martedì 21 febbraio 2023

CHE FUTURO DI MME..

Notoria opera d'arte contemporanea, peraltro carissima...
Il Grande Fratello (o se preferite il Grande Vecchio) non esiste, ma sicuramente esistono dei centri di potere sempre più concentrato a livello mondiale e sempre più elitario che si comportano in modo che può venir comodo usare questa figura come espediente retorico per meglio interpretare quei comportamenti.

Volendolo fare, la conclusione cui si arriva ben presto è solo una: il GF/GV ha in serbo per noi un futuro gramo, molto lontano dalle aspettative fiorite in occidente nei primi decenni seguenti la seconda guerra mondiale, che oggi si scopre fossero solo concessioni temporanee per evitare che i popoli dei Paesi capitalisti decidessero, democraticamente o meno, di passare con l'altro sistema, che nel decennio prima della guerra aveva dimostrato di essere potenzialmente molto meglio o se preferite molto meno peggio.

Questo futuro angosciante non è in discussione, possiamo solo prenderne atto, potendo solo scegliere che ruolo attribuire a chi lo sta progettando e attuando, conscio del fatto che il modello di sviluppo capitalista postula risorse infinite laddove il nostro Pianeta ha invece risorse finite, nel continuum tra "governanti illuminati che cercano in ogni modo, compresi quelli surrettizi perché siamo degli egoisti zucconi, di indurci a dismettere quel modello" e "autocrati totalitari che cercano in ogni modo di restringere l'élite di chi continuerà a beneficiare di quel modello proprio escludendone tutti gli altri, e di restare a farne parte". Di noi vittime di questo piano, illuminato o diabolico che sia, la maggior parte non è in grado di comprendere la teoria dei sistemi e quindi nemmeno la constatazione alla base del ragionamento precedente, e di quelli che invece sono in grado di farlo la maggior parte non è in grado di comprenderne l'impatto sul proprio quotidiano né tantomeno la logica conclusione che andrebbe invece tratta: che allora va dismesso il sistema capitalista e adottata una forma moderna di comunismo, che preveda una suddivisione equa dei sacrifici ed escluda l'esistenza di una classe sovranazionale di privilegiati che ne è esentata.

Per aumentare la quota dei "consapevoli", sia direttamente che tramite il buon vecchio passaparola, fornisco dunque ai lettori un elenco parziale di "segni" che dimostrano l'esistenza del "piano del GF/GV" e del "furto di futuro" che stringi stringi ne è la peggiore estrinsecazione (altrimenti non parleremmo ancora oggi dei "favolosi anni 50 o 60", tempi in cui oggettivamente si aveva un tenore di vita di molto inferiore all'attuale, ma speranze migliaia di volte migliori), e delineano cosa attende chi per età o per tigna intenda vivere nei decenni a venire:

  • A come Automobile - La libertà di movimento (sotto attacco) di ogni privato cittadino, come tutte le libertà, è fatta sia di un enunciato teorico che di una distribuzione della ricchezza che la renda fattualmente applicabile. Fanno poco più di cent'anni da quando Henry Ford adottando la catena di montaggio inventò con la Ford T la motorizzazione di massa a quando una normativa europea demolisce di fatto un intero enorme settore industriale lasciando sul terreno milioni di disoccupati per far si che a comprarsi la macchina (elettrica, ma poi è vero che sia davvero ecologica?) tornino ad essere solo i ricchi. E gli altri, quei milioni di cittadini cui resta indispensabile, faranno come a Cuba... (e magari è persino una buona idea...): si terranno aggiustandole per decenni le macchine a combustione, specie nell'immensa periferia italiana (cioè dovunque tranne che nei centri e semicentri delle grandi città, gli unici posti dove è immaginabile impedire il transito e sopperire coi mezzi pubblici).
  • C come Casa - Nella mitteleuropa ci sono abituati, a non avere le case di proprietà e a sopperire con un mercato degli affitti di conseguenza molto più elastico del nostro. Per cui ce l'hanno giurata, ripetutamente e dichiaratamente: volete stare nell'Europa? dovete fare come noi! Poi pian piano sono passati alle vie di fatto. La penultima mossa è la normativa europea che toglie d'autorità dal mercato tutte le case non certificate "ecologiche", cioè in Italia quasi tutte o per meglio dire tutte tranne quelle che uno che non è ricco di famiglia si può permettere: se hai una casa così o hai i soldi per riqualificarla o te la tieni, e pazienza se è quella in cui vivi (ti basta non cambiare città) o aspetti il prossimo terremoto perché crolli e ti tolga il pensiero. L'ultima è tutta italiana, o meglio di quel governo che alcuni ingenui avevano pensato avesse intenzione di fare la voce grossa in Europa (errore già fatto coi cinquestelle, oggi ero sicuro che Giorgia andasse a Bruxelles solo a prendere ordini, come Gigi): anziché pretendere (come Conte avrebbe dovuto fare per la sanità tre anni fa) che per la riqualificazione abitativa si possa spendere a deficit tutto quello che serve (tanto rientra, perché le entrate fiscali aumentano con la crescita) migliorando le normative che stavano rilanciando il settore, le affossano, inoltre lasciando nelle peste quelli beccati in mezzo al guado. Chapeau! Leggete il combinato disposto delle due mosse, e vedrete quanto sia lampante l'intenzione europea di cui a inizio capoverso: anche qui, ci salviamo (forse) solo se usciamo dalla UE, o se si autodistrugge.
  • C come Clima - Che le previsioni del tempo siano in qualche modo attendibili a 24 ore o poco più, al massimo vagamente indicative a una settimana o due, ed equivalenti all'oroscopo per periodi superiori al mese, se ne può accorgere chiunque, volendo (ma chi crede all'oroscopo, cioè a una costruzione basata su qualcosa che non esiste come le costellazioni, può benissimo credere al tizio che gli dice che la prossima estate sarà calda o piovosa). Si tratta infatti di fenomeni con tante variabili in gioco da non avere un andamento prevedibile per nessun calcolatore esistente, passato (il tizio ve lo diceva anche quando a casa non avevate nemmeno il commodore64 e lui aveva un computer grande come una stanza con meno capacità di calcolo del vostro telefonino di oggi) o futuro. Eppure, c'è tutta una narrazione, di paradigma religioso, pervasiva sin dalle scuole (poveri figli nostri, ancora), che attribuisce con certezza all'impatto umano dei cambiamenti climatici di ordine di grandezza tale da potersi affermare con certezza siano sempre avvenuti anche quando l'impatto umano era una frazione minuscola dell'attuale: si ha contezza storica di oscillazioni climatiche di pochi gradi, in grado di modificare il clima e quindi il territorio in un senso o nell'altro per decenni o secoli, in tutta la storia documentata dell'umanità. Se c'è una sola evidente differenza, oggi, è nella sua consistenza numerica totale, per cui l'unica deduzione coerente di chi pretende la riduzione dell'impronta umana sul clima sarebbe sposare il malthusianesimo e propugnare lo sterminio globale di massa. Che, per chi conosce il paradosso delle ninfee, se anche fosse tarato per lasciare vivi solo un miliardo di umani, non farebbe che al massimo spostare di qualche decennio avanti il problema. L'altra strada, ve la faccio dire (da un articolo pieno di cose giuste, anche sugli altri punti di questo post) da Franco Cardini: "In realtà, la maggior parte dei climatologi è concorde nell’affermare che i mutamenti climatici siano dovuti solo in minima parte all’inquinamento prodotto dall’uomo, mentre per il 95% sarebbero riconducibili direttamente alle fasi dell’attività solare. Basterebbe, dunque, spendere somme infinitamente più modeste per gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza dei territori, senza bisogno di mettere in crisi gli equilibri energetici del mondo intero e, con essi, la qualità di vita degli abitanti dell’intero pianeta." Ma gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dei territori, da effettuare in deficit (autoripagantesi, mi ripeto) e peraltro promessi dai cinquestelle prima di andare al governo, non si possono fare perché non ammessi dai parametri europei..
  • G come Guerra - La lettura del messaggio di Zelensky a Sanremo, riassumibile nel verso "bisogna vincere e vinceremo" dell'inno fascista, non è originale: prima di ogni guerra la propaganda interna agisce in modo pervasivo per convincere la popolazione ad accollarsi tutti i disagi che le deriveranno dall'intraprenderla in nome dei Superiori Valori che albergano in noi e non nel Nemico. Il risultato è che quasi nessuno più coglie le differenze o le analogie dove ci sono. Per cui possiamo festeggiare i 15 anni dall'indipendenza del Kosovo (e il prossimo possibile riconoscimento da parte della Serbia, mai avvenuto fin qui), ottenuta ai tempi grazie ai nostri bombardamenti su Belgrado, senza rilevare che è esattamente quello che ha fatto Putin per il Donbass eccetera: senza il sostegno occidentale sarebbe finito tutto un mese dopo con l'Ucraina che mollava l'osso, esattamente come la Serbia allora, e viceversa se la Serbia allora fosse stata sostenuta dalla Russia come noi oggi sosteniamo l'Ucraina, il Kosovo se lo sarebbe tenuto o almeno avrebbe resistito per anni. La cosa più paradossale, e assieme triste, è che l'unica cosa giusta sull'argomento, sul mainstream, l'abbiamo potuta sentire solo da Berlusconi: la guerra in Ucraina non l'ha iniziata Putin nel 2022, ma l'occidente nel 2014 (e pensata prima).  D'altronde, se a dire quello che si deve dire della globalizzazione deve essere Tremonti...
  • M come Moneta - Uso la carta di credito diffusamente da anni, ma quando sento parlare di abolizione del contante mi squilla l'amigdala, che dicono stia nel cervello ma io me la sento vicino al buco del culo. Se ascoltate le menzogne che vi racconta il mainstream economico io sono un sociopatico, uno che tifa per gli evasori, un passatista. Ma invece è che ho studiato economia prima che il monetarismo la occupasse scacciando tutte le altre teorie, e so cos'è davvero la moneta. Gli umani l'hanno inventata per non doversi portare appresso i beni da scambiare, per cui ce ne deve essere esattamente quanta ne serve per gli scambi da fare: non di più, altrimenti perde valore, ma non di meno, altrimenti gli umani sono costretti a fare meno scambi di quanti volevano, a volte molti meno, cosicché a un certo punto o riescono a inventarsi un'altra moneta (tipo le cessioni del credito per le ristrutturazioni edilizie: chi non ha ancora capito si legga qui Galloni) o soccombono. L'Eurozona ha negli anni dimostrato di essere nient'altro che uno strumento di impoverimento, in mano a soggetti il cui reale obiettivo è progressivamente azzerare tutte le conquiste economiche e sociali che erano state concesse ai suoi cittadini come risarcimento postbellico. A tutti coloro che credono ancora alle favole dei mass media, chiedo solo di immaginare cosa succederebbe, il giorno che tutta la moneta fosse elettronica, se andasse qualcosa di storto in un server, incidente o manovra intenzionale che sia, come qualche giorno fa è successo con la posta di Libero e Virgilio. Gli italiani in maggioranza infatti diffidano da sempre dell'Euro, o per meglio dire del trasferimento della sovranità monetaria italiana a un ente privato straniero non controllabile democraticamente, e per tre o quattro volte hanno votato per chi aveva promesso di combatterlo, da Berlusconi alla Meloni passando per il Movimento 5 Stelle e la Lega, ogni volta venendo traditi dagli eletti. Quelli che lo hanno fatto, almeno, possono guardare negli occhi senza vergogna i propri figli.
  • S come Sanità - Decenni di chiusure di ospedali e presidi sanitari in tutto il territorio, con in mente il passaggio al modello ammericano: si cura solo chi ha i soldi o l'assicurazione. Solo così è potuto accadere che il denominatore fosse adatto, al sopraggiungere di una influenza fuori scala a far crescere il numeratore, a sciorinare percentuali tali da giustificare una gestione criminale dell'emergenza, con l'habeas corpus stritolato tra chiusure di interi settori con fallimenti a catena e somministrazioni più o meno surrettiziamente obbligatorie di trattamenti sperimentali appositamente spacciati per vaccini, peraltro inutili dannosi e costosi. Oggi da un lato finalmente c'è chi chiede conto a chi probabilmente ci ha lucrato e c'è chi chiede di riaprire questo o quell'ospedale, ma dall'altro resta in piedi il progetto di cui sopra, per cui alla prossima "pandemia" possono riprendere il massacro da dove l'avevano lasciato.

