domenica 29 dicembre 2019

SIAMO DEI

Prometeo che ruba il fuoco a Giove e ne viene
punito: cattolicuzzi, vi ricorda qualcun altro?
Una delle canzoni più "avanti" di Lucio Dalla, Siamo dei del 1980, era così avanti che presto lo stesso autore, che nascondeva le sue preferenze sessuali meglio della sua religiosità, le restò indietro e smise di eseguirla. In essa due personaggi, entrambi interpretati da Lucio grazie a un lieve ma riconoscibilissimo cambiamento di vocalità, inscenano un battibecco tra Uomo e Dio, con quest'ultimo che alla fine soccombe alla dialettica dissacrante (perlappunto) del primo.
Il brano lo potete sentire in fondo, ma questa non è la decima recensione di radiocontroinformoperdiletto, qui non si parla di musica, è solo il pretesto per introdurre, ad accompagnarvi nel passaggio tra un anno e l'altro (che tutti crediamo fatidico, tutti essendo del tutto irragionevoli) raccomandandovi la lettura di due post altrui che parlano, in modo completamente diverso, entrambi di Dio. Aiutandoci ad esemplificare quella difficile strettoia che resta tra il precipitare verso l'acritica assunzione di verità stabilite da altri, quasi sempre con fini tutt'altro che nobili, e il ricadere nel peccato opposto, l'arroganza di divinità conferita a noi stessi e alle possibilità a noi schiuse dalla tecnologia. Che poi è esattamente quella in cui gli artisti riescono talvolta ad infilarsi e passare in agilità, come appunto Dalla nel brano succitato.
Il primo post è il mirabile Regalo di Natale (con ammennicoli vari...), in cui Carlo Bertani riesce a riassumere in pochi capoversi la storia del cattolicesimo, racchiudendo sia la critica ad una festa posticcia e rubata ad altri culti (quale è quella che abbiamo appena festeggiato, abboffandoci e riempiendo talmente di regali i pargoli da fare loro perdere del tutto la capacità di apprezzarli), sia il rimpianto per quello che comunque a un certo punto era arrivata a significare, lei e tutta la religione di cui era la bandiera. E senza contraddizione, leggere per credere. Perché non c'è contraddizione tra dichiararsi atei e mantenere una propria spiritualità e dimensione religiosa, come pure tra saper discernere nella vicenda di Cristo tra episodi verosimili storicamente e mito e saper riconoscere la validità del messaggio cristiano (e quali e dove siano i suoi veri nemici).
Il secondo è l'agghiacciante Correggendo Dio, con cui Stefano Re ci aggiorna sugli sviluppi della ingegneria genetica applicata su piante, animali e esseri umani, ribadendo l'urgenza di disciplinare, e rigidamente quanto efficacemente, un campo che altrimenti resta sottoposto alle soli leggi del mercato, vale a dire all'arbitrio di "chi può". E, si noti bene, lo fa dichiaratamente da ateo. Il problema sorge sempre dove la tecnica corre troppo più veloce della comprensione teorica. Sappiamo, ad esempio, che esistono tecnologie in grado di influenzare il meteo, e che sono talmente a buon mercato che è praticamente impossibile sapere davvero quanto e da quanto tempo si stiano utilizzando. Ma sappiamo anche che il complesso di variabili in gioco nella circolazione atmosferica è talmente enorme che nemmeno i calcolatori di oggi, milioni di volte più potenti di quelli di decenni fa (e quindi probabilmente nemmeno quelli di domani, altri milioni di volte più potenti), sono in grado di elaborarli in modo da darci previsioni del tempo decenti oltre il brevissimo termine. Di conseguenza, possiamo star certi che anche il governo più illuminato, mosso dal più integerrimo e adamantino degli intenti, se decidesse di attuare interventi per far piovere di più o di meno, non ha la minima idea, e se dice di averla mente, di come andrà a finire nel medio o lungo termine, se ciò alla fine provocherà siccità o alluvioni. Bene, con la genetica la faccenda è ancora molto ma molto più complessa e pericolosa. Un esempio? Chi non sarebbe d'accordo ad eliminare da oggi a domani le zanzare? A che servono quei maledettissimi insetti, se non a toglierci il sonno nelle notti d'estate? Bene, siamo tutti d'accordo, un plauso al genetista che ha trovato il modo di sterilizzarle, via: estinte. Ma magari, nel giro di pochi anni, l'effetto farfalla porta carestie talmente grandi che innestano una serie di conflitti che al confronto quelli di oggi sembrano scaramucce. Esagero? Forse. Ma resto d'accordo con chi sostiene che ci sono cose che non si possono lasciare al mercato.
Buona fine e buon principio a tutti i miei (pochi) restanti lettori.

venerdì 20 dicembre 2019

RADIOCIXD 9: IL RE NON SI DIVERTE

Voi lo sapevate che Vecchioni ha fatto un album progressive? Io si. Ho il vinile. Ma quando è uscito avevo 10 anni: ovviamente è un disco che ho riscoperto dopo, andando a ritroso nella produzione di uno di cui mi ero innamorato passandolo in radio, anche perché erano gli anni della sua vetta artistica (gli LP Elisir, Samarcanda e Calabuig..., di cui probabilmente riparleremo).
Sono arrivato ad amare talmente tanto la poetica del "professore" da averci scritto con la mia Lettera 22 una esegesi, che però non avevo con me un giorno che lo incontrai faccia a faccia in un appartamento (la casa di una mia amica adiacente alla minuscola piazza principale di un paesino vicino Reggio: Cardeto) che lui usò come camerino. Ma sarebbe stato inutile, perché ovviamente non osai nemmeno rivolgergli la parola, figurarsi dargli il mio libello da guardare o anche solo autografare... Era il 1982, era uscito Hollywood Hollywood ma i cantautori già stavano passando di moda, niente spazi grandi o grandissimi come qualche anno prima e poi, perlomeno alcuni di loro, di nuovo oggi.
D'altronde, voi non sapevate nemmeno che Vecchioni i primi soldi li ha fatti scrivendo le canzoni dei Nuovi Angeli... (le conoscete, si: Donna felicità e Singapore su tutte). Insomma, ai tempi della notissima Luci a San Siro, il Nostro sia pur giovanissimo era come si dice conosciuto nell'ambiente. Ma non vendeva i suoi dischi, campava come autore altrui, ma senza neanche lontanamente arricchirsi. Per questo la sua scelta di abbandonare gli stilemi originali e abbracciare quelli nascenti nei fertilissimi anni 70, proprio poco dopo essere addirittura comparso a Sanremo (con un brano che vi suonerà sconosciuto, L'uomo che si gioca il cielo a dadi, seguito da una raccolta con brani degli altri due album precedenti e alcuni inediti, passata liscia pure quella), ha in comune con quella di Lucio Dalla, di cui abbiamo già parlato, solo l'anno in cui si è verificata: il 1973. Da un lato, fu più coraggiosa la scelta di Dalla, perché nella discografia paludata imperante un ruolo se l'era già ritagliato e poteva camparci bene (ma non sarebbe mai diventato il gigante, tra l'altro ricchissimo, che diventò), dall'altro, lo fu quella di Vecchioni, che non poteva contare nemmeno su un effetto traino dalla notorietà che non aveva, e addirittura osò la capatina nel progressive (è così che esagerando un po' ho aperto il post). Forse non fu nemmeno una coincidenza: i due si conoscevano e frequentavano, tramite Guccini e nelle "sue" osterie di fuori porta.
L'anno prima, la già fertilissima scena progressive italiana (gli Area ce li abbiamo avuti solo noi, e i Genesis sono praticamente nati in Italia, per fare solo due esempi) era stata squarciata dalla meteora Alan Sorrenti. I suoi primi due album sono considerati oggetti di culto nel settore, e ne parleremo di certo. Qui lo citiamo perché questo disco di Vecchioni è suonato da tre persone: due venivano dai citati dischi di Sorrenti (e uno di loro due era un certo Toni Esposito, uno che prima di entrare nella band di Pino Daniele lo potevi incontrare per strada che suonava stoviglie e altre percussioni improbabili), mentre il terzo era Massimo Luca, uno a cui poi capiterà di scrivere Goldrake, ma qui sembra Hendrix. Si perché fin da questo album si nota una tendenza di Michelangelo Romano, il produttore che accompagnerà Vecchioni in tutta la sua fase di affermazione definitiva: quella di associare a ogni uscita uno o più brani arrangiati con uno stile decisamente riconoscibile, e sempre diverso. Così, abbiamo il Vecchioni sorrentiano, hendrixiano, younghiano, pinkfloydiano, branduardiano, eccetera.
Inutile dire che anche questo LP vendette pochissimo, e non andarono troppo meglio i due successivi (quello del 76 è un vero capolavoro): per vedere Vecchioni sfondare, dovremo aspettare Samarcanda. Per campare, intanto, il Professore scrive la soundtrack di Barbapapà (e in qualche brano ci canta pure: fate mente locale, è quello che recita i nomi dei personaggi...). Come al solito, vi propongo il link da youtube con tutte le tracce, e vi invito ad ascoltarle con davanti le mie note brano per brano:
  • Intervallo I - Breve introduzione alla tematica del disco - "con la cultura non si mangia ma talvolta ci si muore", che riprenderà molte volte in futuro
  • Teatro - Sviluppo della tematica con brano rozzo ma piuttosto riuscito, in cui splende l'arrangiamento scarno e ruvido
  • Intervallo II - Riproposizione della strofa del primo brano con una seconda a seguire; in mezzo, una lunga schitarrata hendrixiana di Massimo Luca
  • Il re non si diverte - Tema classico (le citazioni letterarie stanno a Vecchioni come le buche alle strade di Roma) sviluppato in "nove minuti nove" con la musica che cambia con le situazioni: è il brano più prog, e il più bello
  • Giuda (se non hai capito...) - Sposa la tesi già dei vangeli apocrifi, e dell'allora fresco Jesus Christ Superstar, secondo cui dalla premessa logica dell'onnipotenza e onniscienza di Dio non può non dedursi che la vera vittima dei vangeli è il povero iscariota ("e ti serviva un uomo da usare e buttar via appeso ai nostri buoni così sia") - Da notare il duello di bonghi finale tra Esposito e chissachì
  • Messina - Per uno di Reggio Calabria lo stupore di vedere una canzone intitolata alla città dirimpetto fu tanto, ma niente paura: viene citata come metafora di "sentirsi fuori luogo" - Anni dopo scoprirò che anni prima Modugno aveva intitolato una canzone proprio a Reggio Calabria, dal cui ascolto sia la mia città che proprio Messina ne escono decisamente meglio
  • Ninna nanna - Altro tema ricorrente in Vecchioni: il rapporto con la madre - Il capolavoro, Madre appunto, arriverà qualche anno dopo
  • Sabato stelle - Si chiude con la ripresa in soggettiva de I pazzi sono fuori dell'anno prima: il dialogo con una ragazza ricoverata in manicomio (si, c'erano ancora) - L'arrangiamento di questo brano come dei due precedenti è meno anticonvenzionale dei primi 4, come se già ci stessimo avviando alla cifra stilistica del Vecchioni successivo.

