sabato 28 settembre 2019

RADIOCIXD 4: IL GIORNO AVEVA CINQUE TESTE


Per capire la differenza tra un campione di classe e un fuoriclasse le parole servono a poco. Peggio: più uno prova a parole a definire un fuoriclasse, più le cose che gli vengono fuori sono perfettamente applicabili a qualunque altro campione di alto livello, e allora non gli resta che sentirsi stupido e frustrato. Meglio rinunciare. Soppiantare le parole con esempi esperienziali, visivi uditivi o quant'altro a seconda di quale campo siamo. Si, perché la cosa vale in qualunque attività un essere umano possa esprimersi, arte gioco sport guerra mestiere che sia: un fuoriclasse è un fuoriclasse, e per capirlo devi "vederlo" all'opera e essere in grado di apprezzare le differenze nel campo in cui esso opera.
Lucio Dalla era un fuoriclasse. Lo dimostrerà definitivamente al mondo il giorno in cui scriverà il suo primo testo a una sua musica, e verrà fuori Com'è profondo il mare. Ma di questo parleremo e anzi forse abbiamo già parlato. Per la parte del mondo più attenta a quello che succede nella musica, infatti, egli lo aveva già dimostrato qualche anno prima. Ma forse occorre un attimo contestualizzare.
Ai tempi in cui uscì l'album di cui parliamo oggi, Dalla aveva trent'anni e alle spalle una carriera già solida. Come cantante mainstream, seppure già in qualche modo alternativo, aveva già fatto alcuni sanremi piazzandosi anche molto bene, con canzoni immortali come 4/3/43, per dire. Ma aveva avuto anche più di una discreta particina al cinema, e condotto in TV un programma di cartoni animati, di cui aveva anche cantato la sigla, per cui era molto amato da noi bambini dell'epoca (e si, se non hai almeno 55 anni non te lo ricordi, ma se li hai te lo ricordi benissimo...). Aveva la via del successo spianata, insomma, e se fosse stato quello, o i soldi stessi che ne derivavano, il suo motore interiore, avrebbe potuto senza problemi imboccarne uno qualsiasi dei rami aperti, o perché no anche tutti, per campare di rendita o almeno con poco sforzo. Se ci pensate, fanno quasi tutti così, anche quelli molto ma molto bravi.
I fuoriclasse no, i fuoriclasse fanno altro. Infatti lui d'istinto sente che l'aria musicale in Italia sta cambiando, che quel mondo, dove lui si stava ritagliando un posto sempre più grande, stava finendo. Aveva scritto musiche a volte già geniali per alcuni dei parolieri migliori sul mercato discografico di allora, ma si rivolge a un poeta delle sue parti, uno serio e tosto, tale Roberto Roversi, per partorire con lui tre autentici capolavori assoluti della musica italiana. Solo col terzo riconquisterà quel po' di notorietà che gli sarà da trampolino per il botto che farà a fine decennio e nei primi anni 80, con quella sequenza di album strepitosa che tutti ricordiamo a memoria brano per brano. Ma prima di Automobili, tra l'altro firmato Norisso e non Roversi per i dissidi tra i due o forse perché già con lo zampino di Lucio nei testi, ci sono due album rivoluzionari, che in pochi conoscono.
Il giorno aveva cinque teste è il primo dei due: uscito a breve distanza temporale da 4 marzo e Piazza grande, come prodotto ne è a distanza siderale da ogni punto di vista. Ancora oggi può essere considerato un prodotto di avanguardia. Io ovviamente a suo tempo, decenne, me lo persi: quando adolescente comprai Com'è profondo il mare per me Lucio Dalla era quello che seguivo bambino pochi anni prima. Ma presi presto il vizio di rovistare tra i banchetti dei dischi usati, e così misi le mani su questo disco di cui ignoravo l'esistenza. Come la maggior parte di voi oggi, a cui consiglio, se non proprio di procurarvelo (oramai a casa il giradischi lo abbiamo in pochi), almeno di ascoltarvelo su  youtube, magari con la mia guida alle singole tracce (qui invece i testi completi) sott'occhio:
