giovedì 31 dicembre 2009

TEMPO


Ricordo come fosse oggi la chiacchierata fatta trent'anni fa con Alessio, di cui da oltre vent'anni ho solo rade notizie di seconda mano (e nemmeno Facebook è onnipotente). Si parlava, perchè ai tempi si usava e non c'erano Amici e Il grande fratello, di robetta come la vita la morte e il tempo che passa, perchè ai tempi si usava perfino parlare di filosofia e di politica, tra adolescenti. Venne fuori che io avevo semplicemente il terrore del passare del tempo, e non è che fosse giustificatissimo vista l'età.
Passano gli anni, velocemente come sembra sempre guardando dietro, e le scelte fatte e i fatti accaduti dimostrano che su certe cose avevi torto marcio e su altre ragione da vendere, specie riguardo te stesso e come sei fatto.
Poi arriva qualcuno e ti regala una poesia. Non è bellissima in senso assoluto, ma con te ci azzecca alla grande. L'autrice si chiama Elli Michler, e (nemmeno Google è onnipotente) sul web sono riuscito a trovare solo la foto, il sito tedesco non funzionante e la voce wiki sempre in tedesco. Ma il testo di questa poesia l'ho ritrovato in mille altri blog. Com'era? l'amore più lo dividi più si moltiplica: questo è insieme il mio augurio di buon 2010 a tutti voi e il mio grazie a chi ha dimostrato di sapermi guardare dentro.


Ti auguro Tempo


Non ti auguro un dono qualsiasi.
Ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo per divertirti e per ridere:
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo Fare e il tuo Pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo non soltanto per trascorrerlo.
Ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti,
e non soltanto per guardarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno ogni tua ora come dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo,
tempo per la vita.

sabato 26 dicembre 2009

DAL VOSTRO INVIATO ALL'INFERNO


Come promesso, eccovi il resoconto dal vostro inviato sulla Salerno / Reggio Calabria.
  • 443 chilometri in totale, di cui:
  • 134 chilometri a una sola corsia per senso di marcia (con lavori in corso di una certa entità, quindi)
  • 152 chilometri sul vecchio tracciato (con i lavori non ancora avviati, e chissà in qualche lotto nemmeno appaltati)
  • 157 chilometri con lavori ultimati o quasi (di cui solo una quarantina, da Salerno a Campagna, in tre corsie).
In termini di percentuali, siamo rispettivamente a 35,4 % completati, 30,3 % in corso e 34,3 % nemmeno avviati. Non siamo al 33 33 e 33 di Leonardo da Vinci a Massimo Troisi e Roberto Benigni, insomma, ma l'impresa del Ponte sullo Stretto appare alla luce di questi dati ancora più velleitaria dell'introduzione della ferrovia secoli prima da parte dell'ineffabile terzetto comico.
Vale la pena rammentare, infatti, che i lavori furono fortemente voluti da Bettino nel suo canto del cigno politico, e per questo previsti nella maniera così assurda in cui vengono realizzati: anzichè - come sarebbe stato logico - costruire una nuova arteria magari lontana da Sila e Pollino, e utilizzare la vecchia fino a completamento della nuova per poi declassarla a strada per la mobilità locale, si è scelto di rifarla tutta sopra il vecchio tracciato, con l'aggravio di costi e di disagi per gli automobilisti che si può immaginare. Tra l'altro, già il vecchio tracciato era assurdo: rispetto al naturale andamento costiero della SS 18, si scelse di passare per Cosenza e soprattutto per Altomonte, restando costretti poi a valicare oltre i mille metri per scollinare a Lagonegro, per la ferma e potente volontà politica di un altro socialista, Giacomo Mancini, il cui figlioletto oggi è tra i maggiori fautori del Ponte - si sa, le tradizioni di famiglia...
Avviati nel 1997 dall'allora Ministro Di Pietro (ecco uno che morto politicamente Berlusconi finalmente ritroverà la sua collocazione naturale, a destra), si disse che i lavori sarebbero stati ultimati nel 2003. Oggi, a fine 2009 cioè dodici anni dopo l'avvio, come abbiamo appena verificato sono ad un terzo, e i due terzi che mancano riguardano i tratti più difficili, quasi tutti in viadotto o galleria, dunque se estrapoliamo che per il completamento mancano altri 24 anni forse ci stiamo tenendo bassi. Oggi ci vengono a dire che i lavori del Ponte sullo Stretto dureranno dal 2010 al 2016: chi sa fare due più due, proceda. C'è di più, per l'A3 molti subappalti sono finiti sotto inchiesta per mafia, e dei tratti completati alcuni sono stati sequestrati per anni perchè dalle intercettazioni era emerso l'utilizzo di materiali scadenti (si sa, per pagare le tangenti bisogna pur fare la cresta da qualche parte...). Oggi ci vengono a dire che il Ponte sarà al riparo da influenze mafiose, quando il General Contractor, cioè la figura che dovrà subappaltare i lavori senza esserne responsabile, vero colpo di genio legislativo berlusconiano applicato per la prima volta proprio per la A3, è proprio la Impregilo. Un nome, una garanzia che le cose per il Ponte saranno fatte proprio come per la Salerno/Reggio.
Tutto questo, a prescindere dalle considerazioni sulla inutilità, non redditività, non ben valutata antisismicità, antieconomicità, che oggi non mi va di ripetere. Oggi vi ho raccontato di una strada che ho fatto ieri e devo rifare domani: fossi credente, almeno, avrei chi pregare o bestemmiare. Invece devo solo prepararmi a soffrire laicamente...

