giovedì 30 dicembre 2010

ALL'OMBRA DELL'ALBERO

Non volevo scrivere ancora di Giancarlo Fornari, anche perché ho la sua voce dentro che mi invita a guardare avanti e mi sgrida perché non ho ancora pronto quel pezzo sulla moneta che dovevo pubblicare entro l'anno, ma rientrato in ufficio ho trovato la casella di posta piena di messaggi incrociati tra tutti coloro che hanno avuto il privilegio di lavorare con lui in quella stagione pionieristica per la comunicazione pubblica che aveva in lui uno dei suoi artefici principali. Non ne riporto il contenuto, anche perché è facilmente immaginabile, ma noto che si tratta di un caso rarissimo in cui un dirigente viene ricordato con affetto da "sottoposti" oggi così distanti per territorio e/o scelta professionale. Al saluto di Paolo Tenaglia era allegato il bellissimo video di Peter Gabriel che trovate in fondo, scelta azzeccatissima. Prima, l'ultimo saluto a Giancarlo lo lascio alle significative e toccanti parole di lui stesso, pubblicate quando stava benissimo (lo preciso solo perché ciò evita di equivocarne il senso) sul sito di Liberauscita:

Preghiera per l’Uomo-Albero
(Se e quando io non sarò più io)
di Giancarlo Fornari

Grazie per avermi dato
una seconda giovinezza
grazie per amarmi
grazie per leggere, giocare e parlare con me
di tutto ciò che ti interessa
e mi interessa
grazie per correre con me
per camminare con me
nell’ombra dei boschi o sulle colline
colorate di ginestre
grazie per abbracciarmi
per fare l’amore con me
con il corpo e con il cuore
per salire in alto con me
come su un aliante
sollevati da una corrente calda
sempre più in su
fino a stancarci.
E grazie per quando
io più vecchio di te
non potrò più correre
io indebolito
non potrò più seguirti
io più stanco
faticherò ad amarti
grazie di essere con me
di sostenermi
di lasciarmi appoggiare
perché so che per te
la vita con me non è solo sesso
non è solo correre e giocare
la vita è anche solo un sorriso
una parola una carezza
e queste sarò sempre in grado di dartele
anche da vecchio.
Ma se e quando io non sarò più io
quando la vecchiaia o un male oscuro
mi strapperanno da me
quando qualcosa di misterioso e inesplorabile
mi dividerà in due
(la mia anima la mia mente e il mio cuore
proiettati per sempre negli spazi
il mio corpo immobile
su una sedia a rotelle)
quando ridotto ad albero
non potrò neanche sorriderti
perché non capirò più
cosa sei tu
e cosa sono io
allora, amore
dovremo separarci.
Io non ti ringrazio
per quello che farai
per quell’Uomo-Albero
Uomo-Sasso
Uomo-Carne
Corpo grossolano
Pura materia
senza luce dell’anima
senza cuore
senza sorriso
che porterà il mio nome
ma non sarò più io.
Io, amor mio, mentre tu ti sacrifichi
per quella cosa inerte
io sarò altrove
sarò a passeggiare tra le nuvole
sarò sulla cima dell’Epomeo
a veder sorgere il sole
sarò sopra lo Sciliar
a giocare con un deltaplano,
sarò a meditare
in una grotta delle Egadi.
Io, amor mio,
sarò nei libri che ho letto e in quelli che ho scritto
sarò nella memoria
delle persone che mi hanno incontrato
e mi hanno voluto bene
sarò negli occhi delle mie figlie
sarò nel tuo cuore
sarò dovunque
tranne che là
in quella controfigura umana
in cui non mi riconosco
e che non avrà più niente
a che vedere con me.
Perciò ti prego, amore mio,
parlo seriamente
non voglio sacrifici
specie se inutili.
Quando vedrai che non sono più io
conservami solo
nella tua memoria,
non conservarmi
a fini statistici.
Non aiutarmi a sopravvivere
privato di tutto ciò che mi rende umano
anche se ti diranno che un Dio lo vuole.
Ma se un Dio ha potuto volermi fare questo
e se è lo stesso Iddio
che ha voluto e accuratamente programmato
la Shoah
che organizza i massacri
le pestilenze e i flagelli
che funestano questo mondo
solo “per metterci alla prova”
e “realizzare il suo disegno provvidenziale”
non è un Dio buono
e probabilmente non è neppure un Dio
ma solo la proiezione
delle loro povere menti
e tu non devi ascoltarlo.
Ascolta, ti prego, solo il tuo cuore e il mio.
Trova in te la forza di aiutarmi.
Prendimi con te
per un ultimo viaggio
verso un Paese buono
dove capiscono che gli Uomini-albero
gli Uomini-sasso
anche se non possono esprimerlo
vogliono morire
non vogliono essere obbligati a vivere
una vita di sasso e di albero
senza alcuna offesa
per queste rispettabili
Entità dell’universo.
E tu, amor mio, non portare il mio lutto
non essere triste a causa mia
sappi che ci ritroveremo
un giorno o l’altro
una vita o l’altra
forse trasformati in due farfalle
o magari in due rondini
voleremo insieme
su su per i cieli
e avremo dei piccoli sempre affamati
da nutrire di insetti
e la notte ci ameremo al buio
nel nostro nido di paglia
con il cuore e con il corpo
fino a stancarci.
Amore se mi vuoi bene
uccidimi.

Mettete a confronto queste parole con la miseria di chi sceglie di istituire la "giornata nazionale per gli stati vegetativi" nella ricorrenza del giorno in cui la volontà di Eluana Englaro per se stessa è stata dopo 17 anni finalmente rispettata (qui l'appello di Micromega a farne invece la Giornata nazionale della libera scelta sulla propria vita), e avrete una vaga idea della siderale distanza tra la statura del gigante che ci ha lasciati e quella dei nani (qualcuno anche suo coetaneo) cui un'apparente buona salute invece ancora consente di imperversare e affliggerci.
E ora la parola a Peter Gabriel che è meglio...

martedì 28 dicembre 2010

VOLA SOLO CHI OSA (MA IO CONSIGLIO IL PARACADUTE)