sabato 14 dicembre 2019

GOD SAVE THE QUEEN

Il primo strappo è prossimo. Ora speriamo che si dilanii...
Degli inglesi ho sempre invidiato poche cose (del resto il cibo è pessimo, il clima pure, l'aspetto fisico c'è molto di meglio, eccetera), ma una di queste è l'inno nazionale: diciamolo francamente, la nostra marcetta non aiuta certo gli atleti a mettersi sugli attenti seri pensando all'amore per la Patria, gli abbiamo fatto la testa tanta per convincerli ma di certo nessuno di loro pensa al testo mentre lo canta, altrimenti gli scoppierebbe da ridere. L'elmo di Scipio, stringiamoci a coorte siam pronti alla morte... ("aaaa cchi?" direbbe Totò "sarai te pronto alla morte, io sono giovane voglio campare ancora quei sessanta settant'anni..."), schiava di Roma, e cito solo brani dell'unica strofa che conosciamo tutti e infatti la ricantiamo al posto del seguito che nessuno conosce. Volete mettere l'inno della Gran Bretagna? Con quello si, che trovi la forza di resistere ai tentativi di invasione di Hitler, altro che della replica moderna dell'espansionismo tedesco che per fotterci hanno chiamato Unione Europea. Pensateci, ai partigiani che cantano l'inno di Mameli invece che Bandiera rossa...: col cavolo, che ci vanno sui monti!
Tra l'altro, ai britannici quando hanno un re maschio gli basta cambiare Queen con King, non ne soffre nemmeno la metrica figurarsi il senso, che è che la sovranità di un popolo è l'unica cosa che ne salva l'identità, e il destino quando occorre. Se poi il simbolo è in carne ed ossa, e viene mantenuto al centro di un teatrino piuttosto caro, significa solo che è reputato molto importante; e poi non è che il nostro teatrino costi meno (in fondo Mattarella vive in un palazzo reale, spesso ce ne dimentichiamo), è solo meno efficace, come scherzando e ridendo ci dimostra persino Cetto Laqualunque in questi giorni al cinema.
Tant'è, ma a prescindere del tipo di rappresentazione ideologica che scegli per incarnarla, e della sua maggiore o minore efficacia, la sovranità di un popolo è quello che gli consente di esercitare, se davvero ce l'ha, la sua prerogativa democratica di scegliere i politici che lo devono governare in base alle politiche che dichiarano di voler applicare, tra cui le più importanti, e di gran lunga perché senza di esse tutte le altre si riducono a presa per i fondelli, sono quelle economiche e finanziarie. L'UE stringi stringi questo è: una serie di trattati sovranazionali architettati con l'unico scopo di disinnescare le prerogative democratiche dei popoli degli Stati che sciaguratamente vi hanno aderito.
Mio papà mi ha insegnato, quando andavo crescendo e volevo andare in discoteca (ai miei tempi, era di pomeriggio...), che quando entro in un locale qualsiasi la prima cosa che devo controllare è dove sono le uscite. Con un occhio, magari senza pensarci, ma farlo. Abbiamo sentito in questi anni fin troppi fatti di cronaca in cui averlo fatto ha aiutato molti, accanto al sempre predominante "fattore C". Ebbene, fosse anche questo il solo motivo, che i trattati a cui si andava aderendo non prevedevano una via d'uscita codificata, la semplice prudenza avrebbe dovuto consigliarci di non entrarci.
Ma pazienza, ci hanno allettato, ci hanno promesso prosperità, ci hanno detto che eravamo troppo piccoli per difenderci da soli nel mondo globalizzato ma invece l'Unione avrebbe potuto salvare il nostro modello di vita e i nostri valori, e gli abbiamo creduto. Ma oggi? Oggi abbiamo visto ad una ad una tutte le promesse sgretolarsi come un intonaco messo male mettendo a nudo le architravi di un sistema costruito a solo vantaggio di una parte degli aderenti e a danno di altri tra cui noi. Abbiamo visto che se proviamo ad eleggere chi ci promette se non di uscire dalla trappola almeno di inceppare i meccanismi che fanno figli e figliastri, fanno di tutto ma proprio di tutto (leggi elettorali, denigrazione mediatica, serpi in seno, eccetera) per vanificare le nostre scelte democratiche (e si, magari c'erano pure difetti d'origine nel progetto grillino, ma era l'unico che c'era in campo no-euro, e ora ci è rimasto solo Salvini, forse) per neutralizzare la nostra volontà e sfiancarci. E soprattutto, abbiamo visto cosa succede a chi, avendo individuato finalmente con chiarezza i propri interessi e avendo votato democraticamente in tal senso, decide liberamente di uscire dall'Unione Europea, senza nemmeno trovarsi come noi al denominatore del rapporto di potere al suo interno, anche perché non aveva accettato le catene più grosse, quelle dell'unione monetaria. Succede che sono anni che li deridiamo perché a voler uscire si dimostrano stupidi, tentiamo di dividerli facendo leva sui loro nazionalismi interni e blaterando che sarebbero i vecchi babbioni che vogliono uscire rubando un futuro radioso ai loro giovani, li imbrachiamo in trattative estenuanti derivanti dalla succitata mancanza di regole prefissate per l'uscita, li sfidiamo a rivotare convinti che nel frattempo si sono "rinsaviti", ed ecco che una cosa decisa da un popolo nel 2016 si realizza solo nel 2020 (e facciamo gli scongiuri, "non dire gatto se non ce l'hai nel sacco": Trapattoni rules).
Ma, e qui c'è il lato positivo della faccenda, la lezione che dovremmo trarne, alla fine la Brexit si realizza perché gli inglesi, e Mussolini lo sapeva per questo tentava di sfotterli con la Perfida Albione, sono un popolo vero, e un popolo vero più cerchi di costringerlo a fare una cosa più anche solo per tigna fa il contrario (la sinistra anche li la votano oramai solo quelli coi soldi e la casa in centro). La loro sovranità è incomprimibile, è Dio che la salva, se lo ripetono ogni volta. E ce lo sbattono in faccia.
I nostri commentatori che prevedevano sciagure sono già serviti, se leggete come i famigerati mercati hanno reagito al plebiscito pro-tories e pro-exit. E non hanno visto ancora niente, perché senza legacci uno Stato sovrano può fare quel che vuole, e si: anche sbagliare, perché un popolo in democrazia ha anche il diritto di sbagliare. Ebbene, visto quello che ha potuto fare e che risultati ne avrà la Gran Bretagna, immaginate che noi potremmo scioglierci da legacci ben più stretti, ed avremmo ben più slancio da prendere. Non dimenticate (voi che avete l'età), e sappiate (voi che non ce l'avete), che prima che ci fregassero col monetarismo e l'Euro (leggete l'ultimo rapporto Censis e inorridite, please) gli inglesi li avevamo superati e i tedeschi li avevamo nel mirino. Non dico che possiamo puntare a tornare ad essere la quarta economia del pianeta, perché nel frattempo sono emersi altri attori, ma possiamo e dobbiamo giocare la nostra partita con le mani libere, le leve dell'economia e della moneta in mano a un governo eletto liberamente da noi perché faccia quello che vogliamo noi, e non perché ci convinca che nel nostro bene dobbiamo fare quello che decidono le banche altrui e nell'interesse altrui, come è da quasi 30 anni ormai.
Pochi giorni fa è stato il 50simo anniversario della madre di tutte le stragi, quella di piazza Fontana. Una bomba in una banca. Nello stesso giorno, bombe in altre banche, alcune con feriti altre fermate in tempo. Poco prima, un governo Moro aveva varato gli ultimi "biglietti di Stato a corso legale" d'Italia, le cinquecento lire, con la collaborazione proprio di quelle banche li, pare. Forse è una ricostruzione a posteriori, forse una coincidenza. Ma con quel boom finiva il Boom e iniziavano la strategia della tensione e gli anni di piombo, la separazione tra Tesoro e Banca d'Italia, il craxismo, e infine tangentopoli e le stragi cosiddette di mafia. Un lungo filo rosso con cui ci hanno indotto a rinunciare ai sogni con la paura. Un filo di cui Maastricht e l'eurozona sono il nodo e il fiocco, il MES la coccarda. Bisogna trovare il coraggio di tagliarlo. Gli inglesi hanno tracciato la via.

lunedì 9 dicembre 2019

MES...TAIAPIJAPERCULO?

