venerdì 22 settembre 2023

APRIRE UN BLOG DI RICETTE

"Come fare i soldi facili" è un argomento così attraente che prima che l'oggetto di infinite mail di spam, e di una miriade di spazi web di ogni tipo, era in sostanza nel titolo di una marea di libri più o meno economici (e più o meno ciarlatani: se conosci il metodo per fare i soldi perché non li hai fatti tu e tenti invece di raccattarne un po' cercando di vendermi sto libro?) messi peraltro bene in vista anche dalle librerie più serie, perché vendevano molto di più della media dei romanzieri. Quello che vi sto per raccontare è la ragione per cui, se io oggi dovessi dare un consiglio, darei quello che ho messo per titolo a questo post.

Come sa chi mi segue, ho pubblicato tre libri, due di narrativa nel 1999 e nel 2019, e uno di ricette nel 2011. Manco a dirlo, quest'ultima impresa è stata l'unica con un utile, e meno male, perché l'intenzione fin da prima era di destinarlo ad altri: l'iniziativa ebbe origine in seno a "Fondazione Salsajazz", nata per indirizzare verso alcune adozioni a distanza (tramite a conoscenze dirette in una associazione che operava in Guinea Conakry) il giro di denaro che si originava nelle centinaia di feste di compleanno di un gruppo di salseri foltissimo, anziché buttare soldi in regali inutili. Quando la salsa cominciò a passare un po' di moda, e quel gruppo come spesso accade superò il vertice della parabola iniziando a calare di consistenza numerica e compattezza, gli stessi ragazzi dell'associazione ci proposero, se ne avessimo avuto modo e possibilità, di passare dalle singole adozioni alla costruzione di una scuola in loco. Serviva solo qualcosa per darci quella possibilità.

Mia nonna Carmela era una cuoca fantastica, almeno per noi nipoti. Come molte, concedo. Ma quando io lasciai Reggio Calabria per lavoro, non volendo fare "la fine" di quasi tutti gli studenti fuorisede (se va bene, pasta e tonno), presi a telefonarle per farmi dire come si cucinavano i suoi piatti, facendo pratica sia come "cuoco" che nel mio dialetto riggitano (che le nonne di una volta usavano di default). Mi piaceva tanto percepire la sua soddisfazione, che la chiamavo anche quando la ricetta me la ricordavo benissimo, e poi magari la richiamavo per farle ascoltare in diretta l'apprezzamento dei miei eventuali ospiti. Quando morì, a 95 anni e avendo cucinato fin quasi alla fine, scoprii che sua figlia, la mia amata zia "signorina", essendole stato sempre impedito dalla madre ogni accesso in cucina, negli ultimi tempi si era fatta dettare alcune ricette appuntandole in un quaderno. Appena visto il quale, lo chiesi in prestito e buttai giù di volata il libro di ricette di che trattasi, unendo i testi in italiano alle traduzioni in riggitano che venivano dalla mia memoria. Per realizzare il libro, mi serviva solo l'aiuto di un amico cuoco che preparasse i piatti magari presentandoli decentemente e fotografandoli, visto che per la parte grafica della pubblicazione e per la ricerca della casa editrice bastava la mia esperienza professionale. Il gioco era fatto. E l'operazione ebbe grande successo, la scuola dovrebbe essere ancora lì a testimoniarlo.

Quando ogni copia fu venduta, ho preso a pubblicare le singole ricette su questo blog, sotto l'apposito tag, mettendo i link ai post, oltre che nel gruppo Facebook di questo blog stesso, anche in un gruppo appositamente creato per il libro di ricette. Come sapete, il blog non ha scopo di lucro, non c'è nemmeno un bannerino di adsense, lo faccio solo per sfogare la mia grafomania con chi ha la bontà di seguirmi. D'altronde, se anche il banner ci fosse, col mio numero di contatti medi giornalieri, peraltro in continuo calo, non ci farei nemmeno un caffè, e va bene così (per il lavoro che faccio, peraltro, ogni attività extralavorativa remunerata dovrebbe essere autorizzata: meglio evitare del tutto). Ma il gruppo del libro di ricette, a distanza di oltre sei anni dalla ultima pubblicazione di una ricetta, e a distanza di dodici dall'edizione del libro, continua a raccogliere ogni giorno nuove adesioni. Ecco il perché del mio consiglio iniziale: è vero che ce ne sono già tanti, ma evidentemente il mercato è ben lungi dall'essere saturo, per cui se volete fare un po' di soldini col web, lasciate perdere il porno, che non tira più (sic), aprite un sito di ricette e pubblicizzatelo sui social. A me invece come remunerazione basta il pensiero che, se è vero che uno vive fino a quando un vivo se ne ricorda, allora la mia amata nonna è ancora viva vent'anni dopo il decesso anagrafico, vi guarda dalla testatina del gruppo e vi detta le sue semplicissime ricette.