Volevo lasciare parecchi giorni l'articolo precedente in cima, perchè la morte di Giancarlo mi ha lasciato, ci ha lasciati in tanti (questo il saluto su Fiscooggi, la rivista telematica che ha creato nel 2001 con una piccola squadra di collaboratori tra cui il sottoscritto), senza altre parole e pensieri che non quelli che lo riguardano. Ma da un lato ho la sua voce dentro a spronarmi a guardare avanti, a continuare a tentare di svuotare col cucchiaino delle parole il mare d'ignoranza in cui si tenta di farci annegare tutti, dall'altro mi sono imbattuto su Facebook in una nota della mia amica Luciana Ognibene che già dal titolo (e poi a leggerla non solo da quello) sembrava quasi esigere di essere postata qui, subito dopo il saluto all'uomo che vola. Poichè la condivido in pieno tanto da poterla sottoscrivere, col suo permesso la pubblico, approfittando per segnalare il suo sito Vizio creativo a tutti, per conoscere meglio quello che fa questa donna di Qualità. Dove per qualità intendo quello che avevo riportato in questo vecchissimo post: tra l'altro, fare le cose talmente bene che da fuori nessuno possa dire se fate sul serio o giocate.
Piccole riflessioni ad uso e consumo di chi ha un sogno, da parte di una che cerca di realizzare i suoi senza pestare i piedi al prossimo.
Ti hanno insegnato che volere è potere.
Ti hanno detto che per far avverare un sogno, bisogna crederci davvero.
Ti hanno inculcato che se davvero desideri qualcosa, allora lo puoi ottenere.
Non è che non sia vero.
Se hai un sogno, ci devi credere, lo devi difendere, lo devi desiderare.
Senza questi presupposti, il tuo sogno rimane lì dov'è: a prendere polvere in un cassetto.
Quello che hanno dimenticato di dirti, è che volerlo non basta.
Non è sufficiente gettarsi allo sbaraglio e sperare che vada bene.
Se vuoi volare, accertati di avere ali abbastanza forti prima di fare il salto.
Sì, lo devi volere, ci devi credere e devi lottare.
Ma prima devi studiare, tanto.
E farti un mazzo che non finisce più.
E avere l'umiltà di accettare le critiche.
E la maturità di riconoscere i tuoi limiti.
E non aspettarti che qualcun altro possa fare i compitini a casa al posto tuo.
Non esistono scorciatoie, non esistono Bignami: c'è "solo" da lavorare sodo.
Cambiare il tuo nome su Facebook da "Mario Rossi" a "Mario Rossi Fireman", e distribuire biglietti da visita al tuo vicinato, non fa di te un pompiere, e se non sai come funziona un'autobotte e non hai mai usato un idrante, probabilmente alla prima occasione valida... ti scotterai, e di brutto.
Essere a corto di occasioni non è piacevole, ma c'è qualcosa di peggio.
Avere l'occasione, e non essere pronto: questo è il peggio che ti possa capitare.
Scusate il non piccolo e non innocente sfogo, è che sono particolarmente intollerante verso chi si dice "grafico" e fa i biglietti da visita con Photoshop, chi pretende di fare il "programmatore" e fa i siti web con Word, chi si spaccia per "fotografo" e non sa come si usa un flash da studio... insomma quelli che cercano una scorciatoia per tutto quello in cui io e pochi altri imbecilli abbiamo investito tempo e denaro solo per studiare, studiare, studiare e cercare di capirci qualcosa. Non ce l'ho con voi, giuro. Lo sto dicendo per il vostro bene: studiate, studiate, studiate.
Sinceramente, Lu
NB Commenti e riflessioni sempre ben accetti, non siate timidi. Non sono cattiva: è che mi disegnano così (©J. Rabbit)

sabato 25 dicembre 2010

L'UOMO CHE VOLA

Ci sono uomini che seguono le piste altrui e ci sono uomini che le tracciano. Giancarlo Fornari era uno di questi ultimi. Tra i primi in Italia a parlare di comunicazione pubblica e a capovolgere il rapporto tra cittadino e PA, fu tra gli artefici dello Statuto del Contribuente, fondò il primo sito internet di una pubblica amministrazione italiana, poi la prima rivista on-line di un'amministrazione pubblica al mondo, poi - "chissà perchè" giubilato a dispetto di proclami pubblici di segno contrario - anzichè "godersi la pensione" si mise a insegnare all'università e fondò una delle prime riviste di controinformazione, mentre nel tempo libero si dava prima al volo a vela e poi all'arrampicata, già ultrasettantenne.
Questo soltanto nel percorso della sua vita che si è intrecciato col mio, di prima non parlava quasi mai: era un uomo proiettato nel futuro, e questa era solo una delle cose che ti insegnava con l'esempio se gli stavi accanto. Mi scelse tra i suoi collaboratori quando partecipai per sbaglio a una riunione operativa del sito di cui sopra, premiando quello che ero prima di guardare quello che avevo sul curriculum (Fromm non è solo teoria), e da allora mi ha voluto al suo fianco in tutte le suddette "avventure". Questo blog è nato come valvola di sfogo quando lui fu costretto una prima volta a rallentare su Contrappunti, poi ripresa col consueto vigore fino all'aprile scorso, con l'ultimo pezzo del mio alter ego che muore con lui.
Presidente di LiberaUscita, l'associazione italiana per il testamento biologico e la depenalizzazione dell'eutanasia, è stato costretto a un'uscita non nel suo stile dalla malattia, ma non è durata tanto e a posteriori non se ne lamenterebbe. Uno dei motivi per cui noi agnostici non possiamo ammettere l'esistenza di un dio è perchè altrimenti la vita ci sembrerebbe un suo scherzo macabro. Per questo tentiamo di viverla come si dovrebbe vivere un bel viaggio verso una meta qualsiasi, che sò il polo nord: la cosa che meno interessa è arrivare, l'attenzione è tutta focalizzata sull'itinerario, le cose che incontri, le tappe, le persone che dividono con te un tratto di strada.
Ho negli occhi un filmato realizzato durante un lancio in paracadute del già "anziano" Giancarlo, che esibiva nello stesso e nel mostrartelo un entusiasmo e un atteggiamento da ragazzo. All'uomo che vola sempre è lieve la terra, ciao amico mio.

giovedì 23 dicembre 2010

SE UNA NOTTE DI NATALE UN LETTORE...

Mai amato il Natale, e non perché non ho fede: se l'avessi lo odierei proprio, festa consumistica per eccellenza qual'è. E' che non sopporto l'ipocrisia. Non amo gli alberi di Natale, e non perché in fondo sono stati la prima di tante tradizioni importate come Halloween o inventate dai pubblicitari come Santa Klaus. E' che quelli veri sono un delitto e quelli finti una tristezza. E non amo la computer graphic, e pur usando un pc per lavoro e uno per diletto non ho mai giocato a un videogioco più avanzato di campo minato, poi per eccesso di politically correct divenuto prato fiorito. E' che proprio più sofisticati sono meno mi divertono.
Ma questo alberello di Natale che mi ha mandato Gemma Serena è proprio carino, realizzato come facevano i pionieri della grafica con le stampanti ad aghi. Su un testo, poi, di uno dei più grandi scrittori italiani contemporanei, Italo Calvino, tratto da un suo riuscitissimo romanzo degli anni 70 che è un prototipo logico dei moderni ipertesti. Grazie, Gemma, e auguri a tutti voi.

I
Libri
Che Da
Tanto Tempo
Hai In Programma
Di Leggere,
I Libri Che Da Anni
Cercavi Senza Trovarli,
I Libri Che
Riguardano Qualcosa Di Cui
Ti Occupi In Questo Momento
I Libri Che
Vuoi Avere Per Tenerli A Portata
Di Mano Per Ogni Evenienza,
I Libri Che
Potresti Metter Da Parte Per Leggerli
Magari Questa Estate
I Libri che
Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri Libri Nel Tuo Scaffale
I Libri Che
Ti Ispirano Una Curiosità Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile,
Ecco Che
Ti è stato possibile ridurre il numero illimitato di forze in campo
a un
insieme
certo
molto
grande
ma comunque calcolabile in un numero finito,
anche se questo relativo sollievo
ti viene insediato dalle imboscate
Dei Libri Letti Tanto Tempo Fa
Che Sarebbe Ora Di Rileggerli
E Dei Libri Che Hai Sempre
Fatto Finta D’Averli Letti
Mentre Sarebbe Ora Ti
Decidessi A Leggerli Davvero.

da Italo Calvino
Se una notte d’inverno un viaggiatore

lunedì 20 dicembre 2010

L'ITALIA OLTRE IL GIARDINO

L'amico che scrive oggi è un grande giornalista: raccoglie dati, studia, incrocia, e poi scrive - mica un dilettante come me che vomita pensieri di getto dopo essersi fatti gli occhi a pomodoro sui siti di controinformazione. Per questo, come si dice, ricevo e volentieri pubblico questo suo pezzone, che mi sembra un ottimo modo per tornare a parlare di Berlusconi senza ripetermi, come rischiavo di fare non avendo la verve di un Michele Serra o la statura di un Giorgio Bocca. Sono giorni tristi, in cui il Caimano ha inferto forse il colpo di grazia alla democrazia rappresentativa dimostrando che persino un deputato, anzi due, del partito più all'opposizione rimasto in parlamento può essere semplicemente comprato, a dei ragazzi che toccano con mano che se ancora qualcosa possono comprare è coi soldi di papà, quando e quanti ne hanno. Giorni tristi, in cui questi ragazzi vengono privati con astuzia cossighiana anche della voce, del diritto di manifestare tutto il loro scontento, perfino rimbrottati alla fine dal saccente Scrittore Anticamorra nei cui confronti ho sempre nutrito una istintiva diffidenza che mi si fa sempre più chiara.
Allora ben venga uno sguardo da fuori, da oltre il giardino, della Berlusconeide: vista dagli altri - Banca Mondiale, Reporter Senza Frontiere, Transparency International, Fraser Institute, Institute for Economics and Peace e World Economic Forum - questa nostra Italia cialtrona e fascistoide è irrimediabilmente bocciata. Figa a parte, s'intende...
articolo di Stelio Fantani