L'altro giorno (mentre già avevo iniziato a confezionare questo pezzo) in una chat di classe, tipicamente frequentata da ormai sessantenni che si relazionano tra loro come quando erano adolescenti, e anzi proprio in questo trovante la propria ragione di essere, da un post divertente e nostalgico sui panini ignoranti che ci faceva una bottegaia dei tempi che furono è venuta fuori una discussione istruttiva di taglio filosofico, anche se non certo originale. Ci si divideva, infatti, tra chi ostentava il distacco sufficiente ad evidenziare che fin dall'antichità gli anziani rimpiangevano i bei tempi e stigmatizzavano i "giovani d'oggi", e chi però precisava che ciò, per quanto vero, non toglieva che oggettivamente i nostri panini, come la nostra musica, erano migliori. Ovviamente, non c'è una soluzione sempre valida, a parte la notazione arguta di chi rilevava che i vecchietti stavano svolgendo quella discussione sui loro smartphone e non ai tavoli dell'osteria. Tuttavia, si può affermare che il troppo relativismo può fare in potenza altrettanti danni della sua assenza totale. Per cui si: è vero che i ragazzi di oggi avranno nostalgia delle cose che c'erano quando erano giovani loro, esattamente come oggi noi. Ma è vero anche che questo non deve esimere da almeno tentare dei raffronti oggettivi, almeno per le cose essenziali. Altrimenti a chi toccasse di vivere da anziano l'avvento di una dittatura non spetterebbe il diritto/dovere di ricordare ai giovani quanto era meglio quando si era liberi (e infatti, come testimonia ad esempio Troisi nel suo Le vie del signore sono finite, nel Ventennio la prima accusa a chi non accettava l'avvento del Regime era di passatismo disfattista). E invece si, invece la freccia del tempo non va necessariamente verso il progresso, e a non denunciarlo si diventa complici nella costruzione di un futuro peggiore.