Quelli che di solito rompono i cosiddetti con la metafora dello Stato-come-una-famiglia, che come più volte abbiamo riportato non ne esistono di più sbagliate, oggi che questa sarebbe utile a spiegare a mia zia con la terza elementare il famigerato MES, citato ad ogni telegiornale col nome orwelliano di "salva-Stati", si guardano bene dal ricicciarla. E allora lo faccio io.
Immaginate che arriva un funzionario della vostra banca (ma se preferite una metafora assicurativa, è qui), uno di cui vi fidate, a casa vostra per proporvi questa cosa qua: siccome la tua famiglia come tutte potrebbe avere un periodo in cui gli gira male, aderisci oggi al "fondo-salva-famiglie", mi dai tutti i tuoi risparmi, anzi siccome ho determinato io le quote e tu non hai risparmi ma debiti prendi altri soldi in prestito per saldarmi la tua quota, ma da quando aderisci alla prima difficoltà interviene il fondo e ti salva! Come dici? ti dà i soldi che ti servono? no, te li presta a interesse. Si, anche se in parte erano già tuoi e per darglieli li avevi presi a prestito a interesse, aggravando la tua situazione e anticipando il momento in cui ti sei trovato nei guai. Ah, e te li presta solo se tu togli la paghetta ai figli, la palestra e l'estetista alla moglie e ti vendi la racchetta che tanto niente più spese pazze tipo un'oretta di tennis ogni tanto. Ora, la domanda è: a questo bancario, quanto impieghereste a prenderlo a calci in culo e cacciarlo di casa?
Ecco, lo stesso tempo dovreste impiegare a maledire fino alla settima generazione ciascuno di quei politici che sta tentando ogni giorno in ogni modo di convincervi che l'Italia deve aderire al MES per il suo bene, e di quei giornalisti che gli reggono il gioco. E se no, vi siete meritati l'ennesima inculata che questa Unione Europea ha apparecchiato per voi: un altra mandata alla chiave di quella gabbia che con gli Stati sovrani ha di fatto buttato nella mondezza della Storia il concetto stesso di democrazia sostanziale.
Questa folgorante vignetta io l'ho trovata in questo post di Fulvio Grimaldi
Detto che finalmente se ne accorge anche qualcuno a sinistra, resta da osservare con enorme tristezza la parabola in picchiata di quel moVimento che era parso a molti, come a me, poter incarnare la speranza di difendere i principi della nostra Costituzione dall'assalto della globalizzazione e del suo sicario Eurozona. Oggi, Salvini a parte con la sua purtroppo bassa credibilità (ha imbarcato Borghi e Bagnai, si, ma non ha sbarcato Giorgetti e tutti quelli che votarono il pareggio di bilancio in Costituzione e tutte le altre porcherie), stanno nascendo alcuni soggetti politici che aspirano a intercettare il vuoto lasciato dall'implosione dei cinquestelle (spiace non riuscire nemmeno più, come fa Grimaldi, a considerarli il male minore: è perché sono alleati col maggiore), ma fino a che non raggiungono una massa critica capace di incidere (cosa che i grillini grazie a Grillo fecero in un amen) non si può andare oltre all'osservarli con simpatia (ad esempio, di VoxItalia ho già parlato, ora arriva lo statuto di Liberiamo l'Italia). No: le Sardine non sono tra questi, tanto è spudorato il loro derivare dall'establishment e puntare a favorirlo raccattando e neutralizzando la voglia di protesta dei tanti ragazzi che non sanno neanche individuare i propri stessi interessi.
Ora, basta nostalgia, se non vi sono bastate le semplificazioni a capire che razza di fregatura che ci stanno propinando, e perché sarebbe meglio una crisi di governo al buio della prosecuzione di questo inguacchio, proviamo con la logica. Leggiamo, ad esempio, questo articolo descrittivo di uno di quei siti che siccome ti vendono comparazioni in pratica facendo da intermediari evoluti, evitano come la peste di prendere posizioni politiche che possano alienargli parte della clientela: eppure, appena finite di leggerlo, vedrete, cominciate a camminare col culo alle pareti. E se non credete a me o al vostro istinto, forse vi servirà sapere che non è una boutade di Salvini o una trovata della Meloni, ma ci sono fior di economisti a dichiarare più o meno che l'Italia dovrebbe resistere a questo ulteriore sopruso come Asterix ai romani.

mercoledì 4 dicembre 2019

RADIOCIXD 8: LOVE OVER GOLD

Cinque pezzi cinque. E' il quarto album, e per un gruppo dove c'è un leader assoluto chi ne capisce sa che ognuno può essere l'ultimo. Specie se tra gli altri c'è chi non gli riconosce la leadership. Infatti i Dire Straits dureranno ancora pochi anni, fatto salvo una reunion di un decennio dopo (che una reunion non si nega a nessuno e i soldi piacciono a tutti), e avevano iniziato a morire già durante la realizzazione del mitico Making movies (che sicuramente prima o poi troverete recensito in questa rubrica), quando David Knopfler, fratello del dio-della-chitarra Mark, lasciò la band per intraprendere una carriera solista che finirà prestissimo, per quello che se ne sa (quindi si).

Quando uscì questo Love over gold io avevo vent'anni. Lo so, non ho meriti in questo, ma non è la stessa cosa se quando hai vent'anni esce il quarto album dei Dire Straits oppure il secondo di Sferaebbasta. L'album precedente, il succitato Making movies, lo avevo in radio, dove mettevo su un piatto il 33 giri sull'altro il 45 per mixando allungare all'infinito l'assolo di coda di Tunnel of love, e i due ancora precedenti me li andai a comprare usati al mercatino di Portobello a Londra, assieme alla colonna sonora di Local hero. Invece questo mi pare di ricordare che fu il mio amico (nonché anch'egli per breve tempo dj) Saverio a comprarlo appena uscito, e subito me lo prestò per registrarmelo (la cosa si usava, ma magari non così subito), quindi corsi a casa prima ancora di averlo mai ascoltato altrove. E' una emozione che vi ho già forse raccontato a proposito di altri dischi, e per altri ancora lo farò. Ma qui stiamo parlando di uno degli attacchi più strepitosi dell'intera storia del rock.
Non te lo scordi più, perché è a tradimento: le prime note sono dolci, accoglienti, sembra introducano un brano romantico, ma poi... Poi, entra uno strappo di chitarra elettrica che ti eviscera come un pescatore un'alice, istantaneamente e con indifferenza passando avanti, specialmente se come al solito hai messo lo stereo al massimo e ti sei seduto di fronte alle casse a tre uscite sapientemente orientate, nel buio della tua cameretta. Ma anche se lo sentite come si usa oggi, in bassa qualità e a basso volume, potete capire: è di un tipo mai sentito, come molti dei passaggi di questo straordinario musicista. E non si può descrivere. Ecco quindi come al solito il link al full album su youtube (ma attenzione che stranamente le canzoni vi sono presentate in ordine inverso, dovete sentirle da sotto in su), e poi la tracklist commentata ad accompagnare l'ascolto:
  1. Telegraph Road - Non è una canzone, è un romanzo. Racconta la fondazione di una città (once upon a time in the west?), il suo sviluppo, la sua decadenza. Ma parla di tutte le civiltà, quindi anche della nostra, da un punto di vista così privato da risultare palpabile, così che il testo finisce per essere molto più politico di tanti altri che forse ne avevano più intenzione. Il tutto, sottolineato da un accompagnamento sempre cangiante, sempre perfettamente adeguato al testo, con assoli a volte strazianti e a volte travolgenti, come quello finale in cui chitarra piano e batteria si accavallano in un modo che non puoi stare fermo nemmeno legato. Uno di sola chitarra avrebbe portato i fan a pensare: "si, ma quello di Tunnel of love...". Questo no. Il brano dura quasi tutta una facciata del vinile, ma il tempo ti vola. E poi la rimetti dacapo. Provare per credere. Io la so tutta a memoria, e intendo non solo il testo, direi ogni singolo suono. Poteste aprirmi la testa, ne avreste la prova.
  2. Private Investigations - Sfiniti dall'ascolto ripetuto del primo brano, niente altro avrebbe potuto indurci ad andare avanti. Se non quello che arriva: un capolavoro di pochi minuti, lento lento, in cui una chitarra diversa, forse country, metallica, accompagna un testo introspettivo di livello assoluto. Le schitarrate strappaviscere ci sono pure qui, arrivano alla fine quando non te le aspetti più. Tranquilli, non è spoiler: vi sorprenderanno lo stesso.
  3. Industrial Disease - Un brano minore, di quelli che avercene oggi qualcuno capace di scriverli, ma in questo disco quasi sparisce, compresso tra capolavori.
  4. Love over Gold - Un'altra eroina, dopo le tante dell'album precedente. La title track è breve breve, ma giganteggia tra le altre due del lato B. Verso del secolo: "le cose che possiedi possono... scivolarti tra le dita come polvere...". Ma nella mia testa basta pensarla e mi suona tutta, anche questa.
  5. It Never Rains - Vale quanto detto per Industrial disease, ma quello è un rock troppo eighties, questo almeno suona più knopfleriano, compreso l'assolo finale che sfuma. E subito ti riviene voglia di ripartire con Telegraph road...