L’economia, il pil, il deficit e il debito pubblico sono oramai superati, vecchi orpelli che misuravano Paesi che esistevano nelle moltitudini statistiche, ma non sulle tavole delle famiglie. E allora ecco la novità. Il Governo si valuta ora attraverso il Gender Gap, ovvero, osservando le distanze, le disuguaglianze e le differenze che si colmano e si recuperano in corso d’anno nel modo in cui sono trattati i due sessi, uomini e donne. Ecco dove il BerluscTer è da primato. Il perché? E’ un’altra storia.
Sono oramai prossime le celebrazioni per il transito dell’era del Biscione a quella del Drago (plurale). Insomma, è ora di tirar le somme e di rendere l’onore dovuto all’Esecutivo instancabile del fare, non del filosofeggiare o del riflettere, profili in cui si racchiude invece la tipizzazione propria che ha segnato le stagioni del centrosinistra di governo. Dunque, passiamo in rassegna i risultati del fare berlusconiano. Partiamo dall’economia. Un terreno questo dominato, anzi, inquinato dalla stampa malevola, dai commenti di economisti intrisi di pessimismo e, per ultimo, da responsabili istituzionali, per esempio il numero 1 di Bankitalia, zavorrati da ansie numeriche che mascherano e mettono in ombra i successi clamorosi centrati in 2 anni di BerluscTer. Come peraltro ben esplicitato, e ricordato, con ricchezza di reportage, dal MinzulPop, nuova versione in 3.D dell’antico Tg1, l’ammiraglia Rai un tempo votata alla beatificazione del nulla di fatto made in centrosinistralandia.
Dall’Homo Sapiens all’Homo Domesticus
Comunque, torniamo ai numeri. Il pil, cioè la ricchezza prodotta annualmente dal Paese è immobile, in uno stato di ibernazione. In pratica, l’Italia sta transitando dalla Grande depressione alla Grande recessione, anticamera d’una prossima Grande stagnazione. A suggerirlo sono alcuni indicatori. Innanzitutto, il deficit che danza oramai da tempo intorno all’asticella del 5 per cento, senza mostrare segni di riacquisita tonicità. Andando oltre l’altalena del deficit c’imbattiamo nel macigno del debito pubblico, fermo a novembre 2010 a quota 1.844miliardi, in pratica 178miliardi di euro in più rispetto ai 1.665miliardi con i quali s’era chiuso il 2008 che aveva immortalato l’esordio del BerluscTer. Restando ai numeri, quindi non tenendo conto del MinzulPop, in soli 19 mesi in media ogni singolo contribuente, sono all’incirca 40milioni, pensionati inclusi, ha visto riversarsi sul futuro delle proprie tasche 4450 euro di nuovi debiti, non di maggiori risorse né di ambita liquidità, visti i tempi, ma di passività aggiuntive, e persino autocelebrate. E’ forse per ovviare a questa criticità imprevista che, sempre nel corso del 2009, e 2010, il BerluscTer ha fatto in modo di restituire 400mila lavoratori allo stato di disoccupazione. Su questo capitolo, considerando l’interezza dei mesi di governo dell’attuale esecutivo non è affatto azzardato indicare in mezzo milione di nuovi disoccupati il risultato dell’azione del fare.
Corruptionomy
 Ma l’economia, come abbiamo già accennato, è sotto scacco da parte dell’esercito dei pessimisti a oltranza. Quindi, passiamo a considerare altri dati che guardano più alla qualità e ai contenuti piuttosto che alla freddezza d’un pil peraltro ibernato. Per esempio, parliamo del tasso di corruzione che il Transparency International pubblica ogni anno. Nel corso dell’anno passato, e rispetto al 2009, le posizioni perdute sono state 8. Il Paese, quindi, è scivolato in 63esima posizione. Niente male, un successo.
A sproposito del disfare
Peraltro, bissato dalla 80sima posizione, cioè 4 posti in meno, centrata nella graduatoria del doing business stilata annualmente dalla Banca Mondiale. Un risultato grottesco questo per un governo che si presenta votato all’impresa e che, nei fatti, sembra sempre più relegarla nell’angolo, tanto da venir bocciato, nel suo fare, dalla stessa Banca Mondiale, non dall’Internazionale socialista. Un non-fare imprenditoriale ed economico segnalato anche dal Fraser Institute, autorevole paladino del conservatorismo economico votato all’antiburocratismo in stile destra anglosassone. In questo caso, l’indice della libertà economica, diffuso annualmente dall’Istituto, coglie al 68simo posto l’Italia del BerluscTer, ovvero ben 12 gradini più in basso rispetto alla performance del 2008. Ennesima conferma del disfare economico che contraddistingue l’attuale esecutivo? Difficile rispondere, considerando le ripetute congiure dell’Intelligence mondiale ordite ai danni del nostro governo. Lasciamo quindi la camera oscura dell’economia, vera palude, e passiamo a considerare altri ambiti. Del resto, da molti, tra coloro che orpellano l’attuale compagine che guida il Paese, s’è manifestata spesso l’esigenza di valutare indici di qualità, non soltanto economici, per esprimere un giudizio complessivo sullo stato d’un Paese, in particolare sul Belpaese.
….evviva la pace, abbasso la guerra
Allora prendiamo le classifiche dell’Institute for Economics and Peace. In materia non c’è ombra di dubbio, non siamo un Paese in guerra e, soprattutto, non siamo terreno aperto a conflitti civili. Siamo un paese pacifico, anzi, come ci ricorda il Tg1 versione MinzulPop, siamo una società radicalmente pacificata ove regna l’armonia, grazie al BerluscTer naturalmente. Scorriamo fiduciosi la graduatoria del Global Peace Index e, con sorpresa, scopriamo d’esser raffigurati in 40esima posizione. Anche in questo caso uno scivolone, -16 rispetto al 2008. Meglio di noi fanno, in Europa, Ungheria e Slovacchia, coppia di Stati stranota per il loro ondeggiare istituzionale. Proviamo a uscire dal Vecchio Continente e, questo sì ha un effetto deprimente, sorta di placebo inverso. Il GPI, infatti, ci svela che sono considerati più stabili e armonici, oltreché pacifici, dell’Italia berlusconiana e legaiola, in ordine, il Botswana, la Malesia e….il Vietnam. E’ qui che sull’orlo della depressione il lettore si ferma e volta pagina.
Intima comunicazione
Infatti, si passa in fretta a osservare le classifiche di Reporter Senza Frontiere. Su questo terreno non dovremmo avere rivali, grazie all’esordio del Tg1 versione MinzulPop, campione di libertà di stampa ed esempio massimo di informazione salutista che non s’inchina. E invece, giù di 5 posizioni, dal 2008. Oggi, quindi, siamo in 49esima, a braccetto con il Burkina Faso ma, evviva, un gradino sopra El Salvador.
Ce l’hanno con B
Com’è possibile? Scivoliamo ovunque. E’ ovvio, l’indicatore sull’armonia e la pace italiana è monopolio della sinistra estrema. Sbagliato. L’Istituto che lo cura elabora le indicazioni provenienti dal mondo accademico internazionale e dai think tank più spostati nell’area del conservatorismo. Per di più le somme finali sono tirate sotto la supervisione dell’Economist Intelligence Unit, braccio operativo dell’Economist, a sua volta Bibbia della conservazione anglosassone.
Eppur si muove
Ritorniamo allora all'economia, al World Economic Forum, per osservare che in tema di gender gap, cioè di ineguaglianza tra i sessi, abbiamo guadagnato ben 17 posizioni. Finalmente, siamo in decisa rimonta. Ecco un segno evidente della politica del fare. Stiamo scalando le posizioni nella piramide delle differenze tra i sessi, colmando le distanze che per decenni, anzi, secoli hanno relegato in coda il nostro Paese. Come stiamo ottenendo questi risultati? Chissà, forse candidando decine di giovani letterine, modelle, letteronze, donne immagine ed ex-escort, alcune per la verità in azione permanente, nelle liste destinate, alternativamente, ad aprire le porte, e i seggi, dei consigli comunali, provinciali e regionali, delle aule parlamentari, con l’allegato del Parlamento europeo, ecc…..Chissà.

