sabato 24 febbraio 2024

NOI SIAMO FANTASCIENZA

Chi ha qualche annetto di troppo come me non ha bisogno che gli si spieghi il titolo, che parafrasa un notissimo slogan di un vecchio spot televisivo di un credo defunto marchio. A me torna in mente ogni volta che guardo (facendo una rara eccezione - sarà che nessuno ormai, a prescindere da sesso età eccetera, riesce a resistere al fascino di Luca Argentero) una puntata di Doc in TV. Dico eccezione perché, come sa chi mi conosce, per motivi religiosi non guardo mai (e dai tempi di Ho incontrato un'ombra, mica da mo'...) una cosa che non finisce e così ti costringe a non prendere impegni per quando esce la puntata seguente. E si, lo so che il malato di serie TV medio non ha di questi problemi, perché si organizza per vedersi magari tutta una stagione in una notte sfruttando le odierne potenzialità dell'on-demand, ma perdonatemi non riesco a non considerarlo ancora peggio (sia pur con umana pietas) di chi si limita ad attendere con trepidazione la messa in onda ordinaria.

Mi direte, allora, "si vabbè, ma che c'entra la fantascienza?". Ma perché, voi come la inquadrate una storia dove la sanità pubblica in Italia funziona così tanto che se hai un problema non ti mollano finché non hanno scoperto qual è, anche se spesso e volentieri è molto diverso da quello che sembra, e ovviamente lo fanno ad ogni costo, e anche se per aumentare la suspense ci hanno messo pure i burocrati gretti e cattivi che i costi li vogliono limare alla fine Doc la vince. L'ha vinta persino sull'AI, cos'altro volete per ammettere che è fantascienza. Non perché non sia possibile, ma perché a chi gli fosse possibile non glielo faranno mai fare, vedrà chi campa.

La realtà della sanità italiana (serve precisare che non mi sto riferendo all'impegno e alla dedizione spesso eroica degli operatori, ma alle carenze organizzative e di strutture cioè agli investimenti carenti e anche quando male indirizzati?) è tutt'altra roba, purtroppo, e chi ha avuto un qualche problema non ha bisogno di leggerlo qui perché già lo sa di suo. E sarà peggiorata:

  • sia dall'invasione di una roba che chiamano intelligenza artificiale per la solita operazione di maquillage comunicativo, ma di fatto è sostituzione di lavoro umano con meno costoso e molto meno utile (anche perché, meno costoso quindi keynesianamente demoltiplicante) lavoro meccanizzato;
  • sia da ulteriori pesanti tagli imposti dall'Europa (che vuole e deve imporre il modello basato sulla sanità privata, per chi può permettersela) persino sotto pandemia (quando anziché investire a debito per curare la gente si è scelto di farne ricadere i costi sulla gente stessa rinchiudendola in casa e rovinandola, per poi far finta di rimediare con quel PNRR che vi viene presentato come ricchezza in entrata quando al massimo è di ritorno ma con altri che decidono come la dobbiamo spendere - e dico "al massimo" perché manco è quello: in gran parte li rivorranno indietro);
  • sia, a metterci il carico da undici, dall'appena varata autonomia differenziata.
E intanto che ci preparano il piattino (avrete sentito della dematerializzazione di tutti i documenti dentro l'evoluzione dell'app del green pass, no? ci sarà posto per tutti i nostri dati sanitari, quindi anche vaccinali, e sarà un gioco da ragazzi subordinare l'accesso ai servizi a comportamenti definiti virtuosi, sanitari come anche ecologici), ci anestetizziamo guardando il bel supereroe in televisione. Dalla ci aveva avvisato nel 68, a noi bambini che guardavamo i fumetti in TV: che mondo saràààà...


giovedì 15 febbraio 2024

LIBERA STAMPA

Lo stato dell'informazione mainstream e della libertà di espressione e di pensiero in Italia è dimostrato una volta di più da un accadimento minore a margine del festival di Sanremo (vinto, tra parentesi, da una giovane cantante a cui facendo una doverosa eccezione si perdona di essere figlia di papà). Gli è che tale Ghali, uno dei tanti troppi trapper che scandiscono tutti lo stesso tipo di versi sulla stessa elementare cadenza ritmica, approfitta del palco per sibilare uno "stop al genocidio". Occorre ricordare che a denunciare alla giustizia internazionale Israele per genocidio vista la smaccata natura di rappresaglia (di proporzioni che farebbero invidia ai nazisti: tra le vittime del 7 ottobre e quelle successive a Gaza c'è un moltiplicatore di livello superiore a quello tra via Rasella e le Fosse Ardeatine, ricordiamocelo alla prossima retorica commemorazione) è stato il Sudafrica (o Mandela va bene solo quando conviene alla nostra narrazione?), per cui il ragazzo ha detto qualcosa che in un Paese normale dovrebbe risultare ovvio. E invece.