giovedì 24 dicembre 2009

PRIME PIETRE E PRIMO MORTO


E alla fine c'è scappato pure il morto. Franco Nisticò da Badolato, responsabile del Comitato per la Statale 106 - che sarebbe sì un'infrastruttura fondamentale per lo sviluppo del territorio calabrese, è rimasto vittima di un infarto e pare di una presenza delle istituzioni sbilanciata molto più verso le forze dell'ordine che i mezzi di soccorso. Eppure non c'era nessuno a cui tirare modellini di ponte in faccia.
Così si sono svolti in contemporanea la posa della prima pietra del Ponte sullo Stretto e il funerale di uno dei suoi più fieri oppositori. Oddio, in realtà si sono avviati (si sono avviati?) lavori preliminari alla costruzione del Ponte, una variante ferroviaria che anzi dicono prevista e utile a prescindere, ma tant'è: un governo che campa di annunci e bufale con cui nutrire i suoi appassionati e numerosi (ma sarà ancora così?) elettori vuole il 23 dicembre 2009 da mettere sui libri di storia, e poi quello che conta è che si possa continuare a "ciucciare" soldi pubblici (solo ieri il commissario Ciucci ha ottenuto un aumento di capitale di 900 milioni, chissà se mai si riuscirà a capire quanto è costato a Pantalone il Buco Nero che si chiama Società Stretto di Messina...).
Ma c'è pure il risvolto comico. Esiste un Comitato Ponte Subito, che pur non avendo portato mai in piazza nessuno, a fronte delle migliaia e migliaia mobilitate ad ogni occasione dai No Ponte, riceve da un po' di tempo lo stesso spazio sugli organi di stampa locale, in nome forse di una equidistanza malintesa quanto sproporzionata è la "potenza di fuoco" dei pochi che il ponte lo vogliono a fronte di quella dei tanti che vorrebbero che quei soldi fossero spesi meglio. Ebbene, in uno di questi articoli, i Ponte Subito realizzano un autogolllonzo da fare impallidire quelli di Riccardo Ferri (o per noi attempati di Comunardo Niccolai): le argomentazioni scientifiche portate da un soggetto peraltro di parte crollano anche all'esame di uno studente delle medie. Leggete bene: l'ingegnier Fiamminghi si vanta che il progetto (ma quale progetto, che ancora non c'è?!) prevede che il ponte resista a un sisma di magnitudo 7,1 - pari a quello "del 1908, il più grave mai avvenuto". Notevole asserzione, davvero scientifica, considerato che la scala Richter è stata inventata nel 1935 e quindi non solo non c'è alcun modo di confrontare il terremoto del 1908 ad altri del passato nella stessa zona, ma nemmeno ad altri successivi nel mondo. Ma anche quando fosse corretta, è da folli progettare il ponte sospeso più lungo del mondo in modo che resista a una magnitudo così bassa. I cinesi, che hanno messo la prima pietra proprio ieri su un ponte lunghissimo ma con tanti piloni, lo hanno progettato per resistere a una magnitudo 8! Se avete seguito il link di prima sulla scala Richter, sapete che è logaritmica su base 10: un grado in più significa che il sisma è 10 volte più forte, uno zero virgola uno in più significa che è forte IL DOPPIO, quindi se il prossimo terremoto sarà 7,2 il Ponte, ammesso che nel frattempo sia stato terminato, crollerà certamente! Più avanti nella stessa intervista, l'ingegniere sostiene che il Ponte resisterebbe a raffiche di vento pari a 218 km/h, dimenticando però di dire COME può una struttura sospesa di tre chilometri farlo: ve lo dico io, oscillando per metri e metri. Analogamente ai grattacieli, ma ovviamente molto di più. Proposta: costringere Fiamminghi e tutti quelli di Ponte Subito a transitare avanti e dietro o anche solo a stazionare su un monovolume al centro del ponte durante una delle decine di sfuriate di scirocco che imperversano sullo Stretto ogni anno. Con l'ingegner Cane seduto accanto che gli vomita nel colletto.
Altro che manifestazioni sporadiche: se la gente di Reggio Villa e Messina ha ancora un briciolo di amor proprio e intelligenza, deve sdraiarsi davanti alle ruspe, anzi metterci i propri vecchi e i propri bambini. La montagna di soldi pubblici che sta per essere regalata a mafia e 'ndrangheta, producendo in cambio non un ponte ma cantieri infiniti e forse pure macerie eterne, deve essere dirottata altrove. Scuole, ospedali, ferrovie locali, forze dell'ordine in funzione antimafia, tribunali (altro che riforme, soldi ci vogliono, per rendere efficiente la macchina della giustizia!), incentivi all'imprenditoria giovanile, strade e autostrade.
A proposito, oggi mi tocca farmi l'A3: tra qualche giorno vi dico come sta messa. Intanto vado in meditazione zen, mi sa che mi serve.

venerdì 18 dicembre 2009

FERMIAMO I CANTIERI DEL PONTE


Domani ci sarà una grande manifestazione popolare nell'Area dello Stretto. Ci conteremo e vedremo quanti siamo, a lottare contro lo scempio del territorio, i regali alla mafia, la logica delle opere grandi e inutili, e per le opere davvero utili, in armonia col territorio, in totale trasparenza. Ma siccome molti siamo lontani, siccome tra Reggio Villa Messina e zone limitrofe se contiamo gli emigrati anche solo di prima generazione facciamo una metropoli vera, altro che una città metropolitana posticcia, ci sembra doveroso, disponendo di un blog, approfittare della possibilità, offerta da retenoponte.it, di offrire la diretta in streaming dell'evento: la platea va allargata, da ciascuno per quel che può.
Intanto chi volesse documentarsi potrebbe procurarsi l'ultimo numero di Left in edicola, o impostare la ricerca in contrappunti su "ponte sullo stretto" (tutte le parole) per avere tutti gli articoli postati negli anni da Gino Nobili sull'argomento. Ma intanto MOBILITATEVI: questi il 23 dicembre mettono mano ai lavori preliminari, il CIPE ha cominciato ad accordare aumenti agli stanziamenti (e il progetto ancora non c'è, si si avete letto bene: non c'è! - e indovinate chi è il presidente del CIPE? Cosentino, quello accusato di camorra a cui hanno appena salvato il culo....), e questo significa che inizierà in quelle meravigliose zone un calvario di lavori eterni. Eterni, mezzo secolo minimo: se ancora credete alle favole, tipo cappuccetto rosso o ministri che giurano che il Ponte sarà finito nel 2013, fatevi tutta la A3 e chiedete quando hanno appaltato progettato avviato i lavori, quando sarebbero dovuti finire e soprattutto se finiranno mai, e quanto giocano le varie mafie nei subbappalti, che vi trovate.
Tra i pochi segnali positivi, l'adesione di parte del PD alla manifestazione di domani, e il ritiro della morente giunta regionale calabrese da quel pozzo senza fondo di denaro pubblico che è la Società Stretto di Messina. Buona manifestazione a tutti!




