domenica 28 febbraio 2010

LA STORIA DELL'UMANITA' E' UNA STORIA DI MIGRAZIONI

Cito a memoria: non mi va di googleare e una maggiore precisione non cambierebbe il senso del discorso. L'uomo colonizzò il mondo partendo dall'africa, passando per il medio oriente, il caucaso, poi l'europa, e dall'altra parte l'asia, e attraverso lo stretto di bering, allora ghiacciato, l'america. Il processo durò migliaia di anni, l'adattamento all'ambiente lasciò le sottili differenze esteriori, a fronte della pressochè identità di patrimonio genetico, che hanno dato e danno adito ai pavidi di ogni tempo di parlare di razze umane al plurale anzichè al singolare come biologia impone. E questo solo nella cosiddetta preistoria.
Ma è tutta la storia stessa che può essere letta attraverso la storia delle migrazioni, degli scontri, delle guerre, delle integrazioni, dei miscugli infine di lingue culture e tutto il resto, ad esse consequenti. Le lingue stesse, tutte quelle che ci possono venire in mente, vive o morte, sono la prova provata di questa affermazione. E tutti i progetti politici di espansione e conquista, sono stati effimeri e velleitari quando erano fondati su un'idea di predominio culturale, mentre invece hanno dato luce ad imperi più o meno duraturi quando erano fondati sulla multiculturalità e l'integrazione. I romani hanno raggiunto tutto il mondo conosciuto e lo hanno dominato per secoli, grazie al fatto che non solo consentivano ai popoli conquistati militarmente di mantenere cultura e religione, ma spesso se ne lasciavano permeare o influenzare, a cominciare dalla grecia classica stessa. E il loro avanzatissimo diritto, in primis il concetto di cittadinanza, fece si che da un certo punto in poi addirittura gli imperatori fossero non nati a Roma o nelle vicinanze: lo stesso Adriano era iberico.
Persino gli Stati Uniti d'America, nati da una tragica guerra di conquista che ha significato il genocidio degli autoctoni, e arricchitisi sulla pelle di milioni di schiavi africani, sono diventati la superpotenza dell'ultimo secolo grazie a molte susseguenti ondate di migranti, favorite e governate pur tra mille contraddizioni (per usare un eufemismo che racchiude il ku-klux-klan e la frontiera col Messico) piuttosto che avversate. Insomma, a dispetto di tutte le lezioni della Storia, l'Italia ha scelto di confrontarsi con le migrazioni innescate dalla cosiddetta globalizzazione nel modo peggiore possibile: ha bisogno di milioni di lavoratori ma non lo ammette ufficialmente, lasciando che sia la malavita a reclutarli mentre si finge di respingerli con leggi illiberali e si alimenta la paura e il razzismo nella popolazione.
Lunedì 1° marzo ci sarà il primo sciopero nazionale degli immigrati. Se davvero avranno la forza di aderire tutti, il Paese sarà in ginocchio e forse capiranno anche gli zucconi più ottusi. In ogni caso è dovere di ciascuno di noi dare risonanza alla cosa, che sicuramente nei media del blocco berlusconiano verrà silenziata o stravolta nel significato. La manifestazione ha anche un suo sito: consultatelo e passate parola. Siamo tutti figli di migranti, siamo tutti bastardi.

giovedì 25 febbraio 2010

SABATO 27 COL POPOLO VIOLA

Il popolo viola torna in piazza, stavolta contro il "legittimo impedimento", e sul suo sito bussa a denari per l'organizzazione dell'evento: avevano pochi amici potenti, ora, che anche Di Pietro appoggia pluriinquisiti - e Salvatore Borsellino sgancia dall'IdV le sue Agende rosse, gliene resta quasi nessuno. Ma il vero problema non sono i finanziamenti, è trovare uno sbocco costruttivo sufficientemente univoco per una marea umana tanto sacrosantemente animata da uno scopo nobile, mandare a casa Napoleone con tutto il suo letto modificato, quanto variopinta a dispetto dell'etichetta monocolore, non a caso di un colore finora mai associato ad alcuna formazione politica.
Nel frattempo l'aspirante imperatore ha incassato l'ennesima prescrizione, o forse no, forse aver preso tempo stavolta lo danneggia, non si capisce bene, non siamo giuristi; una cosa però si evince dalla sentenza della Cassazione: la corruzione c'è stata, Mills è il corrotto, indovinate chi è il corruttore? Su, italiano, dagli altro tempo per "governare", dai che magari qualche briciola prima del default arriva pure a te...
Intanto la condanna è arrivata per dei dirigenti di Google, per non aver censurato un video in cui un disabile veniva diciamo così vessato dai compagni di scuola. Sarà un segno dei tempi: anzichè colpire la malattia, si punisce il termometro, o peggio la possibile cura. Si perchè, come spiega come al solito meglio di me Carlo Bertani, semmai Google ha il merito di aver sottratto il ragazzo alla persecuzione, anzichenò. Con la stessa logica di questa sentenza, hanno ragione quei parenti che sempre suggeriscono alla ragazza violentata di non sporgere denuncia. E ha ragione Berlusconi ad attaccare, proprio nei giorni in cui saltano fuori gli altarini delle compagnie telefoniche, dopo quelli immondi di Bertolaso e i suoi sodali, lo strumento che li ha fatti scoprire: le intercettazioni telefoniche, oggetto della prossima "riforma" che assesterà il colpo definitivo alla giustizia e allo Stato di diritto in Italia.
E allora magari non servirà a niente, ma sabato bisogna essere in piazza col popolo viola e/o sostenerli economicamente: saranno degli illusi, saranno troppo eterogenei per poter aspirare ad incarnare un progetto con una qualche possibilità di affermarsi, ma almeno loro potranno un giorno raccontare ai nipotini e/o dirsi allo specchio di non essere stati complici di questa banda di criminali.