domenica 12 febbraio 2023

MA SIAMO MATT(E)I?

Dopo un po' di tempo, torna a contribuire a questo blog Pasbas, che anche stavolta si contraddistingue per la documentazione old style, si potrebbe dire, dunque nettamente alternativa a quella dominante al tempo del web e decisamente più profonda. L'argomento è solo apparentemente storico; invece, come avrà modo di constatare chiunque si prenda il disturbo di leggere il pezzullo con attenzione, è di estrema attualità, e già dal titolo scelto dall'autore lo si evince.

Leggendolo però mi è venuto in mente un altro titolo, che ho dato al post lasciandoli così entrambi: le cose che aveva in mente Enrico Mattei, e aveva iniziato ad attuare, semplicemente non potevano essere accettate dai padroni del mondo senza reagire. Col passare dei decenni la cosa è diventata chiara a chiunque si sia approcciato allo studio della realtà socioeconomica senza paraocchi ideologici, ai tempi invece la videro bene solo in pochi, tra cui Pier Paolo Pasolini, che ci scrisse un libro (Petrolio - ne abbiamo parlato qui) da cui aveva fatto un film, il furto del cui "master" (le pellicole di tutto il girato, da montare: niente copie, erano altri tempi) fu il cavallo di Troia che lo attirò tra i suoi carnefici (altro che le storielle piccanti raccontate per decenni..).

Pasquale oggi ci racconta (giustamente, e forse non a caso, in "presente storico") la prima metà della storia, per farci capire da dove veniva Enrico Mattei e cosa stava facendo. Attendiamo con fiducia la seconda parte.

...

Mattei, pace e bollette - parte I

di Pasbas

Pubblicazione dell'ENI, corredata da
foto inedite. Non in commercio.
Strano titolo e connessione ancor più singolare, si potrebbe dire, eppure la connessione c'è eccome. Il nostro eroe (povero il popolo che di eroi ha bisogno) nasce ad Acqualagna nel 1906, di famiglia umile che emigra presto a Matelica; irrequieto, curioso e intraprendente, lascia la famiglia per cercare fortuna a Milano. Venditore di macchine industriali e poi imprenditore del settore chimico, si confronta presto con la penuria di combustibili derivati dal petrolio e di energia elettrica, indispensabili per l'industria (come non ricordare i militari nel deserto a guardia di barili semivuoti!...). La gran parte delle famiglie delle zone rurali del sud non conosce l'elettricità, il paese allo sbando e l'accesso alle fonti energetiche praticamente impossibile cominciano a divenire un tarlo che gli lavora dentro.