E invece durante le consuete passerelle televisive seguenti il festivalone gli è stato chiesto conto delle proprie affermazioni, con annesso viscido invito alla ritrattazione. Ma il ragazzo, contrariamente anche alle mie aspettative, ha tenuto botta, dicendo che non vede perché dovrebbe rimangiarsi un invito alla pace e a risparmiare morti innocenti, e incalzato rimarcando che la storia non è iniziata il 7 ottobre: chapeau! Risultato, alla conduttrice dopo un po' è stata data da leggere una velina dell'AD della Rai, che prende le distanze dalle affermazioni fatte in studio bla bla e ribadisce la condanna agli attacchi terroristici bla bla. La narrazione ufficiale è sacra (i terroristi sono sempre gli altri noi al massimo siamo patrioti o partigiani) e se tu non la vuoi seguire devi spulciartela altrove. Ad esempio, qui.

Per le stesse precise ragioni, sul mainstream la notizia di un giornalista americano che ha intervistato Putin, chi mai l'avesse sentita, l'ha sentita più o meno così: un fiancheggiatore ha osato dare la parola a un dittatore. Io invece direi che finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di sentire l'altra campana, ma mi accontenterei di un semplice riportare la cosa come normalissima: in democrazia la stampa ha esattamente questa funzione. Si potrebbe dedurne l'ennesima prova che non siamo più in democrazia, ma sorvoliamo e invece approfittiamo dell'irrilevanza di questo pulpito (grazie alla quale non viene abbattuto) per passarvi ancora una volta l'altra predica: grazie a Pasbas, che ce la racconta nell'audio qui accanto che vi consiglio di ascoltare.

Su youtube, poi, finché ve li lasciano, ho trovato una edizione integrale in inglese...

... e gli highlights sottotitolati in italiano


La libertà di stampa questa è. Un saluto dai vostri affezionatissimi vicini di casa (cit. Marvel) e cuggini, CuGino e PasBas.

sabato 10 febbraio 2024

IL DADO È TRATTO(RE)?

Niente paura, il paradigma che vuole che la Storia accada in tragedia ma si riproduca in farsa si è già estrinsecato nel confronto tra il passaggio del Rubicone con le legioni da parte di Giulio Cesare (mai prima d'allora nella storia della Repubblica, poteva finire solo con la fine della Repubblica o del suo invasore - o magari, com'è stato, entrambe le cose) e la tragicomica marcia su Roma dell'ottobre 1922, chiusasi col trionfo del prossimo Duce probabilmente solo grazie all'improvvida manovra del Savoia sul trono, che lo mise al governo forse pensando di poterlo gestire e alla fine salvò la buccia (ma non il trono) solo scappando come un coniglio. Perciò, se vedere i trattori appostati qua e la dal vivo o in TV vi ha evocato qualcosa, tranquillizzatevi, è un remake si, ma di un altro film.

Intendiamoci, non sto criticando nessuno e anzi dichiaro subito che secondo me gli agricoltori hanno ragione, anzi, hanno molta più ragione di quanta forse sanno di averne. Anche Amadeus, che mentre scrivo non so ancora se sia riuscito a cavarsela leggendo un comunicato o abbia invece dovuto capitolare sulla presenza sul palco di un paio di bruti, ha messo le mani avanti, che lui addirittura il trattore lo sa guidare; io no (avrei paura) ma sono figlio di agricoltori anch'io, più precisamente di una maestra d'asilo che ha approfittato della pensione per trasformare una passione da tempo libero in un impegno a tempo fin troppo pieno, che nei campi non si guarda l'orologio e in quelli del reggino non pigliano nemmeno i cellulari, passione che in cambio però le ha dato un bonus di vitalità che probabilmente senza non avrebbe avuto (e infatti, quando non è potuta più andare nella sua terra è morta presto). E non sto parlando di un orticello comodo da raggiungere in cui una vecchina faceva finta di lavorare, sto parlando di ettari di terra strappata alle fiumare che devi risalire in jeep su piste pietrose per raggiungerle con bergamotti olivi eccetera da far fruttare per non rimetterci. E portandovi l'acqua in bidoni da trenta litri, perché quella corrente c'è solo un giorno ogni tot. Una impresa impossibile da continuare, per noi eredi "civilizzati", insomma... E tutto questo per dire solo che in qualche modo posso capire.