  1. L'auto targata «TO» - "Un'auto vecchia torna da Scilla a Torino, dentro ci sono dieci occhi e uno stesso destino": basta questo incipit a rimarcare la distanza dal vecchio Dalla e dal mainstream. Un minifilm con tanto di presentazione lampo dei singoli personaggi: un verso per uno e già ti immagini tutta la loro vita. Anche perché sei di Reggio Calabria e sei circondato da personaggi come quelli, tra amici e parenti, e presto potresti esserlo anche tu. La musica è un rock duro, a strappi, a darti la sua parte di schiaffoni unitamente alle parole. Dopo 45 anni, in giro è ancora pieno di terroni di vario genere che emigrano. Ma non c'è più nessuno che li sa cantare, tocca recuperare questa meraviglia.
  2. Alla fermata del tram - "Sembra che tutto funzioni a dovere [...] ma è solo perché camminano i tram": critica sociale minimal, con accompagnamento "futurista" che solo uno con la vocalità di Dalla poteva immaginare e realizzare. 
  3. È lì - Scopri solo alla fine che hai ascoltato in pratica una versione cruda de La guerra di Piero, senza sepoltura nei campi di grano sotto i papaveri rossi a consolarti. La musica (in pieno stile progressive) è divisa in due parti nettamente diverse: nella prima, dura, il testo si ripete ossessivo fino a farti vedere il mucchio di sassi, rami e terra di cui parla; la seconda diventa più melodica, in efficacissimo contrasto con ciò di cui si racconta.
  4. Passato, presente - Anche qui la cesura musicale accompagna il cambiamento del testo, suggerito dal titolo. Ma non c'è niente di leggero in questo album, niente che puoi ascoltare superficialmente senza perderti qualcosa, nemmeno un brano interlocutorio tra due capolavori.
  5. L'operaio Gerolamo - La questione meridionale, quella operaia, l'emigrazione in Germania, i morti sul lavoro e il loro rimpiazzo in quanto numeri più che individui. Tutto in una canzone di tre minuti e mezzo. 
  6. Il coyote - La gara è tra un coyote ed una stella, e vince il coyote, il basso sull'alto, lo sporco sullo splendente. E la canzone riesce pure a spiegarti come e perché. Se la ascolti da adolescente, ti cambia per sempre. Ecco perché agli adolescenti di oggi li imbottiscono di Baby K e Sfera Ebbasta (cito a caso, gli altri non sono meglio).
  7. Grippaggio - Anche qui andamento progressive, con la musica che cambia assieme alle cose raccontate dal testo, con apparenti protagonisti due lasciati a piedi dalla macchina quando non c'erano i telefonini.
  8. La bambina (L'inverno è neve, l'estate è sole) - Una bambina muore, forse, e tu viaggi con lei e quello che le passa per la testa in quegli istanti. Fino al libitum finale che sfocia in un assolo di sax ancora più bello di quelli successivi che conosciamo a memoria.
  9. Pezzo zero - L'unico brano dell'album che ricordo di aver ascoltato da bambino, probabilmente il fatto che il testo era sostituito dal solito gramelot dalliano avrà aiutato a superare il probabile embargo subito dagli altri brani per via dei testi scomodi oltre che della musica dalla fruizione difficile. Insomma, è il brano più facile, ed è tutt'altro che banale.
  10. La canzone d'Orlando - Breve brano di chiusura, dal testo classico e dalla musica relativamente semplice. Molti lo ricorderanno nella versione contenuta in Banana Republic.