Vi saluto con tre avvertenze ai membri del gruppo:

  1. se vi molestano i continui saluti ai nuovi membri, credo ci sia il modo di silenziare le notifiche;
  2. se volete le ricette, le trovate come post singoli scrollando nel gruppo stesso fino a giugno 2017 e indietro, oppure a questo link (abbiate pazienza, dalla seconda pagina in poi: andate in fondo e cliccate su "post più vecchi");
  3. se vi interessa l'aspetto culturale, ogni ricetta oltre che in italiano è scritta nella mia particolare (e al suo interno rigorosa) translitterazione del dialetto reggino, che poi usai per i dialoghi tra alcuni personaggi di Sushi marina.

sabato 16 settembre 2023

VENGO ANCH'IO

Con ogni probabilità sarà passato presto in televisione, come è stato per tutti i docufilm del genere da quello su Pino Daniele a quello su Paolo Conte passando per quelli su Lucio Dalla, ma saputo che per tre giorni era in sala il tributo di Verdelli a Jannacci, presente peraltro a Venezia, non ho potuto esimermi da recitarne il titolo, e andarci "anch'io". Vi giuro, è bellissimo, sia se già conoscete più o meno bene l'opera del cantaudotttore terronmilanese, sia se non lo conoscete affatto (in tal caso, sarete sorpresi): state in campana, e alla prima occasione godetevelo. Per invogliarvi ulteriormente, in fondo trovate il trailer.

Vi si sottolinea, più di altre cose, l'aspetto forse meno noto, perché appositamente e grandemente dissimulato da Enzo stesso con il suo personaggio stralunato, del fenomeno Jannacci: l'essere stato in Italia uno dei più colti e geniali compositori di canzoni di tutti i tempi. Cosa che è da sempre risaputa tra tutti i suoi colleghi e gli addetti ai lavori, ma altrettanto ignorata dal grande pubblico. Ma il vostro affezionatissimo blogger, come dimostra fra l'altro la "promozione" a tag che Jannacci condivide con pochissimi altri fenomeni (De Andrè e Dalla, tutti gli altri li trovate sotto il generico Musica), ve lo aveva sempre detto, oltre ad avervi svelato nel 2009, vi giuro senza esserne a conoscenza soltanto deducendola dallo stile di scrittura, una affinità nientemeno (l'avverbio è solo per il gap di popolarità, anche tra i giovani) che con Vasco Rossi, che nel film viene non solo evidenziata ma anche abbondantemente documentata.

In attesa che possiate vedere il film (qui la bella recensione di Rockol), vi rimando per l'ascolto di alcuni capolavori al post apposito che feci uscire in occasione della morte del Nostro, giusto dieci anni fa. Buon ascolto e buona visione. 

sabato 9 settembre 2023

LIBERI?

C'è un verso di Giovanni Lindo Ferretti  (che proprio oggi compie 70 anni: auguri!) di una bellezza atroce, nella splendida canzone In viaggio, fa:

Consumano la terra in percorsi obbligati i cani alla catena, disposti a decollarsi per un passo inerte più in là.

I cani domestici sono frutto di selezioni e incroci lungo migliaia e migliaia di anni, ma tutte le razze da qualche parte dentro mantengono qualcosa del lupo o del coyote, che assalivano i gruppi umani per mangiare, prima di imparare a servirli. Così, la stessa bestia che ti implora sotto al tavolo per un ciccetto, e non si sogna minimamente ti saltarci sopra per prenderselo (come farebbe un gatto se solo ti distrai un secondo, ma il gatto ha tutta un'altra storia), se solo gli metti una catena al collo e te ne vai comincia a percepire la limitazione di libertà e valicarla diventa bisogno primario.

Così è per noi (basta bloccare con un abbraccio troppo stretto i movimenti di un bimbo per verificarlo), e chi ha interesse a renderci sudditi lo sa benissimo, per questo le catene nel corso della storia si sono sempre più virtualizzate, dissimulate fino a renderle irriconoscibili. E il fenomeno ha subito un'accelerazione negli ultimi decenni, proprio come la curva della popolazione mondiale: la democrazia è infatti tanto più realizzabile quanto piccole sono le comunità in cui la si voglia applicare, e nella misura in cui esiste un "fuori" da queste comunità (le donne, gli schiavi, i barbari) da sfruttare per accrescere o quantomeno mantenere la ricchezza su cui la comunità si fonda. La globalizzazione (ma i BRICS ne sono una costola o un grimaldello?) questo ha fatto: portato dentro questo fuori, o meglio mischiato dentro e fuori in un recipiente più grande, cosicché l'azione politica che sarebbe stata necessaria (e che io stesso all'inizio ho creduto avrebbe svolto l'UE) cioè blindare il modello di sviluppo eurooccidentale per trasferirlo gradatamente fuori (ad esempio, accettando di commerciare solo con chi concedeva un livello di diritti economici e personali compatibile) è diventata presto impossibile (svelando presto, purtroppo ancora agli occhi di pochi, che non è che si è mancato di difendere il progetto ma invece proprio che il progetto era uno opposto).