martedì 23 febbraio 2010

UTOPIA AL CUBO

Giovedì 25 al Qube di via di Portonaccio, a Roma, sono sul palco i Pura Utopia, una band difficile da echitettare ma molto divertente da ascoltare. Per avere un'idea di chi siano, visitate il loro sito web o il loro myspace. Noi ora facciamo due chiacchiere con il front-man, lead-vocal, text-writer, insomma col capoccia Sandro Curatolo. Che musica fate, Sandro?
Beh... questa è la vera domanda da un milione di dollari... Dare una definizione della nostra musica non è cosa facile, soprattutto per noi che la facciamo. Non abbiamo mai pensato di conformarci in uno stile, anche se magari ascoltando i nostri brani si possono rintracciare molte assonanze con diversi generi e autori che ci hanno segnato nella nostra formazione. Rispetto alla musica, mi piace immaginarla come un linguaggio, in cui ogni genere e sfumatura è adatta ad esprimere certe sensazioni o atmosfere. Per questo, magari si può passare dal jazz un po' retrò, fino a rasentare le sonorità ska o ad entrare nel campo del pop o delle sonorità balcaniche. Non amo molto il termine "contaminazioni", ma credo che succeda qualcosa di simile. In realtà tentiamo di suonare quello che ci piace, tentando di non farci influenzare da una immagine prestabilita.
Da poco è uscito il vostro secondo album in studio. Io il primo l'ho avuto in regalo da un'amica comune, altrimenti forse non vi avrei mai nemmeno conosciuti. Quanto ne avete venduti? Si fanno ancora i soldi con i cd?
Credo che sia da diversi anni che questo non succede. In Italia è risaputo che a guadagnare qualcosa vendendo i dischi sono rimasti davvero in pochi. E per rispondere alla tua domanda, noi non siamo proprio tra quelli.
E invece i concerti? Spiego meglio la domanda: le vendite di musica on-line (escluso quindi la pirateria) hanno superato quelle dei cd, tanto che si sta registrando una tendenza di ritorno al vinile, che non è riproducibile facilmente e inoltre costituisce un oggetto con un valore in se, un po' come il libro. Inoltre, ho letto statistiche che situano il top delle vendite dei cd musicali ai tempi in cui era possibile noleggiarli, altro segno che forse sono proprio le strategie dei discografici ad essere sempre fuori tempo. Infine, molti artisti dell'ultima generazione hanno rinunciato a questa battaglia di retroguarda e hanno deciso che i soldi si fanno col sudore della fronte, cioè non coi diritti d'autore ma facendo concerti su concerti. Dunque, quanti concerti fate, come vanno, e come la pensi su questo tema?
In questo momento siamo appena usciti dallo studio di registrazione e stiamo iniziando a pianificare la promozione del disco. Si spera che nel prossimo periodo ci aspettino un po' di live. In realtà la maggior parte delle vendite di dischi, nelle formazioni emergenti, si fanno proprio durante i live, e non come una volta nei negozi. Per cui anche se "co.co.co." avrà una distribuzione nazionale (a cura di CNI) credo che il "live" sia indispensabile per la promozione. Rispetto alla situazione del mercato discografico, credo che non sia differente da quella del mercato in generale e più generalmente della situazione che ci tocca vivere in questo periodo... in poche parole è un disastro. Non credo che la causa sia la pirateria. Io sono favorevole al fatto che le persone possano usufruire dell'arte in maniera completa. Spero che questa crisi che viviamo nel momento attuale porti al fatto che al posto di avere pochi artisti strapagati (come è avvenuto fino a poco fa), la situazione ci porti ad avere molti artisti che riescono a far conoscere la loro arte e magari anche a viverci. 
I vostri testi sono satirici, più o meno amari, comunque molto agganciati alla vita reale. Ma lo sai che così non andrete mai a Sanremo?
Non è mai detta l'ultima parola. Potremmo sempre decidere di vendere l'anima al diavolo e fare una bellissima canzone d'amore oppure un inno nazionalista accompagnandoci magari al nipote di qualche gerarca del ventennio fascista.
Ho sempre sognato questo momento, in cui posso identificarmi nel responsabile della cultura di Rai1: fatti una domanda e datti una risposta.
Vabbè... ti concedo la soddisfazione. Cosa vorresti produrre con le vostre canzoni? Mi piacerebbe dare un contributo al fatto che le persone possano soffermarsi un attimo a ragionare su quello che gli sta succedendo e magari stimolare un po' una riflessione. L'ispirazione di moltissimi testi e dei temi dei nostri brani l'ho trovata in anni di impegno sociale al fianco degli amici del Movimento Umanista. Se la nostra musica fosse anche un microscopico aiuto alla causa della liberazione dell'essere umano dalla condizione di miseria in cui si trova in questo momento, sarei felicissimo.
...ecco perchè è inutile chiederti il perchè del nome del gruppo.
Dunque ricapitoliamo: il 25 febbraio, nell'ambito della serie dei giovedì di Radiorock al Qube di via di Portonaccio in Roma, alle ore 22, suoneranno i Pura Utopia. L'ingresso è gratuito per cui per una volta potete anche decidere di comprarlo, un cd: nel caso, la vendita diretta consente di saltare i costi di distribuzione e quindi il disco verrebbe solo 10 euro. Venite, e soprattutto passate parola: la musica si rinnova dal basso, e non con le finte fabbriche di talenti della televisione, che portano i loro figliocci prediletti direttamente a vincere Sanremo. Che, fra l'altro, è stato per l'ennesima volta lo specchio fedele del Paese: un posto il cui premier una volta ebbe a dire che considerava l'elettore medio come un bambino di 10 anni e lo trattava di conseguenza, quindi gli è bastato utilizzare lo strapotere mediatico per far regredire davvero la gente a uno stadio preadolescenziale per assicurarsi il consenso - un posto in cui emergono i raccomandati con talento di plastica, mentre quelli bravi davvero faticano ad emergere.