domenica 22 settembre 2019

FORZA ITALIA VIVA

Tra le (in)evitabili conseguenze dell'alzata d'ingegno salviniana di questa estate che sta finendo, c'è l'alzata di ingegno dell'altro Matteo. A dire il vero ho avuto una certa riluttanza a pubblicare questo post, perché mi è subito parso che quello che pensavo io alla vista del faccione fiorentino di nuovo protagonista della scena politica lo pensavano anche tutte le altre teste pensanti, e quelle non pensanti di solito non seguono questo blog, che non si distingue certo per facilità di lettura. Ma siccome qualcosa di pleonastico ogni tanto me la posso concedere anch'io, vi dico come la vedo.
Dall'Europa hanno fatto capire anche a quelli che non l'avevano capito (come molti cinquestelle, mentre Conte forse fingeva e Salvini sicuramente), che certe cose semplicemente non sono negoziabili. L'Italia probabilmente non è mai stata un Paese a sovranità piena: è nata perché faceva comodo agli inglesi che hanno usato allo scopo uno Stato fantoccio pieno di debiti, quando ha provato a fare la voce grossa se l'è potuto permettere solo grazie a un alleato così potente che forse era proprio un padrone (e invece magari non se lo poteva permettere lo stesso e all'alleato ha causato infatti più problemi che altro), poi si è potuta affrancare da quel padrone solo affidandosi mani e piedi legate a un altro padrone ancora più potente e crudele (anche solo per contabilità di morti innocenti sulla coscienza, altro che Olocausto, se il numero contasse qualcosa, e non è così ma allora non lo è mai), grazie alla cui benevolenza pelosa (eravamo la sua portaerei in funzione antisovietica) abbiamo avuto forse gli unici trent'anni di vero sviluppo in secoli, finita la quale gira gira siamo finiti nelle grinfie dello stesso padrone di prima, che nel frattempo ha imparato la lezione e quindi dissimula il proprio dominio con belle parole edificanti, tipo "unione" e "democrazia", non importa se svuotate di ogni significato tanto i grulli sono sempre tanti. Che cosa si erano messi in testa ora gli italiani, portando al governo un partito che diceva di voler fare un referendum sullo strumento che ha consentito il quarto Reich e uno che (dimenticandosi di avere votato per il pareggio di bilancio in Costituzione) imbarcava addirittura degli economisti antieuristi ?
Solo che ormai si sa che l'imperio funziona meglio se dissimulato, non serve imporlo con le cattive. Una parolina all'orecchio dell'uno, e quello capisce che la prossima manovra che avrebbe dovuto votare gli avrebbe fatto perdere troppi voti, e fa cadere il governo per fare il pieno all'opposizione, dove può dire quello che gli pare senza dover dimostrare di volerlo e poterlo attuare davvero, ammesso che il giochino gli riesca. Una all'orecchio dell'altro, e quello capisce che tanto è spacciato, il 33% la prossima volta se lo sogna, quindi tanto vale sfruttarlo in termini di seggi fino a che dura, pazienza se imbarchi il nemico numero uno e ti rimangi l'antieurismo d'antan. Ma siccome l'operazione è tanto difficile quanto necessaria, perché gli italiani un altro Monti subito subito non l'avrebbero proprio digerito, e i giubbetti gialli nelle macchine sono obbligatori anche da loro, ecco che entra in gioco quello che serve: un bel democristiano come quelli di una volta, viscido e pronto a tutto.
Ecco come e perché Renzi ha prima speso tutta la sua residua influenza sul PD, che nell'attuale parlamento non era poca visto che era lui che guidava il partito alle ultime politiche, per spingerlo a fare da sponda ai grillini nel sostenere il Conte 2, per poi subito dopo uscire dal partito portandosi via giusto quel tot di fedelissimi che gli serve per poter staccare la spina al governo quando gli pare. Cioè, quando i padroni del vapore, stimando essere passati i rischi di rivolta popolare (e in Italia si fa presto), daranno il via libera al Cottarelli di turno. Magari, avendo intanto eletto un altro garante del padrone straniero dopo Mattarella.
"Italia viva"? Si, come un'aragosta in cottura! Con trent'anni di guerra commerciale mascherata da moneta unica ci hanno spolpato, ora devono finire il loro pasto da avvoltoi. Con la collaborazione attiva di un'intera classe politica (e dei suoi fiancheggiatori nel mainstream), che ha come solo obiettivo di ritagliarsi uno scranno abbastanza stabile vicino alla mangiatoia. Renzi non a caso ha scelto un nome già compatibile con la fusione con Forza Italia prossima ventura (d'altronde, la sua linea politica è da sempre indistinguibile da quella di Berlusconi, come anche quest'ultimo ebbe da affermare illo tempore - il titolo di questo post era facile), per "allargare lo sgabello". Tanto finché c'è ancora gente che crede all'inganno chiamato democrazia, per loro c'è un futuro. E anche quando decideranno di togliere il velo sull'inganno, scordatevi che saranno loro a soccombere, tranne magari i più fessi. E purtroppo so io a chi sto pensando...

