Non mi dite che ci sono cose reali, altre realizzabili e altre ancora soltanto da libro dei sogni. E non lasciatevelo dire, specialmente se siete giovani. La Storia, infatti, non procede di moto uniforme e nemmeno regolare, ma
a strappi quasi sempre imprevedibili: non lo capiamo, perché la guardiamo a posteriori, e immersi in una ideologia (sempre: da sempre la Storia la scrivono i vincitori) dedicata a rappresentare ciò che è accaduto come inevitabile e consequenziale successione di eventi. Vale per la vita sul pianeta (dal punto di vista probabilistico una botta di culo pazzesca, eppure gli umani non possono fare a meno di vederci il disegno di un dio) figurarsi per i rigagnoli di quel fiume che chiamiamo eventi storici.
Prendete l'Unione Europea: chi poteva prevedere nel 1944 che nemmeno sette anni dopo sarebbe nata la sua prima incarnazione (la CECA)? Il nazifascismo aveva appena iniziato a perdere la guerra che fino a un paio di anni prima sembrava destinato a stravincere (e se lo avesse fatto, tutta la narrazione che diamo per scontata non esisterebbe, e ne daremmo per scontata un'altra di segno opposto: coi terroristi filoamericani e filosovietici al posto dei partigiani, le plutocrazie a matrice ebraica sconfitte al posto delle democrazie liberali e liberatrici, ben altri Padri della Patria, eccetera), giusto alcuni privilegiati prigionieri politici confinati in un piccolo paradiso potevano immaginare e scrivere il Manifesto di Ventotene, che se fosse andata al contrario sarebbe stato un libercolo dimenticato e invece oggi è universalmente considerato la prima pietra della costruzione europeista (luogo comune rappresentato benissimo in quanto tale da Virzì nel sequel di Ferie d'agosto), e infatti addirittura lo è anche nel senso deteriore, dal momento che anticipa anche quelle infauste cessioni di sovranità che rappresentano il lato oscuro e antidemocratico della UE.
Oggi, chi sostiene che sia ampiamente dimostrato che la parabola politica della UE sia conclusa, viene immediatamente rintuzzato da chi invece è convinto che la sua curva sia una iperbole (sono tutti così, i "fedeli": pensano al loro credo come alla "fine della Storia" riscrivendo quest'ultima come tutta una premessa all'Inevitabile e Definitivo da quel credo rappresentato) come reietto, antistorico, disfattista. Se ci pensate, è esattamente come veniva descritto chi pensava che la parabola politica del fascismo fosse breve e magari lo dava in qualche modo a vedere (memorabile, ed efficace più di mille trattati, la scena di Troisi che cerca di piazzare le sue lozioni contro il dolore e la perdita di capelli...). Ebbene, era breve: vent'anni. Quella di Hitler durò ancora meno. Il socialismo reale, una settantina. La "prima repubblica", meno di cinquant'anni dalla Costituente a tangentopoli. Il grillismo, una decina in tutto dalle promesse di rivoluzione antiEuro all'abbraccio di Ursula a Gigino, calata di braghe pandemica compresa. Persino della mafia, che pure è talmente elastica da riuscire a reincarnarsi sotto qualunque regime (da quello latifondista borbonico ai piemontesi del Gattopardo, dalla dormienza sotto il Prefetto di ferro fascista alla decisiva collaborazione con gli Alleati, dall'andreottismo al berlusconismo passando per la stagione delle stragi e della Trattativa), si può dire come diceva Falcone che essendo un fatto umano ha sicuramente una fine. Perché non si può dire lo stesso dell'Unione Europea? Perché non si può immaginare che nei libri di Storia del futuro ci sia a mo' di lapide il trattato di Roma come nascita e un altro evento settant'anni dopo come morte?
Si perché qui non si tratta di Italexit o meno (cogli araldi del Potere, tra cui i più temibili sono quelli inconsapevoli di esserlo, che già si esercitano con la Brexit a descrivere come disastri i normali problemi intanto dimenticando i benefici), si tratta di distruggerla, l'Unione.