Ma fino a che guardiamo le cose da un punto di vista vicino, spesso non riusciamo a prendere nell'inquadratura le cause. L'impressione, purtroppo, è che questo capiti anche ai protagonisti: un settore intero che protesta in mezza Europa, che però così rischia di farsi neutralizzare da concessioni di retroguardia, come quelle sui pesticidi o sui tempi di tutela del suolo, che peraltro poi consentono agli ascari del "nuovo che avanza" pure di bollare gli agricoltori come retrogradi antiambientalisti e persino la resistenza europea agli OGM come antistorica perché le coltivazioni OGM non necessiterebbero di pesticidi. Se invece la allarghiamo, questa inquadratura, scopriamo che, come per altre questioni, il Male assoluto, il Nemico da combattere, è sempre lo stesso: quella Unione Europea che è incaricata dai Padroni di eseguire il Piano, che non dimentichiamolo è un mondo con pochi ricchi ricchissimi e tutti gli altri alla canna del gas, che prevede che il settore agrario venga distrutto per lasciare il posto a una agricoltura di élite per i primi e una industria del cibo a basso costo e basso impatto per gli altri (si, gli insetti, esatto). 

L'evidenza temo sia celata agli occhi dei più, forse grazie anche a decenni di sussidi ai settori che i singoli (con troppi a marciarci, specie al sud, peraltro) hanno accolto spesso e volentieri, ignari o indifferenti rispetto ai loro intenti trasformativi del mercato. O non vi siete accorti che è ormai quasi impossibile trovare olio ottenuto da sole olive italiane che non abbia prezzi da gioielleria? Di fatto, manca a questa mobilitazione l'esatta individuazione dell'avversario, e quindi purtroppo è destinata a sgonfiarsi, anche se ovviamente spero di essere smentito. Anche perché questi governanti, com'era facile prevedere presto dimentichi del mandato antieuropeo cui devono di essere tali, sono bravissimi nel gioco delle concessioni finalizzato proprio a far perdere di vista l'obiettivo anche a chi lo avesse correttamente puntato. E lo fanno con una sintassi che è sempre la stessa, come per gli immigrati e l'Africa: si mostra il dito per nascondere la luna, si fanno piani mettendoci nomi importanti e ingombranti a coprire la loro reale natura neocoloniale. O come per l'ambiente e la moda green: si nicchia, si fa finta di prendere le distanze, e così facendo si collabora a questa nuova forma di lotta di classe al rovescio, per cui i soldi per le piste ciclabili a favore dei pochi fortunati con le case al centro si trovano sempre mentre chi vive in periferia tra palazzoni lunghi e distanti tra loro chilometri non potrà nemmeno più tenersi la macchina vecchia. E il bello è che ce lo dice uno con incarichi di sottogoverno, come non fosse compito suo cambiare le cose e fossero ancora i bei tempi in cui faceva il blogger antisistema e poteva limitarsi a denunciare.

Insomma, o gli agricoltori riescono a trascinare i popoli europei alla demolizione della UE, perché sulla terra più che in ogni altro settore bisogna pensare locale e agire locale e la dimensione continentale è improvvida impropria controproducente e distruttiva figurarsi quella mondiale, oppure sarà la UE o meglio i suoi mandanti a demolire gli agricoltori. E al popolo bue farina di grillo.

domenica 4 febbraio 2024

RADIOCIXD 69 - PERICOLO GIALLO

La settimana di Sanremo impone di parlare di musica, rispolverando una rubrica, Radiocontroinformoperdiletto, giunta al sessantanovesimo post ma ferma da un po' di tempo, per ragioni implicite nella sua natura. Consta infatti di recensioni dal taglio decisamente personale di dischi per me storici, con rarissime eccezioni di playlist o di dischi in uscita, per cui gli è che semplicemente a un certo punto ho finito la lista, o quasi, e vi ho parlato di altro.

In questi giorni però sarete, saremo, bombardati dall'argomento, ed essendo difficile sottrarsi ci entro dentro a modo mio, a gamba tesa, recensendo un album di Giorgio Canali & Rossofuoco. Il ragazzo è noto ai cultori del genere per aver militato nei primi Litfiba poi nel percorso CCCP-CSI-PGR, esauritosi il quale ha però continuato nel solco con un suo gruppo. Scelgo lui, oltre che perché l'album è uno dei migliori dischi italiani del 2023, uno dei pochi buoni, anche perché mi consente di fare un discorso generale, agganciandomi, come al mio solito fuori tempo, alla tematica "quanto sono rock i Maneskin" che proprio da Sanremo iniziarono il loro decollo.