martedì 15 dicembre 2009

UOMINI E DONNE


No, non sono impazzito, non sto citando la De Filippi, di cui peraltro non sono mai riuscito a vedere più di 30 secondi consecutivi di trasmissione... Anzi, dal giorno dello switch verso il digitale terrestre, o meglio da quando 15 giorni dopo mi sono deciso a dotarmi di un decoder, l'ennesima tassa mascherata di una maggioranza che da 15 anni le tasse le diminuisce a parole e le aumenta nei fatti, la TV generalista ho smesso del tutto di seguirla, preferendo le poche volte che l'accendo i vecchi incontri di tennis o i vecchi sceneggiati televisivi...
E' che mi sono imbattuto in un botta-e-risposta davvero molto interessante, sul tema del rapporto tra i sessi, che fa riflettere parecchio anche su una che dovrebbe essere tra le questioni in cantiere più importanti di un presunto nuovo fronte riformista, dovesse mai sorgere. Leggetevi il pungente intervento di Paolo Barnard poi la replica di Nicoletta Forcheri, infine la controreplica del primo, a partire dalla quale, riportata su comedonchisciotte, sono invece andato a ritroso io. Concludendo, forse un po' troppo ecumenicamente, che secondo me la loro polemica è sovrastrutturale; in sostanza invece hanno ragione entrambi, anzi forse sottintendono la stessa tesi: che la rivoluzione sessuale degli anni 60 e 70, come tutte le rivoluzioni, è rimasta in se incompiuta e anzi ha solo spostato il potere da una mano a un'altra, impedendo però per sempre al mondo di essere lo stesso di prima. E che è dalla sua rilettura che bisogna partire per una soluzione progressiva, e non regressiva sul piano dei valori come appunto tutte le raccapriccianti (per quanto false) discussioni in certe trasmissioni televisive e nei social network.
Insomma, non importa chi debba cominciare, ma il punto di arrivo dovrebbe essere più sesso per tutti, facile e ludico, e soprattutto gratuito. Solo così si sgonfierebbero i fatturati di prostituzione, pornografia, eccetera...
Forse sono il Cetto la qualunque di sinistra....

lunedì 14 dicembre 2009

TARTAGLIA, DAL TRIANGOLO ALLA QUADRATURA DEL CERCHIO BERLUSCONIANO



Non so quanti con me abbiano trasalito, vittime delle proprie rimembranze del liceo scientifico, alla pronunzia del nome dell'attentatore di Silvio Berlusconi. Tartaglia! Ecco che il povero Niccolò Fontana, geniale matematico di alterne fortune, detto Tartaglia per la balbuzie e con questo nome passato alla storia, sarà soppiantato nei motori di ricerca prima e nella memoria collettiva poi da un povero psicopatico dalla buona mira.
Il genio matematico di cui sopra, invece, addirittura legò il suo soprannome ad un famosissimo schema, il triangolo di Tartaglia appunto, utilissimo in pratica per tutte le equazioni e bellissimo da vedere come solo i miracoli della natura sanno fare, in tutte le sue incredibili implicazioni.
Che strano! Penso alle equazioni e mi viene in mente qualcosa rispetto ai "gradi di libertà", che poi hanno appicazioni in statistica, in meccanica classica, e per via metaforica piuttosto intuitiva nelle scienze umane.
Poi leggo che alcuni gruppi di Facebook, forse persino con me tra i loro iscritti (devo controllare...), e proprio tra i più numerosi, hanno nottetempo cambiato denominazione: ad esempio "No a Facebook a pagamento nel 2010!" è diventato "Solidarietà a Silvio Berlusconi". Altri berluscones meno raffinati hanno subito cominciato a sparare a zero, e a vanvera, contro l'eccessiva libertà di opinione nei social network e in Internet in generale. Per cui tenteranno di approfittare dell'occasione per ridurli, i nostri gradi di libertà nella vita come nel cyberspazio.
Ragion per cui, finchè ce lo lasceranno dire, noi siamo con chi, come il Direttore di Contrappunti, nello stigmatizzare quanto accaduto al Premier gli ricorda che è lui il primo responsabile del clima di odio in cui certe menti proliferano. O con chi ricorda che se si fosse dimesso per farsi processare, come qualunque suo omologo in tutti i paesi sedicenti democratici del pianeta avrebbe fatto anche per accuse molto meno gravi dell'essere il mandante di attentati di ben altra entità, sicuramente si sarebbe sottratto a quei pericolosi ed incauti bagni di folla. E non si sarebbe potuta leggere questa battuta, davvero gustosa: "sai qual'è la differenza tra Berlusconi e il suo attentatore? quest'ultimo sarà processato..." 
Che dire? mancava proprio, al circo messo su dal nostro Barnum della politica, Tartaglia l'attentatore psicopatico!

venerdì 11 dicembre 2009

IL COLORE VIOLA

Chi è attento a queste cose avrà notato che il blog da oggi ha una piccolissima novità grafica, adottata anche se non troppo stilisticamente corretta: i link passano da due gradazioni (visitato e non) di arancio a due gradazioni di viola. Tutto questo per ragioni politiche: il gruppo di Facebook che ha avviato la manifestazione dello scorso 5 dicembre si è clonato in un nuovo soggetto che intende emanciparsi dalla stretta cronaca, dandosi per nome "il popolo viola".
Guardando la classifica degli argomenti trattati sulla barra di destra, già si capisce perchè non potevo non aderire immediatamente. Ma se aggiungete che il nero e arancio originario del blog erano un tributo ad una squadra reggina di basket che si chiamava proprio Viola, ecco che tutto torna.
(Tra parentesi, l'imperfetto è per via del fatto che, dopo due anni di buio, la squadra neroarancio è tornata sulle scene, di un campionato minore, senza nessuna trasparenza societaria: fino a che c'è il dubbio che si tratti dell'ennesima operazione propagandistica dell'attuale sindaco e futuro governatore, non è la mia squadra, ed usurpa il nome Viola. Se e quando la trasparenza arriverà, farò pubblica ammenda e cambierò tempo al verbo.)
A proposito di Reggio, sul sito "amico" liberareggio.org ho letto di un fumetto dedicato al grande Rino Gaetano, e seguendone le tracce arrivo alla casa editrice padovana che lo pubblica, beccogiallo, e noto che ha tutta una collana di realizzazioni su argomenti interessantissimi, tra cui una su piazza Fontana di tale pregio e attualità (oggi ricorre il quarantennale) da richiamare l'attenzione dell'Espresso nell'ambito di un ricchissimo speciale tutto da leggere.
Piazza Fontana fu l'inizio della risposta reazionaria alla stagione delle rivolte studentesche e delle rivendicazioni operaie. A leggere la cronaca di oggi, si spera che le analogie si fermino qui. Ben altre suggestioni sorgono invece alle esternazioni con minacce plebiscitarie dell'uomo con le palle, ed è proprio a queste che il popolo viola si erge ad argine. Sentiamo Daniele Silvestri, aderente alla manifestazione del 5 dicembre, che razza di capolavoro di enigmistica ha tirato fuori: roba da segnalare a Bartezzaghi!

