domenica 23 novembre 2025

L'APPUNTAMENTO

Il tema dell'eutanasia si è meritato un tag, in questo blog, seguendo il quale peraltro ci si può edurre sull'evoluzione della mia posizione in materia, per quello che vale. Il fatto è che si tratta di una questione così delicata che sarebbe strano, invece, avere una posizione granitica.

La prima ragione per cui mi occupavo tanto e con così poco pudore di questo tema è, infatti, che ero ancora relativamente giovane. La morte è tanto presente nelle poesie di tanti adolescenti, ma anche nei loro stili di vita direi (quante cose pericolosissime che si fanno da ragazzi!), proprio perché sembra loro lontana, al punto di essere quasi irreale, comunque "altro da sé". Più invecchi, più si avvicina la prospettiva di doverci avere a che fare, più "la dama senza pietà" perde appeal romantico.

La cronaca però, con la vicenda delle gemelle Kessler intendo, spinge a fare il punto, a cercare una posizione che concili i tanti pensieri di direzione opposta che sono venuti a ciascuno di noi anche a prescindere dallo sciacallaggio giornalistico. Cerco di elencarli:

  • il diritto di ciascuno di noi a stabilire come e quando morire, senza che la cosa comporti il dover ricorrere, ammesso che ne sia capace o sia in grado, a pratiche cruente e dolorose;
  • il dovere di una società a ridurre al minimo le casistiche per cui uno debba preferire morire a vivere, con l'optimus che siano ridotte a quelle condizioni vegetative che dovrebbero essere oggetto di testamento biologico;
  • il rispetto per una scelta che resta tragica e resta privata, tanto da rendere odioso ogni tentativo di utilizzarla per imporre una narrazione di qualsiasi tipo sia;
  • il collegamento tra la deriva individualistica della società occidentale contemporanea, che ha distrutto l'atomo/famiglia senza rimpiazzarlo con niente altro in grado di proteggerci dalla solitudine, anzi ci ha fornito (e coi nostri figli lo sta facendo fin da piccoli) di strumenti di falsa socialità per meglio renderci ancora più soli.

L'apparente schizofrenia di questo elenco è invece espressione del giusto imbarazzo e tentennamento che ciascuno di noi dovrebbe poter e voler mantenere di fronte a episodi come il suicidio più o meno assistito di qualcuno. Dobbiamo poter avere reazioni diverse nel caso Englaro e nel caso Kessler, o in qualunque altro, perché la coerenza talvolta non è una virtù e comunque nessuno ha diritto ad invocarla in noi quando se si leggesse bene dentro non l'avrebbe nemmeno lui, ammesso che non si stia addirittura equivocando sul significato del termine.

Il timore è, invece, che come al solito si approfitti di una storia mediaticamente interessante (le due gemelle erano giustamente celeberrime, una vera icona pop senza tempo) per imporre il proprio metro di giudizio, nel continuum che va dal "peccato mortale con dannazione eterna" al "tana liberi tutti", in una sfera che invece come nessun altra richiederebbe da parte del legislatore uno sforzo di equilibrio super partes e di declinazione dettagliata della casistica. Altrimenti si resta prigionieri degli estremi opposti, uno dei quali ci costringe a soffrire ben oltre il dicibile o a prolungare la cosiddetta vita ben oltre ciò che noi da vivi e lucidi siamo disposti a definire tale, mentre l'altro ci porterebbe a una società che rimpiazzi il sistema sanitario e pensionistico con una iniezione letale magari durante un bel viaggetto multimediale.

