lato sono intrinsecamente fragili, e dall'altro hanno contribuito proprio alla demolizione di quella memoria nazionale che è una delle cause dello sfacelo del vecchio continente.

Che l'UE fosse ben altro di quanto dichiarava di essere, e cioè esattamente un trojan horse che permetteva al globalismo turbocapitalista di distruggere il welfare-State attraverso essenzialmente una politica di redistribuzione a danno dei salari e segnatamente a danno di alcuni Paesi e a vantaggio di altri, è oramai dimostrato al limone agli occhi di chi vuol vedere. La grafica in immagine è decisamente eloquente, con numeri e colori che mostrano cosa ha fatto l'Unione (o dovremmo dire la Disunione) negli ultimi 30 anni: lasciare al palo i "mediterranei" a favore del centro/nord e soprattutto est Europa. Nel periodo, infatti, i salari reali, cioè tarata l'inflazione, mentre in Spagna Grecia e soprattutto Italia sono rimasti al palo, sono da raddoppiati a triplicati nei Paesi ex sovietici. Ma se ciò può essere  giustificato dai bassi livelli di partenza, gli aumenti netti dell'Europa centrale e ancora maggiori in Nord Europa possono spiegarsi solo in due modi: per chi non ha adottato l'Euro, da questa saggia decisione, e per chi lo ha fatto (e magari lo "dirige") dalla semplice constatazione che, ben lungi dall'essere uno strumento neutro, esso nasce e cresce come un'arma nelle mani di alcuni per danneggiare altri. Come peraltro è dimostrato ulteriormente da tutte o quasi le sue politiche (da ultima, quella sul "pane", in cronaca).

Chi volesse approfondire, potrebbe andarsi a rileggere questo mio vecchio (è del 2011, la tragica parabola dei cinquestelle non era nemmeno iniziata) post didascalico, a tratti ingenuo ma ancora piuttosto utile a comprendere cos'è sta moneta e come funziona, oppure questo articolo di Blondet sulla cosiddetta "moneta-debito" che è solo uno dei tipi possibili di moneta eppure viene raccontata come fosse l'unico, e sempre col tono di chi da le cose per scontate. Oppure ancora riandarsi a leggere come Cossiga definiva Draghi in diretta televisiva nel lontano 2008, cosa che fa capire molto di tutti i retroscena del delitto. Come, quale delitto? La distruzione della democrazia in Europa occidentale a favore di un "vincolo esterno" che in quanto tale ha creato i presupposti perché il nuovo totalitarismo si affermasse, come tutti i totalitarismi, col consenso popolare.

sabato 11 ottobre 2025

PACE UN CORNO

Non è una ricostruzione di AI, è un fotogramma di un
avvenimento reale, nel 2014 a Piazza San Pietro...
La domenica delle salme
Fu una domenica come tante
Il giorno dopo c'erano i segni
Di una pace terrificante

Fabrizio De Andrè

L'aver imbottito il prosciutto costituito dalla elementare considerazione (qui Blondet) dell'inutilità e anzi controproducenza dei blocchi stradali dei manifestanti proPal tra due fette di pane, una messa in piano che più esplicita non si può nella questione israelo-palestinese inquadrata come colonialismo (sentire Roger Waters) e una condanna netta del piano neocolonialista cosiddetto di pace, non mi ha messo a riparo dalle critiche (la peggiore, di essere voce della maggioranza benpensante: quasi nessun'altra offesa mi ferisce di più) di chi ha voluto guardare solo alla farcitura.

Per sgombrare il campo agli equivoci, e sperando che non si ripetano episodi come quello che ho stigmatizzato io, non riuscendo a ridire ancora meglio la prima fetta, ho deciso di ospitare un altro articolo di Pasbas che mi aiuta a specificare meglio la seconda (mi autocito, la "ignobile soluzione 'di pace' con [...] Trump e [...] Blair al timone [...] tanto somiglia alle paci imposte agli indiani d'America confinandoli nelle riserve dopo averli sterminati").