martedì 8 dicembre 2009

DOGMI DOGMI BIMBO BELLO

Fate una prova: chiedete a 10 cattolici praticanti, compreso voi stessi se lo siete, a cosa si riferisce l'"immacolata concezione" che si festeggia oggi, tanto per ribadire che non siamo uno Stato laico... 9 su 10, se non tutti, vi diranno che è il concepimento senza peccato di Gesù da parte di Maria. Errore. E' il concepimento senza peccato di Maria stessa. Per secoli i dottori della Chiesa si sono scannati, con rischi di scisma, intorno a questo dubbio: se la redenzione della Madonna necessitasse o meno che anche lei a sua volta, come suo figlio, fosse concepita o meno senza peccato originale. Un problema logico innestato in questioni di fede, un controsenso cioè, risolto con la procramazione del dogma che oggi festeggiamo in qualche trattoria fuori porta (e forse un uno per cento in chiesa pregando).
Solo dopo, di conseguenza, fu possibile proclamare il dogma dell'Assunzione in cielo di Maria stessa, che tutti festeggiamo dal 1950 a ferragosto (l'ultimo saccheggio di una festa pagana, le feriae augusti, di tutta una serie che comprende il Natale, di Mitra prima che di Cristo) magnando tutti, stavolta senza eccezioni.
Tra parentesi, persino il dogma dell'infallibilità papale non è che del 1870, e viene da quello stesso Pio IX che pochi anni prima aveva proclamato quello che si celebra oggi.

Insomma, quelli di voi per cui quelle appena citate sono tre notizie stanno sperimentando lo straniamento tipico della tradizione orale: ti porta a credere che le cose che ti hanno raccontato da piccolo siano vere da sempre, e invece anche se sono dogmi religiosi possono essere stati stabiliti ieri o l'altroieri. Straniamento aumentato dunque dalla suggestione di eternità e divinità che il termine stesso dogma contiene.
Chi proviene da cultura anglosassone, pur sempre cristiana, guarda a queste cose con distacco e ironia. Che talvolta dà vita ad opere di intrattenimento leggero davvero spassose, che nel nostro Paese o praticamente non riescono a trovare una distribuzione, come il docudrama Religiolous, o la trovano scarsa e tardiva, come l'hollywoodiano Dogma (in cui Dio è interpretato da Alanis Morrissette, nella foto), o tardivissima (dal 79 al 91), come l'esilarante Brian di Nazareth dei Monthy Python.
Non c'è niente da fare, siamo un popolo bambino che crede alle favole, come dimostra il reiterato consenso concesso a uno che le racconta benissimo (Luttazzi nel suo ultimo libro parla di "narrazione emotiva", e centra in pieno il berlusconismo come solo il vero scrittore satirico può fare). E allora non resta che cantarci la ninna nanna della Mora nel bellissimo sceneggiato tv di Luigi Magni, State buoni se potete (nessuna difficoltà a concedere la patente di opera d'arte a un film di stampo religioso, come questo o Il vangelo secondo Matteo di Pasolini, quando la merita): dormi dormi, bimbo bello....

lunedì 7 dicembre 2009

LA VERTIGINE DELLA SEMPLICITA'

Non ho figli, non guardo la televisione e non credo in Dio, tutti sentieri che gli uomini calpestano per rendere la loro vita più semplice. I figli aiutano a rimandare l'angoscioso dovere di affrontare sè stessi, compito a cui in seguito provvedono i nipoti. La televisione distrae dalla massacrante necessità di fare progetti a partire dal nulla delle nostre frivole esistenze e, ingannando gli occhi, solleva la mente dalla grande opera del senso. E infine Dio mitiga i nostri timori di mammiferi e l'insopportabile prospettiva che i nostri piaceri un giorno abbiano fine. Quindi io, senza futuro nè prole, senza pixel per stordire la cosmica consapevolezza dell'assurdo, certa, invece, della fine e della previsione del vuoto, credo di poter affermare che non ho scelto la via della semplicità.

C'è un aggettivo al femminile che mi tradisce, altrimenti avrei potuto intortarvi che questa cosa l'ho scritta io, tanto corrisponde al mio pensiero. Invece è un brano riportato da pagina 170/171 de "l'eleganza del riccio": come sempre capita in questi casi - non è la prima volta che mi accade, e non credo nemmeno di essere originale - ho sussultato. E ho deciso che amavo quel libro affrontato per caso dopo averlo snobbato come sempre faccio con tutti i bestseller: non ho ancora letto un giallo di Faletti nè la trilogia di Millennium, e Il nome della rosa l'ho letto tipo venti anni dopo, anche se poi ho pagato pegno affrontando di seguito, sulla stessa spiaggia nella stessa estate, Il pendolo di Foucault.
Adesso ho saputo che esce il film, a gennaio, e ho già iniziato ad aspettarlo.
So bene che potrebbe non importarvene nulla, ma un blog è anche questo, no? Ci fosse un altro snob tra i lettori, adesso si andrebbe a procurare il libro in questione, e io gli avrei fatto un regalo...

domenica 6 dicembre 2009

FUORI DAI CABBASISI, PALLONARO!

Non credo a quelli che danno a questo evento un valore di "nuovo inizio": se non succede altro, se non emerge qualcosa di nuovo a sinistra, o Fini non trae le conseguenze del suo agire politico recente, o le dichiarazioni di Spatuzza non trovano riscontri, eccetera, questa piazza piena sarà un'altra delle tante riunioni consolatorie del popolo che non ne può più. Gli altri, quelli che ancora pensano sia una buona idea affidare il proprio futuro a un intrallazzista, perchè pensano che meglio uno che tanti specie se è così bravo negli intrallazzi da far cadere qualche mollica dal desco, o peggio quelli che credono ancora alla sue favole, in piazza non ci vanno. Certo, se la confrontiamo al silenzio sociale di questi ultimi anni, è un miracolo, specie se si pensa che è davvero partita da Facebook e davvero sono riusciti a non farsi mettere il cappello sopra da nessun politicante. Ma se confrontiamo il milione (se non erano un milione poco ci mancava, ero lì e c'era piazza San Giovanni piena e gli inizi del viale di fronte e di via Emanuele Filiberto pure) di ieri con la folla oceanica, tra i due e tre milioni, a incoronare Cofferati qualche anno or sono, non c'è da essere allegri, anche vista la fine che hanno fatto fare e poi si è dato Cofferati stesso.
Niente politici, dicevo. Tra le presenze sul palco, segnalo l'intervento del premio nobel per la letteratura Josè Saramago, in difficoltà ormai a pubblicare in Italia (capito, Saviano?), e soprattutto quello bellissimo di Salvatore Borsellino, di cui riporto il video pubblicato da Micromega assieme ad altri. E allora ci affidiamo al gergo di Camilleri, un altro siciliano che dà onore alla sua terra, davvero non come certi uomini "d'onore" citati anche in questi giorni come eroi con motivazioni che si traducono in una parola sola, omertà, per dare il benservito al più grande cazzaro abbia mai calcato la scena politica di un paese sedicente democratico.
E poi venga pure un governo di centrodestra: non smetterò mai di ricordarlo, il giudice "comunista" Paolo Borsellino, la cui ultima apparizione in video è un atto d'accusa a Berlusconi ben più pesante delle parole di qualsiasi pentito, era notoriamente missino. Pare stia cominciando a ricordarselo pure Fini...