domenica 1 dicembre 2019

SMISURATE LE PAROLE

"La verità è odio verso chi odia la verità": togliere la libertà di
odiare è togliere l'ultima arma possibile a chi è stato maltrattato
Mi hanno invitato su Facebook, a un gruppo contro l'odio (si chiama proprio "basta odio"). E' stato un "amico da facebook", un cristiano con cui forse qualche volta ho giocato da bambino per strada nel quartiere, e che non so per quali vie mi ci trovi in contatto via social, non avendoci scambiato una parola almeno da 40 anni. Magari però è una brava persona, anzi ne sono certo, ed è questo il peggio. Il fatto è che l'odio è un sentimento, e io trovo abbastanza terrorizzante il fatto che di recente si sia addirittura deciso di legiferarci sopra: sarà che ho letto Orwell, ma davvero, non per finta citando la vulgata che parlasse in funzione anticomunista. Mi spiace declinare l'invito, ma io sono a favore, dell'odio come di qualsiasi altro sentimento sincero.
Perché? Come perché? Ma ditemi voi, se ad esempio il mio popolo viene sottomesso, sfruttato, schiavizzato e maltrattato, non avendo né la forza né la capacità o i mezzi per reagire, ma porcogiuda almeno il cazzo di diritto di odiare chi ci sottomette sfrutta schiavizza maltratta ce lo volete lasciare, o no? Avrei anche il diritto di ribellarmi, eventualmente, e se serve con la violenza, in tal caso. Per cui cambio esempio, facciamo che una intera classe di politici abbia svenduto il mio Paese al Nemico, o perlomeno che io creda liberamente (o volete togliermi anche la libertà di pensiero?) che questo sia esattamente il modo migliore per sintetizzare la parabola dell'eurozona (o se preferite, quella delle privatizzazioni, ad essa prodromica). Se io decidessi di tramutare il mio odio in azione, sarebbe perfettamente giusto, oltre che legittimo, che chi è preposto alla pubblica sicurezza cercasse di fermarmi, e chi all'azione penale mi processi e punisca a secondo di quale azione io sia poi riuscito ad intraprendere, e delle conseguenze che ha avuto. Ma io sono pacifico, voglio solo odiarli. E poter dichiarare liberamente il mio odio, magari esprimendo (beninteso, senza offendere o calunniare nessuno, che ricadremmo nel penale) le mie ragioni e le mie opinioni. Perché no? Perché "basta"?
Perché con la scusa di fermare l'odio, questi hanno messo nel mirino l'essenza stessa della democrazia. Siamo tutti sui social, chi più chi meno: basta settarli per intercettare delle "parole chiave" per fare fuori ogni forma di dissenso, ogni lettura della realtà differente da quella ritenuta ammissibile da chi detiene il potere. E il bello è che, grazie a questa sapiente operazione linguistica, in prima fila tra i censori oggi troviamo proprio coloro che ieri sbraitavano al conflitto di interessi di Berlusconi e alle varie leggi bavaglio che aveva tentato di approvare. Miracoli della neolingua: Orwell, appunto. Ma più fanno così, più mi viene da odiarli, e da dirmi sovranista anche se il termine è ormai usato con accezione spregiativa anche da chi prima se ne fregiava.
Che c'entra il sovranismo? Eccovi serviti: per demonizzare chi liberamente ritiene, magari sbagliando ma avendone pieno diritto, che gli Stati sovrani liberali siano stati nell'intera storia dell'umanità l'unico ente entro il quale la democrazia sostanziale si è un minimo attuata praticamente (non dimenticando che nelle poleis dell'antica Grecia ne erano esclusi le donne e gli schiavi, quindi tre quarti della popolazione), hanno scomodato persino la Treccani. Leggete, è un test: se non inorridite, siete anche voi persi alla causa. Pronti per essere messi in scatola come le "sardine", movimento concepito per intercettare e disinnescare gli ultimi afflati movimentistici eventualmente sopravviventi in quei giovani a cui hanno tolto tutto, speranza compresa, e ora gli tolgono anche le possibilità di ribellione, incanalandole in canali eterodiretti che fanno da valvole di sfogo. Come il neoambientalismo fanatico che si va affermando come una religione fin dalle scuole elementari: ve lo dico per esperienza quasi diretta.
La stessa sintassi vale per il consumo: ai cittadini tolgono sempre più capacità di spendere? La sostituiscono con l'illusione che comprando on-line a prezzi stracciati vengano compensati, magari nel quadro di iniziative come il black friday, che grazie alla neolingua da giorno singolo e sporadico è divenuto periodo ricorrente e più o meno lungo dove si gratta il fondo del barile di una domanda interna ridotta al lumicino (inoltre riversando gli utili quasi sempre in multinazionali apolidi e quasi esentasse), in violazione peraltro delle normative che volevano i saldi confinati in periodi precisi dell'anno.
Idem per la beneficenza collegata alle malattie, alla denutrizione, o agli eventi climatici o naturali in genere: per soppiantare il progressivo svuotamento delle istituzioni pubbliche della capacità di investire in deficit in qualunque campo, si solletica la umana pietà dei cittadini perché chi se lo possa ancora permettere in pratica si autotassi. Io uso questa tecnica, se volete imitarmi è gratis: chiunque blateri di ambiente, alluvioni, ponti che crollano, immigrati da salvare, malattie incurabili o piaghe sociali (e ce ne sono millanta ogni giorno) se subito dopo non aggiunge che lo Stato italiano dovrebbe recuperare la piena sovranità monetaria per investire nel risanamento del territorio, nel rifacimento delle infrastrutture dei trasporti magari con la loro rimodulazione in favore del marittimo, nell'accoglienza mirata, nella sanità pubblica statale (abolendo le asl, assieme alle regioni), eccetera, io lo mando immediatamente mentalmente affanculo, e se è in TV giro canale. Li odio, si li odio, e ne vado fiero. Poi, se ho due spicci che mi avanzano, decido io se e come darli in beneficenza, tra coloro che non mi hanno solleticato il velopendulo con pubblicità strappalacrime o serate con gli ospiti col numero appiccicato al petto.
Fate come me, smisurate le parole. Non possono chiuderci tutti i blog e i profili, sennò chiudono bottega loro.

lunedì 25 novembre 2019

DUE DI PIQUE'

Città del Messico, in 42000 ad un match di tennis, amichevole ma organizzato bene
Può anche essere che uno nasce incendiario e muore pompiere, ma stavolta non parlo perché con l'età sono diventato conservatore. Parlo di tennis, infatti, e parlo da appassionato praticante dello "sport del diavolo", l'unico coi punteggi architettati in modo che non sei mai sicuro di aver vinto se non hai vinto: puoi perdere anche da 6-0 5-0 e match point, è rarissimo ma è successo. Già i ritocchini per "televisivizzarlo" del NextGen quando impattano sul punteggio sono da rigettare con sdegno: i set a 4 e il killer point infatti snaturano questo sport, lo "sdiavolizzano" alquanto, in peggio superati solo dal supertiebreak al posto del terzo set che per fortuna per ora è relegato ai doppi. Ma in fondo quello milanese è un torneo sperimentale, neonato, e queste sono proprio le occasioni in cui testare novità per poterle valutare con calma al fine di con calma portarle al regolamento generale: come è accaduto col timer per servire e io magari auspicherei con il "falco" giudice di linea. Non si può usare lo stesso metodo con uno dei tornei più antichi non solo di questo, ma di tutti gli sport. Eppure con la Coppa Davis è stato fatto di peggio.
Faccio un passo indietro, e mi sforzo, visto che fin qui non l'ho fatto, di usare un linguaggio comprensibile anche dai non tennisti o filotali. E' successo che un giocatore di calcio ancora in attività con una carriera da manager già avviata sia riuscito a raccogliere una massa di soldi enorme attorno al progetto di riformare, anzi rivoluzionare, un trofeo con 119 anni di storia. Coi soldi, si sa, e oggigiorno poi, si può fare tutto, ma qui come altrove "lo sterco del demonio" non può nulla se non lo sai impiegare. E un "pallonaro" è la persona meno adatta, a mettere le mani nel tennis. Sarebbe come se Federer si mettesse in testa di riorganizzare i mondiali di calcio (scommettiamo che se volesse riuscirebbe a raccogliere i soldi necessari all'affare?) e però senza rispettarne lo spirito: che so, stabilendo che vince chi arriva prima a 4 gol con due di vantaggio e quanto dura dura, ma coi rigori sul 4 pari, e che si gioca tutto in tre stadi coi match a seguire, e tutti i giorni (mai capita sta storia che i calciatori se giocano il mercoledi sono stanchi la domenica: a parte i tennisti, che per vincere un torneo giocano almeno un paio d'ore ogni giorno anche a livello amatoriale, basta guardare il mazzo che si fanno in giro per gli USA i cestisti NBA, o i ciclisti nelle corse a tappe, per sbottare che va bene che il calcio non è uno sport, ma almeno i professionisti per quanto li pagano e per come dicono li allenino dovrebbero poter giocare senza problemi minimo due o tre volte a settimana).
Il torneo visto a Madrid, ha ragione Panatta, a livello di organizzazione sembrava il challenger di Tirana, con tutto il rispetto per la capitale dell'Albania: due soli campi e mezzo, orari affastellati, incontri che finiscono all'alba, la possibilità di ritirarsi regalando set e punti agli avversari così dimostrando l'assurdità dei gironi a tre con ripescaggio delle 2 migliori seconde, eccetera eccetera. Insomma, tutto il peggio delle fesserie che fino ad oggi si erano viste solo nel calcio, oltre che negli altri sport di squadra quando cercano di scimmiottarlo. Una cosa ridicola, che porta il nome glorioso di una manifestazione che magari aveva dei problemi, ma piccoli aggiustamenti sarebbero bastati e avanzati a risolverli. Con la ciliegina sulla torta di un sacco di commentatori televisivi, e di protagonisti diretti, che arrampicandosi sugli specchi elogiavano la novità sostenendole l'inevitabilità, lasciando immaginare i diversamente (in assoluto) ma ugualmente (in relativo) lauti compensi elargiti più o meno palesemente, ad accrescere il senso di vomito.
Non so quanti soldi abbia raccolto Piquè per convincere l'ITF a cedergli il pacco e riuscire a realizzare questo obbrobrio garantendosi l'adesione di alcuni dei giocatori più forti (non tutti, il re e il suo delfino erano in giro per il sudamerica a spassasserla incassando borse paperoniche ma in cambio costituendo per il tennis un veicolo di promozione incredibile - basta guardare lo stadio di Città del Messico per credere, ma è stato un trionfo ovunque si sia giocato), né quanti ne abbia incassato di diritti televisivi e pubblicità. Ma chi fa le cose a pene di segugio prima o poi la paga: intanto gli spalti erano da mezzi vuoti a desolati (quando non giocava la Spagna: gli ha detto bene che è arrivata in fondo, insomma), fino a praticamente deserti per gli incontri che finivano di notte (e ti credo: per quanto avesse pagato il biglietto, per quale ragione uno spagnolo doveva svegliarsi rinco il giorno dopo per vedersi tutto il doppio inutile tra due squadre di cui non gli fregava niente?). E poi vediamo passata la novità e il battage relativo quanti soldi raccatta da TV e sponsor negli anni a venire, se non torna sui suoi passi apportando cambiamenti sostanziosi che rifacciano assomigliare la manifestazione a un evento tennistico (massima concessione ammissibile? una final four al posto della vecchia finalissima, e il resto tutto uguale a prima, che era una meraviglia vedere stadi pieni in posti dove non si organizzano tornei ATP, e carneadi che se la giocavano alla pari tre su cinque contro campioni talvolta persino battendoli, spinti dal tifo).
Infatti, quello che dimenticano Piquè e i suoi compari, quando si vantano del relativo successo (ingigantendolo e osando sbeffeggiare gli dei) della loro manifestazione che ha stravolto un mito, è che quel poco di straccio di successo che hanno avuto, l'hanno avuto proprio e solo perché hanno potuto usare il nome "coppa Davis", con tutto quello che evoca nella mente di chi l'ha conosciuta. Se il misfatto avesse la ventura di durare abbastanza da far sbiadire la memoria della vecchia Davis, il fallimento della nuova già oggi latente diverrebbe clamoroso. Meglio mollare subito e tornare al tuo caro pallone, sentiammé, ti conviene.