Nata in un contesto in cui l'Europa veniva da secoli di guerre le ultime delle quali immani ed estese a tutto il mondo, anche perché figlie di quel colonialismo che è (anche se molti se la raccontano diversamente) il padre della globalizzazione, l'Unione nelle sue varie incarnazioni deve il suo successo intanto alla promessa iniziale di fare da disinnesco alle ragioni economiche profonde dei conflitti tra gli Stati, poi alla promessa (che lo stesso Prodi ebbe a dichiarare illusoria, in un pentimento tardivo e di facciata) di fare da argine alla globalizzazione consentendo di fare massa critica in grado di difendere il modello di sviluppo europeo (in cui vanno compresi il welfare e i diritti economici, sociali e civili ad esso connessi). Ma già la sua espansione ad est mostrò che la guida era ultraliberista, preoccupandosi dell'unificazione dei mercati di merci e capitali noncurante del fatto che ricardianamente sarebbe conseguita anche quella del mercato del lavoro, con delocalizzazioni (a partire dalla 126 polacca) ed immigrazione interna al continente a fare da volano all'inevitabile livellamento salariale. Molti allora (tra cui, lo ammetto, il sottoscritto) hanno creduto che fosse un prezzo da pagare alla possibilità invece di proteggersi da unificazioni di mercato ben più devastanti, ma è sotto gli occhi di tutti (a Roma basta entrare in un bar, o cercare casa in certi quartieri) che fosse una pia illusione, e innescata da una colossale menzogna. La vera missione della UE è infatti togliere gradatamente ai suoi cittadini quei privilegi che si è dovuto accettare di concedergli come risarcimento ai disastri bellici, perché nell'ottica del capitalismo globale è inaccettabile che permangano, ma non è possibile levarli dall'oggi al domani, bisogna aspettare che muoiano quelli che li detengono e nel frattempo impedire che la democrazia nei singoli Stati costituisca un ostacolo portando al potere partiti o movimenti che intendano opporsi alle politiche economiche decise dalla UE, anzi al di sopra della UE stessa. Solo un artista visionario come De André ebbe la capacità di vedere e il coraggio di esprimere sotto metafora cosa stava succedendo, nel verso de La domenica delle salme che recita: "la scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro e noi che eravamo sotto le abbiamo visto tutti il culo", a crollo di Berlino fresco fresco, citando poi quella nuova piramide di Cheope che è il paradigma del Ponte sullo Stretto.
Anche a chi è convinto, o accettando il confronto fattuale si convince, della correttezza di questa analisi, il cosiddetto "vincolo esterno" appare spesso comunque ancora un male necessario, soprattutto vista la radicazione di malcostumi autolesionisti nell'animo italico, che avendo origine in secoli di dominazioni esterne non sono azzerabili con qualche decennio di virtù sempre eteroimposta. A questi, a voi se siete tra questi, è difficile opporre convintamente che ce la possiamo fare da soli, che avevano ragione Mattei e Pasolini, e quando ci ho provato a parole ho dovuto arrendermi. Come a quel webinar cui fui invitato a inizio pandemia in cui, quando citai l'esperienza svedese che intendeva risolvere la faccenda con dissuasioni e convincimenti piuttosto che con divieti e obblighi antidemocratici, mi venne risposto che "purtroppo gli italiani non sono svedesi" (sic!).
Ma oggi mi imbatto in
questo post de
L'Antidiplomatico, che mi suggerisce una soluzione: pensiamo di aver ancora bisogno di un vincolo esterno?
cambiamo vincolo esterno! Ce n'è uno molto più giovane della UE, che offre rispetto alla stessa tutta una serie di vantaggi:
- è molto più grande, quindi come massa critica molto maggiore;
- molti dei suoi Paesi sono destinati a dominare l'economia mondiale prossima ventura;
- alcuni di essi sarebbero quelli da cui l'UE diceva di volerci difendere, mentendo o comunque fallendo;
- a differenza della UE, non contempla istituzioni sovranazionali in grado di imporre agli Stati membri di disattendere più o meno completamente il mandato elettorale democraticamente affidato ai rispettivi governi, al punto di consentire, senza particolari problemi, a qualsiasi stato membro di uscire, come ad esempio (per sua disgrazia, ma questa è solo un'opinione) all'Argentina;
- include lo Stato europeo più ricco di materie prime e risorse naturali, che è meglio avere come alleato che come nemico (in una guerra raccontata quotidianamente con selve di bugie, a cominciare dalla data di inizio che è in realtà quella dell'inizio di una reazione a una offensiva occidentale partita anni prima).
Della serie: meglio essere un altro mattone di un muro nuovo solido e in crescita, che una pietra fondativa di un cumulo di macerie. Come dite? si tratta di una posizione diciamo così largamente minoritaria, senza alcuna speranza? Eh, ma - dicevamo - la Storia non procede di moto uniforme e nemmeno regolare, ma a strappi quasi sempre imprevedibili...