martedì 1 dicembre 2009

DIAMO UN SORRISO A CHI NON PUO' PERMETTERSELO


L'estate scorsa sono stato coinvolto in una bella iniziativa: nell'ambito di una serie di incontri sul tema "nessuno è profeta in patria", dovevo intervistare uno degli ospiti, il chirurgo Domenico Scopelliti, nella "splendida cornice" di una cartiera in ristrutturazione sul lungomare di Cannitello, vicino Villa San Giovanni, più o meno nel punto dove dovrebbe sorgere il pilastro continentale del Ponte sullo Stretto. Di quei posti è originario Domenico Cogliandro, il mio amico organizzatore degli incontri, architetto a Palermo, e a quei posti paga il tributo d'onore che sempre un emigrante che si realizza altrove sente, non solo con iniziative simili, ma anche ad esempio con una casa editrice che prende il nome dall'antica toponomastica locale (la Biblioteca del Cenide), che ha fra l'altro pubblicato il libro Sotto il ponte che non si farà che ho qui recensito preventivamente (poi l'ho letto, ed è davvero interessante), e un'associazione culturale chiamata Wozlab. In attesa che pubblichi da qualche parte i filmati ufficiali di quegli incontri (le riprese fatte con la mia macchinetta fotografica non hanno qualità sufficiente), pubblico io la trascrizione dell'intervista.
Questa improvvisa urgenza è motivata dal fatto che è in corso in questi giorni una campagna di finanziamento tramite SMS (al numero 48586) di una delle missioni organizzate da Operation Smile Italia, l'associazione di volontariato medico per cui Scopelliti si è "guadagnato" il diritto all'intervista del 20 agosto 2009. Leggetela, se vi va, ma soprattutto mandate una volta tanto un messaggino speso bene...

Siamo qui col dott. Domenico Scopelliti, primario di Chirurgia Maxillofacciale all’Ospedale Santo Spirito di Roma. Per cominciare: Dottor Scopelliti, Domenico o Mimmo?
Domenico, e c’è anche una spiegazione: siamo figli di 7 fratelli, 18 cugini. Chiamandosi il nonno Domenico, tutti i primogeniti dovevano prenderne il nome; io sono il più anziano quindi Domenico, poi c’è un Mimmo, c’è un Mimì, una Nica e via così. Quindi io sono un Domenico “integrale”.
Riconosco la faccenda, vale anche per la mia famiglia col nome Luigi. Ma la mia domanda era anche come chiedere: il cognome ti tradisce, ma esattamente di dove sei? E quanto porti delle tue origini nella tua identità?
In realtà mia madre mi ha fatto nascere a Roma, ma ho vissuto qui per i miei primi 18 anni. Villa, Cannitello, Pezzo, Costa Viola: qui attorno…
E a 18 anni, Roma. Università. All’inizio, come tanti, ogni settimana o due eri a casa?
No, la mia è stata una scelta da subito, diciamo così, radicale. Per lo studio, un po’ perché avevo voglia di sbrigarmi, un po’ perché non solo frequentavo l’università ma stavo anche in ospedale dove ho cominciato a lavorare da subito prima in un reparto di Chirurgia Generale, poi dal terzo anno nel reparto di chirurgia maxillo-facciale, quindi praticamente dall’86 al 96 non ho fatto vacanze. Si limitavano, le mie venute qui, a cinque/sei giorni d’estate altrettanti a Natale e basta. E’ stato così per un lungo periodo.
E dopo?
Devi solo pensare che la prima casa che ho comprato in vita mia è stato a Scilla. Ancora oggi dopo 30 anni a Roma vivo in affitto. La casa di proprietà ce l’ho quaggiù.
Quindi come tanti pensi che fra qualche anno, magari in pensione….?
No, non è un fatto di pensione; non è necessario attendere così tanto, fino al momento in cui uno andrà in pensione. E’ un fatto proprio di collegamento mentale. E’ come un filo che elasticamente ci permette di allontanarci per poi arrivare alla massima estensione e riportarci indietro. L’importante è riconoscere che sei legato a un elastico… “rigido”.
Che rapporto hai con questa terra, e come si è evoluto? Ad esempio, psicologicamente, ti senti un traditore o un tradito? In credito o in debito?
Più che altro direi un po’ nostalgico. I luoghi dove sei nato e hai vissuto all’inizio della tua vita sono quelli in cui ti trovi a tuo agio. Forse però l’idea di questo abbandono della tua terra costituisce una sorta di debito, e ritornarci mentalmente in età pensionistica ti dà l’idea un po’ che l’hai abbandonata e ci devi tornare, invece tornarci ciclicamente continuando ad interagire ti dà l’idea che sei pronto per tornare quando qualcosa è pronto per cambiare.
Pensi che un uomo come te partendo da un’altra piattaforma, essendo cioè cresciuto da un’altra parte, avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, oppure invece confrontarsi con un ambiente più difficile in fondo in fondo aiuta, che cioè lo svantaggio iniziale possa in alcuni casi trasformarsi in una molla che dia un vantaggio?
In molti casi, è un vantaggio. A meno che partendo uno si scontri con una realtà che trovi così estranea, così difficile da trattare, che torna molto prima; ma in questo caso torna non con l’idea di completare la propria vita ma con una sorta di sconfitta dentro, abbandonato all’inutilità del tentativo di sottrarsi agli eventi…
Bene, ci torniamo dopo, adesso cambiamo argomento. Cominciamo, per i profani, a spiegare cosa significa “chirurgia maxillo-facciale”…
E’ una disciplina relativamente nuova. Parliamo di traumi tumori e malformazioni di testa e collo. E in questa disciplina utilizziamo competenze sia dell’odontoiatria che della chirurgia plastica che dell’otorinolaringoiatria. Quindi è una disciplina che accorpa competenze di varie specialità; poi anche al suo interno ci sono specializzazioni, ad esempio del labbro o dell’orecchio.
Quindi quando ti sei diciamo così imbattuto in questa specializzazione era praticamente appena nata…
Erano diciamo i primi 15 anni che esisteva al mondo. La società italiana di chirurgia maxillo-facciale nasce nell’84. Nel mondo era nata pochi anni prima.
Che rapporto ha con la chirurgia plastica?
Siamo parenti per parte di estetica. Ne usiamo le competenze, ne abbiamo in parte anche rubato le tecniche. Ma loro sono partiti dalla chirurgia malformativa per fatto naturale, per spostarsi specialmente negli ultimi venti anni verso la chirurgia puramente estetica, lasciando a noi le malformazioni per una questione di competenza: innanzitutto perché noi trattiamo non solo la parte estetica ma anche quella funzionale – parlare masticare eccetera. Quindi per noi c’è stato un completamento in chiave estetica della nostra competenza, per loro un abbandono di campo per potersi dedicare al meglio ai loro input.
Per andare al titolo di questo incontro, l’aspetto etico, il risvolto umanitario, viene in mente da subito, quando entri in contatto con questa disciplina?