Ma la libertà non è soltanto minacciata dall'evoluzione delle catene (l'ultimo modello di catena? lo smartphone, esatto...), è anche vittima di un processo di negazione valoriale, che ha trasferito omeopaticamente nel senso comune l'annacquamento, lo straniamento e lo svilimento del concetto. Così oggi chiamiamo libertà l'accrescimento di possibilità in questioni più superficiali, concesso proprio per farci digerire senza nemmeno accorgercene la diminuzione reciproca in questioni essenziali. Siamo liberi di sposarci tra uomini o tra donne, ma sposarsi o comprarsi casa o fare un figlio diventano sempre più fuori dalla portata di qualsiasi coppia non ricca, etero o gay che sia. Anche perché il lavoro inteso come parte fondamentale e centrale della vita di ognuno e della sua identità, oltre che come mezzo di sostentamento stabile e affidabile, è in via di completa sparizione, e hanno pure la faccia tosta di presentarci la cosa come progresso. Intanto, in cronaca abbiamo l'ennesimo esempio di disastro attribuibile, come causa prima, allo smantellamento del settore pubblico e alle esternalizzazioni: alle FS dei miei avi non c'erano schiavi ma operai assunti dallo Stato e salvaguardati, certo non spinti ad agire in spregio non dico alle norme di sicurezza ma alla più elementare logica. E fuori dalla cronaca l'elenco di episodi simili è talmente lungo da non essere necessario: basta la memoria di ciascuno di voi, anche il più distratto.

D'altro canto, invece, dimentichiamo quanto e come una serie di altre cose a cui teniamo siano stringi stringi da ricondurre proprio al concetto di libertà. Senza una prospettiva di sostentamento economico nel tempo (che non vuol dire necessariamente "posto fisso", ma anche ad esempio "persistente sovrabbondanza di opportunità"), infatti, la libertà di effettuare qualunque tipo di scelta di vita resta mero enunciato teorico. Senza automobili private il diritto alla mobilità torna, dopo una finestra di soli pochi decenni, ad essere privilegio di pochi (mezzi pubblici davvero efficienti e ridondanti, tra cui delle ferrovie statali che non possano abbandonare in quanto antieconomica nessuna tratta o stazione periferica, risolverebbero il problema solo rispettivamente per le grandi città e i centri medio-piccoli, non certo a livello capillare). Senza cultura, o se preferite grazie all'analfabetismo di ritorno progettato decenni fa e realizzato prima tramite la TV commerciale poi tramite i telefonini, anche la libertà di progettazione della propria esistenza viene vanificata, perché chi non sa non può, ma mentre chi sa di non sapere può imparare chi crede di sapere non imparerà mai, e i nostri figli oramai per qualsiasi cosa chiedono a google come prima opzione, come possono non uscirne omologati?

A proposito, racconto un episodio che chiarisce in qualche modo il concetto. Ad inizio "pandemia"  (ma siamo sicuri sia finita? il fatto che fosse statisticamente infondata è piuttosto garanzia che possa venire invocata a piacimento...) vengo invitato ad un webinar da un amico, che poco tempo prima del primo lockdown mi aveva onorato di leggere l'incipit del mio ultimo libro ad un incontro di presentazione, giù a Reggio. Forse presupponeva che condividessi la narrazione dominante, o perlomeno non immaginava che il mio dissenso fosse così totale, fattostà che quando esso emerse l'incontro fu concluso rapidamente, ma non prima che io avessi modo di indurli ad esplicitare uno dei corollari dietro quella narrazione: approfittando del fatto che uno degli altri partecipanti viveva in Svezia, gli chiedo come andavano le cose in uno dei pochi Paesi che avevano impostato le cose in modo diametralmente opposto, alla spirale liberticida che allora peraltro era appena iniziata. Il corollario era "gli italiani non sono svedesi", cioè non sono un popolo di adulti evoluti che possono essere lasciati liberi di decidere ciascuno per se, confidando nel senso di responsabilità e nel sentimento di collettività di ciascuno, ma sono un popolo "bambino" che in quanto tale deve essere guidato, a comportarsi virtuosamente, altrimenti non lo farà. Il luogo comune, che nemmeno si applica bene ai bambini e ai ragazzi veri (i quali invece vengono su responsabili in relazione diretta a quanto si ha il coraggio di responsabilizzarli precocemente), è un sentimento fascistoide che tanto danno ha fatto e che stupisce di aver visto così diffuso in persone sedicenti di sinistra. Per le quali la libertà non è un valore in se, dunque, ma un premio da ottriare a chi se lo meriti.