lunedì 16 settembre 2019

RADIOCIXD 3: SELLING ENGLAND BY THE POUND

Fate un esperimento. No, ve lo faccio dire direttamente da dove ho preso lo spunto, il sito storiadellamusica, e precisamente questa recensione di Pier Paolo Farina:
Ho sperimentato più volte, con immenso piacere, l’effetto che il primo ascolto di quest'album può creare ad un quindicenne a digiuno di buona musica. Non capita a tutti, certamente, ma vedere ogni tanto una giovine mandibola bloccarsi e gli occhi farsi vitrei, come davanti ad un nuovo mondo che si sta dischiudendo, è sempre consolante. Uno su mille ce la fa.
Fatelo, perché a parole non c'è modo di spiegarlo, quanto è distante il livello qualitativo della produzione musicale di una certa epoca da quello attuale; invece con l'ascolto di uno dei vertici assoluti, questo mitico album dei Genesis (quelli "veri", che chi ha meno di 50 anni più probabilmente ha conosciuto direttamente quelli "finti" - e già qui su un forum di seguaci mi troverei osannato da metà e fischiato dall'altra metà) che entra sempre nella cinquina finale, di chi lo conosce, nel solito giochino di quale disco di porti nella classica isola deserta. E spesso vince.
Stiamo parlando di Selling England by the pound, un gioiello fin dalla copertina, sia per la grafica sia per la pregevole traduzione dei testi in italiano che conteneva (e siccome vi voglio bene, ve l'ho cercata e trovata, eccola): come per altri vinili, guardarla e maneggiarla era un piacere, leggerla un valore aggiunto all'ascolto che ne favoriva il moltiplicarsi e l'approfondimento. Ma quest'opera è di valore così elevato che non è necessario appellarsi alla (qui frequente) evocazione del mito del vinile per renderla appieno (tra l'altro, qui siamo ai primi anni 70, ero un bambino, i Genesis li ho scoperti in radio con gli album della prima era dopo-Gabriel, per me questo è stata già una scoperta archeologica...): basta l'ascolto "contemporaneo", a rendersene conto. Eccovi allora il consueto link a youtube per l'intero album, e di seguito la (corta, vista anche la durata dei brani, e sintetica, perché l'ascolto rende inutile ogni parola) consueta tracklist commentata:
  1. Dancing with the Moonlit Knight - Attacca con la sola voce, e ti colpisce al cuore. Anche dopo 40 anni di ascolti, ovunque ti capita di sentire questo incipit, ti fermi, molli tutto, e non te ne vai prima che passino gli oltre 8 minuti che dura (ma nelle radio di oggi, non capiterà mai).
  2. I Know What I Like (In Your Wardrobe) - Il primo pezzo pop dei Genesis, il primo a farli conoscere al grande pubblico e mettergli in tasca qualche lira. Ma la distanza dal pop come lo conoscete oggi è abissale.
  3. Firth of Fifth - L'attacco in pianoforte è da allora il banco di prova di chiunque si accosti allo strumento, musica classica a parte. E' così difficile da fare bene che dopo una defaillance il suo stesso estensore non lo ha più eseguito in pubblico, così sollevando anche le mille cover e tribute band che anch'esse propongono la versione "tagliata" nascondendo l'inadeguatezza del proprio tastierista dietro la scusa che hanno scelto la versione live corrente. Io l'ho sentito fare perfettamente da Sergio Cammariere, per dire. Il brano, oltre 9 minuti e mezzo, ha l'andamento "circolare" di molta produzione progressive e jazz: il tema iniziale viene abbandonato e la musica prende strade imprevedibili, ma a un certo punto torna e tu capisci come anche tutta la roba in mezzo in realtà si era allontanata solo apparentemente.
  4. More Fool Me - Prova generale del passaggio di consegne tra Gabriel e Collins, canta quest'ultimo perché al primo non piaceva. Ma è sempre molto meglio della deriva pop a cui porterà la band l'ineffabile Phil negli anni a venire...
  5. The Battle of Epping Forest - Suite pretestuosa e complessa, faticosa da seguire, nei suoi quasi dodici minuti. Ma forse il giudizio sarebbe migliore se solo non fosse "circondata" da altre suite che sono veri capolavori assoluti.
  6. After the Ordeal - Intermezzo strumentale che, per i motivi appena detti, pare minore. Magari la trovassimo in un qualunque disco del 2019...
  7. The Cinema Show - Un capolavoro assoluto, senza le vette di Firth of Fifth, forse, ma in grado di tenerti inchiodato per oltre undici minuti senza cadere mai d'intensità.
  8. Aisle of Plenty - Chiude il tutto con una ripresa, breve e sommessa, del tema iniziale. A conferma della circolarità "progressive" dell'intero album. Da ascoltare quindi per intero, come una lunga unica suite esso stesso.

domenica 8 settembre 2019

MA I CONTI TORNANO?