In realtà io all’inizio lavorando in ospedale ho fatto il training completo per quanto riguarda la traumatologia. Poi chiaramente mi sono un po’ più orientato verso le malformazioni, e necessariamente allora ho avuto a che fare con bambini. E quindi lavorando sempre di più coi bambini cominci ad avere la percezione di un mondo dove più le popolazioni sono povere più il bambino è sfortunato, perchè le malformazioni incidono maggiormente laddove ci sono problemi di igiene o di alimentazione, quindi in Africa, Asia, America Latina.
E a questo punto della tua vita incontri Operation Smile….
Si, sono incappato in questa organizzazione che si occupa soprattutto di bambini con malformazioni, in particolare il labbro leporino. Un collega venne a chiedere a reparto se qualcuno di noi volesse collaborare, era mi pare il ‘99, io avevo molto da fare per via del concorso a primario, ma mi sono impegnato a farlo non appena avessi avuto il tempo, e così l’anno dopo...
Dunque ti ci sei avvicinato nel 2000. Proprio l’anno che nasceva Operation Smile Italia, una costola di quella americana, giusto?
Si, Operation Smile è attiva dal 1982 in 51 paesi al mondo, in Italia dal 2000, ha quindi ormai 27 anni di storia…
…130mila bambini operati… Possiamo dire che esisteva uno spazio tra l’emergenza sanitaria, di cui altre organizzazioni si occupano, e la medicina per chi se la può permettere, ed è qui che si è inserita Operation Smile?
Diciamo che nell’emergenza sanitaria c’è una parte che è ovvia e scontata. Cioè, è ovvio che c’è un’emergenza sanitaria di cui il mondo si deve far carico subito, quella che salva la vita, che salva intere popolazioni, e dà indicazioni di indirizzo per consentire a più persone la possibilità di accesso alle cure. La maggior parte delle organizzazioni si occupano proprio di questo, direttamente o indirettamente. Direttamente con le persone, e indirettamente mandando aiuti in forma sostanziale per rendere questi sistemi sanitari qualcosa di credibile. Pensiamo al Ghana, ad esempio: 95% del budget della sanità della Repubblica del Ghana è destinato alle cure per la malaria. Tutto il resto devono farlo col restante 5%: è ovvio che lì c’è un’emergenza. Cioè, è chiaro che lì il problema più grande è la malaria, ma pensate che tutto il resto, dalle malattie cardiovascolari ai traumi, deve essere fatto col restante 5%. Figurarsi cosa resta per problemi come quelli che trattiamo noi. La situazione delle malformazioni nei paesi del Sudamerica, dell’Africa subsahariana, del sud dell’Asia, è che riguardano più o meno un bambino su 400 nati. Questi sono bambini che chiaramente non parlano, non si relazionano con gli altri, mangiano male, respirano male, hanno difficoltà sociali, però crescono. Qual è il problema? Che in molte di queste culture li mandano via dal villaggio, magari con tutta la famiglia. Quindi sono costretti a vivere, già in un contesto di emarginazione, una vita di ulteriore deprivazione, una vita che con la vita vera non ha più nulla a che vedere. Magari col senso di colpa di chi si sente colpito dal demonio o da una maledizione: una vita che in pratica è una morte “ a rate”. Una morte sociale che arriva prima di quella fisica.
E’ di questo che associazioni come la nostra si fanno carico. Ma non nel senso che mandiamo soldi o altro, noi interveniamo direttamente, e investendo il 50% dei fondi, e talvolta anche il 60 o il 70 per cento, non tanto nell’azione immediata, quanto nella formazione di personale di qualità.
Insomma andate lì, pescate per loro, ma poi anche insegnate loro a pescare…
Non solo. Dobbiamo pescare, insegnare a pescare, e insegnare a vendere il pesce, anzi a dare il pesce gratis. Perché se no, se noi diamo gratis competenza a un chirurgo, e questo chirurgo ha la sua clinica privata e percepisce cifre intorno ai 10-15mila euro per ogni intervento, capisci bene… E capita! Pensa che in Cina, alla faccia del comunismo, questo tipo di sanità si paga. E si paga una cifra che un lavoratore medio la guadagna in tre vite. E l’incidenza di queste malattie in Cina è pari a quella del resto dell’Asia, ma i bambini che sono tagliati fuori da questo tipo di cure sono in percentuale dieci volte maggiore che ad esempio in India, dove anche per motivi religiosi c’è una cultura dell’assistenza: se uno sta meglio, prende all’interno del proprio nucleo familiare uno che sta peggio, e se ne preoccupa; magari in cambio di qualche lavoretto per la famiglia, ma se ne fanno carico. In Cina questo non esiste.
Voi agite per “missioni”, delle vere e proprie spedizioni durante le quali salvate il futuro a tantissimi bambini, ci vuoi spiegare di che si tratta? A quante hai partecipato tu? Dove e quando è stata l’ultima? E la prossima?
Ne ho fatte 31 fino all’ultima ad aprile che sono stato in Giordania, e andrò in India a dicembre prossimo. La missione in realtà è uno dei momenti della nostra attività, come ti dicevo: in una missione noi siamo in grado al massimo dell’efficienza, con 6 sale operatorie, in 5 giorni, con chirurghi veloci, siamo in grado di operare 250 bambini. Nulla. In un Paese come l’India è nulla. Una volta ho fatto uno screening in Cina: in due giorni, su 536 bambini che ho visto, papabili per avere l’intervento, non solo siamo riusciti ad operarne subito circa 130, e ho avuto la pena di doverne rimandare indietro altrettanti per una missione che avremmo avuto di lì a due mesi, ma nel frattempo continuavano ad arrivare altre persone che chiedevano di essere operate, per cui eravamo costretti a dire no. Perciò una missione è anche un momento di incontro per la formazione del personale che deve restare ad operare in loco: se non abbiamo questa opportunità la missione è una vera perdita.
Quindi per voi un buon feedback è avere delle strutture lasciate dietro le spalle…