Finisco qui il mio sproloquio, e vi lascio con un paio di link di approfondimento, in linea con l'ultimo paragrafo:

  1. Stefano Re, ovvero i dossi stradali come metafora;
  2. Maurizio Blondet, ovvero hanno già deciso che dovremo fare a meno di auto, carne e latticini, e sono già passati dalle strategie di persuasione al terrorismo psicologico sul cambiamento climatico, alla fine l'obbligo sarà lo step "naturale".
E che cos'è la libertà, se come al solito piuttosto che chiarirvi le idee ve le ho confuse, ve lo faccio dire da uno che parla bene...

venerdì 1 settembre 2023

60 E NON PIU' 60

Prendo in prestito il passaggio delle sacre scritture che dava benzina ai millenaristi per le loro frescacce, cambiando solo il numero, per raccontarvi una storia. Così poco originale da permettere a ciascuno di voi di adattarla al proprio vissuto. con qualche personalizzazione.

C'era una volta un diciassettenne con la testa piena di parole che in parte traduceva in poesie (come moltissimi a quell'età, passata la quale scrivono poesie solo i poeti e i cretini, come diceva De Andrè citando Croce), in parte usava per intortarla alle ragazze (di allora: mica era facile convincerle a concederti qualcosa che almeno in parte tacitasse i tuoi ormoni in ebollizione) e filosofeggiare a due lire con gli amici. La scena di cui si tratta si svolge dentro la panda 30 (quella coi sedili ad amaca e il motore della 126) dell'unico della truppa che avesse già una macchina. I cinque riflettevano a voce alta sul fatto che a giorni avrebbero fatto gli esami di Stato e poi chissà se si sarebbero visti più, in ogni caso quel quinquennio di liceo era passato. Il nostro eroe, approfittando di un attimo di silenzio, se ne uscì con una frase dal tono accorato: "simu 'i passaggiu", e non credo occorra tradurla. Gli altri, presi in contropiede dalla incongrua serietà dell'espressione di austera saggezza, tacquero tutti, per qualche secondo di totale silenzio e serietà che allora sembrò un'eternità. Poi uno dei quattro lo prese dal gomito e glielo spinse via, accompagnando l'inequivocabile gesto (quello del "ma mi faccia il piacere!" di Totò all'onorevole Trombetta, per capirci) con un sonoro "ma vafantoculu!", anche questo non necessario di traduzione, seguito da spintoni e perculamenti collettivi. Che ancora continuano, a oltre quarant'anni di distanza, ogni volta che uno della truppa (in parte i nostri sono ancora amici e si vedono ricorrentemente) rievoca l'episodio.

Quel diciassettenne infatti un paio di giorni fa ha compiuto sessant'anni, ed è l'ultimo della compagnia ad aver raggiunto questo traguardo. E (come disse Totti il giorno del ritiro dal calcio? "pensavo di morire prima") a stento ci crede. La sua frase di allora era incongrua ma ovviamente corretta, e a 60 anni la cosa si tocca con mano: se a 50 anni ancora potevi pensare, sia pure con molto ottimismo, di essere "nel mezzo del cammin di nostra vita" e di averne davanti altri 50, adesso semplicemente non puoi più, e l'orizzonte davanti a te inizia a mostrare con evidenza quanto sia corto. E tu oscilli tra due meravigliose canzoni di Vecchioni: Sogna ragazzo sogna ("la vita è così grande che quando sarai sul punto di morire pianterai un ulivo, convinto ancora di vederlo fiorire") e La viola d'inverno (che in modo strano per me si intreccia con un altro capolavoro del cantautore partenomilanese: Figlia).

Di quella classe, un paio se ne sono andati troppo presto, alcuni chissà dove sono finiti, ma molti ancora si sentono e un gruppetto, come detto, ogni tanto si vedono. Come è normale, hanno passato tutti i loro guai, chi piccoli chi grossi chi enormemente indicibili, ma si sono continuati a voler bene, spesso aiutati o sostenuti l'un l'altro, talvolta concretamente. Ma sempre, sempre, ogni volta che si ritrovano, non sono dei sessantenni a incontrarsi e relazionarsi, ma dei diciassettenni con fattezze strane per quell'età. "Sweet dreams are made of this..."

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