Esagero? Ma avete fatto i conti di quanti diritti economici e sociali fondamentali, conquistati col sangue e il sudore dai nostri avi, ci hanno ("democraticamente") tolto negli ultimi decenni, tenendoci buoni con la concessione dei cosiddetti diritti civili? A cosa vale potersi sposare tra persone dello stesso sesso se poi per una coppia comechesia comprarsi una casa è sempre più un lusso e affittarla ancora peggio? A cosa poter accedere alla genitorialità a prescindere dall'anagrafe o dalla capacità generativa, se crescere un figlio è ancora più oneroso? La maggior parte delle questioni di cui si riempiono la bocca, comprese quelle sulla parità di genere, è per impedirvi di vedere dove invece dovreste incacchiarvi veramente. Perché la libertà è poter fare quello che vuoi, ma di fatto, perché se invece ti concedo un diritto che se non sei ricco non ti puoi permettere, ti ho solo preso in giro. Il diritto alla casa, al lavoro, alla mobilità individuale, alle ferie, alla salute, all'istruzione, alla cultura, alla felicità e ai "beni comuni", ci sono stati strappati pian pianino e i nostri nipoti non sapranno mai che qualcuno li ha mai avuti. In cambio, ci danno il diritto di toglierci dalle palle quando vogliamo, e ci forniscono esempi illustri da seguire.

Mentre scrivevo questo post, manco a farlo a posta, è giunto un esempio di approccio alla stessa questione diametralmente opposto: Ornella Vanoni la morte la temeva probabilmente come tutti noi, dentro di se, ma non le ha mai dato la soddisfazione di rinunciare al suo approccio ironico e superiore. Per ora, mi fornisce il titolo a questo post, ma presto le dedicherò uno speciale radiocixd che è tanto che non ne faccio uno, con una antologia delle sue interpretazioni più significative. Ora però vi lascio con due brani di uno che con la Vanoni ci ha duettato dentro nei dischi almeno un paio di volte, che ha scritto sulla morte almeno un paio di canzoni memorabili. Nella prima, esplicitamente bergmaniana, si confessa a cosa si possa arrivare per un solo giorno in più, nella seconda, si arriva al nocciolo di un appuntamento che è l'unico a cui davvero tocca presentarsi da soli.

domenica 16 novembre 2025

BIMASTER

Non uso fare post così, ma stavolta è proprio il caso di ripescare la didascalia di alcune barzellette della settimana enigmistica, quelle che fanno ridere...

SENZA PAROLE



sabato 8 novembre 2025

SPIRAGLI?

Riconoscere a Trump di stare spaiando lo scenario geopolitico internazionale rendendo possibile l'apertura di spiragli in questioni che sembravano chiuse, non significa né essere trumpiani né tantomeno perdere il diritto di criticarne le iniziative. Ad esempio, quelle pessime in Nicaragua, che pure a guardar bene indirettamente danno ragione a Putin, della serie "a ciascuno il suo giardino di casa". Detta in piano, siamo perfettamente liberi di criticare Trump per il Nicaragua, anche se pensiamo che purtroppo sia uno dei pochi ad inquadrare correttamente la questione Ucraina (magari per comodo, ma va bene lo stesso).

Lo dice meglio Agamben in questo post del 2024, io siccome so che siete pigri tento qui un riassunto:

  • l'Ucraina è indipendente solo dal 1990, prima era solo una provincia dell'impero russo prima e uno Stato dell'URSS dopo, entità all'interno delle quali era indifferente quali fossero i confini, tanto che non si contano letterati e intellettuali che si consideravano russi e tali venivano e vengono considerati, nati in Ucraina;
  • se la sua indipendenza fosse maturata da un processo meno traumatico del crollo sovietico, ricordiamo pilotato da occidente con la complicità prezzolata di Eltsin e soci, dai suoi confini sarebbero rimaste fuori le regioni in ballo nel conflitto odierno;
  • queste ultime sono state oggetto di attacchi e discriminazioni da quando un colpo di Stato ha rovesciato il legittimo governo filorusso, nel 2014: chi lo dimentica e parla di aggressione russa del 2022 commette un grave errore che impedisce la ricerca di una pace;
  • quest'ultima quindi comporta la cessione alla Russia delle regioni che chiede per fermare la guerra (una guerra peraltro appositamente non distruttiva come potrebbe essere eccome, basta confrontare con Gaza per capire) chi non lo comprende è lui l'ostacolo alla pace.