sabato 18 dicembre 2010

THE PARTY

Vado di fretta ma ho il tempo di un saluto a Blake Edwards. Pochi giorni dopo Monicelli, ci lascia un altro grande vecchio della cinematografia, di una grandezza diversa ma non quantitativamente, direi: Colazione da Tiffany e l'intera serie della Pantera Rosa (quello con Benigni però da dimenticare) non sono direi da spiegare, ma come non ricordare Operazione sottoveste (Tony Curtis e Cary Grant, il sommergibile rosa pieno di ragazze....), La grande corsa (sempre Curtis, Peter Falk e Nathalie Wood, il fumettone che originò una fortunatissima serie a cartoni animati), Victor Victoria (Julie Andrews, da poco sua moglie, en travesti), o i recenti Skin deep (memorabile la lotta al buio tra due uomini nudi con preservativo fluorescente addosso) e Nei panni di una bionda (con l'irresistibile corpo di Ellen Barkin in un anima da purgatorio maschile). Ci ha fatto ridere da morire, il marito di Mary Poppins, ma mai quanto nella prima mezzora più esilarante della storia del cinema, quella di Hollywood party, dove un gigantesco Peter Sellers distrugge nei primi 5 minuti un set cinematografico e poi, finito per errore nelle liste degli invitati anzichè in quelle di proscrizione, nel resto del film la casa del produttore. Il tutto con una faccia impassibile degna dei migliori Chaplin e Laurel assieme. Vi posto le prime due scene, il film se non lo avete visto cercatelo, se siete abbastanza scemi come me riderete con le lacrime.



martedì 14 dicembre 2010

ISTINTIVAMENTE ISTANBUL

Suleymaniye, moschea del XV secolo
restaurata troppo pesantemente
Oggi che Berlusconi riesce per l'ennesima volta a salvarsi il culo, grazie a tre finiani, due del PD e due dell'Italia dei Valori, io non mi azzardo a commentare l'incommentabile e vi parlo di Istanbul.
Pochi giorni non bastano nemmeno ad una visita turistica classica, ma non riesco proprio ad andare in un posto senza tentare di guardare di sbieco, cercando tra le righe del libro aperto che è una città che si vende per vivere.
Non serve ricordare che Bisanzio (città assurda, città strana) divenuta Costantinopoli raccolse l'eredità di Roma, quindi conquistata dall'Islam lo conquistò divenendo il centro del suo quarto impero fino alla Prima guerra mondiale, quando sbagliò alleato. Poteva finire a rotoli, senza l'intervento di Mustafà Kemal, non a caso detto Ataturk, "padre dei turchi", il che a me ricorda come nella provincia lucano-pugliese per dire "mio padre" si dice "attanime". E' sotto di lui che la moderna Turchia si incamminò in un processo di laicizzazione decennale, che però ha invertito il suo verso negli ultimi tempi. Oggi, la sterminata città conta tredici milioni di abitanti (ma i turchi ti dicono sedici, diciassette, come fosse una cosa di cui vantarsi), ma nelle zone che bazzichiamo noi turisti, essenzialmente le europee più antiche, i turchi in giro sono una minoranza, e tra loro una maggioranza di uomini, le donne spesso a capo coperto. Anche se sul velo ci sarebbe tanto da ragionare, valutando da un lato la fondatezza dell'interpretazione coranica che lo imporrebbe e dall'altro la legittimità della sua critica in nome di una emancipazione femminile tutta da valutare, non è un buon segno per il sogno di Ataturk.
Istanbul mi ricorda istintivamente Venezia (e Chianalea...)
Fino a poco tempo fa, e infatti le guide turistiche riportano ancora questa raccomandazione, una moneta ipersvalutata e una superinflazione rendevano assolutamente sconsigliabile cambiare, anzi, i turchi stessi cui putacaso pagavi una cena 12milioni di lire andavano di corsa a cambiarle in euro o dollari perchè tenessero potere d'acquisto. Oggi il processo inflattivo è molto minore e il cambio euro/lira è fisso su 1 a 2, in vista del tanto anelato ingresso in Europa, ma già i più furbi tra i negozianti e ristoratori ti fanno un cambio diverso tenendosi una commissione fittizia. Come se vox populi abbia cominciato a dubitare della bontà del progetto, anche solo guardando poco oltre il loro naso, i cugini greci.
Di sicuro guardandosi intorno, tra file di negozi ininterrotte, bazar sterminati (una notizia: il centro commerciale NON è una nostra invenzione), e zone grandi come tutta Terni (dico per dire, perchè TR è la sigla automobilistica sia della cittadina italiana che della repubblica turca) costituite quasi esclusivamente da ristoranti pub e locali vari, non si capisce come possa convenire a questa gente rinunciare a una moneta abbastanza debole da averli trasformati in una meta turistica obbligata per la stragrande maggioranza di quei pochi tra i poveri cittadini dell'area euro che ancora si possono permettere una vacanza. L'ultima sera a cena nella Montmartre turca, una deliziosa stradina che scende verso il mare dal liceo di Galatasaray, nel localino striminzito gestito da un ragazzo di vent'anni che potrei mostrarvi mettendo una mia vecchia foto, tanto mi è parso mi somigliasse, pensavo a quanti dei suoi parenti e avi sono emigrati specie in Germania nei decenni passati, e a come dunque si debba ritenere fortunato lui ad avere la possibilità di lavorare nella sua terra, a come difenda questa prospettiva lavorando duro e bene (era peraltro gentile e professionale): da noi i suoi coetanei li abbiamo costretti dietro le barricate e sotto i manganelli, per assenza di altra prospettiva.
Santa Sofia, da qui si affacciava il Sultano
Basta, sono appena tornato da una breve vacanza e mi sto già riavvelenando. Mi rifugio allora col pensiero nelle tante bellezze viste pur in così poco tempo e col maltempo siberiano sul collo, tante sì ma per decidere di andare o tornare a Istanbul ne basta una: la chiesa più bella del mondo, per mille anni anche la più grande, poi moschea e modello per tutte le moschee del mondo, la basilica della divina Sapienza, o Ayasofya, o come la conosciamo noi Santa Sofia. Una costruzione così proporzionata e imponente, ultimata ai tempi in meno di sei anni di lavori da mille muratori e diecimila manovali. Saranno stati schiavi, ci viene da dire a noi che siamo stati addestrati a pensare di non esserlo, mentre invece lo siamo anche noi, ah se lo siamo... E i ragazzi se ne stanno accorgendo: io leggo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando...

martedì 7 dicembre 2010

PIÙ NERO CHE BIANCO

Poiché per qualche giorno viaggioperdiletto prendendomi una pausa dal controinformare, preferisco che resti come articolo di primo piano un qualcosa di utile, piuttosto che il solito sproloquio sociopolitico.
Più nero che bianco - i colori della Guinea Bissau” è il titolo della mostra fotografica che si terrà dal 14 al 18 dicembre al Blurry (www.blurry.it) a Trastevere, organizzata dai volontari romani dell’associazione pugliese S.ol.co. onlus.
Le foto sono di Sergio Leonardi, membro dell'associazione e fotografo professionista (questo il suo sito), scattate questa estate in Guinea Bissau in occasione dell’inaugurazione dell'Hospital do povo, costruito ad Ingorè coi fondi dell'associazione.
Se potete, andateci proprio martedì 14 dicembre all'inaugurazione della mostra: potrete ascoltare l’esperienza vissuta dall’autore delle foto durante un eppiauàr (siamo a Roma, qui si scrive così) il cui ricavato sarà in parte devoluto ancora alla onlus.
Ho fatto due chiacchiere con Rosella Volpicelli, membro dell'associazione e volontaria per due volte in Guinea Bissau...