Inizia la sciagurata esperienza militare del fascismo, le poche riserve energetiche si assottigliano sempre più, il disastro in Ucraina e Bielorussia dei nostri poveri soldati, le sanguinose (di cui poco si parla) campagne di Grecia, Albania, Jugoslavia e poi il tracollo e la resa, i nazisti occupano un paese con le forze armate e il popolo allo sbando, e Mattei? Mattei sceglie di ridurre la produzione per non favorire nazi e RSI, mantiene tutto il personale (evitando che le maestranze siano coscritte dalla RSI) simulando una produzione inesistente, e poi decide di entrare nella Resistenza.

Diviene capo e organizzatore di circa 30 mila partigiani cattolici (sfilerà il 25 Aprile a Milano in prima fila con i dirigenti del CNL). Poco prima si crea, quasi per caso, la più grande opportunità per la sua vita (che poi sarà la causa della sua prematura morte): la Commissione Economica del CNL Alta Italia lo nomina Commissario per l'Agip, azienda ormai stracotta. Lui e Zanmatti (ex Commissario) ci danno dentro da matti: si riparte con le trivellazioni in pianura Padana alla ricerca del gas, nonostante l'opposizione governativa che ritiene il tutto uno spreco di denaro per il nord ancora non liberato. Il dopo Liberazione non vede grossi cambiamenti: il governo sempre più deciso a chiudere i rubinetti, Mattei sempre più caparbiamente convinto delle sue idee; ma alla fine la spunta lui. Inizia così un periodo di 18 anni di incredibile e frenetica attività dal nord all'estremo sud e soprattutto un attivismo internazionale verso i paesi produttori di petrolio che sembra scompaginare i piani di dominio delle multinazionali USA e Britanniche…

Il suo “sconsiderato” attivismo e la passione per la sua patria lo portano sempre più spesso fuori d’Italia, tutto questo per stringere alleanze con i paesi produttori di gas e petrolio, scavalcando così il monopolio delle Sette Sorelle. Tutto inizia nel 1956, quando Mattei incontra Nasser per stringere un accordo di sfruttamento coordinato dei giacimenti di El Belaym, sul Sinai. Poco dopo viene siglato uno storico accordo tra Agip Mineraria e il governo iraniano, secondo il quale Agip e NIOC (società petrolifera iraniana) costituiscono una società paritetica con un rivoluzionario, per l’epoca, contratto di sfruttamento: nelle aree individuate dall’accordo i proventi delle estrazioni vengono ripartiti con un 50% allo stato iraniano ed il restante 50% diviso tra le due componenti la nuova società. In parole povere il 75% dei proventi spetta all’Iran ed il restante 25% all'Agip. Viene così completamente rovesciato lo schema dominante, 25% al paese produttore il restante 75% alle multinazionali petrolifere.

Il petrolio è una risorsa politica [...] si tratta ora di porla al servizio di una buona politica [...] priva di reminiscenze imperialistiche e colonialistiche [...] volta al mantenimento della pace [...]”: questa visione “terzomondista” lo porta nel continente americano a trattare sulla stessa base con Messico, Brasile e Argentina, facendo così nascere speranze nuove all’interno dei paesi in via di sviluppo possessori dell’oro nero. Il governo venezuelano vede nell’accordo con l’Iran l’apertura di una nuova fase nei rapporti internazionali. Il ministro dell’economia dell'Iraq ritiene che l’accordo italo-iraniano apra una fase nuova nelle concessioni petrolifere in Medio Oriente: il governo iracheno ha il pieno diritto di rivedere i contratti di sfruttamento dei giacimenti in una chiave di maggiore convenienza. Il ministro ritiene inoltre che le nuove concessioni potranno in futuro seguire la falsariga dell’accordo tra Italia e Iran (lo dice al Times nel 1957). Il giornale di Beirut Commerce du Levante ritiene questa una vera “rivoluzione”, e prevede che anche Germania e Giappone presto entreranno nel gioco dei nuovi parametri di sfruttamento dei giacimenti. Nasser e Mattei si accordano su una suddivisione degli utili tra Egitto e Italia del 74% e 26% rispettivi. Rispetto alla politica imperialista del 25/75 questa nuova modalità sta per rivoluzionare i rapporti internazionali relativi all’energia e non solo.