giovedì 18 febbraio 2010

CARO NEMICO TI SCRIVO

Pochi giorni fa, dopo il Giorno della Memoria a commemorare le vittime dell'Olocausto, si è celebrato il molto meno sentito, per quanto battuto dal mainstream berlusconiano, Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe. Si tratta solo di uno dei tributi che dobbiamo pagare allo sdoganamento della destra ex-fascista di questi ultimi quindici anni, nel quadro di un tentativo spesso maldestro di riscrittura della Storia. Non è il peggiore: molto peggio sono gli appelli ad una parificazione impossibile tra partigiani e repubblichini, fatti anche dallo scranno più alto dello Stato sotto l'etichetta "i morti sono tutti uguali" - e meno male che i pochi rimasti sono troppo vecchi per costituire un problema di bilancio le pensioni di guerra....
Attenzione, non sto negando le tragedie individuali e familiari degli italiani vittime delle foibe, ma soltanto la rilettura strumentale e manichea che si tenta di dare di quel contesto storico. A cominciare dalle proporzioni, gonfiate ad ogni passaggio, sulle quali nemmeno ci passo perchè a mio parere non cambia molto il peso della tragedia se siano stati diecimila o mille, e parimenti sono ridicoli quelli che credono di ridimensionare l'olocausto ebraico ricontando i morti ad esso collegabili con criteri restrittivi fino a farlo scendere sotto il milione, come se aver ucciso 900mila innocenti fosse meno grave di averne uccisi 6 milioni. No: giocare con i numeri è mistificatorio sia se il gioco è al rialzo che se è al ribasso, e non mi ci presto: resto al significato storico. Che incontrovertibilmente assegna le due tragedie, gestite invece appositamente in parallelo dalla propaganda di regime, a due categorie diverse: l'una ai genocidi, l'altra ai purtroppo ordinari accadimenti di guerra.
Della stessa famiglia dell'Olocausto è, ad esempio, lo sterminio dei pellerossa da parte degli statunitensi, persino molto più pesante per entità numerica. Oppure quello degli aborigeni in Australia, seppur meno cruento e molto meno rappresentato. A proposito: è solo dagli anni 70 che si sono cominciati a vedere dei film in cui si intravede la verità storica, fino ad allora un secolo di propaganda ci ha fatto entrare nella mente la figura del cowboy buono e dell'indiano cattivo, tanto da rappresentare degli stereotipi per le nostre maschere di carnevale: ecco un ottimo esempio di come volendo si riesce a rigirare le cose - immaginate cosa avremmo studiato sui libri e visto nei film se Hitler avesse vinto la guerra, adesso.
Della stessa famiglia delle Foibe invece sono infiniti episodi intorno alle guerre, specie alle guerre moderne ma non esclusivamente. Ma volendo restringere il campo all'area in questione, è difficile, a voler essere davvero obiettivi, stabilire se ci sono stati più italiani morti, gettati nelle foibe (da vivi o da morti) o meno, per mano slava o viceversa. Possiamo rifare i conti, se vogliamo, ma il fatto stesso che sia opinabile restituisce la faccenda al suo alveo: fatti di guerra, odiosi come tutti quelli che avvengono attorno a una guerra. Non ci sono responsabili, allora? Se proprio ci servono, l'unico criterio per identificarli è riuscire a stabilire CHI, ha iniziato la guerra. Non sempre ci si riesce, ma guardacaso nei due episodi che stiamo analizzando si: è stato Hitler, per quanto lui facesse risalire le sue mire al disastroso trattato di pace che mise la Germania in ginocchio al termine della prima guerra mondiale, ad iniziare la seconda; ed è stato Mussolini, per quanto inserito nel processo storico dell'unità d'Italia ai danni da quelle parti dell'impero austro-ungarico, ad appropriarsi di pezzi di Croazia e Slovenia nel quadro dell'invasione tedesca della Jugoslavia (Stato arlecchino a sua volta frutto del "genio" diplomatico occidentale dopo la disfatta e dissoluzione dell'impero ottomano).
Una volta che accettiamo il fatto storico che quella guerra fu promossa da noi, possiamo piangere tutte le vittime e stigmatizzare tutte le crudeltà inutili, comprese quelle di cui eventualmente e probabilmente si sono macchiati i partigiani jugoslavi quando si sono ripresi i territori. Ma comprese anche quelle commesse da noi prima, con la complicità della Chiesa cattolica, nelle stesse zone e nello Stato-fantoccio che instaurammo, noi e i tedeschi, in Croazia.
A proposito di partigiani, torniamo in Italia. Perchè un'altra tesi di moda è quella secondo cui anche tra da parte loro furono commesse crudeltà più o meno inutili. La risposta è la stessa: certo, è probabile. Quando si è in guerra succede, tenuto conto che la percentuale di "teste calde" (o per meglio dire persone che perdono il senso della misura e non si "contengono" quando è in corso quel crogiuolo di tragedie personali e sociali che ogni guerra è) è più o meno sempre la stessa presso chiunque in qualunque tempo. Quindi, di nuovo, di tutte le orribili dinamiche che si innescano dentro una guerra il responsabile - se c'è - è chi l'ha voluta cercata avviata: nella fattispecie, il nazifascismo. Sono andato quindi a vedere L'uomo che verrà di Giorgio Diritti con un minimo di pregiudizio negativo, temendo insomma di trovarmi di fronte a una paraculata cerchiobottista stile Renzo Martinelli. Niente di tutto questo, non solo: il film evita sia l'agiografia partigiana che il revisionismo pansiano, semplicemente ponendosi in un punto di vista al tempo stesso più basso e più alto, lo sguardo in semisoggettiva dei protagonisti e in particolare di una bambina muta. Sceneggiato bene e interpretato meglio (eccetto che dalla stucchevole Alba Rohrwacher, ormai onnipresente nel cinema d'autore, secondo me inspiegabilmente ma mi sbaglierò io), è un meccanismo perfetto che riesce nel suo scopo: portarti con se nelle campagne emiliane del 44, e colpirti all'addome prima con una gragniuola di pugni poi con una raffica di mitra. Andatelo a vedere, se nella vostra città arriva e se fate a tempo, che i film belli in Italia trovano sempre peggiore distribuzione.
Il titolo del film a me sembra parafrasato da una splendida vecchia canzone di Lucio Dalla, non so forse è il dialetto bolognese in cui è girato ad avermi dato questa suggestione, e allora io faccio lo stesso con questo pezzo, perchè ogni guerra è finita non quando il vincitore scrive la storia a suo piacimento o lo sconfitto riemerge e la riscrive a sua volta, ma quando puoi parlare col tuo ex nemico con le stesse parole della stessa storia. I tedeschi, forse in quanto più avvezzi per formazione culturale/religiosa ad assumersele, non hanno mai tentato di sottrarsi alle proprie responsabilità, e infatti possono guardare negli occhi gli ebrei e tutti gli altri popoli vittime della loro deriva hitleriana. Noi, stiamo ancora al punto che i comunisti cattivi ci hanno buttato nelle foibe, che come colonialisti noi eravamo buoni, che la resistenza popolare ai piemontesi era brigantaggio, eccetera. Chissà se cresceremo mai.