Ora, finché queste cose dimostra di capirle solo Trump, è un problema in più per l'Europa. Per questa ragione, la notizia di oggi, che mi ha indotto a titolare questo post come ho fatto, è particolarmente rincuorante. Pare stia emergendo, infatti, un centro di aggregazione in seno all'Europa "altro" rispetto all'ortodossia che ci porta all'Eurosuicidio: Cechia, Slovacchia e Ungheria hanno infatti costituito un "blocco scettico" rispetto alle tre tematiche portanti: la questione Ucraina, appunto, le politiche "green" e la sovranità dei singoli Stati dell'Unione. Leggete qui: si dovesse allargare, sarebbe forse l'alba di una nuova era. Se lo spiraglio si chiude, invece, è di nuovo buio fitto, e poveri noi.

domenica 2 novembre 2025

A CONTI FATTI

Lo vogliamo per sempre così...
La Corte dei Conti ha "bloccato" il Ponte sullo Stretto. Le virgolette sono perché il parere non è vincolante per il governo, ma i rilievi sono concreti ed è difficile che questo abbia la forza politica per ignorarli bellamente. Il wishful thinking è che questo ennesimo stop sia finalmente quello definitivo, ma la torta è talmente grossa che difficilmente i felloni non cercheranno e magari troveranno un'altra strada per cercare di papparsela.

E' perciò utile, anche se l'argomento è uno dei più trattati di questo blog (basta seguire il tag), ricapitolare ancora una volta quali sono tutte le ragioni per cui il Ponte non può e non deve essere fatto, anche perché negli ultimi tempi, grazie anche alla sponsorship governativa (specie di uno a cui del sud non gliene è mai fregato niente, peraltro), gli argomenti a favore, per quanto fallaci, hanno trovato "buona" stampa facendo quindi breccia in una opinione pubblica sempre meno avvezza al pensiero critico.