Il pezzo, com'è facile constatare, è di qualche giorno fa. Nel frattempo, gli accordi sono stati firmati, e persino con qualche piccolo miglioramento (ad esempio, togliendo di mezzo quel bugiardo patentato di Tony Blair). Purtroppo, le criticità evidenziate da Pasquale, come avrete modo di rilevare leggendo, rimangono in buona parte in piedi. E chi c'era quando Rabin e Arafat presero il Nobel per accordi di pace infinitamente migliori di questi, e prima l'uno poi l'altro finirono assassinati (l'ebreo dai suoi) perché le cose potessero ricominciare come prima, sa che volendo si può pure essere contenti, ma con riserva...


Il piano di pace trumpiano

di Pasbas

I punti focali che indicano come il piano non dia alcun beneficio ai palestinesi (mio parere personale - va però affermato che la scelta finale è dei palestinesi e solo la loro):

  • p.to 3) indica la cessazione immediata del conflitto ed il ritiro dell'IDF da Gaza, per tale ritiro non è fissato alcun termine di tempo (mio commento: i sionisti decideranno in autonomia se e quando).
  • p.to 6) Hamas dovrà deporre le armi (i sionisti ovviamente no) e gli sarà concessa l'amnistia (da quale tribunale e per quale accusa?).
  • p.ti 7) e 8) all'accettazione dell'accordo saranno immediatamente forniti aiuti ai Gazaui e rimesse in funzione le infrastrutture distrutte (a spese di chi, sono definiti i danni di guerra inflitti dai sionisti?). Gli aiuti saranno gestiti da organizzazioni dell'ONU che devono essere indipendenti dalle parti in conflitto (l'unica organizzazione attiva dal 1948 e in grado di operare a Gaza è UNRWA definita dai sionisti collusa con Hamas, ergo gli sarà consentito di tornare ad operare?).
  • p.to 9) Gaza avrà (nessun termine di tempo definito) un governo apolitico e tecnocratico supervisionato dal premio Nobel Trump e dal laburista pacifista Blair, già benefattore e promotore degli aiuti esplosivi forniti dal cielo all'Iraq, condannato in GB per le sue bugie. La chicca finale: una volta riformata la AP essa potrà governare Gaza col beneplacito coloniale (persero nel 2006 clamorosamente le elezioni nei confronti di Hamas).
  • p.to 12) qui la bugia, il cinismo e l'ipocrisia raggiungono vette dolomitiche: nessuno sarà costretto ad abbandonare Gaza, chiunque vada via avrà diritto al ritorno (falso dal 1947 in avanti), i Gazaui saranno "incoraggiati a restare" (in un luogo con 50 milioni di tonnellate di macerie e materiali altamente tossici, esplosivi, amianto, prodotti chimici rovesciati dai sionisti sulla Striscia, falde acquifere inquinate).
  • p.to 13) I gruppi della Resistenza Palestinese non avranno alcun ruolo nel governo di Gaza (l'entità sionista, gli USA e la GB si), ogni tipo di arma e di dispositivo terroristico dovrà essere distrutto insieme con i tunnel e le fabbriche di armi sotterranee. Il processo di smilitarizzazione di Gaza sarà supervisionato da non meglio specificati organismi indipendenti.
  • p.to 16) l'entità sionista non occuperà né annetterà Gaza, IDF si ritirerà da Gaza (nessun riferimento a quando, come e fin dove, le fasce definite sono tre). IDF trasferirà il controllo della Striscia ad una forza internazionale di pace (ISF).

P.S. - La decisione se trattare su questi punti ed eventualmente accettare la proposta spetta ovviamente in modo esclusivo ai Gazaui, i miei sono solo dei commenti personali basati sulle notizie che sono riuscito a reperire durante questi due anni di genocidio.

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