lunedì 15 febbraio 2010

IL BELLO DEL MATTONE

Ci sono due buone notizie nella cronaca di oggi.
La prima, in attesa di conferma, è però chiarissima tenuto conto di chi la dà: Gianni Letta, il più "cinese" dei politici italiani. Quando c'è da far dire una cosa che nessuno deve capire, mandano avanti lui. Così, se Letta dice queste cose della Protezione civile, c'è davvero da sperare che lo scandalo Bertolaso sia scoppiato al momento giusto per impedire che la deriva di questa istituzione cruciale per un Paese come il nostro in cui non riusciamo proprio ad attrezzarci preventivamente per le cose, pure il mondiale di calcio ci viene meglio se lo affrontiamo in condizioni di emergenza, ci porti nel buco nero di una "privatizzazione" che in Italia si traduce da sempre in "monopolio privato e fine dei controlli pubblici sugli appalti".
Insomma se anche le leggi esistenti e quelle in fieri riuscissero a bloccare per l'ennesima volta la macchina della giustizia e regalare a Bertolaso e ai suoi sodali la stessa impunità di cui ormai il Capo sembre debba godere per diritto divino, e il solo risultato delle inchieste fosse lo stop a Protezione Civile SpA, sarebbe già benvenuto. Anche se, e proprio perchè, sotto la gestione del "bello" della politica italiana un settore che dovrebbe occuparsi della gestione delle emergenze naturali è finito con questa scusa per gestire già così, da sottosegretariato della Presidenza del Consiglio, in modo diciamo irrituale questioni che come direbbe Di Pietro non c'azzeccano: il G8 della Maddalena poi spostato a L'Aquila, i mondiali di nuoto 2009 a Roma, la spazzatura a Napoli, le prossime celebrazioni per il 150° anniversario dell'unità d'Italia. Anche un bambino capisce che queste cose non sono di competenza di chi dovrebbe occuparsi di disastri e sciagure, a meno che paradossalmente il suo compito non sia la loro creazione.
E in effetti sulla questione Aquila il dubbio viene: la sciagura è stata il terremoto, o il modo in cui hanno gestito il prima e il dopo? Se pensiamo a dove e come erano costruite le case che hanno avuto i crolli peggiori, agli allarmi durante lo sciame sismico rimasti inascoltati e anzi bollati come mitomanie, e poi al proditorio salto della fase container (che erano belli e pronti) che si è tradotto in una permanenza di mesi e mesi (anzichè pochi giorni) nelle tende per poi passare i più fortunati in prefabbricati costosissimi (e spacciati per definitivi ma che tra un lustro cadranno a pezzi a meno di costosissima manutenzione loro e delle basi inutilmente antisismiche su cui poggiano) i meno negli alberghi dove ancora oggi risiedono, mentre la città è ancora un cumulo di macerie, forse nell'attesa di potersene appropriare per una bella maxispeculazione edilizia. Gli aquilani, indignati per le intercettazioni divulgate che restituiscono un bel quadretto di pescecani dichiaratamente felici per l'affare che si prospettava già mentre la terra tremava, hanno forzato i blocchi e invaso la Zona Rossa con cartelli con su "io alle 3.32 non ridevo", ma è ancora poco, avrebbero dovuto mettersi con vecchi e bambini di traverso ai cortei del G8 e farsi del caso sparare addosso (tanto non lo avrebbero fatto, a telecamere accese), e oggi dovrebbero accamparsi davanti o nelle residenze del premier, ma forse dati i tempi anche questa protesta civile e limitata è un segnale di risveglio.
Se vogliamo avere un quadro generale, invece, di come questo sia un paese di palazzinari, dobbiamo rivolgerci come spesso capita a una penna lucida come quella di Carlo Bertani, che qui tenta di spiegare come sia possibile che un Paese con il nostro tasso di cementificazione abbia poi i prezzi delle case così alti. Ai fattori che emergono dalla sua analisi (le tangenti, l'inganno del PIL, la sparizione dell'edilizia popolare, l'iperurbanizzazione, la gestione criminale e criminogena dell'immigrazione clandestina) io aggiungerei i condoni a fiotti (craxiani e berlusconiani), la criminale cartolarizzazione tremontiana del decennio scorso, e l'immobiliarizzazione della finanza italiana, cioè quel fenomeno per cui fattori come la depenalizzazione del falso in bilancio, i vari scudi fiscali e la gestione dissennata del debito pubblico e dei titoli di Stato hanno fatto si che il mattone restasse l'unico investimento sensato per chi avesse un gruzzolo da parte, o direttamente o per tramite di fondi d'investimento. Il risultato è appunto che abbiamo una marea di case carissime e disabitate, e un cristiano con uno stipendio anche sopra la media se non ha un gruzzolo da parte - magari proveniente da un'altra generazione - una casa in Italia non può comprarsela, punto. Non parliamo di uno dei milioni di precari, che non può permettersi nemmeno un affitto: eppoi il ministro con più faccia di 'mpigna degli altri straparla di bamboccioni...
La seconda buona notizia è l'uscita della Binetti dal PD. Il partito continua a perdere pezzi al centro ma almeno rischia di acquisire una sua identità: non è il cattolicesimo sociale infatti a essere avulso dalla storia profonda della sinistra italiana, tuttaltro, nè è davvero parte costituente e se fosse stato inteso così il progetto-PD avrebbe anche avuto senso. E' invece impossibile avere una linea comune con gente che ha posizioni integralistiche ed intransigenti, dunque auguro alla parlamentare col cilicio un reggino "acqua r'avanti e ventu r'arretu" (intraducibile, diciamo che non è esattamente benaugurale...). Magari da quel fronte ci fossero tutte notizie di quel tenore: invece, oltre a De Luca in campania, adesso le primarie ci consegnano un altro candidato che porge il fianco alle battute qualunquiste degli elettori PdL, il presidente uscente Loiero. Unica consolazione è che forse è meglio mandare a sicura sconfitta contro la corazzata Scopelliti un candidato trito e compromesso piuttosto che magari bruciare un volto nuovo.