domenica 17 novembre 2019

RADIOCIXD 7: PATRIOTS

Selezionare un singolo album di Franco Battiato è impresa impossibile e necessariamente arbitraria, stante l'immensa variegata ed elevatissima produzione discografica dell'artista. Infatti, se il blog dura, e se questa sua rubrica dura, questo non sarà certo il solo di cui parlerò: è il primo solo perché nel 1980 fu il primo su cui diciassettenne dj misi le mani, per poi tornare indietro a scoprire il periodo elettronico intanto che attendevo le nuove uscite che si sarebbero susseguite numerose negli anni a venire.
Il disco del clamoroso successo fu il successivo, il celeberrimo La voce del padrone, ma già prima di Patriots Battiato si era fatto conoscere al grande pubblico con L'era del cinghiale bianco, accompagnato al violino dal Maestro Giusto Pio. Prima ancora, definirlo di nicchia è ancora poco: giovane musicista siciliano emigrato negli anni 60 a Milano per fare musica, il Nostro si era andato a comprare un accrocco elettronico come quello dei Pink Floyd, per farci una serie di album di culto, ma pochi soldi. Quelli, col moog in Italia ce li faceva solo Il guardiano del faro...
Quando decide di dimostrare che lui le regole dello showbiz fin li le aveva ignorate si, ma volutamente, iniziò ad applicarle cavalcandole con maestria fino a in parte riscriverle, superando quasi tutti gli altri nei risultati, e senza mai rinunciare a sfoggiare, sia tra le righe degli hits, sia dal vivo magari dietro gli "occhiali da sole per avere più carisma ed enigmatico mistero", tutto il suo profondissimo background culturale. E questo disco ne è un esempio perfetto.
Come al solito, mentre lo ascoltate (se serve, ecco il full album da youtube, dura poco più di mezz'ora, sotto la media già bassa degli ellepì in vinile, ma ne guadagnava sia la qualità media che la voglia di rimandarlo subito daccapo e approfondirne l'ascolto), o anche prima o dopo come vi pare, leggetevi se volete la mia particolarissima recensione (se non questa ben più documentata) traccia per traccia:
  • Up Patriots to Arms - No, non dirò che Battiato aveva già previsto il sovranismo, anche se mi piacerebbe che adesso riuscisse ad essere abbastanza più presente in pubblico da farci sapere cosa ne pensa oggi della nostra Povera patria. Ma tante, troppe altre cose le aveva previste, eccome. Riascoltate il testo con estrema attenzione, non fatevi distrarre dalla musica coinvolgente, anche se ad esempio il magnifico giro di basso (ancora più evidente in questa misconosciuta versione in inglese) rende la cosa molto difficile.
  • Venezia-Istanbul - E' il capolavoro assoluto dell'album (bellissima anche la versione di Nada), come si faccia a condensare tanto contenuto in un testo così breve è davvero un mistero: ogni verso richiede di fermarsi a rifletterci su una mezzoretta, l'ultimo ("E perché il sol dell'avvenire splenda ancora sulla terra, facciamo un po' di largo con un'altra guerra") è un monito da incorniciare e affiggere al muro al posto del crocifisso nelle scuole, non si offenda nessuno ma un tale sarcasmo mi sembra anche meglio in linea col migliore messaggio cristiano.
  • Le aquile - Ho saputo molto dopo che il testo non fosse suo, ma ho l'attenuante che lo sembra e tanto, eppoi chissenefrega, sentite come ci ha appiccicato bene la musica, sembra di volarci, con le aquile, cioè di camminarci.
  • Prospettiva Nevski - Il brano, ambientato a Lenigrado quando ancora non era stata improvvidamente ridenominata San Pietroburgo, è più noto nella versione di Alice (meravigliosa al punto di far suonare poetica la parola "orinali"), per cui in effetti era stato scritto, assieme a una carrettata di canzoni altrettanto belle tra cui Il vento caldo dell'estate, che fece conoscere Carla Bissi al grande pubblico, e Per Elisa, che le fece vincere l'edizione di Sanremo che a mia memoria è stata quella che più di tutte ha premiato la canzone migliore (ma non c'era il televoto...). Gli è che i due ai tempi stavano assieme, pare, e assieme andarono pure all'Eurofestival portandoci la canzone più sofisticata, e con enorme distacco, di tutta la storia di quella pacchiana manifestazione: I treni di Tozeur
  • Arabian Song - La passione di Battiato per la cultura araba diverrà presto notoria, ma ai tempi di questa canzone ancora non lo era. A me rimase impressa perché le parti in italiano narravano di una terra che ricordava la Reggio della mia infanzia, ma non sarebbe stata l'ultima volta.
  • Frammenti - Come promette il titolo, il brano mischia versi originali a citazioni di poesie notissime, perché fatte mandare a memoria a generazioni e generazioni di scolari. Fiorello prenderà in giro questo vezzo di Battiato, ma solo perché, ne sono certo, piaceva anche a lui.
  • Passaggi a livello - Questa chiude con una sventagliata citazionista, quasi a fare le prove per quelle notissime del disco seguente, quello che conoscete tutti. Forse ne parleremo, intanto "copritevi che fa freddo, mettetevi le galosce".

domenica 10 novembre 2019

PEUGEOT DI COSI'...

