Per capire la differenza tra un campione di classe e un fuoriclasse le parole servono a poco. Peggio: più uno prova a parole a definire un fuoriclasse, più le cose che gli vengono fuori sono perfettamente applicabili a qualunque altro campione di alto livello, e allora non gli resta che sentirsi stupido e frustrato. Meglio rinunciare. Soppiantare le parole con esempi esperienziali, visivi uditivi o quant'altro a seconda di quale campo siamo. Si, perché la cosa vale in qualunque attività un essere umano possa esprimersi, arte gioco sport guerra mestiere che sia: un fuoriclasse è un fuoriclasse, e per capirlo devi "vederlo" all'opera e essere in grado di apprezzare le differenze nel campo in cui esso opera.
Lucio Dalla era un fuoriclasse. Lo dimostrerà definitivamente al mondo il giorno in cui scriverà il suo primo testo a una sua musica, e verrà fuori Com'è profondo il mare. Ma di questo parleremo e anzi forse abbiamo già parlato. Per la parte del mondo più attenta a quello che succede nella musica, infatti, egli lo aveva già dimostrato qualche anno prima. Ma forse occorre un attimo contestualizzare.
Ai tempi in cui uscì l'album di cui parliamo oggi, Dalla aveva trent'anni e alle spalle una carriera già solida. Come cantante mainstream, seppure già in qualche modo alternativo, aveva già fatto alcuni sanremi piazzandosi anche molto bene, con canzoni immortali come 4/3/43, per dire. Ma aveva avuto anche più di una discreta particina al cinema, e condotto in TV un programma di cartoni animati, di cui aveva anche cantato la sigla, per cui era molto amato da noi bambini dell'epoca (e si, se non hai almeno 55 anni non te lo ricordi, ma se li hai te lo ricordi benissimo...). Aveva la via del successo spianata, insomma, e se fosse stato quello, o i soldi stessi che ne derivavano, il suo motore interiore, avrebbe potuto senza problemi imboccarne uno qualsiasi dei rami aperti, o perché no anche tutti, per campare di rendita o almeno con poco sforzo. Se ci pensate, fanno quasi tutti così, anche quelli molto ma molto bravi.
I fuoriclasse no, i fuoriclasse fanno altro. Infatti lui d'istinto sente che l'aria musicale in Italia sta cambiando, che quel mondo, dove lui si stava ritagliando un posto sempre più grande, stava finendo. Aveva scritto musiche a volte già geniali per alcuni dei parolieri migliori sul mercato discografico di allora, ma si rivolge a un poeta delle sue parti, uno serio e tosto, tale Roberto Roversi, per partorire con lui tre autentici capolavori assoluti della musica italiana. Solo col terzo riconquisterà quel po' di notorietà che gli sarà da trampolino per il botto che farà a fine decennio e nei primi anni 80, con quella sequenza di album strepitosa che tutti ricordiamo a memoria brano per brano. Ma prima di Automobili, tra l'altro firmato Norisso e non Roversi per i dissidi tra i due o forse perché già con lo zampino di Lucio nei testi, ci sono due album rivoluzionari, che in pochi conoscono.
Il giorno aveva cinque teste è il primo dei due: uscito a breve distanza temporale da 4 marzo e Piazza grande, come prodotto ne è a distanza siderale da ogni punto di vista. Ancora oggi può essere considerato un prodotto di avanguardia. Io ovviamente a suo tempo, decenne, me lo persi: quando adolescente comprai Com'è profondo il mare per me Lucio Dalla era quello che seguivo bambino pochi anni prima. Ma presi presto il vizio di rovistare tra i banchetti dei dischi usati, e così misi le mani su questo disco di cui ignoravo l'esistenza. Come la maggior parte di voi oggi, a cui consiglio, se non proprio di procurarvelo (oramai a casa il giradischi lo abbiamo in pochi), almeno di ascoltarvelo su youtube, magari con la mia guida alle singole tracce (qui invece i testi completi) sott'occhio:
- L'auto targata «TO» - "Un'auto vecchia torna da Scilla a Torino, dentro ci sono dieci occhi e uno stesso destino": basta questo incipit a rimarcare la distanza dal vecchio Dalla e dal mainstream. Un minifilm con tanto di presentazione lampo dei singoli personaggi: un verso per uno e già ti immagini tutta la loro vita. Anche perché sei di Reggio Calabria e sei circondato da personaggi come quelli, tra amici e parenti, e presto potresti esserlo anche tu. La musica è un rock duro, a strappi, a darti la sua parte di schiaffoni unitamente alle parole. Dopo 45 anni, in giro è ancora pieno di terroni di vario genere che emigrano. Ma non c'è più nessuno che li sa cantare, tocca recuperare questa meraviglia.
- Alla fermata del tram - "Sembra che tutto funzioni a dovere [...] ma è solo perché camminano i tram": critica sociale minimal, con accompagnamento "futurista" che solo uno con la vocalità di Dalla poteva immaginare e realizzare.
- È lì - Scopri solo alla fine che hai ascoltato in pratica una versione cruda de La guerra di Piero, senza sepoltura nei campi di grano sotto i papaveri rossi a consolarti. La musica (in pieno stile progressive) è divisa in due parti nettamente diverse: nella prima, dura, il testo si ripete ossessivo fino a farti vedere il mucchio di sassi, rami e terra di cui parla; la seconda diventa più melodica, in efficacissimo contrasto con ciò di cui si racconta.
- Passato, presente - Anche qui la cesura musicale accompagna il cambiamento del testo, suggerito dal titolo. Ma non c'è niente di leggero in questo album, niente che puoi ascoltare superficialmente senza perderti qualcosa, nemmeno un brano interlocutorio tra due capolavori.
- L'operaio Gerolamo - La questione meridionale, quella operaia, l'emigrazione in Germania, i morti sul lavoro e il loro rimpiazzo in quanto numeri più che individui. Tutto in una canzone di tre minuti e mezzo.
- Il coyote - La gara è tra un coyote ed una stella, e vince il coyote, il basso sull'alto, lo sporco sullo splendente. E la canzone riesce pure a spiegarti come e perché. Se la ascolti da adolescente, ti cambia per sempre. Ecco perché agli adolescenti di oggi li imbottiscono di Baby K e Sfera Ebbasta (cito a caso, gli altri non sono meglio).
- Grippaggio - Anche qui andamento progressive, con la musica che cambia assieme alle cose raccontate dal testo, con apparenti protagonisti due lasciati a piedi dalla macchina quando non c'erano i telefonini.
- La bambina (L'inverno è neve, l'estate è sole) - Una bambina muore, forse, e tu viaggi con lei e quello che le passa per la testa in quegli istanti. Fino al libitum finale che sfocia in un assolo di sax ancora più bello di quelli successivi che conosciamo a memoria.
- Pezzo zero - L'unico brano dell'album che ricordo di aver ascoltato da bambino, probabilmente il fatto che il testo era sostituito dal solito gramelot dalliano avrà aiutato a superare il probabile embargo subito dagli altri brani per via dei testi scomodi oltre che della musica dalla fruizione difficile. Insomma, è il brano più facile, ed è tutt'altro che banale.
- La canzone d'Orlando - Breve brano di chiusura, dal testo classico e dalla musica relativamente semplice. Molti lo ricorderanno nella versione contenuta in Banana Republic.
Nessun commento:
Posta un commento