In questo momento abbiamo 8 centri di eccellenza che lavorano in maniera autonoma. L’ultimo l’abbiamo realizzato in Cina e in due anni è arrivato a fare 1500 operazioni l’anno. Tutto ciò equivale a 40 missioni, 50 missioni l’anno. Solo investendo in queste strutture possiamo risolvere qualcosa, e dando loro la responsabilità dello risolvere i problemi.
Il vostro sito (www.operationsmile.it) è veramente ben fatto: si spiega molto bene come si può sostenervi, in un ampio ventaglio di possibilità dall’intervento attivo se si è medici alla semplice donazione dei pochi soldi necessari all’acquisto di un kit di sutura, passando per il finanziamento del viaggio di un medico per una missione o dell’intervento sul labbro o sul palato di un bambino. Il sito inoltre ricorda come versare a voi il 5 per mille e dedurre fiscalmente altre eventuali donazioni, e permette l’effettuazione di donazioni on-line. C’è però una sezione particolarmente toccante: è la galleria fotografica dei bambini prima e dopo gli interventi. L’emozione che si prova a vedere le foto immagino sia una frazione di quella che si prova, anche se ti capita da anni, quando sei a contatto con loro. Cosa succede?
Guarda, mentre in una struttura ospedaliera trovi una organizzazione per cui dopo un po’ tutto diventa routine, magari salvo l’emozione per certi interventi, qui questo è letteralmente impossibile, perchè tu hai un ruolo nell’ambito dell’organizzazione che non è che stai in sala operatoria senza contatto diretto con l’ambiente, ma hai una sorta di necessario bagno d’umanità che non permette che tutto ti scivoli dalla pelle. In certi Paesi, i contatti, le situazioni, le culture, i bambini, i genitori, la maniera di affrontare la malattia, l’accettazione, il rifiuto, l’idea di essere stati colpiti dal demonio piuttosto che in qualche maniera vittime di un sortilegio: cambia completamente l’impatto sociale. E dietro ogni storia c’è un mondo, una realtà che neanche riusciamo ad immaginare. Per esempio, il nostro Presidente Santo Versace, che è venuto in missione poche volte, ha avuto la possibilità di incontrare situazioni paradossali, una su tutte quella di una famiglia cui noi abbiamo dovuto dire di no più volte, perché una volta il bambino aveva la polmonite, la volta dopo la malaria, e non avendo la possibilità di effettuare l’intervento in totale sicurezza li si manda via, e questi magari si sono fatti un viaggio mica come per noi andare da qui a Roma, perché per loro fare 500 chilometri significa magari attraversare un deserto a dorso di un cammello poi prendere una corriera, insomma 10/15 giorni spesso non avendo soldi. Insomma questa famiglia era già la terza volta che veniva, eravamo in Etiopia, e aveva già venduto tre mucche per le spese, e anche quella volta il bimbo aveva una febbricola che non passava già da due giorni. Siamo riusciti a operarlo l’ultimo giorno, ma intanto avevamo fatto una colletta tale che questi sono tornati al villaggio con una mandria di mucche. Queste sono situazioni nelle quali, una volta che tu ne sei informato, come fai a esimerti dall’intervenire in qualche maniera? Poi c’è anche un altro fenomeno che è abbastanza comune: noi ci occupiamo in genere dei bambini più piccoli, di modo che la crescita non sia influenzata dai problemi funzionali e magari da grandi non abbiano nemmeno memoria di aver vissuto con una malformazione. Però talvolta arrivano bambini che hanno superato i 7, 8, 10 anni, o ragazzi di 18, 20, 25 che hanno una storia, un vissuto di emarginazione che non ti raccontano i loro genitori, ti raccontano loro, e loro sanno che hanno questa, di opportunità, e se salta magari devono aspettare un altro anno, ma un altro anno per loro non è come per un bimbo di sei mesi, è un altro anno che non passa mai, un altro anno di carcere. E allora è difficile ogni rifiuto, anche se motivato.
Hai convinto tu Santo Versace ad accettare la presidenza di Operation Smile Italia? Se si, quando e come? E comunque, che tipo è? Che tipo di apporto da alla vostra organizzazione?
Si l’ho convinto io. Quando gli chiesi di accettare la candidatura mi fece una domanda. Mi chiese “siamo sicuri che dietro a questa organizzazione non ci sia un giro di denaro strano, e poi mi trovo sulle prime pagine dei giornali per un problema molto più tosto di quello che mi riesce di immaginare?”, e io gli risposi “siamo sicuri che noi non finiremo sulle pagine dei giornali perché ci siamo scelti come presidente un imprenditore che è anche un politico e poi improvvisamente si scopre invischiato in altre cose che noi nemmeno riusciamo ad immaginare oggi?” Ci siamo dati la mano e ci siamo salutati. D’altronde era l’unica, fidarsi l’uno dell’altro. Quando si ha a che fare con delle organizzazioni la diffidenza è opportuna. Io stesso ho avuto a che fare con altre organizzazioni: ho scelto questa anche perché mi dava la possibilità di avere un accesso diretto, di persona, ai conti. Noi non siamo un ente governativo e non abbiamo diritto a fondi che vengono dal Ministero degli Affari Esteri, i finanziamenti nostri vengono utilizzati tutti nelle missioni e non c’è un’intermediazione, non ci sono acquisti di materiali o beni conto terzi, non c’è nessuna movimentazione di capitale, e la nostra amministrazione è certificata dalla Pricewharehouse quindi abbiamo un bilancio che è strasupercontrollato. Questa è l’unica maniera corretta per coinvolgere persone a titolo totalmente gratuito, e diversamente io stesso avrei avuto difficoltà a dare credito scientifico all’organizzazione.
In missione vi portate solo specialisti, o c’è posto per altri profili?