p.s.: oggi forse ho esagerato con i modi di dire riggitani (in corsivo), ma quando uno è incacchiato gli capita, di pensare in lingua madre....

martedì 9 febbraio 2010

VECCHIA PICCOLA DEMOCRAZIA

Avevo impostato diversamente questo pezzo, come da titolo parafrasato da Claudio Lolli (che diceva "vecchia piccola borghesia il vento un giorno ti porterà via"), ma la cronaca si impone: persino il Corrierone, che negli ultimi tempi ha fatto a gara col Tg1 a chi incensava meglio il Capo, non ha potuto esimersi dal pubblicare che razza di tipino ha fatto il bello e il cattivo tempo con i soldi nostri e sulle nostre tragedie negli ultimi anni, e ancora non è detto che non sia pure per i prossimi. Infatti, e non poteva essere diversamente, Bertolaso, non avendo (nessuno al mondo ce l'ha) la faccia di tolla del suo capo, si è dimesso, ma il premier, che nei giorni scorsi aveva tentato di promuoverlo ministro sul campo, chissà forse proprio per farlo rientrare nella nuova normativa del legittimo impedimento, ha subito respinto le dimissioni: lui e i suoi amici, si sa, sono innocenti a prescindere. Anche senza intercettazioni, non si fatica ad immaginare che lo abbia pure cazziato, a quattr'occhi: e che ci si dimette cosi? e che ti sei messo in testa, che siamo un paese civile? siamo in Italia, svegliaaaa! che ti devo insegnare tutto, ti devo?
E infatti, per dare il buon esempio, eccolo al party elettorale di Renata Polverini che esibisce col solito sorriso la sua perfetta morale cattolica: "Quando vedo le belle donne perdo il filo (...) Gli italiani sono tutti così, o preferite quegli altri, Marrazzo per esempio? Sono cattivo, mi andrò a confessare". Attenzione: non sto dicendo sarcasticamente la solita cosa, che la Chiesa per mero utilitarismo si allea con sto po' po' di soggetto nonostante sia un esempio da manuale di pluripeccatore; no, sto dicendo seriamente che è esattamente questa la morale cattolica, a cui l'Italia deve tutti i suoi ritardi e mali storici: niente responsabilità, siamo peccatori ci confessiamo e passa tutto. Tra l'altro, ciò spiega perfettamente il suo successo elettorale: gli italiani lo abbandoneranno solo quando avranno bisogno di un capro espiatorio bello grosso, e avranno pronto un altro Papi cui obbedire tacendo e fottendo ciascuno come può.
Così, anche tramite un'impostazione diversa, arrivo a quello di cui volevo parlare. Leggete attentamente questo articolo di Gianluca Freda, vi si sostiene con lucidità e chiarezza una tesi che condivido dai tempi di filosofia politica all'università: la democrazia è una forma di potere come un'altra, affermatasi per via della sua maggiore forza dovuta alla sua minore riconoscibilità. In altre parole, i cittadini sono ugualmente succubi dei sudditi, ma - a differenza di questi ultimi - credono sia colpa loro, in quanto sono loro che in teoria eleggono i loro cosiddetti rappresentanti, e quindi anzichè ribellarsi ai potenti se la prendono gli uni con gli altri per via delle rispettive scelte politiche. Il ragionamento lo troviamo anche in un pezzo di Nobili di qualche anno fa, un po' più tecnico ma anche con un filo di speranza: la democrazia sarebbe un gioco che in ogni caso conviene giocare, pur con la consapevolezza che non è la cosa che dicono. Chiosando Nobili, cioè, i cittadini hanno questo vantaggio rispetto ai sudditi: possono rivolgersi ai potenti pensando "non mi freghi, so che comandi tu, ma poichè per farlo hai bisogno di questa finzione che è la democrazia, io faccio finta di crederti e la uso per ottenere quanta più libertà e peso decisionale posso, mentre il suddito poteva solo ribellarsi e venire ucciso o imprigionato in caso (quasi certo, se studiamo la storia con la statistica) di insuccesso". Invece seguendo la più rigorosa logica di Freda si aprono scenari imprevedibili, è vero, ma uno dei più probabili è finire dalla padella della democrazia alla brace della dittatura dichiarata, anche se è anche vero che piano piano ci stanno cuocendo comunque con questa dittatura strisciante. Oppure no: rileggendolo alla luce di quanto dicevamo sulla morale italica, viene da pensare che invece la democrazia a noi italiani non ci ha mai fregato sul serio, siamo una minoranza, in qualche momento storico più rilevante ma non certo adesso, ad averci creduto.
Preferiamo che ci si dica cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo credere, e in cambio ci si lasci allargare ciascuno nello spazio che può, coi confini tra legalità e illegalità permanentemente labili. Tanto, per decidere davvero bisogna studiare, pensare, ragionare con la propria testa: tutte cose faticosissime. E nella storia d'Italia, chi ci ha provato ha sempre pagato pegno, dagli esempi più grandi, i magistrati ammazzati dalla mafia con i mandanti in politica, a quelli più piccoli, i commercianti che si confrontano con il racket del pizzo. Questo pezzo degli amici di Stostretto, a proposito della bella pensata confindustriale di penalizzare chi è acquiescente, è un buon esempio di quanto sopra: quelli che credono alla favola dello Stato di Diritto ci rimettono sempre, spesso la pelle, ma quanto possiamo biasimare quanti non ci credono e tentano almeno di salvare la propria vita e quella dei propri cari?
L'unica soluzione, ma certo non la più probabile, tuttaltro, sarebbe allora intraprendere un percorso di crescita collettiva e individuale di tutti, diverso da quello storico del nostro Paese e opposto da quello imboccato negli anni del regime berlusconiano, in cui si punti - con la riserva mentale necessaria, innescata dalla consapevolezza della realtà dei meccanismi di potere e appunto della "finzione" democratica - alla realizzazione di un equilibrio di poteri di tipo liberale, appunto in Italia mai conosciuto se non in parte e oggi anche in quella parte scientemente smantellato. Fuori metafora: una magistratura libera e potente è l'unico modo che abbiamo di impedire ai ladri di sentirsi autorizzati anche a maramaldeggiare, come questi che festeggiavano mentre all'Aquila la gente moriva sotto le macerie. E si preparano ancora, nonostante pluriinquisiti, a togliere qualsiasi controllo sui loro comitati d'affari trasformandoli in SpA.