FATEVI DUE CONTI...
Un mesetto fa, a crisi incipiente, mi ero lanciato in una serie di pronostici sulla sua soluzione, descrivendo, parafrasando Cremonini, quali fossero secondo me i possibili scenari. Francamente quello che si sta realizzando non lo ritenevo tra i più probabili, ma forse era solo per un wishfull thinking perché comunque era quello che descrivevo per primo. Sicuramente però era per me il meno desiderabile, e per una ragione diversa dall'antipatia per un partito che ho votato fino a sette anni fa (con la sola attenuante che l'unica alternativa significativa era molto peggio, e l'unica cosa peggiore ancora è sprecare il voto dandolo a un partitino), che nel frattempo si è tramutata in vero e proprio odio, sentimento unico possibile per i traditori prezzolati della patria, unito a umana compassione per quei boccaloni che hanno continuato a votarlo o a militarci senza corrispettivo. La ragione? I miei amici piddini, che fino a ieri sputavano veleno sui grullini sui social (a proposito, leggetevi questo istruttivo articolo su cos'è davvero Facebook), e chi poteva sui media su su fino a tutto il mainstream, mentre oggi sono tutto zucchero e miele sia li che la, possono tranquillamente pensare che io mi sia salvinizzato, se gli fa comodo, la realtà è diversa, la saprà solo chi legge oltre, e c'è in gioco (ben oltre che la stima del sottoscritto) il futuro del Paese.
Per chiarirlo parto dall'elenco dei punti di programma del nuovo governo, che dalla bozza al definitivo non so nemmeno quanto siano diventati, ma tanto non conta nulla: l'unico punto sostanziale è quello che parla dei rapporti con la UE. Tanto per essere chiari, rammento che quando fu eletta la Raggi a Roma scrissi che era stata una trappola e non avrebbe potuto far niente col governo contro: mi sbagliavo per difetto, perché nemmeno il governo a favore poteva servire, se il governo non fosse riuscito in un modo o nell'altro a rompere il legacci comunitari che ci costringono a politiche restrittive. Ora, il governo gialloverde da questo punto di vista prometteva bene: Grillo per anni non aveva fatto che spingere per il referendum sull'Euro (ancora oggi dichiara di essere dell'idea, ma crede di cavarsela dicendo che non decide da solo), e la Lega, che pure a suo tempo aveva fatto parte della vastissima maggioranza che ha inserito in Costituzione il pareggio di bilancio (cioè quei legacci), aveva preso a bordo prima e incaricato in posti chiave dopo due economisti antieuro come Borghi e Bagnai. E forse la sua maggiore credibilità in tal senso è stata tra le cause del travaso di consensi dai cinquestelle alla Lega resosi manifesto in sede, non a caso, di elezioni europee, sicuramente più dello sbraitare sguaiato contro gli immigrati (che però è solo un altro terreno della stessa guerra commerciale ai nostri danni, accanto a quello monetario: evidentemente si capisce meglio senza la laurea in economia...). Ma Mattarella all'avvio di quella esperienza aveva avuto la furbizia di inserire la zeppa che avrebbe inceppato il meccanismo: via Savona, dentro Tria, e anziché affrontare la UE con una manovra in deficit di almeno il 5% con in tasca il piano B di uscita in caso avessero fatto un plissé (non l'avrebbero fatto, perché senza Italia non c'è UE, ma in caso avremmo fatto buona compagnia alla brexit dandogli pure una mano, che la cronaca dimostra che gli serviva), ci siamo messi a trattare per uno zero virgola in più o in meno come se cambiasse qualcosa. Risultato? Il reddito di cittadinanza non è che un blando e troppo condizionato assegno di disoccupazione, la flat tax proposta non era che una neanche troppo spinta rimodulazione delle aliquote, e né queste né altre misure sostanziali che avessero magari voluto inserirvi nella prossima manovra avrebbero retto ai diktat dello straniero ben rappresentati dagli intruders.