Ci sono altri profili professionali, però è tutto finalizzato alla missione. Nessuno di noi si porta la famiglia: se la missione dura una settimana ciascuno nel corso di quella settimana svolge il compito che gli è assegnato. Per cui infermieri, pediatri, insomma tutto il personale, dal capo della missione fino all’ultimo addetto ai materiali medicali, ognuno sa esattamente quello che c’è da fare, qual è il suo compito, il proprio ruolo, e non c’è margine all’improvvisazione perché purtroppo, appunto, la missione deve dare la possibilità a ogni bambino che viene trattato di essere operato e poi avviato a dimissione rapida. Inoltre, c’è questa necessità: noi dobbiamo rappresentare un mondo altamente qualificato, scientificamente supertestato, superpreparato, di modo che il nostro aiuto resti a modello dei medici e del personale locale dopo la fine della missione che dura magari una settimana. Un conto è che io abbia un manipolo di medici, con tanto di curriculum, un altro è che io abbia chi sa insegnare a chi sia in grado di apprendere le tecniche ed i protocolli che noi utilizziamo.
Ho letto di un protocollo d’intesa con la Regione Lazio per la progettazione e realizzazione di un Centro. A che punto siamo?
Siamo andati oltre. Siamo arrivati a un accordo con il Ministero della Salute, che ha avviato uno studio di fattibilità per tre centri: uno a Milano, uno a Roma, e l’altro… punto interrogativo. Perché è vero che il Nord ha già molti meno problemi del Sud in genere per la sanità, ma la realizzazione di un centro deve essere una cosa fortemente voluta innanzitutto dalle amministrazioni locali. Perché sono tante le esigenze e non si può creare una sorta di cattedrale nel deserto, perché non avrebbe senso. Quindi aspettiamo, il terzo centro l’abbiamo inserito nel progetto, stiamo verificando la realizzabilità, ma prima di annunciare dove sarà aspettiamo di essere sicuri.
In altre parole va bene cercare di pagare il debito con la propria terra, ma la terra deve essere in grado di accogliere il pagamento…
Il nostro centro va inserito all’interno di un contesto ospedaliero, non è una struttura a parte, quindi bisogna che ci siano i necessari supporti di servizio, l’integrazione e la volontà di collaborare. Noi riusciamo abbastanza bene a realizzare una struttura come questa a Milano perché convertiamo una realtà esistente come Smile House, e a Roma pure convertiamo una struttura preesistente reindirizzandone le attività. Qui sarebbe troppo costoso creare una struttura ex-novo. A partire dalle persone…
Nel frattempo però cominci ad essere riconosciuto anche in Calabria per quello che fai altrove: Medaglia d’oro Calabria 2009 dell’Associazione Brutium, premio Anassilaos 2007. Voglio dire: un calabrese che viene celebrato nella sua terra, e per un progetto che non implica la realizzazione di niente di concreto per la propria terra, come sta?
Bene. (risate)
Siamo partiti da qui, abbiamo fatto un giro, e adesso torniamo in Calabria per avviarci alla conclusione, poi lasciamo lo spazio a qualche intervento, se c’è qualcuno che vuole fare qualche domanda…
Tranne i calabresi! E Gianni Calabrese presente in quarta fila (risate)
Allora, ci sono due scuole di pensiero: una che dice che il posto dove nasci è solo un caso, e hai il diritto/dovere di realizzare te stesso secondo i tuoi valori dovunque tu voglia e/o possa nel mondo, e una che dice che chi nasce in un posto è li se ne è capace che deve dare il suo apporto a far si che quel posto diventi il più possibile aderente al proprio sistema di valori ideale, e lì deve fare vedere se vale o non vale. Tu a quale delle due ti senti più vicino?
Prima ci deve essere l’idea che uno vuole realizzare. Poi ci devono essere le condizioni. E’ chiaro che chi tra noi conterranei, se non trova nella sua terra gli strumenti necessari per realizzare quello che vuole, deve andar via. Il discorso è sempre legato alla questione se sia l’idea più importante dell’uomo o viceversa. Altro che alla propria terra: può darsi che il voler realizzare qualcosa comporti anche la rinuncia a se stessi… Per cui se dopo aver sperimentato l’impossibilità si parte… Certo, non è che uno abbia l’idea di andarsene fin da piccolo!
Sai che l’argomento di questa serie di incontri è “nessuno è profeta in patria”. A un ragazzo che volesse essere profeta in patria, cosa consiglieresti?
Quello che respiri culturalmente a casa poi lo porti come modello per la tua realtà: se nei primi dieci anni di vita tu pensi che il modello rappresentativo di reazione a un’onta che subisci sia necessariamente il ricorso alle armi o alla violenza, semplicemente in futuro tu non riesci a staccartene. Io sono sempre dell’idea che per poter cambiare le cose bisogna cambiare prima le persone, bisogna creare le condizioni perché culturalmente le persone abbiano accesso non al “grande fratello” ma a un modello rappresentativo diverso, in alternativa al modello mafioso. Altrimenti restiamo in un sistema dove le cose possono cambiare solo in base a due modelli: uno – che possiamo chiamare “mafioso” - basato su un certo tipo di “pressione” e perlomeno aggiramento della legalità, l’altro in cui – come nel gioco dei pacchi, in cui uno non ha bisogno neanche di studiare – basato sulla fortuna e sulla vacuità. Una notizia che mi colpì molto – parlo di oltre quindici anni fa – fu quando venne fuori che il servizio più utilizzato tra quelli offerti dall’allora Sip era l’oroscopo. Non è neanche una questione di nord e sud: in realtà in certe sacche del nord il livello culturale medio è molto inferiore a quello del meridione. Solo che lì la maniera in cui ci si rapporta agli altri è più civile: quello che noi non abbiamo è il senso del bene comune.
Viene in mente una battuta di Troisi, quando diceva: “ si è sempre meridionali di qualcuno”… Uno come te parte dal Sud Italia si realizza altrove e poi va in soccorso di un altro Sud, e a questo punto un sud vale l’altro…
Il problema è che se tu ti accorgi dell’esistenza di quest’altro Sud non puoi non pensare che sei tu che devi averne cura e responsabilità. A me viene da fare un’altra battuta. Io sono stato per un lungo periodo a un training a Parigi e nel nord della Francia. Parlavo un francese abbastanza comprensibile. Andai a ritirare delle fotocopie, che non erano pronte. Poi mandai un mio amico francese, a cui dissero: è passato prima quel suo amico di Marsiglia. Senza saperlo, parlavo francese con l’accento del sud.

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