I NUMERI DELLA PAURA

La paura fa novanta, dice la smorfia, ma ad instillare questo sentimento è l'informazione ufficiale che dà i numeri. Come dimostra questo commento su Micromega, le statistiche ufficiali Istat dicono esattamente l'opposto di quello che emerge seguendo la stampa quotidiana specie televisiva: gli immigrati sono in proporzione molto più onesti di noi, esattamente l'opposto di quanto sostengono il micatantogrande capo e i suoi scagnozzi.
Non solo, Rosarno recentemente e Castel Volturno qualche tempo fa hanno dimostrato che se ha una speranza, questo Paese, è in questa gente così povera da non avere nulla da perdere, così giovane da non avere metabolizzato l'acquiescenza al potere, e quindi per entrambi i fattori capace di ribellarsi a ndangheta e camorra come noi nativi non siamo capaci più. Lo dice anche uno scrittore molto famoso e molto ricco, che non nomino perchè non ha certo bisogno di pubblicità in genere - figurarsi di una finestrella come questa, e perchè avrà secondo me piena credibilità solo quando cambierà editore.
In statistica esiste una cosa chiamata "falsa correlazione". Talvolta vi si incappa per errore, talatra per pigrizia, talaltra ancora per malafede. Faccio un esempio: dai miei dati risulta che le donne siano assenti dal servizio molto più degli uomini. Se correlo i dati a questo livello, posso dedurre che siano lavoratrici peggiori. Se ho intenti sessisti, lo faccio senz'altro e vado a dirlo in giro perchè mi fa comodo. Altrettanto può capitarmi se non so, o non mi va, incrociare meglio i dati. Viceversa, se ho tempo e voglia di farlo vado a togliere le assenza per maternità. La correlazione per sesso non è più significativa, e se lo è ancora e vado a togliere i giorni di assenza per malattia dei figli sparisce del tutto. Laddove invece la correlazione vera era appunto tra chi aveva figli piccoli e chi no.
Secondo questo schema, esiste un modo non certo facile ma sicuramente corretto, di trovare dove e perchè si rifugiano i cosiddetti fannulloni, anzichè demagogicamente denunciare tutta una categoria che negli ultimi lustri ha spesso rivoluzionato il proprio modus operandi - talvolta con risultati eccezionali specie riguardo ai mezzi - come il pubblico impiego. E sarebbe l'unico modo in grado di trovare poi contromisure realmente efficaci, non come la pletora di provvedimenti contraddittori sulle visite fiscali che ha solo elevato la spesa complessiva.
Tornando agli immigrati, a me è parso sempre evidente che la correlazione apparente è quella con la nazionalità che tanto è cara alla stampa di regime (Romeno aggredisce ragazza, è il titolo, mentre quando l'aggressore è italiano la sua nazionalità emerge con calma, e magari è un bravo ragazzo ed è lei che se la è cercata), mentre quella reale è tra condizioni economiche disagiate e tendenza a finire per bisogno ad "arrangiarsi" in quella zona al confine con la microcriminalità in cui non a caso proprio gli italiani nel mondo hanno fatto tanta letteratura. In più, ora dai dati Istat emerge che di fronte al drammatico aumento dell'immigrazione in genere e clandestina in particolare, la delinquenza non solo non è aumentata allo stesso tasso, ma è addirittura in controtendenza. Solo prendendo in esame la sola clandestinità emerge un dato diverso, che quindi è spiegato da quella, e va letto capovolgendo la logica imperante: se io faccio una legge razzista che costringe la gente disperata in cerca di lavoro a rivolgersi ai soli che pagando carissimo e facendoti rischiare la pelle ti danno una speranza, cioè la criminalità organizzata, la induco sia alla clandestinità che ad entrare in contatto con la delinquenza, e poi a restare in quel sottobosco di illegalità dove se vuoi guadagnare qualcosa è sempre a una qualche mafia che devi rivolgerti. Se tutto il flusso di immigrazione fosse governato alla luce del sole, e magari ci fosse una politica del lavoro e delle abitazioni tale che nessuno ne resti fuori, nè italiano nè immigrato, non solo verificheremmo che nessun popolo è più delinquente di un altro, ma il melting pot che ne deriverebbe in condizioni di legalità darebbe un bel colpo alle mafie varie.
Nessuna età dell'oro, nessuna illusione: solo la presa di coscienza che le politiche attuali sono la causa e non la cura dei problemi che lamentiamo.