Com'è andata con questo ospedale? a che punto siete e quando è iniziata l'avventura?
L'idea dell'ospedale da una vera e proprio richiesta del popolo di Ingorè. Sono ormai dieci anni che l'associazione rivolge i propri sforzi verso lo stesso villeggio della Guinea Bissau costruendo pozzi, due asili, aiutando l'agricoltura tramite l'invio di un trattore e mandando con container aiuti umanitari di ogni genere a secondo delle necessità contingenti . Nel 2005 durante uno dei viaggi annuali che l'associazione compie alcuni nostri volontari sono stati contattati da un comitato promotore e portavoce del popolo composto dalle massime autorità del villaggio che ha richiesto a gran voce la costruzione di un ospedale. È apparso subito un obiettivo molto sfidante, ma, abbiamo accettato. E alla fine passo dopo passo eccoci qui. Con un ospedale di ben 13 stanze: accettazione, ambulatorio e sala d’attesa, sala pre-parto, parto e post-parto, guardia medica, 5 stanze di degenza per un totale di 26 posti letto per adulti, 6 per bambini e 4 per neonati, un blocco operatorio ed un laboratorio di analisi, questi ultimi due ancora da ultimare. Sarà principalmente una clinica materna infantile che si occuperà di seguire le mamme in gravidanza, permettendo finalmente di effettuare parti cesarei, e i bambini, curando le patologie tipiche della zona come la malaria e la denutrizione. 
Come ti sei avvicinata all'associazione? Cosa vi muove, davvero?
Ho conosciuto Francesca, il vicepresidente dell'associazione quattro anni fa. Un incontro veloce ma intenso. Davanti a una pizza e una birra mi ha parlato di Solco, mi ha raccontato della sua esperienza di anni in Africa e trasmesso tutto il suo entusiasmo. Ricordo di essermi alzata da tavola piacevolmente colpita. Avevo passato una serata come tante eppure quelle parole mi avevano riempito, quei suoi occhi un po' sognanti e concreti stregato. Ho iniziato quindi a finanziare Solco tramite donazioni non potendo essere utile in altro modo (a quel tempo lavoravo a Milano). Poi nel 2008 è arrivata la prima occasione di partecipare a un campo di lavoro. e senza farmi troppe domande sono partita. Un'esperienza incredibile. Quest'estate poi c'era bisogno ancora di tutti noi per caricare il container spedito da Putignano, ultimare i lavori, e inaugurare l'ospedale. Siamo partiti in 21. Volontari di ogni età e di diverse città di Italia. Ma tutti con lo stesso sguardo e la stessa voglia di fare e si scambiare emozioni con un altro popolo e un'altra cultura. Faticosissimo e entusiasmante.  Quello che ci muove e muove ancor di più l'anima storica di Solco è una "genuina e responsabile incoscienza". Ci si è buttati in avventure e progetti sempre più grandi con un pizzico di incoscienza ma grande passione.Anche perché una volta che hai fatto parte di quella realtà, che hai incrociato quegli sguardi, non puoi più far finta di non vedere. 
Ogni anno realizzate un calendario, la cui vendita contribuisce ad introiti che immagino non siano mai abbastanza, anche tenuto conto del 5x1000. Qual'è l'idea di quello del 2011?
Con il 5X1000 ogni anno raccogliamo fino a 35.000 euro. Una bella somma che ha fatto la differenza per la costruzione di questo ospedale e sulla quale facciamo affidamento per continuare a finanziare i nostri progetti (speriamo che il temuto furto tremontiano non vada in porto, NdR). L'associazione viene finanziata in primis dalla vendita di calendari da tavolo e da parete. Sono calendari tematici, ogni anno diversi. Quest’anno festeggiamo la decima edizione con un calendario speciale: “Felici e pazienti. Soprattutto pazienti”. L’idea del calendario 2011 è nata quasi per gioco la scorsa estate durante il campo di lavoro. Tra una pennellata e l’altra, mentre eravamo indaffarati in lavori di muratura, allestimento, giardinaggio e pittura all'interno dell’ospedale, tanti ragazzi e bambini si sono avvicinati per dare una mano, per aiutarci o soltanto per curiosare. Allora perché non coinvolgerli nei lavori o, ancor meglio, nella realizzazione del calendario? E così chiacchierando sotto il cielo stellato di Ingorè, l’idea si è trasformata in 12 scene, una per ogni mese dell’anno. Improvvisandoci scenografi, registi, talent scout, abbiamo iniziato ad allestire un insolito set fotografico con il poco materiale a disposizione, ma con tanta creatività.I bambini di Ingorè, per qualche giorno o anche solo per qualche ora, sono così diventati attori su questo set, indossando le vesti di pazienti e dottori. Di tutte le emozioni vissute in quel periodo è quella che ricordo con più piacere e con un pizzico di commozione. 