Forse la più bella Peugeot mai costruita, la cabrio che il tenente Colombo non si
decideva a cambiare mai: a dispetto di quanto vi dicono, sarebbe questa la scelta
più ecologia possibile, potersi tenere la propria auto per 50 anni. Magari: avevo
una 500L blu bellissima, e se non l'avessi incidentata andava ancora. Quelle che
fanno oggi, anche la vostra prossima elettrica, durano pochi anni. E non è un caso.
Lo spunto nasce come spesso capita dalla cronaca: quella che vi è stata presentata come la fusione tra gruppo FCA  e gruppo PSA, con commenti quasi sempre entusiastici o comunque magnificanti la creazione del "quarto gruppo automobilistico mondiale". Ne parlo (vincendo il pudore che mi dovrebbe derivare da una delle più grandi toppe prese su queste pagine, quando avevo creduto pure io al re magio Marchionne, anche perché ho già fatto più volte ammenda e comunque voi manco ve lo ricordate) perché, prima ancora di aver letto questo su libreidee, applicando il filtro empirico che da sempre consiglio anche a voi, avevo colto già nelle news del TG due aspetti decisivi, che con tecnica abusata non essendo possibile ometterli sono stati buttati li come fossero incidentali senza importanza: agli italiani la inutile presidenza, ai francesi il timone operativo, blindato da 6 membri su 11 del cda. In pratica, con la cessione ai francesi è stata completata l'opera di smantellamento di uno dei settori industriali rimasti in qualche modo italiani. Le assicurazioni sugli stabilimenti e i livelli occupazionali sono la solita inutile solfa: le fanno ogni volta, ma fate una foto alla situazione attuale e comparatela con quella di 40 anni fa e vedrete quanto valgono.
Certo, oramai siamo abituati a comprare straniero, io stesso ho una vecchia Peugeot su cui ho messo il GPL, che sarà mai? Ma è anche con questo argomento che hanno fatto fare al sistema industriale italiano, un mirabile esempio di sistema ad economia mista che ci aveva portato al quarto posto tra le economie mondiali, potendo rappresentare, se solo si fosse mirato a correggerlo anziché smantellarlo, ad essere un esempio di quella terza via tra capitalismo selvaggio e comunismo che ancora oggi è l'unico futuro possibile per l'umanità (della serie: o lo imbocca, o è spacciata), la fine che ha fatto.
Uno stillicidio di privatizzazioni, di cui lo stesso Prodi dichiara di essere pentito, che ha in pratica messo in mano a sciacalli, che prima o poi hanno volatilizzato tutto (monetizzando per se il monetizzabile, ovviamente), uno a uno tutti i gioielli costruiti sul sangue e il lavoro dei nostri padri. Settori interi, o comunque entità in grado di competere vincendo sul mercato mondiale, che tra le altre cose erano stati decisivi nell'attuazione dei nostri principi costituzionali, a cominciare dagli articoli 1 e 3, che non vi riporto nemmeno in link perché se non li sapete avete l'esempio di quanto schiavi siete ridiventati, sudditi e non più cittadini di una democrazia.
L'ILVA è in cronaca, ora si sente persino parlare di rinazionalizzazione, ma a parte che non gliela faranno di certo fare, a un governo debole come questo poi, è tutta la storia dell'acciaieria nazionale che è estremamente istruttiva. E la sintassi non è diversa da quella della telefonia, delle ferrovie, della chimica, eccetera eccetera, giù giù fino all'attacco al cuore del sistema delle PMI portato attraverso l'Eurosistema, se chiamiamo così il complesso di trattati e legislazione volto a blindare come fossero dogma la deflazione e la stagnazione.
Di pubblico resta ben poco, e quel poco viene gestito nel modo meno efficiente possibile, come ad esempio tramite la regionalizzazione che non è altro che una moltiplicazione di costi e una complicazione dei controlli (le regioni si che andrebbero abolite da domani, altro che le province), proprio per preparare la strada, anche attraverso la propaganda (sono quarant'anni che sentiamo che privato è bello pubblico è brutto, laddove erano proprio le leggi ante riforme varie che se applicate sul serio avrebbero consentito di avere una PA efficiente da subito) alla privatizzazione anche di questo poco. Ad esempio, la sanità. E' per questo che mi girano quando vedo in TV l'ennesima trasmissione con annessa raccolta fondi per questa o quella associazione meritoria, o l'ennesimo passaggio dello spot coi bambini bianchi malati o neri morenti o perfino pinguini in estinzione a ora di cena con musica melensa e voce suadente: perché quei soldi sono tasse mascherate che vi chiedono di pagare suscitandovi pietà, laddove le stesse cose che quella famosissima e meritoria azienda privata fa coi vostri soldi, ovviamente dopo aver trattenuto quei tre quarti del totale che gli servono per restare in piedi e avere un minimo di margine di profitto, le dovrebbe fare la sanità pubblica nazionale a gratis. Con efficienza totale del personale pena pubblico ludibrio e demansionamento alla nettezza urbana, e senza mai badare a spese per strutture e macchinari, stampando i soldi che servono per dotarsene, e tagliando metaforicamente le mani a chiunque ne approfittasse per alzare una sia pur piccola stecca.
Purtroppo quelli che si ricordano che un altro mondo è possibile stanno via via morendo, o invecchiando come il sottoscritto: è una delle loro tecniche, far passare il tempo, perché uno non si può scordare i diritti che aveva, ma suo figlio potrebbe non sapere mai che suo padre li aveva o che siano mai esistiti. Ma - scriviamolo sui "muri" - arriverà il tempo in cui, magari dopo la catastrofe prossima ventura, si capirà che senza una mano pubblica forte e severa nulla è possibile, perché il capitalismo NON, ripeto NON, contempla tra i suoi meccanismi quelli di salvaguardia minima indispensabile della vita e della dignità delle persone, o tantomeno del pianeta. Greta e i gretini sono solo una pantomima del capitale per autoassolversi, l'ambientalismo modaiolo delle auto elettriche e delle bottigliette thermos non risolverà nulla. Solo un nuovo socialismo sovrano può, forse, pianificare un livello di vita di tutti noi compatibile con le risorse non infinite della Terra, con disuguaglianze ridotte al punto da consentire la pacifica consensuale accettazione di tutti.
E qui ha ragione ancora una volta Bagnai: l'etichetta "sovranismo" è capziosa ed è un errore accettarla. Il suffisso "ismo" oramai ha fatto la fine di "poli" che significava città e ora significa tangenti: conferisce una connotazione negativa e non conta più che all'origine fosse neutra. Complottismo è vedere complotti ovunque, in italiano dovrebbe essere praticarli come metodo. Sovranismo quindi è propugnare idee retrograde laddove il futuro radioso è nelle organizzazioni sovranazionali. Peccato che queste ultime siano sempre a-democratiche e spesso antidemocratiche. Dobbiamo usare quindi nuovamente Sovranità. Fino a che formalmente non ci diranno che non è più così (e magari anche dopo, facendo resistenza ad oltranza, pensando come tutti i settari che la Storia è dalla nostra parte e il tempo è galantuomo), l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro che persegue l'uguaglianza sostanziale dei suoi cittadini più che il pareggio di bilancio. E no, non è possibile conciliare le due cose, chi ve lo ripete da decenni o è in malafede o è ignorante: lo Stato NON è una famiglia, e se un anno è in avanzo primario (e l'Italia lo è quasi ininterrottamente da quasi trent'anni), cosa indispensabile se vuole tendere al pareggio mentre prende i soldi a prestito e paga montagne di interessi su interessi, vuol dire che quell'anno ha tolto ai suoi cittadini più di quanto gli ha dato. Va fatto l'opposto. Ripeto: l'opposto di quanto fanno da decenni. Grillo l'aveva promesso e non l'ha mantenuto, Salvini lo continua a promettere e verrebbe voglia di metterlo alla prova, se non ci fossero già prove contrarie tra cui l'aver votato tra gli altri il pareggio di bilancio in Costituzione. Che va tolto, domani. No, ieri.
Tutto quello che crea lavoro o comunque ricchezza va rinazionalizzato. I servizi creano ricchezza perché se li passa gratis lo Stato non devi pagarli, sono spese in meno. Vuoi che lascio a casa l'auto: mezzi pubblici gratuiti per tutti, e ridondanti (se in un tratto in quella fascia oraria ne servono tre, ne prevedo quattro). Niente più ticket sanitari di nessun tipo. Eccetera eccetera. Reddito di cittadinanza vero, che visti i servizi gratis basta per campare, per tutti. E chi vuole di più si dia da fare. Col forfettario fiscale esteso a tutti i redditi da lavoro autonomo di proporzioni simili a quelli da lavoro dipendente. Non si può fare con l'Euro e in UE? si esce. Subito.
Anche perché gli altri, quelli che dalla UE ci hanno guadagnato, al ruolo dello Stato non hanno mica rinunciato. Chiedete ai tedeschi con le loro banche (no, non sono come le nostre...). E chiedete ai francesi con le case automobilistiche. E torniamo alla Peugeot, sapete chi è l'azionista di controllo? Esatto, lo Stato francese. Ecco che fine ha fatto l'ultimo pezzo di grande industria italiana, ammesso che la si potesse ancora chiamare così. Nelle mani dello Stato, ma non del nostro.
...
P.S.
Ho letto e riletto questo post, non ci dovrebbero essere parole intercettabili dagli algoritmi di Google o Facebook. Così siamo ridotti. Si sono fatti scudo dietro una anziana signora per varare una misura che più orwelliana non si può. Odiare è un sacrosanto diritto democratico. Fino a ieri era reato solo se il mio odio lo incanalavo in comportamenti penalmente rilevanti. Ma dentro il mio cuore e nella mia sacrosanta libertà di espressione nessuno poteva andare a sindacare. Oggi non più. Di questo stiamo parlando, non di antisemitismo e altre bandiere del genere. Che poi a entrare nel merito l'olocausto ebraico è solo uno, tra tantissimi altri meno e anche più gravi, dei massacri organizzati da cui prendere le distanze, semmai. Molti dei quali a danno degli arabi, che tra parentesi sono semiti pure loro...