La linea politica di Mattei poggia su tre pilastri fondamentali:

  1. acquisizione di licenze dai paesi avanzati, per attività estrattive e produttive;
  2. collaborazione su basi paritetiche con i paesi produttori;
  3. rapporti commerciali aperti verso i paesi del blocco socialista e quelli dell’estremo oriente, Cina in primis.

La sua impostazione da “venditore imbattibile” lo porta a girare il mondo in lungo e in largo sempre lasciando un’impressione di pacatezza, decisione e forza fuori dal comune. Non mancava mai, nei suoi incontri con governanti e industriali, di proporre i servizi e i prodotti delle aziende del gruppo: AGIP, PIGNONE, ANIC, SNAMPROGETTI, SAIPEM.

Ecco cosa dicono di lui importanti personaggi del panorama politico internazionale, alcuni degli uomini più potenti e influenti dell’epoca:

  • Luis Herrera Campins (presidente del Venezuela): “Credo che tutti i paesi produttori di petrolio ricordino con stima e ammirazione l’opera e l’azione portata avanti da Enrico Mattei”.
  • Rafael Caldera (presidente del Venezuela): “La figura di Mattei [...] un po’ fantastica per il suo coraggio, la sua azione nel campo del petrolio così pesantemente condizionato dai grandi poteri internazionali”.
  • Aziz Sidki (ex ministro dell’Industria dell’Egitto): “In una occasione, quando avevamo bisogno di aiuti a causa delle sanzioni economiche imposte all’Egitto dai paesi occidentali, il signor Mattei ci fornì il necessario fabbisogno di petrolio. [...] Mi disse che pensava che c’era qualcuno che voleva ucciderlo. Scherzando aggiunse 'forse mi faranno esplodere l’aeroplano'”.
  • Abdelaziz Lazram (ministro dell’Economia della Tunisia): “La Tunisia aveva incontrato enormi difficoltà con le compagnie petrolifere allora presenti (anni ‘60). [...] La formula di cooperazione proposta da Mattei è diventata in seguito la formula praticata nel mondo intero”.
  • Otto Schedl (ministro dell'Economia della Baviera): “...si preoccupava [...] di [...] un posto di lavoro umano, della creazione di servizi sociali, della costruzione di abitazioni per i dipendenti [...] di luoghi di vacanza al mare ed in montagna per le loro famiglie”. Schedl trattò con Mattei la costruzione dell’oleodotto e della raffineria in Baviera. Aggiunge inoltre: “La modestia, l’altruismo e la semplicità erano le più pronunciate qualità umane di Mattei”. 

mercoledì 8 febbraio 2023

NON CI RESTA CHE MASSIMO

In questi giorni sarebbe caduto il settantesimo compleanno di Massimo Troisi, e molti hanno colto l'occasione per celebrare lo straordinario attore e regista in vario modo - ad esempio Repubblica regalando un libro biografico con l'edizione napoletana.

So di non essere originale nel rimpiangere la prematura scomparsa di Troisi, avendo sempre pensato che invecchiando sarebbe diventato più un nuovo Eduardo che un nuovo Totò (ma solo per intenderci, invece era già e sarebbe sempre più diventato un nuovo irraggiungibile parametro), e nell'aver pianto a dirotto dentro al cinema quando il suo Mario moriva nel sottofinale de Il postino, sapendo che Massimo era morto poche ore dopo la fine delle riprese, che aveva voluto ultimare prima di sottoporsi a un delicato intervento che gli avrebbe dato, forse, una possibilità di allungarsi la vita.

Gli è che il ragazzo sapeva da tempo che la sua malattia probabilmente non gli avrebbe concesso di invecchiare, e non so se era sua intenzione ma di fatto ci ha dato l'esempio di come ci si dovrebbe rapportare con questa "sorella" che ci accompagna tutti fin dalla nascita: essendo se stessi fino in fondo e a qualunque costo. Così, se putacaso ci coglie "prima del tempo", restiamo "congelati" nei ricordi di chi ci ha conosciuto e magari amato, cioè "vivi" nell'unico aldilà di cui ci è dato di avere contezza, per quello che siamo e che vorremmo essere per sempre. Anche perché magari invece, se invecchiamo, diventiamo ben altro. Come ad esempio è capitato, senza dover andare tanto lontano, al partner di Troisi nel film cult che hanno girato assieme: Roberto Benigni.