sabato 4 dicembre 2010

RAGAZZI DI VITA PROSSIMA VENTURA

Pasolini a un corteo negli anni 70.
Oggi sarebbe molto meno perplesso.
Il mondo che hanno in mente quelli che davvero lo governano prevede un livellamento del livello di vita della quasi totalità della popolazione mondiale, in basso, per consentire a una ristrettissima élite di conservare e magari incrementare il proprio. Poco importa se questo sia un piano pensato a tavolino da un Grande Vecchio o più, oppure semplicemente un effetto "naturale" del sistema capitalistico rimasto senza freni dalla fine del socialismo reale: di fatto, la globalizzazione ha unificato i mercati di capitale merci e (di conseguenza) lavoro, trasformando il mondo in un unico grande sistema. Per usare una "sottile" metafora: è possibile mantenere a temperature diverse l'acqua di diversi recipienti, quando la mischi la velocità in cui la temperatura di tutte le sue molecole sarà la stessa dipende esclusivamente dalla grandezza e dalla forma del recipiente. Per capire il funzionamento del mondo di oggi i modelli suggeriti dall'economia, tutti concepiti all'interno di sistemi limitati, non funzionano, meglio sarebbe adottare quelli della meteorologia: gli oceani, l'atmosfera, ecco buone metafore del sistema economico globalizzato.
In questo mare magno, ragionare di classi sociali nei termini classici è pesantemente fuorviante: è questo il principale argomento contro il permanere delle categorie politiche tradizionali, non il venir meno della necessità di una dialettica tra una "destra" e una "sinistra" a prescindere se si voglia o meno chiamarle così. L'attuazione del piano suddetto si è infatti concretizzata in una serie di cesure "temporali", a partire dai primi anni 90, operate laddove si incontrava il limite dei diritti acquisiti: c'è il prima e il dopo la riforma delle pensioni del 92 e ogni altra successiva fino al furto delle liquidazioni, il prima e il dopo la legge Biagi e la legge Treu, il prima e il dopo le privatizzazioni e la dismissione di pezzi sempre più grandi di demanio. Ad esempio, magari era eccessivo, ma quando sono entrato nel pubblico impiego io i miei colleghi con 19 anni 6 mesi e un giorno di servizio potevano andare in pensione, ricevere una buonuscita con cui potevano comprare un appartamentino o rilevare un ristorantino, e una pensione pari circa a mezzo stipendio con cui vivacchiare o su cui contare come base per quando ci sono pochi clienti - magari era eccessivo, ma intanto alcuni lo facevano, e altri giovani venivano chiamati a prendere il loro posto; ora siamo all'eccesso opposto, e i giovani un lavoro stabile non sanno nemmeno cosa sia, e negli uffici pubblici siamo quasi tutti anziani.
Generalizzando, o meglio uscendo dall'esempio spicciolo, confrontiamo due fotografie: una con le aspettative di un ragazzo occidentale degli anni 90/duemila, l'altra con quelle di un suo coetaneo degli anni 60/70. Il confronto è drammatico. Da un lato uno che aveva quasi la certezza di studiare molto più a lungo dei suoi genitori, ottenere un lavoro migliore e meglio remunerato, sia esso privato che pubblico (nel qual caso la retribuzione inferiore era compensata dal lavorare meno e da una serie di fringe benefits come la casa a prezzo convenzionale), viaggiare e divertirsi molto più dei suoi cari vecchi ignoranti vecchi. Dall'altro uno che se non ci fosse il reddito, talora pensionistico, dei suoi dotti vecchi, oggi starebbe sotto i classici ponti, visto che al massimo rimedia lavoretti contratti a termine e simili nonostante una laurea, e anzi se non fosse per i vecchi di cui sopra non si sarebbe nemmeno potuto permettere di studiare. Senza contare che non potrà certo offrire supporto analogo ai suoi, di figli, quando invecchierà a sua volta senza nemmeno uno straccio di pensione.
Insomma, siamo la prima generazione occidentale dopo secoli a consegnare ai propri figli un mondo peggiore di quello ricevuto, con aspettative nere per il prossimo futuro (anche non volendo credere del tutto a questa profezia di Grillo) e ancora peggiori per quello remoto. Questa è la semplice verità che viene ricoperta di un sacco di discorsi rispetto ad essa superficiali per nasconderla. Ma è talmente eclatante che sta cominciando a fare breccia anche sotto diversi strati di falsa coscienza: sotto il rincoglionimento televisivo, sotto l'identità da target di marketing dedicato, sotto l'indotto schifo per la politica, e perchè no sotto la beata superficialità che caratterizza ogni generazione di ragazzi, questi hanno cominciato a capire che il proletariato di oggi sono loro. Sono pochi, male organizzati, senza guida ideologica, ma hanno dalla loro una ragione sacrosanta, e tanti anni di meno. Guardate questa ventunenne cosa scrive a Il Fatto, ad esempio. Ecco perché, forse, continuano a protestare anche dopo che la cosiddetta riforma Gelmini (a proposito, ho scoperto qual'è la sua vera anima, altro che lotta ai baroni: va inscritta nel solco del federalismo, e ha come vero scopo e unico apprezzabile effetto un ulteriore depauperamento del demanio pubblico) è stata rinviata a dopo il 14 dicembre, che è come dire che forse non se farà niente: fanno corpo. Vedremo se è vero, o era solo un mio wishful thinking, da come si comporteranno nei confronti di altre questioni che saranno cruciali nel loro futuro, a cominciare ad esempio dall'acqua pubblica. Magari stare assieme li aiuterà a capire quali sono i loro veri nemici: se restano nelle grinfie dell'imbonimento mediatico prima o poi li convincono che sono gli extracomunitari che gli rubano il lavoro, magari dopo averli ridotti ad accettare anche i lavori che oggi solo questi disgraziati, vittime del neocolonialismo, sono disposti a fare.
Ragazzi, solo voi potete, oggi, impedire che si avveri la profezia di una delle menti più lucide abbia mai vissuto in questo Paese, Pier Paolo Pasolini, ucciso 35 anni fa in circostanze mai chiarite: ve la faccio prima leggere e poi sentire cantata da Alice che è ancora più bella. Impedirla o prepararvi a viverci dentro. Si chiama La recessione.
Rivedremo calzoni coi rattoppi, rossi tramonti sui borghi vuoti di macchine, pieni di povera gente che sarà tornata da Torino o dalla Germania. I vecchi saranno padroni dei loro muretti come poltrone di senatori e i bambini sapranno che la minestra è poca e che cosa significa un pezzo di pane. E la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremmo i grilli o i tuoni e forse qualche giovane tra quei pochi tornati al nido tirerà fuori un mandolino. L'aria saprà di stracci bagnati, tutto sarà lontano, treni e corriere passeranno ogni tanto come in un sogno. E città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi con i vestiti grigi e dentro gli occhi una domanda che non è di soldi ma è solo d'amore, soltanto d'amore. Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde nella curva di un fiume nel cuore di un vecchio bosco di querce crolleranno un poco per sera, muretto per muretto, lamiera per lamiera. E gli antichi palazzi saranno come montagne di pietra, soli e chiusi com'erano una volta. E la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremmo i grilli o i tuoni. L'aria saprà di stracci bagnati, tutto sarà lontano, treni e corriere passeranno ogni tanto come in un sogno. E i banditi avranno il viso di una volta con i capelli corti sul collo e gli occhi di loro madre pieni del nero delle notti di luna e saranno armati solo di un coltello. Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra leggero come una farfalla e ricorderà ciò che è stato il silenzio, il mondo, e ciò che sarà.

martedì 30 novembre 2010

CI VEDIAMO DA MARIO, PRIMA O POI

con Totò durante le riprese de I soliti ignoti
Si potesse fare, oggi stringerei la mano a Mario Monicelli. Di biografie sulla rete oggi ce ne sono a tinchitè, per dirla con un altro grande vecchio, per cui io mi limito a salutare uno dei più grandi maestri del nostro cinema (per dire, se io sulla classica isola deserta potessi portarmi a scelta o tutti i suoi film o tutti quelli di Fellini, senza offesa per nessuno opterei per il cofanetto con Amici miei, La grande guerra, Un borghese piccolo piccolo, L'Armata Brancaleone, La ragazza con la pistola, Risate di gioia, I soliti ignoti e i tanti con Totò, diretti spesso a quattro mani con Steno, in cima a tutti Guardie e ladri) rimarcando gli ultimi due episodi che lo hanno visto protagonista in cronaca:
  1. l'intervista del marzo scorso a Raiperunanotte, di cui riporto il filmato in coda, in cui ha dimostrato una volta di più che la gioventù non è questione di anni, e ci ha fatto riflettere sulla miseria di una società in cui devono essere gli ultranovantenni a parlare di rivoluzione;
  2. la sua scelta estrema, tanto significativa data l'età e le condizioni di salute, con cui ha tolto alla Morte l'ultima mossa, facendo quasi un'occhiolino finale al miglior Bergman.
foto dalla pagina Facebook del Movimento Antiberlusconiano Italiano
A illuminare ciascuno di questi due episodi, una coincidenza:
  1. gli studenti manifestano contro la controriforma Gelmini in tutta Italia, specie a Roma, come a volerlo salutare annoverandolo tra le loro file - e occhio signori miei che stavolta non sono solo "quelli dei centri sociali", sono tutti: è vero, rispetto a quelli degli anni 60/70 sono meno numerosi, ma allora il conflitto generazionale era culturale, oggi è economico, che è come dire che questi hanno molta più ragione e se la consapevolezza di "classe" strappasse da davanti i teleschermi anche i rimbambolati dalla DeFilippi sarebbe davvero rivoluzionario...
  2. la violenta rivendicazione di diritto di proprietà sulla sua vita di Mario Monicelli avviene durante la puntata finale dell'evento televisivo dell'anno, che avrebbe dovuto ospitare - per la stessa malintesa par condicio che aveva regalato undici milioni di spettatori a Maroni - i cosiddetti pro-vita a fare da contraltare ai quindi presunti anti-vita Welby ed Englaro della settimana scorsa. Tra parentesi, se come credo non ve siete accorti, con una paraculata delle sue Fabiofazio da un lato mostrava stavolta di tenere botta non cedendo alle imposizioni del CDA e dall'altro faceva pronunciare ad uno dei suoi elencatori un saluto a 'quelli che per anni assistono persone in coma vegetativo senza aspettarsi nulla e a quelli che danno loro sostegno' (o qualcosa del genere, non mi va di riguardare tutto il programma, fidatevi).
P.S.: Domattina 1° dicembre 2010 chi può partecipi al sit-in di solidarietà a Gioacchino Genchi, che questo Stato ringrazia per aver contribuito per anni alla lotta alla mafia con un provvedimento disciplinare per aver offeso uno che i mafiosi usava tenerseli in casa, in mattinata a Roma, via di Castro Pretorio 5. L'invito lo metto qui perchè il tempo stringe, e perchè Monicelli sarebbe contento: che rivoluzione in Italia sarebbe premiare la legalità!
P.S.2: Monicelli non voleva e non avrà funerali, d'altronde quella è roba per morti: lui (prendo due battute - che a lui sarebbero piaciute tanto, e anche agli amici suoi - da Spinoza.it, scelte tra tante da Gemma Serena) è sfuggito alla morte buttandosi dalla finestra. E comunque non si è suicidato: è morto di vecchiaia mentre era in volo.