Anche a me ha fatto piacere sulle prime, infatti, che a vincere il festivalone fossero stati dei ragazzi che venivano dalla strada e la cui musica "suonava" rock. Ma, citando proprio Giovanni Lindo Ferretti, bisogna sempre ricordarsi di distinguere tra "forma e sostanza", anche nell'appiccicare etichette che possono sembrare scontate. Ci giocava Celentano, peraltro uno dei primi a portare in Italia il rock, in uno dei suoi celebri show tv, con le etichette di "rock" e "lento" attribuite alla qualunque. Ma anche se non si poteva essere d'accordo nel dettaglio con le sue scelte, sull'idea non c'è da scherzare: si può "arrangiare" rock un qualcosa che di anima rock non è, e può avere anima rock anche qualcosa che suona melodico e triste. Quasi tutto Luigi Tenco, per esempio, e per lo spirito della sua produzione non per la morte da rockstar.

Per chiarire meglio, occorre guardare da qualche passo indietro. Gli USA per soppiantare la madrepatria nel ruolo di imperatore del pianeta hanno messo sul piatto qualche milione di morti tra i loro ragazzi di due generazioni distinte, in due guerre mondiali. Nasce così la prima generazione "ribelle" verso i padri, e con essa il rock'n'roll. Così sbarazziamo subito il campo da un altro equivoco: la spensieratezza dei testi, la voglia di divertirsi, nel contesto giusto è "rock" tanto quanto l'impegno e la cultura del "messaggio" nei testi quando il contesto è un altro. Elvis ancora ci va, a fare il soldato, e ci fa pure i film sopra. Ma poi arriva il Vietnam, e la musica cambia, in senso proprio e in senso lato.

Per un paio di decenni, il rock in questa accezione, vestito da enne genere musicali diversi (dal blues all'hard, dal funky alla canzone d'autore, dal progressive al punk, ma l'elenco è onnicomprensivo e include anche tutti i mix possibili), domina. Finché le logiche insite del capitalismo, che è bene ricordarlo sono sistemiche (funzionano da sole, non serve postulare grandi manovratori occulti), non sono riuscite a inglobare anche "i giovani d'oggi" in una categoria di marketing: l'abbigliamento, col passaggio negli anni 80 dal casuale al casual, è un paradigma estensibile a tutti gli altri campi.

Negli anni 90 c'è stato l'ultimo tentativo di controcultura dal basso, i ragazzi delle ultime generazioni semplicemente hanno rinunciato, forse sordamente consapevoli di essere pochi e deboli, forse troppo bene imbrigliati nel loro ruolo di target da un mercato che con l'avvento di social e smartphone li arruola fin da piccoli. Fatto sta che si bevono le narrazioni ufficiali come acqua, e niente fanno per strappare alla musica il ruolo di entertainment che gli è stato affidato. Entertainment è il termine anglofono per industria dell'intrattenimento, del divertimento, ed è di una precisione terrificante, evocando gli stupri di gruppo o peggio gli allevamenti intensivi di animali che crescono fruttano e muoiono senza nemmeno sospettare che esista almeno in teoria una vita da liberi. E purtroppo tutto ciò nella loro musica traspare, e non solo in quella dei tanti giovani che ormai da anni passano da Sanremo o da altri format televisivi imperanti (non a caso ricorrentemente osmotici gli uni con l'altro), mentre "quando c'era il rock" andare a Sanremo era quasi considerata una "resa", e anzi pure guardarlo.

Per queste e altre ragioni, nella settimana del festival io vi propongo l'ascolto, e l'ascolto integrale (qui la tracklist completa) come si usava ai tempi del vinile, di un album di un ragazzo di 65 anni, lui si rock e lui si giovane. Come dimostra il testo di Inutile e irrilevante o quello di C'era ancora il sole, come racconta bene questa recensione che ho trovato, e come potrete facilmente constatare ascoltando con attenzione (se la ascolti distrattamente è la musica che ascolta te...) il tube del full album qui appresso. Magari ci fosse in giro un ragazzo che canta roba così, o anche solo uno che ascoltando questo "vecchio di merda" (come Canali si autodefinisce e forse ormai dovrei anch'io) gli fa un click la testa e gli viene voglia di "contagiare" i suoi amici. Perché triste è il tempo in cui gli antisistema sono sessantenni e non ventenni.

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