venerdì 5 febbraio 2010

LIBERTÀ UGUAGLIANZA LEGALITÀ

Facciamo pure a meno della fratellanza: basterebbe tornare a uno Stato di diritto di stampo liberale. Non siamo tutti uguali e non ci vogliamo tutti bene, vogliamo solo tornare a una situazione in cui le regole del gioco non vengono cambiate in corso d'opera da chi ha solo il diritto/dovere di governare e non - come crede - il potere assoluto.
Già la stessa etichetta - legittimo impedimento - messa sull'ennesima porcheria fatta legge per i comodacci propri, sarebbe più propriamente impiegata su un provvedimento che recitasse più o meno così: a chi durante un qualsiasi mandato politico è interessato come imputato in un qualsiasi procedimento penale viene impedito dalla legge di proseguire il suo mandato fino alla conclusione del giudizio. Nè più nè meno, insomma, di quello che accade di fatto in tutte le democrazie occidentali da sempre. Qui Travaglio fa alcuni esempi, ma la lista è lunghissima. Solo in Italia non si dimette mai nessun imputato, come pure nessun leader sconfitto alle elezioni.
L'argomento, capzioso come tutti ma riportato senza contraddittorio sui media di regime, è che il capo ha troppi impegni per poter presenziare ai processi. Ma, a parte che appunto le dimissioni sono la contromisura più logica, il problema è che l'argomento reggerebbe al limite per reati come non aver pagato i contributi alla colf, o magari pure un falso in bilancio (ma per non rischiare, questo lo ha depenalizzato...). Ragazzi qui c'è in ballo la regia occulta delle stragi di mafia del 92-93, come cavolo si fa a pretendere di governare un Paese democratico con sul capo un'accusa del genere? Già il suo braccio destro è stato condannato in primo grado, e da quella sentenza risultano un poco di cose agghiacianti. Già un tipo è stato condannato in primo grado per essere stato da lui corrotto, e la sua condanna per corruzione è saltata per ora solo per lo stralcio del processo. Cosa aspettano i suoi elettori a voltargli le spalle? Vogliono fare la fine dei tedeschi con Hitler, tenersi questo peso sulla coscienza per decenni?
Se il voto fosse sufficiente a consentire tutto al votato, Hitler condividerebbe la responsabilità dei suoi crimini con quel 44% di votanti che lo portò al governo nel 33, e con quella stragrande maggioranza di consensi che contò per quasi tutto il suo percorso. Nemmeno Mussolini è sufficiente per un paragone calzante: il duce aveva una visione autocratica dello Stato ma il suo universo non si esauriva coi suoi interessi personali. La metafora più adatta è forse allora quella di Napoleone, e qui Micromega fa degli inquietanti parallelismi, non fosse che si rischia di lusingarlo (e comunque, l'impatto delle campagne napoleoniche sul sistema dei valori europeo fu fecondo al punto che la revanche dell'ancien régime non durò che pochi decenni, e il liberalismo si impose come sintesi quasi ovunque).
Anche perchè non vi è da dubitare che gli italiani, qualora gli effetti della crisi economica sommandosi al default del debito pubblico portassero a risvolti drammatici, piuttosto che accollarsi alcuna responsabilità per averlo portato lassù  e mantenuto per tutto questo tempo, gli accollerebbero all'unisono ogni colpa, come sempre hanno fatto nella loro storia, e così se gli va bene il Nostro chiuderà la sua parabola con una Sant'Elena o una Hammamet a scelta.
Il problema è che la terra bruciata che lascia nello Stato di diritto si riflette nel deserto più assoluto di valori sia nel suo schieramento che in quello opposto. E' pertanto da salutare con (moderato) entusiasmo qualsiasi laboratorio di elaborazione valoriale in cui crescano almeno in vitro quei soggetti che poi dovranno tentare di rimettere assieme i cocci dell'Italia. Come questo dell'Associazione Paolo Sylos Labini, che tenta di rielaborare un pensiero economico "di sinistra", o meglio "liberale ma non liberista": una cosa insomma che non c'è più da tre decenni e di cui si sente tanto la mancanza. Non si parla ancora di decrescita, ma la strada è quella giusta. Io ho firmato, fatelo anche voi.