  1. Fattibilità. Il ponte a campata unica più lungo mai costruito ha una campata lunga la metà di questo progetto. Il doppio più lungo non significa il doppio più difficile, magari: qui parliamo di un fattore difficilmente calcolabile. E certo che i progettisti dicono che si può fare, erano ingegneri, erano scienziati, anche Morandi e quelli del Vajont: non deve decidere chi è interessato. E chi deve decidere deve essere "marcato a uomo" per non essere corrotto.
  2. Terremoti. La resistenza al sisma del progetto attuale è di 7.1 gradi Richter. Ridicola. Nessuno può dire con esattezza quale fu la magnitudo del "big one" del 1908, e quale sarà quella del prossimo. Ma se fosse 7.2 non sarebbe lo zero virgola uno più forte, la scala è logaritmica, si parla di moltiplicare a ogni decimale, un 7.8 sarebbe UNDICI volte più forte del 7.1 per cui il progetto sarebbe tarato. Tutto ciò significa che è praticamente certo che, ammesso che riescano a ultimarlo, al prossimo grande terremoto, in una zona in cui ce n'è uno ogni secolo o due al massimo quindi ci siamo quasi, andrà in macerie (e se anche fosse l'unica struttura a resistere, come si vanta lo stesso Salvini, in assenza di interventi sul patrimonio abitativo dell'area dello Stretto, resterebbe a collegare due cumuli di macerie).
  3. Vento. Ma se un grande terremoto possiamo essere certi che arriverà ma non quando, i venti su quel tratto di mare, a decine di metri di altezza, sono la regola per moltissimi giorni all'anno. Un grattacielo, cioè un oggetto massiccio ancorato a terra e alto centinaia di metri, in cima deve oscillare di metri e metri per non crollare. Il Ponte, una struttura esile coi punti di ancoraggio lontani chilometri, per non crollare deve oscillare tanto da costringere a chiuderlo al transito in ogni giorno di vento. Immaginando che non ci siano più i traghetti, chi deve passare sta fermo agli imbocchi.
  4. Traffico. Si ma chi è che ci deve passare? Per giustificare la costruzione, si ricorre a previsioni di traffico vecchie di venti anni (lo stesso trucco della Torino-Lione), che la stessa CdC ha giudicato irrealistiche visti i tempi. Ma anche fossero giuste, la domanda è: ha senso nel 2025 realizzare una infrastruttura che sposterà ulteriormente i trasporti su gomma (mentre è in corso un'azione concentrica per farci abbandonare le auto, peraltro) da e verso un'isola che logica e ambientalismo vorrebbe fosse invece essere rifornita esclusivamente via mare, semmai investendo su porti commerciali e infrastrutture di trasporto interno?
  5. Tempi e costi di traghettamento. Si parla di un pedaggio di 10 euro a vettura e 20 a mezzo pesante. Ammesso che sia vero, e che si trovi il modo di non creare code agli imbocchi (salvo il vento, rivedi punto 3) risparmiando del tempo, visto che il tempo è denaro e che le code agli imbarchi attualmente si registrano solo per alcuni giorni all'anno (meno di dieci) quanto risparmierebbero gli utenti (escludendo pendolari reggini e messinesi, che se glieli lasciano continueranno a preferire gli aliscafi a 40 chilometri di strada) non ferroviari? 
  6. Treni. Unici mezzi che trarrebbero vantaggio dal ponte, su cui passerebbero dritto anziché fermarsi per essere "smontati" e traghettati. Peccato che anche calcolando, a voler essere generosi, in un'ora o due questo risparmio di tempo, esso deve essere parametrato a lunghe percorrenze col "continente" che includono le ottocentesche tratte siciliane e la tratta Reggio/Salerno per cui è stata appena riesclusa (viene fatto ricorrentemente, ad ogni tentativo di riproporla, perché l'orografia non perdona e costringe a costi altissimi) l'Alta Velocità: un conto è risparmiare un'ora su due, un conto una su dieci, o no? Quanto si accorcerebbero i tempi se si intervenisse sulle tratte a terra? A spanne, molto di più e spendendo molti meno soldi.
  7. Tempi e costi di costruzione finali. C'è mai stata una "grande opera" per cui in Italia alla fine si è speso quanto si era detto e ci si è messi il tempo che si era detto? E perché mai dovremmo credere che in questo caso si sfuggirebbe alla regola della moltiplicazione? Infatti, uno dei rilievi della Corte riguarda proprio la levitazione delle cifre rispetto al progetto in fieri, che non dimentichiamo è di vent'anni fa. E Salvini ha la faccia tosta di parlare di "natura politica" dei rilievi.
  8. Garantito duecento anni!!!! Un'opera che costa quanto una mega-manovra fiscale, e i suoi alfieri si vantano di garantirne una tenuta che magari a loro sembra lunga, a confronto delle loro miserevoli vite, ma che invece andrebbe paragonata non al ponte Morandi ma a ponte Milvio. E la garanzia peraltro è a patto di costi di manutenzione il cui calcolo approssimativo è appunto un altro dei rilievi della magistratura contabile (cosa non si fa, pur di falsare il bilancio costi/benefici!).
  9. Moltiplicatore?  La mistificazione maggiore è il ricatto morale che viene perpetrato ai danni di popolazioni storicamente tagliate fuori da investimenti produttivi (che non convengano a corrotti e corruttori): "retrogradi, osate essere contrari a una pioggia di miliardi che non può non avere enormi effetti moltiplicativi e ricadute sul territorio!" Bugia! Perché agisca, il moltiplicatore keynesiano, occorrono investimenti che insistono, sul territorio dove vengono fatti: piccole opere pubbliche a deficit che diano lavoro stabile a gente del posto o che vi si trasferisce, spendendo i guadagni sul posto e così via fino a che le maggiori entrate fiscali derivate dal maggior reddito non annullino il deficit iniziale. Un circolo virtuoso in cui una megaopera del genere per sua natura non farà sfociare che i rigagnoli, la quasi totalità del flusso ripartendosi tra general contractor, vari livelli di subappaltatori, grandi e piccoli corrotti e corruttori, e maestranze in massima parte straniere che manderanno a casa quasi tutti gli introiti e andranno via appena finito. In altri termini, se gli stessi soldi di questa unica opera gigantesca venissero ripartiti in cento iniziative sul territorio, ci sarebbe si un effetto moltiplicatore enorme; dal ponte, quasi nulla.
  10. Investimenti alternativi. Ferrovie locali, strade, porti, rete idrica, edilizia scolastica, ospedali (basterebbe la riapertura e riqualificazione dei tanti chiusi negli ultimi decenni), salvaguardia idrogeologica di zone a rischio, messa in sicurezza di coste e argini, incentivi diretti alla ristrutturazione edilizia privata (no superbonus in saccoccia alle banche e ai furbi) anche in chiave antisismica, e mi scordo di sicuro qualcosa. In tutta la Calabria, la Sicilia, e perché no il resto del Sud e isole. Con effetti moltiplicatori di molto moltiplicati, ripeto. E resterebbero soldi, rispetto a questo spreco.
  11. Mafia. L'ho lasciata per ultima non per importanza, ma perché è il fattore assieme più indiscusso e meno definibile. Di certo, è quasi impossibile tenerla lontana da pozzi senza fondo come questo. Ma il fatto che sia sul proprio territorio è solo una secondaria facilitazione: la cosa vale per qualsiasi "grande opera" ovunque si faccia. E si, vale anche per le opere più piccole, ma quelle attraggono pesci più piccoli, ed è più facile controllare che vengano ultimate senza eccessive ruberie. Sulla TAV, le privatizzazioni e le megaopere in genere, come diceva Pasolini, io non ho le prove ma so.
  12. Impatto ambientale. Consideriamola un post-scriptum, anche se è una delle carenze più pesanti rilevate dalla Corte. Per chi ama quel territorio, magari perché ci è nato, non è facile digerire lo scempio di due pilastri alti centinaia di metri e larghi decine, poggiati su colline vere o artificiali che siano, più decine di chilometri di raccordi stradali e ferroviari poggiati su altri pilastri non giganteschi ma numerosi, perché l'altezza del ponte (che dovrebbe essere sufficiente al transito delle mega navi, per non fare chiudere il porto di Gioia Tauro) è tale che con le rampe bisogna partire da lontano, coi treni da lontanissimo. Basta questo a chiudere la questione, i dettagli sono tanti ma sono in aggiunta. Tutto questo se lo finiscono e se resta in piedi. Perché visti i punti precedenti la cosa altamente più probabile è che vedremo per decenni un cantiere aperto e poi per secoli i resti di un cantiere chiuso di un qualcosa di mai ultimato o peggio ancora i ruderi di un qualcosa di ultimato e crollato per una delle ragioni di cui sopra, dai terremoti al vento allo scadere dei due secoli di garanzia. Un impatto ambientale colossale, uno scenario che si spera almeno sia da monito all'umanità, ammesso che questa si faccia davvero ammonire da qualcosa a non ripetere i propri errori.