L'ex "toscanaccio" ha invero iniziato a perdere colpi già col celebratissimo La vita è bella, per carità film bellissimo (anche grazie alla "mano" di Vincenzo Cerami) che però denuncia già avvisaglie di stucchevole buonismo, tradimento della Storia finale a parte (la liberazione del lager da parte degli americani, anziché dei russi come è stato in realtà). Ma da qualche tempo è diventato francamente insopportabile, e lo show sanremese non è stata un'eccezione, anzi. Al cospetto nientemeno che del Presidente della Repubblica, tra un innocuo sfottò e l'altro, ci ha propinato infatti la consueta prolusione su quanto è bella la nostra Costituzione. Che bella è e resta, per carità, ma proprio per questo ferisce sentirla fintamente glorificata glissando elegantemente su quanto e come e da chi invece sia stata tradita. Primi articoli a parte, bellamente ignorati da tutti i governi succedutisi nei decenni (come peraltro forse nella piena consapevolezza - se non persino nelle intenzioni - dei Padri costituenti, di estrazione politica così contrapposta che potevano trovare un accordo solo su formulazioni magnifiche ma così astratte da trovare difficilmente applicazione pratica), è quando la disanima è arrivata all'articolo 11 che ho cominciato a vacillare. Con una faccia tosta mica male, infatti, il Roberto nazionale si è messo a decantare la bellezza "musicale" del passaggio "l'Italia ripudia la guerra" senza minimamente accennare, come avrebbe senz'altro fatto il se stesso di una volta, alla ripetuta incoerenza di tutti quei politici che, dalla prima guerra del Golfo in poi, passando per il fondo dei bombardamenti su Belgrado e arrivando ai carri armati forniti agli ucraini per meglio svolgere il loro ruolo di spina nel fianco del nemico dell'Occidente cui sono stati destinati nel 2013.

Il voltastomaco era tale che quando ha iniziato a parlare dell'articolo 21 non ho retto e ho spento la TV, tanto non è che avessi intenzione (quando mai) di seguire tutto Sanremo: orari a parte, ci do al massimo una sbirciatina ogni tanto per curiosità (ma ho fatto a tempo a vedere, anche perché cantava per prima, una Anna Oxa strepitosa - sembrava Diamanda Galas, se non la conoscete peggio per voi - che infatti nella prima classifica provvisoria è ultima). Non ce l'avrei fatta, infatti, a sentirlo glissare pure sui ripetuti calpestamenti della libertà di espressione che abbiamo visto negli ultimi tre anni, come sicuramente avrebbe (ed infatti ha) fatto. Va bene che i giovani incendiari da vecchi si fanno pompieri, ma lui più che un getto d'acqua sembra, per restare su un tema a lui caro, il diluvio universale.

P.S. Venerdì 17 febbraio in prima serata su RAI 3, oppure poi quando uno vuole su RAI Play, non perdiamoci il documentario "Buon compleanno Massimo". A prescindere. 

mercoledì 1 febbraio 2023

RADIOCIXD 66 - CI VUOLE ORECCHIO

Duemila anni di cristianesimo avranno anche portato qualcosa di buono, ma di cattivo hanno portato sicuro la pessima reputazione data alla risata, al ridere, alla leggerezza e all'ironia: se volete capire davvero questa affermazione, leggetevi Il nome della rosa, il capolavoro che Umberto Eco ha scritto a partire dallo spunto che, della Poetica di Aristotele, è proprio il libro sulla commedia e il riso a non essere arrivato fino a noi.

E no, non sto dicendo che non esistano credenti o proprio religiosi che non sappiano ridere e/o far ridere o non amino farlo. Sto invece affermando che il valore culturale alto che in vari campi ha avuto e ha il "comico" lo capiamo, tutti noi, dopo un ragionamento, come si dovesse fare un'eccezione, rispetto alla valutazione "bassa" che invece gli diamo di default, automaticamente. Toccò persino a un gigante come Totò, figurarsi al cantautore di cui parliamo oggi: Enzo Jannacci.