mercoledì 3 febbraio 2010

CARNE DI PORCO

Il titolo lo volevo lasciare in dialetto riggitano, carn'i porcu, che tanto si capiva lo stesso, ma mi pare che in italiano assuma un tono se possibile ancora più volgare. I dialetti secondo Bernstein utilizzano un "codice ristretto", cioè usano per rappresentare tutti i significati un numero limitato di segni, quindi necessariamente ad elevato alone semantico, presupponendo quindi tra chi li usa un'elevata "competenza comunicativa" comune. In altri termini, non puoi parlare in dialetto con una persona con cui non condividi un vasto substrato culturale, un parente un amico uno della zona in cui sei nato o cresciuto, altrimenti le parole sono insufficienti ad esprimere quello che vuoi dire. A contrario, ed io spesso utilizzo il dialetto in questa funzione di test, se riesci ad esprimere un concetto parlandone in dialetto con un amico ricevi un doppio feedback, di conferma dell'amicizia e della veridicità rispetto alla tua anima del concetto che volevi esprimere: una lingua ricca e forbita serve invece sovente ad ingannare, anche se stessi.
L'espressione del titolo come tutte quelle dialettali dunque si può rendere in italiano solo con una lunga perifrasi. La macellazione del maiale, rito che conserva in molte zone rurali una sacralità ancestrale, è un processo a scarto zero: si dice che "non si butta niente" ed è vero, dal nobile prosciutto alle plebee cotiche, fino alle curcuci, gli scarti risolidificati della bollitura delle cotiche che non so nemmeno come si chiamano in italiano e non sono mai riuscito a mangiare - ma mio nonno ci si deliziava, e persino alle setole, passando per il sanguinaccio, che è un dolce, e la 'nduja, che nasce per valorizzare gli scarti degli scarti ammazzandoli di peperoncino. Pare peraltro che il divieto di cibarsi del maiale per ebrei e mussulmani nasca proprio dalla somiglianza di sapore della sua carne alla carne umana, è quindi un tabù derivato da un altro tabù di una religione più antica: non so se sia vero, non mangio carne umana anche se per certe ragazze farei un'eccezione, e non c'è scandalo - le mamme dicono ai bambini "ti mangerei", ma il fatto che i maiali siano utilizzati per i trapianti interspecie mi pare un indizio a favore.
Fare di una cosa "carne di porco" significa dunque sfruttarla fino a non lasciarne il più piccolo residuo, non solo: implicando anche un certo sadismo nella macellazione e un certo gozzoviglio lussurioso in quella e nel consumo. Insomma, è quello che stanno facendo dello Stato italiano.
Gli Stati liberali nascono per iniziativa della borghesia, che toglie a re e aristocratici la proprietà della Cosa Pubblica sostituendo al suo libero uso, che ne costituiva il contrappeso negli Stati assoluti, il concetto di bene demaniale. In altri termini, prima tutto era del re e dei suoi vassalli, che concedevano gentilmente in uso al popolo quello che loro serviva per vivere, poi tutto diventa recintabile e attribuibile a proprietà privata, salvo un elenco più o meno rigido di beni che restavano allo Stato e quindi a disposizione della collettività.
Secondo questo modello, con le tasse di chi poteva pagarle, e quindi pian piano anche dei nostri bisnonni e nonni e padri, si è faticosamente creato nel corpo dello Stato un sistema nervoso di uffici postali telegrafi e linee telefoniche, un sistema circolatorio di strade e ferrovie e stazioni, un sistema linfatico di acquedotti e cavi elettrici, eccetera eccetera. Tutte queste cose sono costate e costano un patrimonio, da costruire e mantenere. Un patrimonio di soldi nostri, che provengono dai nostri padri e dovrebbero andare ai nostri figli.
...
La corruzione è insita nell'animo umano come ogni altro tipo di peccato. Le leggi servono proprio a proteggere la collettività dalle debolezze dei suoi componenti: solo buone leggi riescono allo scopo, e solo se ben applicate. Quando in Italia si superò la misura che si può considerare endemica di corruzione? Difficile da dire esattamente, ma fu tra gli anni 70 e 80, quando da un lato si esagerò nell'utilizzo della pubblica amministrazione come valvola di sfogo della disoccupazione e quindi di accaparramento di consenso politico, dall'altro si cominciò a mangiare più maiali di quanto le scrofe riuscivano a partorirne. La classe politica responsabile di ciò godeva di un vasto consenso, ma fu travolta non tanto dai giudici, come superficialmente può sembrare, quanto dall'imminente bancarotta cui ci aveva condotto, che fece si che barcollasse e così prestasse il fianco alla magistratura. La classe politica seguente fu costretta a "mettere le mani nelle tasche della gente" per evitare il default, ma poi si spinse, o fu spinta, ben oltre. Ho usato l'espressione virgolettata a bella posta, perchè la sua negazione è uno degli slogan con cui i nuovi ladri hanno preso il potere. Perchè mettere le mani nelle tasche degli elettori di oggi se abbiamo lì, bell'e pronto, il tesoro accumulato dai loro avi? Basta creare una formula ideologica, e avremo pure il beneplacito di tutti; eccola: lo Stato spreca, i fannulloni sono dei parassiti, se invece si privatizza tutti ne avremo da guadagnare. Dire "lo Stato spreca, bisogna depurare la P.A. da fannulloni e parassiti e renderla efficiente, ma mai svenderla e sostituire ai monopoli pubblici monopoli privati di ben più difficile controllo", che sarebbe stata l'unica cosa sensata, è diventato improvvisamente fuori moda, innanzitutto a sinistra.
E così, centrodestra o centrosinistra che fosse, si è cominciato a spolpare vivo il porco. Prima i telefoni, poi le ferrovie, poi le poste, poi l'elettricità, poi i trasporti locali, e giù giù fino all'acqua ieri e la protezione civile e il demanio militare oggi. Difesa SpA, la chiamano. Ma non è che un'etichetta alla moda per un prodotto già visto: le poste si sono fatte banca (con la partnership di Mediolanum, manco a dirlo...) sfruttando una presenza capillare costruita con soldi pubblici per un servizio essenziale che stanno progressivamente abbandonando, le ferrovie privatizzate si sono sdoppiate più volte fino a lasciare un servizio passeggeri decente solo sulle tratte redditizie e sulle altre o uno indecente o nessuno, il demanio ferroviario conferito ad una immobiliare che in quanto privata ne fa quello che gli pare e nessuno di noi ne sa più nulla, e il modello piace tanto che oggi si vuole fare lo stesso con quello militare. Mentre il popolo bue si trastulla con il teatrino politico di Papi e le sue belle statuine più o meno semoventi, la sua ricchezza comune è svanita. Ne hanno fatto carne di porco.
...
Quando crollò il fascismo e perdemmo la guerra, il Paese è potuto risorgere perchè era un corpo in coma con scheletro sistema nervoso circolatorio e linfatico colpiti ma vitali. Oggi dovesse accadere qualcosa non resterebbe che la guerra civile tutti contro tutti, e il ritorno a una situazione pre-1860 sarebbe ancora uno scenario accettabile. In ogni caso, a qualunque livello sia, una crisi sistemica come quella sfiorata nel 1991 può essere risolta solo da chi si incarichi di espropriare e gestire pubblicamente strade ferrovie poste acqua caserme eccetera, a qualunque ordine di grandezza geografica questo sia possibile. E occhio a giudicare irrealistico questo scenario: ogni crisi seppellisce soggetti politici e ne fa fiorire altri fino al momento irrilevanti, su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo ma che avevano il merito di essere portatori di idee adatte male al mondo che muore ma invece bene a quello che nasce. Nel 1991 i missini erano solo gli ininfluenti nipotini di Salò, i leghisti cafoni ignoranti che sbraitavano a Samarcanda; dopo tangentopoli li avete visti, si possono persino permettere il lusso di dimenticarsi di essere lì grazie ai giudici e di cambiare idea più volte rispetto alla mafiosità del loro capo coalizione e collante unico. Oggi, mentre gli strateghi del partito più sbagliato della storia si affannano a scondinzolare al centro, il caso Vendola ci dice che forse sono più di quanto crediamo quelli che pensano che è sbagliato privatizzare l'acquedotto pugliese - li abbiamo spinti pian piano a non votare più, ma ancora respirano e pensano. E allora ben venga la Bonino nel Lazio, o Tonino Perna, che non si ricorderà di me ma ho fatto con lui sociologia economica, in Calabria. La crisi è davanti a noi, non dietro le nostre spalle come dice qualcuno cui l'anagrafe suggerisce sconsideratezza (tanto a lui che gli frega, quanto altro può campare?), e solo chi ha le idee giuste sarà pronto a raccogliere il testimone della Storia.

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