domenica 28 novembre 2010

ABBIAMO UN SOGNO: NON AVER BISOGNO DI EROI

Il testo dell'appello è un filino troppo ottimistico, per usare un eufemismo, ma ho deciso lo stesso di unirmi ai 4035 aderenti, tra cui Dario e Jacopo Fo Salvatore Borsellino e Serge Latouche, perché solo dei visionari hanno la possibilità per quanto improbabile di trovarsi pronti a dare le carte quando il banco è saltato, a salire in cassetta quando gli indiani hanno accoppato il cocchiere, a vincere le elezioni partendo da zero quando un'intera classe politica va a gambe all'aria. Né più né meno quello che ha fatto il visionario Berlusconi 17 anni fa, se ci pensate. Solo una visione, infatti, può rimpiazzare una visione, tanto è vero che fu con la visione dell'Europa Unita, antitetica (e pur "minore") rispetto al berlusconismo, che Prodi vinse due elezioni, sia pure con maggioranze troppo deboli per poter governare, mentre ciò che manca alla sinistra da troppo tempo è proprio una narrazione sociopolitica da sostituire al non più utilizzabile socialismo reale. Ed è proprio quella che può fornire il progetto dal nome Abbiamo un sogno: è molto meno utopico della sua etichetta, e questa è una delle cose che si capiscono leggendo direttamente come lo illustra Jacopo Fo.
...
Io però tra tutti i messaggi che l'appello passa voglio soffermarmi su uno in particolare, perché mi dà l'opportunità di spiegare una cosa che mi ronza in testa da un po'. Il passaggio è "la raccolta differenziata è mille volte meglio degli inceneritori", la cosa che mi ronza in testa è "perché non riesco a farmi piacere Roberto Saviano?". Nossignori, non ho letto Gomorra, e non sono andato a vedere il film di Garrone, regista cui pure avevo dato malriposta fiducia andando a vedere L'imbalsamatore e Primo amore, manieristici lenti e compiaciuti, prima di decidere che non mi piace. Prima però mi limitavo a rubricare la mia antipatia per il giovane fortunato scrittore partenopeo in tre diversi scontati capitoli: invidia per il successo anche economico, solita tendenza innata di noi sinistrorsi a dividerci e distinguerci anziché come i destrorsi fare fronte comune contro il nemico, contraddizione insanabile dello scrivere contro la camorra per un editore che - per restare ai fatti dimostrati giudizialmente - avendo bisogno di protezione anziché rivolgersi alle forze dell'ordine si metteva dentro casa per anni un boss mafioso.
Delle tre questioni, l'unica fondata obiettivamente, e quindi l'unica confessabile pubblicamente, era l'ultima. Cui però si aggiunge adesso l'altrettanto obiettivo fatto di co-condurre una trasmissione in tv, senza peraltro esserne capace (quindi per il solo fatto di essere personaggio, dunque all'interno della sintassi televisiva berlusconiana), prodotta da una società controllata dallo stesso editore di cui sopra. I miei amici di sinistra, di fronte a queste mie rimostranze (lo ammetto: condite anche da un'annosa antipatia anche per Fabiofazio) mi rispondono con una serie di obiezioni tutte riassumibili più o meno così: "eh ma oggi giorno se non fai così non lavori, se non sei dentro certi giri non lavori, e allora sono meglio gli oltranzisti integralisti ostracizzati che non riusciamo a vedere, o questi che grazie alla loro duttilità riescono a lavorare e allora si fanno vedere e sentire e mi fanno vedere finalmente in tivvù qualcosa di diverso, dalla Litizzetto ad Albanese a Paolo Rossi a Benigni, eccetera eccetera?". Pur essendo immediatamente denunciabile per logica (se quelli che danno veramente fastidio li hanno fatti davvero sparire e questi no, vuol dire che questi non danno veramente fastidio) se non per legittima suspicione (che ci sia un gioco delle parti tra editore-produttore e dipendenti), ho preso sempre per buona questa argomentazione difensiva, anche perché di solito proveniente da persone cui voglio bene e che stimo, della cui ottima fede quindi non ho ragione di dubitare. E tuttavia quella cosa in testa ha continuato a ronzare, fino a che...
Fino a che l'altra sera l'enfant prodige dell'anticamorra non si schiera apertamente per gli inceneritori. Ascoltandolo, mi si sovrapponeva al suo volto quello di un altro maitre a penser del progressismo, Veronesi: il luminare oncologo a favore dell'energia nucleare e per questo recentemente chiamato da Berlusconi a presiedere l'apposita Agenzia. Allora, non avendo nè il tempo nè la voglia di leggermi il mattone Mondadori e guardarmi tutte le comparsate televisive Vieni via con me compreso, mi metto a cercare in Rete, e scopro che Saviano:
  • ha posizioni perlomeno discutibili sulla questione israeliana;
  • sui rifiuti, prima di proporre la soluzione sbagliata inceneritori, dimostra di non conoscere le potenzialità di una vera raccolta differenziata e le vere cause dell'emergenza napoletana (per lui sempre il generico "la camorra");
  • sui rapporti tra lega e 'ndrangheta, forse alla fine ha fatto un favore a Maroni (che studia per premier, e 11 milioni ad ascoltarlo se li sognava), e se così fosse non si sa se è meglio per lui che gli venga attribuita la colpa o il dolo, ma in ogni caso l'interrogativo è "sottostare al diktat o farsi tagliare il programma"? Daniele Luttazzi non avrebbe avuto dubbi, figurarsi Enzo Biagi. E difatti.
Bocciato definitivamente Saviano, quindi?
Intanto, per capire che il problema rifiuti non ha regionalità nè latitudine, divertiamoci con la lettura di Carlo Bertani del caso Riso Scotti Energia: è davvero molto istruttivo su cosa ne è degli inceneritori (e potrebbe essere delle centrali nucleari) in questo scellerato Paese.
Ma poi, poiché non voglio dare torto ai miei amici, concludo per l'ipotesi che Saviano non sia in malafede, in fondo è un ragazzo catapultato dalla fortuna editoriale - sicuramente meritata - in un ruolo, quello dell'eroe, che incarna come personaggio non avendo (e non per colpa sua, ovviamente) né la statura né il mestiere o il ruolo di un Falcone. Egli è dunque, come si diceva negli anni settanta, "un compagno che sbaglia", come tanti di noi, anzi meno di noi, ma dato il ruolo che si trova a recitare ha una responsabilità tale, di fronte all'immenso seguito che ha, che certi errori non li può proprio fare. E allora chiudo, montandomi un po' (ookay: un bel po') la testa, parafrasando Cerami, con dei "consigli al giovane scrittore", nel caso voglia smentire i suoi sempre più numerosi detrattori (e non ricorrere a un "è tutta invidia" che a pronunciarlo si troverebbe in pessima compagnia):
  1. cominciando dal tenere duro sui pro-vita, dìa una sterzata cazzuta al programma, forte degli ascolti oceanici (che qualcosa ai vertici del PD dovrebbero dire, sulla voglia di sinistra che c'è nel Paese), tanto è l'ultima puntata, no? si documenti, se no si faccia passare le carte da Travaglio, sui rapporti tra mafia e Forza Italia nel 93/94, faccia qualche nome, parli fuori scaletta, vediamo se Masi è in grado di staccare la diretta e mettere le pecorelle...;
  2. chiusa la trasmissione, continui la sua meritoria opera di denuncia facendo un po' più di nomi e cognomi, magari di politici, lui che può permettersi di pagare gli avvocati (e tanto se il lavoro lo fa bene le cause le vince, come Travaglio appunto): lasci a noi piccoli poveri blogger le vigliaccherie;
  3. tagli il contratto con Mondadori, e magari anche con Endemol: non finirà sotto i ponti, ma acquisterà il credito minimo per parlare ad orecchie intasate da decenni di lordure, e però scafate, come le nostre;
  4. aderisca a un progetto politico alternativo, come quello di Abbiamo un sogno, gli porterà il suo contributo di visibilità, e in cambio magari un po' di incontri con un premio Nobel che ha dissimulato sempre il suo estremo coraggio con una maschera da giullare gli faranno dismettere quell'aria seriosa. 
    Ecco, il ronzio in testa non c'è più, ora so perché non amo il Saviano di oggi, e che percorso dovrebbe fare perché lo ami domani. Chi lo ama già oggi, prenda queste mie notazioni e indicazioni come auguri: il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette, domani sarà Nobel anche lui, magari quando la scena italiana non avrà più bisogno del personaggio che interpreta.