domenica 3 novembre 2019

TANTI PICCOLI BERRETTINI

Ormai è ufficiale: l'Italia avrà dopo 41 anni un suo rappresentante al "masters" di tennis, come tutti giustamente continuano a chiamarlo a dispetto delle denominazioni ufficiali. Il lasso di tempo ne fa una notizia da prima pagina, quindi lo avete già sentito. Ma su questo blog, chi mi segue sa perché, non si può non parlarne.
Molte delle considerazioni che si possono fare, infatti e però, le ho già fatte poche mesi fa, a proposito della vittoria di Fabio Fognini a Montecarlo: basta rileggerle. Ma ce n'è qualcuna che si può aggiungere, o su cui si deve tornare.
  • Nel post di aprile citavo Berrettini più che Cecchinato come speranza che l'exploit del "fogna" non restasse isolato, anche se allora il primo era oltre il 50° posto e il secondo ancora vicino alla top 20 (ma era facile prevedere che il siciliano non ripetesse la semi 2018 al Roland Garros, meno magari che entrasse in una spirale così negativa come quella in cui è entrato dopo), perché intuivo vedendolo giocare, e non ero il solo perché bastava capirne un po' di tennis (anche se nessuno avrebbe osato una previsione di impennata così rapida), che sul ragazzo si poteva puntare (e vedrete che anche gli altri due che citavo non saranno da meno: sicuramente Sinner, diciottenne che da allora a oggi ha guadagnato forse duecento posizioni entrando in top100 e certamente onorerà la wild card alle Next Gen finals di Milano andando ben oltre la comparsata, ma anche Musetti ha un tennis bellissimo anche se deve ancora crescere tanto sia di fisico che di testa).
  • Quest'ultimo fattore è invece proprio quello che faceva intuire le potenzialità di "berretto", e che più ne rimarca la distanza da qualsiasi altro giocatore italiano forse addirittura di sempre. La facile battuta che viene è che come gestione mentale, sia in partita che in ottica azione su se stesso per migliorare e poter ambire a una migliore carriera, Matteo non sembra italiano, meno che meno romano. Si, c'è Andreas Seppi che deve al suo atteggiamento mentale molta parte dei suoi risultati, molto buoni e duraturi, a dispetto di mezzi tecnici e fisici buonissimi ma non eccelsi, ma lui è altoatesino quindi culturalmente è "tedesco". E lo stesso si può dire di Sinner, che pure ha tutto davanti: è bellissimo sentirgli dichiarare che gli US Open sono "il primo slam" che vorrebbe vincere, serio, come uno che è certo che ne vincerà più di uno. Ora, che queste caratteristiche si riscontrino in un ragazzo del sud (o c'è qualcuno che intende sostenere che Roma non sia una città meridionale?), e gli abbiano già consentito di raggiungere le finali ATP ad un'età in cui di solito i tennisti italiani devono ancora sbocciare (quasi tutti, anche le fantastiche ragazze di pochi anni fa, hanno raggiunto il loro top dopo i 27 anni... e a pensarci bene se fosse vero anche per lui lo potremmo vedere al vertice, una volta ritiratisi i 3 cannibali), è una splendida notizia che potrebbe essere foriera di bellissime cose per il nostro Paese: una sua emulazione avrebbe ricadute in ogni campo, non solo su quelli da tennis, relegando l'icona dei bamboccioni nei cassetti della storia. Vedete quante ragioni per fare il tifo per lui, che magari superi i suoi predecessori vincendola, almeno una partita al masters...
  • Sempre in quel post approfittavo dell'occasione per ricordare la straordinaria vittoria in coppa Davis di quell'Italia (Panatta Barazzutti Bertolucci Zugarelli), che portò al tennis tanti che ancora oggi siamo ancora praticanti. Lo rifaccio adesso, ma la ragione non è che anche con questi ragazzi oggi abbiamo chance di vittoria (e le abbiamo): la nuova Davis ha una formula sciagurata, e non può fare che una frazione della presa popolare della vecchia (della serie, non per forza tanti soldi portano a qualcosa di buono...). La ragione è che è tornata purtroppo d'attualità la situazione politica del Cile, che tanta parte aveva avuto allora a fare entrare nel mito la nostra impresa sportiva. E ogni occasione è buona per esercitare la memoria storica, senza cui ogni popolo è destinato a perdersi. Avrete anche voi sentito delle imponenti manifestazioni di piazza in Cile, anche voi restandone spiazzati: ma la dittatura non era finita parecchi anni fa? La dittatura si (per quanto non mi stancherò mai di ripetere la lezione del professor Chiodi di Scienza della politica: la democrazia non intacca la formula del potere, la dissimula soltanto, e meglio del comunismo), ma i suoi presupposti no: il Cile di Pinochet (insediato con un golpe l'11 settembre, evidentemente la data piace ai servizi segreti americani...) fu il terreno su cui i Chicago boys sperimentarono il neoliberismo estremo, poi applicato in tutto il mondo Italia compresa, qui attraverso il cavallo di Troia chiamato Unione Europea per ingannarci. E oggi, chiunque vi vinca le elezioni, resta uno dei Paesi al mondo dove è applicato con maggior rigore (persino l'acqua è privata, come da noi si è scongiurato solo grazie a un referendum e manco del tutto, giusto l'aria ancora no). Rammentarsene, aiuta a capire.
Fatte queste, torniamo al nostro eroe, per alcune non secondarie considerazioni tecniche. E' il primo italiano tra i Big Servers, e la cosa non deve essere senza un ruolo proprio nella sua tranquillità mentale: anch'io sarei meno umorale in campo se sapessi che se mi concentro sul servizio in pratica parto da trenta a zero... Ma se il drittone alla Delpo gli è naturale, nell'ultimo anno si è costruito un rovescio più che decente, che può giocare sia coperto che slice, e non è malaccio nemmeno a rete. Se continua a lavorarci come ha fatto in questi ultimi mesi, migliorerà dove gli serve. Ma stavolta parte da numero otto: da un lato è più difficile, ma dall'altro hai orizzonti davanti ben diversi...

venerdì 1 novembre 2019

ACCENDIAMO LA LUCE BLU?

Ho un'idea (a me, piace!): la prima metà legislatura lei si mette
comodo al governo di sopra, e io e la signorina ci stringiamo all'
opposizione di sotto; viceversa, la seconda metà legislatura, lei va
giù all'opposizione, e io e la signorina ci arrangiamo qui sopra...
Il cosiddetto progresso è una freccia bilaterale: per ogni aspetto per cui ti migliora la vita, ce n'è probabilmente un altro per cui te la peggiora. Ad esempio: vorrete mica paragonare oggettivamente un moderno Frecciarossa con un Rapido degli anni 70, foss'anche il mitico Aurora? Eppure, mentre sto comodamente spaparanzato in una poltrona di un Roma-Milano in 3 ore, ad abbottarmi gli occhi leggendo l'e-book (per i libri devo ormai inforcare gli occhiali da "preside": non è pratico in viaggio) o navigando in wi-fi gratuito sul tablet, e a sorbirmi per tutto il tempo le mille telefonate più o meno d'affari di tutti quelli attorno (decine di cafoni e cafone, che rifuggono ai tuoi tentativi di incrociarne lo sguardo per implorarli di smetterla, si badi bene anche se hai comprato il biglietto per l'area silenzio), a volte mi capita di avere nostalgia di quello scompartimento scomodo (ma più a occhio che in sostanza) dove alla peggio avevi a che fare con 5 sconosciuti che dopo un po' diventavano abbastanza intimi da potergli chiedere se, visto che era notte (le percorrenze maggiori le facevi di notte, le ore erano molte di più ma la maggior parte volavano via), se potevi spegnere la luce. E al suo posto automaticamente se ne accendeva una esile, blu, che ti consentiva di muoverti al buio se serviva ma anche di dormire un po' se ci riuscivi. Tra parentesi, la tratta Roma/Milano è il top, in altre le frecce sono perlopiù di altro colore e di minori vantaggi, ma sempre a prezzi almeno 5 volte quelli di un tempo.
Eppure, a sentire come te lo raccontano, la freccia del progresso va sempre verso un futuro migliore.  Siamo noi ostinatamente nostalgici, o sono loro che mentono sapendo di mentire?
La domanda è retorica: se io ho interesse a che una cosa si realizzi e ho abbastanza soldi per realizzarla, troverò conveniente dirottare una parte di questi per retribuire adeguatamente chi deve raccontare come e perché quella cosa sia buona e giusta. E se io per mestiere racconto le cose, troverò conveniente farlo per conto di chi mi paga e nel modo che lui vuole - al massimo, se mi serve mantenere sul mercato la mia immagine di giornalista indipendente, farò in modo di raccontarla in modo che sembri obiettiva, risultando alla fine perciò ancora più pericoloso di chi è invece visibilmente di parte. Inoltre, se la cosa per realizzarsi richiede un appoggio politico e/o accademico, troverò conveniente dirottare un'altra parte dei soldi per retribuire in qualche modo, anche non necessariamente illecito, chi la deve portare avanti. E dopo un po' non si troveranno più politici o studiosi che propagheranno idee magari giuste ma senza "sponsor".
E' per questa via che, ad esempio, si è affermata la narrazione della politica monetaria vigente come senza alternative, che non si studiano più nemmeno all'università. Così ad esempio può capitare, e vi giuro che capita, di avere a che fare con un ragazzo (peraltro bravo e simpatico) che perfettamente in buona fede si trincera dietro i suoi studi recenti per giustificare i misfatti della UE e stigmatizzare la brexit come una decisione presa dal popolo solo in quanto ignorante: non avendo studiato le teorie economiche alternative, come il sottoscritto ai suoi tempi e tutti quelli più vecchi di me (come ad esempio lo stesso Draghi), non gli viene nemmeno in mente che forse le cose non vanno come dovrebbero perché si sta applicando soltanto una delle teorie possibili, e segnatamente quella sbagliata. Mentre è proprio la cosiddetta ignoranza che consente al popolo ancora di fare le scelte giuste, che poi secondo il popolo stesso sono quelle che ti salvano il culo perché invece quelle sbagliate è proprio lì che ti vanno, come è da un certo punto in poi lampante che sia ad esempio qualsiasi cosa vada contro l'Unione Europea per come è (ed è stata disegnata così apposta, anche cambiarla non è che una pia illusione).
Solo non tenendo conto di questo fattore, allora, si può restare sorpresi di risultati elettorali come quello umbro di questi giorni. Se io passo dallo zero al 33 per cento avendo promesso in generale di rivoluzionare il sistema, e in particolare di fare un referendum sull'euro e comunque propugnare una politica economica espansiva esercitando in ogni modo possibile la sovranità, e poi pur di restare al governo mi alleo col partito che più di tutti ha legato la propria linea politica a quelle idee e pratiche che dichiarando di volerle combattere mi erano valse il consenso, non c'è nessuna sorpresa se mi ritrovo al 7. E, attenzione!, se io passo dal 7 al 37 per cento facendo le stesse promesse, magari pure più convintamente, e magari pure accoppiandole ad altre relative al fenomeno migratorio (magari "irrozzendo" una tematica non priva di fondamento, mentre gli altri fanno i fighi ma il fondamento che ha glielo negano), poi non posso sperare di farla franca se dovessi tornare al governo per poi marinarle.
Non è tempo di cantare vittoria, o dormire sugli allori. E' tempo di demolire le gabbie politiche che ci hanno portato a questo punto. Il popolo lo ha capito e voterà per chiunque prometta credibilmente di farlo, fino a che gli sarà consentito di votare. Se vuoi il consenso, devi seguire questa onda, magari cercando di tenere il timone verso le tue costellazioni ideologiche finché ci riesci ma seguirla, qualunque sia la tua collocazione politica. Se lasci il sovranismo, l'antieurismo e l'antimigrazionismo a Salvini, Salvini stravince. La sinistra può sperare di riprendere quota solo se si ricorda che le sue radici sono inter-nazionali (non globalistiche), popolari, costituzionali (l'articolo uno è il lavoro, l'articolo tre le pari opportunità, la moneta e il bilancio sono solo strumenti - e qui vi raccomando moltissimo la lettura di questo post di Zlatorog, che confronta i vecchi diritti che ci vanno togliendo con quelli nuovi che ci vanno dando, a proposito di freccia del progresso....), contrarie alla schiavitù e allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Che poi sono le stesse cose dette in sinistrese. Il movimento 5 stelle deve archiviare Grillo, principale artefice dell'intesa col PD, mandare a casa Di Maio (oggi, anzi ieri, altro che dopo la manovra responsabile di sta minchia) e rimettersi in mano a Di Battista e agli altri massimalisti, e non è detto che ciò basti a riguadagnare terreno, ma se non lo fa torna a zero in un amen.
Cronaca politica a parte, ci sono sempre nuovi esempi di sfrido tra narrazione e realtà, e il vostro devoto perdisonno vi saluta elencandoveli:
  • Mazzucco, ovvero l'uccisione di Al-Baghdadi somiglia a quella di Bin Laden, e dopo Al-Qaida e l'Isis si attende solo di sapere come chiameranno il nuovo spauracchio che gli consentirà di mantenere in piedi l'impianto neocolonialista;
  • Bifarini, ovvero come la fine del colonialismo, che già a noi stessi bimbi degli anni sessanta veniva raccontata come appunto una prova del progresso dell'umanità, non sia stata altro che una pantomima per instaurarne una versione peggiore, che attraverso fantocci corrotti guerre pilotate ed eccidi di massa di vario genere arriva fino alle miniere per le batterie dei telefonini e delle prossime must-have auto elettriche, ed è alla base di quei fenomeni migratori che più vivi in periferia e degrado più subisci più voti Lega, più istruito e desinistra sei meno capisci e più pagheranno i tuoi figli quando non riuscirai a dargli nemmeno una piccola parte dei mezzi e degli orizzonti che ti hanno dato i tuoi genitori;
  • sempre Bifarini sull'immigrazione, qui concentrandosi sull'affare rimesse degli emigrati e su come ci si stia tuffando Zuckemberg...;
  • Comedonchisciotte, ovvero almeno un'altra campana sul caso curdo, la Turchia, eccetera, la vogliamo sentire, prima di mettere like a cavolo su Facebook?
P.S. A proposito di luce blu, pare che il videoblog Byoblu, da sempre seguito da questo e molti altri spazi di controinformazione, stia riuscendo ad organizzarsi in canale televisivo nazionale: sarebbe ora, di avere uno spazio di libera informazione sulla TV generalista, che magari ci relazioni di iniziative come questa sovranista, vitali per il nostro futuro ma oggi passate sotto silenzio generale...