Voglio chiudere con un ricordo personale, perché questo in fondo è un diario e perché spesso l'ultima parola in questioni serie la ottiene la risata. L'ironia, la satira, possono sgretolare il Potere, anzi spesso sono le sole forze a riuscirci o almeno a incrinarlo.

Mio papà Pepè fu protagonista, nel suo piccolo, dell'epopea delle radio libere negli anni 70. Certo, a Reggio Calabria, anzi nella frazione di Gallina, non a Bologna Roma o Milano, ma basta accontentarsi. Io gli andai a rimorchio, e ancora oggi mi vanto di avere nel curriculum di essere stato DJ, anzi come si diceva di avere "trasmesso in radio", dal 1979 al 1984. Ma nel 1976, ero piccolo, mio padre prese a telefonare a Radio Gallina Sound interpretando in diretta una serie di personaggi, figli credo come ancora oggi tanti di Alto Gradimento di Arbore e Boncompagni ma suoi originali, che gli valsero l'invito a passare dall'altra parte del bancone del mixer (vi sarebbe rimasto per vent'anni). Me ne ricordo bene due, vi giuro esilaranti: Gustavo, un omosessuale appassionato di culinaria col pallino per il pescestocco, e il professore Paolo Missineo, un saccente pieno di prosopopea che chiosava ogni suo intervento, di qualunque argomento si fosse parlato, col suo tormentone: "il ponte sullo stretto sarà fatto!". E raccontava che per sponsorizzarlo si faceva ogni giorno lo Stretto a nuoto andata e ritorno da Cannitello a Ganzirri.

Pontisti, pontofili: una risata vi seppellirà.

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