Personaggio dalle molte vite, il cardiochirurgo milanese di origini terronissime pagava, infatti, quel suo presentarsi sempre col sorriso, con l'aria scanzonata e distratta, la pronuncia biascicata, col non essere mai preso sul serio. Che poi probabilmente era invece proprio quello il suo intento. Con questo stile saltava dal mainstream televisivo alla sala operatoria (con Barnard, mica cotica) passando per il suo capolavoro cantautorale Quelli che, di cui abbiamo già parlato. Ma ad inizi anni 80, ad aprire una stagione da uno che "canta dentro nei dischi perché ci ha i figli da mantenere" e poi ci fa anche i concerti quelli grossi, se ne esce con questo album spartiacque, di cui io ovviamente ho il vinile, che tutti (e non sono il solo a pensarla così) dovrebbero ascoltare una volta nella vita. E forse almeno in parte lo hanno pure fatto.

La title track è infatti così famosa da aver fatto assurgere il suo titolo e tormentone a un modo di dire. Uno di quelli che entrano nel linguaggio comune e tutti usano, molti nemmeno sapendo da dove viene. Ad esempio, io nel vantarmi di averci preso, pronosticando alla vigilia degli Australian Open che Djokovic avrebbe vinto il torneo tornando numero 1 del mondo, perché di tennis modestamente un pochino me ne intendo, potrei dire "ci vuole orecchio" e tutti capirebbero. Ma meritano attenzione anche gli altri brani, e specie quelli meno noti. Ragion per cui, eccovi la consueta tracklist commentata, e buon ascolto.

1. Musical
Non so dirvi quando come e perché, ma ricordo di aver sentito dire che Jannacci questa l'ha dedicata all'amico Paolo Conte, che al tempo frequentava tantissimo sia artisticamente che non. Comunque, la voce narrante parla ad un amico, dei loro guai lavorativi e dei loro sogni di gloria. Col culmine nell'onomatopea di uno sputo: "cip ciap".
2. Ci vuole orecchio
Per capire meglio la metafora dietro al testo (scritto con Gino e Michele, allora sconosciuti e poi, come tanti altri, "miracolati dal chirurgo") occorre contestualizzare: all'epoca i cantanti ospiti in TV cantavano in playback, quasi sempre, una cosa che a uno che faceva della stonatura e della storpiatura la sua chiave poetica non poteva andare giù. Nella versione in audiocassetta c'era anche una versione, prescindibile, con testo e titolo ("Il pacco") diversi.
3. Fotoricordo... il mare
Strano caso di citazione, nel titolo di questo brano, dell'album precedente. Chissà, forse perché parla di un escluso, come molti brani dell'altro disco, tra cui svetta per bellezza la struggente, e non sua ma fatta sua, Mario.
4. La sporca vita
Il legame con l'album precedente continua anche con questo brano, che qui è la riuscitissima cover di una vecchia canzone di Paolo Conte come lì Sudamerica e Bartali, ben più note. Ma la cosa era iniziata anni e anni prima, quando Conte ancora non cantava, con Messico e nuvole. Passaggio cult: "se non avessi questa vita morireiiiii..."
5. Silvano
Divertentissimo testo scritto con Cochi e Renato, che l'hanno interpretata per primi (c'è persino un video d'annata, in cui usano il verbo "chicobarquedehollandami"...), su un amore diverso finito male. Della serie: come risolvere decenni prima e senza retorica questioni oggi ancora troppo spinose da affrontare per molti.
6. Quello che canta onliù
Ancora un emarginato, un abbandonato, uno schifato, cantato con ironia e amarezza insieme. Forse mi sbaglio, ma a me è sempre sembrata l'introduzione al capolavoro che segue.
7. Si vede
Non si può, semplicemente non si può, cantare la disperazione di chi realizza di non essere più amato dalla persona che ama, meglio che nel crescendo drammatico (e cinematografico, in soggettiva) di queste cinque strofe e mezza. Con la verità che viene fuori solo alla fine della quinta ed esplode nel finale. Se l'avesse incisa Vasco (non mi stancherò mai di ripetere che Vasco prima di ritirarsi dovrebbe fare un album di cover di Jannacci...) non sarebbe meno nota di Sally, perché fidatevi siamo su quei livelli e anche oltre.
8. Il dritto
Di questo amarissimo brano finale, in cui il protagonista muore proprio mentre il volume (fin li bassissimo, e in un modo che la prima volta andavi a vedere se ti si era rotto lo stereo) schizza in alto, esiste anche una versione cantata da Milva (che ha fatto un album di canzoni di Jannacci, come pure Mina, per dire). 

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