Ora, facciamo finta che tutte le belle cose che dice il programma giallofucsia le voglia fare veramente. Senza svincolarsi dal cappio non si può. E infatti ecco che in primis lo stesso PdR si affretta a dichiarare che occorre ridiscutere il patto di stabilità eccetera. Va bene tutto, ma l'aritmetica ha le sue leggi... Voi che pensate, che ce lo faranno fare, sostanzialmente intendo? O si limiteranno a fingere, per dare un po' di respiro al governo dello scampato pericolo, e poi ricominceranno la spoliazione scientifica avviata nel 1992? Purtroppo, io temo di sapere come andrà. Ma non sono un disfattista, voglio mettervela giù ipotetica: se a Bruxelles hanno paura che gli italiani, se non si riforma pesantemente l'Unione, alle prossime elezioni voteranno in massa per chi li porta fuori, fosse anche Attila altro che Salvini, allora forse lo faranno, e il governo Conte 2 potrà mantenere le sue promesse (certo, c'è da coniugare l'onestà col PD, non è che sia semplice, ad esempio vediamo come finisce con la TAV e Autostrade), altrimenti sicuramente no. E alle prossime politiche voteremo tutti per Salvini o chiunque altro ci porti fuori dalla UE. Tutti quelli con ancora un po' di sale in zucca, che non siano direttamente o indirettamente a libro paga degli euristi, intendo... E il movimento 5 stelle e il PD si ridurranno a percentuali a una cifra, se gli va bene.
Come se avete ancora occhi per guardare vedete bene, la coerenza del vostro affezionatissimo blogger non è in discussione. Sono un uomo di sinistra che vorrebbe che lo Stato italiano sovrano potesse fare, se i suoi cittadini democraticamente glielo chiedono votando, politiche economiche di sinistra, che puntino alla piena occupazione e all'attuazione piena dei principi costituzionali. Quando il PD è nato, ho subito sospettato che fosse stato creato apposta per rinnegare tutto ciò, e purtroppo avevo ragione. Ma ho continuato a votarlo fino a che non è emerso un soggetto politico che prometteva di attuare i miei desiderata. Anzi, avevo già deciso di non votarlo più alcuni mesi prima, quando il suo segretario Bersani dichiarò di essere "con Monti senza se e senza ma", che il movimento 5 stelle nascesse. Se ora anche questo tradisce, alleandosi col nemico nella presunzione di riuscire a orientarne l'azione politica (di fatto, cercando di mangiarselo dopo aver tentato all'inizio di guidarlo, e forse finendo per esserne mangiato), sto alla finestra giusto il tempo di vedere se miracolosamente succede. Poi mi sposto. Se spostarsi è l'unico modo per poter restare fermi nelle proprie legittime convinzioni, è dovere di cittadino farlo. Di cittadino, intendo, che non fa il tifo per la sua "squadra" politica, di cui non gli importa il destino, davanti a quello dell'Italia.
...
P.S.: leggetevi (magari dopo aver seguito tutti gli altri link: se è lunga per voi immaginate per chi ve li va a cercare) la versione di Bagnai sulla crisi di governo e l'interessantissima replica, con tanto di domande precise per cui magari non è finita qua, di Mazzei. Capirete molte cose, fidatevi...