sabato 26 ottobre 2019

RADIOCIXD 6: LINDBERGH (LETTERE DA SOPRA LA PIOGGIA)

Quando è uscito questo disco avevano da poco arrestato Mario Chiesa. Ai più giovani questa nota dirà poco, ma a noi vecchietti no: era appena iniziata quella che ci sembrava una rivoluzione ed era una restaurazione, quella che ci sembrava una liberazione e avremmo capito molto dopo non era che la fine di quel poco di libertà che una guerra persa e un territorio occupato ci aveva concesso, quella che ci sembrava finalmente un dono del fato e si sarebbe presto rivelata un cavallo di Troia.
Fossati tutto questo non poteva saperlo ai tempi di quest'album, le cui canzoni peraltro erano state ovviamente scritte prima del fatidico accesso al Pio albergo Trivulzio, solo la sensibilità di artista visionario del loro autore avrebbe loro consentito di essere ancora attuali 27 anni dopo. Ma questo non giustificherebbe l'aggancio alla politica con cui ho iniziato questa recensione. Quello è l'uso che si fece, pochi anni dopo, del "primo singolo" di questo album: La canzone popolare, infatti, fu l'inno ufficiale de L'Ulivo di Prodi e Veltroni alle elezioni politiche del 1996, quelle successive alla caduta del Berlusconi I per tradimento della Lega Nord (si, c'è un precedente, e allora il centrosinistra e la Lega ressero il Paese nel governo seguente, Salvini oggi ha poco da scandalizzarsi...), e l'immagine dei due ineffabili traditori del popolo (oggi si può dire, e da qualche anno, senza dubbio) mano nella mano ad esultare sulle note di Fossati a Piazza Santi Apostoli è di quelle che non si cancellano. Non portò benissimo: l'ineffabile Bertinotti fece cadere il governo pochi mesi dopo per via di una riforma pensionistica (che a confronto con quelle poi intervenute sarebbe un Eldorado), e il governo seguente fece capire a molti, ad esempio bombardando Belgrado, di cosa era capace il PD ancora prima di nascere. Pazienza: ad Adelante adelante di De Gregori era andata peggio pochi anni prima. Morale: se fossi un cantante famoso vieterei ai politici l'uso di un mio pezzo.
Il disco lo presi a noleggio in un negozio di quelli appositi che in quel periodo andavano per la maggiore. I vinili neanche li stampavano più o quasi, ormai, è da poco che sono tornati di moda (ma a che prezzo...), ma il noleggio consentiva a noi appassionati di ascoltare a una cifra ragionevole un disco magari di una band emergente, di fatto consentendo al mercato discografico l'ultima sua espansione significativa, le sciagurate strategie di retroguardia successive avendone impedite di ulteriori. E, se il disco ti piaceva, di comprarlo usato, dopo che aveva passato un tot mani di noleggio, a un prezzo ragionevole. Come feci appunto con questo, di cui come al solito vi fornisco il link all'ascolto completo, e subito dopo la mia playlist commentata per accompagnarlo:
  1. La canzone popolare - Come spesso capita, il brano più famoso non è certo il migliore dell'album: sarà per la marcetta facile, ma la pensavo così anche quando esultavo per avere vinto le elezioni (bisogna ascoltare il proprio istinto musicale, spesso ci piglia più della propria intelligenza politica.);
  2. La barca di legno di rosa (Un gran mare di gente) - I pochi di voi che hanno in mano la mia prima fatica letteraria, o che mi seguono quando ne parlo su questo blog, sanno che è introdotta in terza di copertina da questa meravigliosa canzone, col suo inciso che secondo me a invocare l'ispirazione vale "cantami o Diva del pelide Achille": "Ah, se potessi raccontare tutto quello che vedo e sento dall'orizzonte di questo cielo che picchia giù nel mare in questa notte cieca di luna, e te che stai ad ascoltare!";
  3. Sigonella - Non credo lo abbia fatto apposta, ma qui il Nostro canta della base militare simbolo della nostra sovranità limitata, e al tempo stesso dell'ultima volta in cui l'Italia ha tentato davvero di affermare la propria sovranità, proprio ad opera di quel Craxi che stava per essere cestinato;
  4. La madonna nera - Questa la capite se siete meridionali (e i genovesi lo sono, eccome), anche se non avete studiato che i culti mariani sono stati l'escamotage con cui la Chiesa ha portato alle processioni cattoliche popoli devoti alle loro Dee madri (si, anche coi Santi è più o meno lo stesso);
  5. Il disertore - Il brano è di Boris Vian, e manco la traduzione del testo è di Fossati, ma la resa di questa versione è tale da inorgoglire un obiettore di coscienza come il sottoscritto;
  6. Mio fratello che guardi il mondo - Questa meraviglia ha purtroppo il difetto di aver strappato nel tempo il record di strumentalizzazione politica al brano d'apertura. Ma resta un capolavoro assoluto, peraltro perfettamente compatibile con una lettura fuori dal coro dei fenomeni migratori...;
  7. Notturno delle tre - Come fosse una J'adore Venise parte seconda, questo gioiellino ha il potere di portarti dentro quella camera in quella notte, tutte le volte che la senti;
  8. Poca voglia di fare il soldato - Il disertore non ha disertato, ma dentro di se è come se lo avesse fatto;
  9. Ci sarà (Vita controvento) - Perché quelli delle città di mare lo sanno, tutti, che l'invenzione più importante della storia è la navigazione controvento: senza, nella vita, non si scopre mai niente;
  10. Lindbergh - Questo non è uno sguardo intimo nel cuore del primo trasvolatore oceanico, questo è uno squarcio nella vita di ciascuno di noi.

In evidenza

DEFICIENZA, NATURALE

Dell'argomento AI ne abbiamo già parlato come di uno di quei pericoli gravissimi verso i quali sarebbe opportuno porre argini non appen...

I più cliccati dell'anno