mercoledì 4 settembre 2019

RADIOCIXD 2: AMERIGO

Risultati immagini per amerigo gucciniProbabilmente uscì / chiudendo dietro a se / la porta verde.
Amerigo probabilmente non è l'album migliore di Guccini, né il più importante. Ma rientra nelle precondizioni predichiarate per meritarsi un post tutto suo perché è un'opera compiuta, con forse solo un episodio dimenticabile. Su 6. Si, perché in un vinile non ci stava, fisicamente intendo, tanta musica, e quindi nel realizzare un album bisognava scartare molti più brani di quanto poi si fece in era CD, infarcendolo di roba di seconda scelta solo magari per poter dire che ti avevano venduto un disco caro e amaro si, ma con dentro oltre un'ora di musica. In un 33 giri un'ora di musica non ci stava, massimo tre quarti d'ora; non era un caso che il formato più venduto di musicassette fosse di 90 minuti: ci registravi un album per facciata. Ma spesso si restava sotto. Amerigo dura 35 minuti. Ma almeno 30 sono memorabili: io, ad esempio, li so letteralmente a memoria. E so di essere in nutrita compagnia.
Quando mettevi su un ellepì, negli anni 70, era una specie di rito. Si, lo so, questa cosa l'ho già detta, ma vi avviso che la ridirò, perché è troppo importante: è enormemente diverso sentire in giro una canzone e poi scaricarsela sul telefonino, che aspettare l'uscita del nuovo album dell'artista che segui, comprarlo o prenderlo in prestito, portarlo a casa e metterlo su, venendo investito dalle prime note. Infatti, se il disco manteneva le promesse o meglio ancora le soverchiava, la sensazione dell'ascolto dell'incipit non l'avresti mai più dimenticata.
Qui ve lo potete ascoltare tutto, poche righe più giù vi faccio la tracklist ragionata. Ma ora devo darvi un'altra ragione per cui con Guccini inizio proprio da questo disco. Tutti i precedenti, infatti, sono carichi di capolavori anche famosissimi. Ma sono vittima del vezzo cantautorale tipico di quell'epoca, che voleva arrangiamenti scarni ed elementari, in quanto vedeva la musica come accompagnamento del messaggio veicolato dal testo. Pochi gli sfuggivano, perché principalmente musicisti come Battisti e Dalla, o perché abbastanza intelligenti da capire che dovevano farsi affiancare da musicisti veri come presto fece De Andrè, gli altri ci arrivarono per sopravvivere, ma erano già gli anni 80 e i risultati non furono sempre entusiasmanti. Guccini ci arrivò (per restarci, riproponendo poi dal vivo i suoi classici col vestito nuovo...) proprio con Amerigo, il suo primo album "suonato", e da gente di primo piano tra cui alcuni resteranno sempre con lui: leggete la lista, c'è chi prima suonava col Banco chi con gli Area, per dire...
Ma questi sono tutti ragionamenti postumi. Invece immaginate ora un ragazzo che mette su il disco e sente, subito prima di una chitarra acustica ossessiva (poi accompagnata da basso batteria e synt, ma sempre dominante), il Maestrone che intona, a secco, il verso succitato: Probabilmente uscì / chiudendo dietro a se / la porta verde.
  1. Amerigo - Poco più di sette minuti, e capisci l'emigrazione. Tu, terrone, che senti uno dell'appennino toscoemiliano che racconta di un suo vecchio zio erniatico, reduce da una lunga esperienza americana, conosciuto da bambino. Cioè quarant'anni fa racconta un ricordo di almeno settant'anni fa. Ma il brano è ancora enormemente attuale, e tu lo sai ancora tutto nonostante la lunghezza.
  2. Libera nos Domine - Giaculatoria atea, anch'essa di estrema attualità. Forse voi avete sentito un titolo simile di Ligabue: probabilmente quando lo ha scritto pensava a questo brano, magari senza rendersene conto (essendoci nato dentro, anche se poi fa il rocchettaro, a queste ballate e ancora di più a quelle di Bertoli).
  3. 100, Pennsylvania ave. - E' il pezzo dimenticabile. O forse dico così perché ai tempi non me lo registrai nemmeno in cassetta. A sentirlo oggi si capisce perché Guccini ragazzo scrisse per i Nomadi, e poi ci cantò assieme nel celeberrimo live, un pezzo come Statale 17, e poi battezzò un suo live solista Tra la via Emilia e il West (che poi è un verso di Piccola città): questi facevano i comunisti, ma erano imbevuti di sottocultura beat americana.
  4. Eskimo - Con la logica di oggi, lo chiameremmo "secondo singolo dopo la title track". Oltre 8 minuti per raccontare in apparenza una separazione ma in realtà una intera generazione, anzi forse più d'una. Oltre 8 minuti, e anche questa dopo oltre 40 anni la so a memoria, anche se qualche volta mi confondo e mischio le strofe.
  5. Le cinque anatre - Una parabola dell'esistenza, in una filastrocca dalla struttura tradizionale, "numerica", come quelle che si raccontano ai bambini per farli crescere, impaurendoli un po'.
  6. Mondo nuovo - Una rivelazione, per almeno due ragioni. Una: il verso centrale è "...e non sappiamo perché e come siamo di un'era in transizione tra una civiltà quasi finita ed una nuova inconcepita"; il problema è che ci siamo ancora, forse ci saremo sempre, e questa canzone sarà sempre attuale, anche se parla di computer con le schede cifrate che devi avere almeno sessant'anni per averne visto uno. Due: il titolo è preso da un capolavoro assoluto della fantascienza distopica, e l'ascolto del brano fa venire voglia di leggerlo. La terza mettetecela voi.

In evidenza

DEFICIENZA, NATURALE

Dell'argomento AI ne abbiamo già parlato come di uno di quei pericoli gravissimi verso i quali sarebbe opportuno porre argini non appen...

I più cliccati dell'anno