      giovedì 25 novembre 2010

      LE NINFEE LO STAGNO E LA STORIA DELLE COSE

      Monet, Lo stagno delle ninfee e il ponte giapponese
      Cosa c'entrano la scuola, la Norvegia, l'Irlanda, le cose, Vendola e JFK? Due sono stati europei, Kennedy era di origini irlandesi, sia lui che Niki da piccoli andavano a scuola, e poi? Non sforzatevi oltre, perché il filo logico che intendo seguire oggi è già arduo di suo, e questo è uno dei lussi che può permettersi chi controinforma per diletto perché per fortuna la pagnotta se la guadagna altrimenti: guardare il counter per curiosità e non per capire se oggi mangi.
      Dato che il consumismo è onnipervasivo, sono sicuro che non tutti i miei comportamenti siano irreprensibili da questo punto di vista, o in altre parole che anche il mio tipo sia un target, per quanto difficile, per i guru del marketing. Ma da ragazzino avevo le toppe ai pantaloni, soltanto un paio di scarpe chiuse da riacquistare a crescita piede o a consunzione, e d'estate un solo paio di sandali, poi un paio di jeans quattrostagioni, un "eskimo innocente" per tutto il liceo, mai una lira in tasca, eccetera; così oggi fatico a buttare un paio di scarpe, e anche per questo non compro mai cose di moda, ma solo quando irrimediabilmente scassate "quelle nere" ne compro un'altro dello stesso colore, possibilmente comode e indistruttibili, e questo esempio vale per la maggior parte delle cose: mi devo fare violenza per gettare un oggetto qualsiasi, ed emergo trionfante dallo sgabuzzino quella volta su un milione che questa mania è servita. Insomma, non ho una discarica in casa solo per via dei numerosissimi traslochi, ciascuno occasione di un provvidenziale reset. Ma uso un trench dell'89, e l'abito che indossai al matrimonio di mia sorella nell'86 è ancora in armadio, hai visto mai dimagrisco.
      Ricordo l'austerity del "73 con nostalgia come tutte le cose che si vivono da bambini, o era davvero bello girare a piedi in bici o coi pattini per le città forzatamente senza auto la domenica? Mi faccio domande del genere quando sento parlare i teorici della decrescita, o quando leggo cosa sta succedendo in Grecia o in Eire... Se guardiamo a quanto poco tempo è passato dall'adesione all'area Euro e dall'universale meravigliata considerazione con cui veniva visto il boom della appunto cosiddetta "tigre irlandese", viene da chiedersi però, più seriamente, dove è l'errore e com'è possibile che analisti politici ed economici di professione non l'abbiano previsto. Tanto che a questo punto il dubbio atroce è: se lo avessero previsto, e quindi il disastro cui assistiamo non sia un sottoprodotto imprevisto bensì il vero obiettivo di un'azione mirata?
      Andiamo con ordine, sia pure a grana grossissima perchè questo è un post su un blog e non un trattato storico. L'umanità ha vissuto per decine di migliaia di anni sul pianeta di quello che ci trovava sopra: una fase che trova memoria in molte religioni come paradiso perduto. La cosiddetta civiltà inizia con la relativa scarsità, e con essa iniziano alcuni millenni di stanzialismo, patriarcato, guerra, politica. Ma anche se la vita vi resta una dura lotta quotidiana, ancora quel mondo garantisce in qualche modo il sostentamento a tutti i suoi figli, assieme ad una relativamente estrema ricchezza a ristrettissime élite. Le cose cambiano solo quando la tecnologia consente di sfruttare le risorse fossili del pianeta (il carbone prima del petrolio) per creare energia sufficiente a trasformare il modo di ottenere le cose, e con esso le cose stesse e l'organizzazione sociale intorno ad esse. Questa fase dura da meno di tre secoli, un battito di ciglia nella storia dell'uomo. E sta mostrando la corda, per una questione di mera fisica dei sistemi: la terra è un sistema finito, per spazio fisico e risorse, e non è possibile che un modello a sviluppo lineare non incontri i limiti sistemici, più prima che poi. Come nell'indovinello delle ninfee e dello stagno: se raddoppiano ogni giorno, e impiegano dieci giorni a riempirlo tutto, quanti ne impiegano a riempirne metà? Non serve affannarsi in calcoli: nove, e se fossero cento novantanove, i limiti sistemici fanno così, si mostrano in tutta la loro drammaticità sempre all'ultimo momento. Così in questi tre secoli, le teorie sul mondo e la società, in altri termini le idee politiche, si sono polarizzate attorno a due ceppi, divisi a valle ma non a monte, cioè con idee diverse su cosa fare ma la stessa matrice culturale figlia di quella rivoluzione tecnologica: capitalismo e comunismo. Due etichette che potremmo sostituire con mercato e stato, destra e sinistra, taylorismo e marxismo, nazionalismo e socialismo, liberismo e statalismo, monetarismo e keynesismo, a piacere, non cambierebbe niente. La questione è che entrambe le visioni funzionano solo in un mondo che può continuare a crescere sempre, un utopico stagno infinito.
      Certo, la dialettica tra queste due pulsioni della modernità non è priva di cause e di conseguenze. Le contraddizioni insite nel capitalismo, infatti, hanno provocato problemi a fiotti che mai avrebbero trovato una soluzione, per via del naturale egoismo umano, se dall'altra parte non ci fosse stata una tensione ideale e pratica: questo meccanismo può essere facilmente utilizzato per leggere tutta la storia moderna, dallo svuotamento traumatico delle campagne per costruire il sottoproletariato urbano alle lotte per il salario e l'orario di lavoro limitato, dal colonialismo con annesse guerre mondiali per il controllo delle risorse alla costruzione del welfare state per la loro parziale redistribuzione, tutto può essere letto come risultato del tira e molla di questa lotta. Fino a quando, morto il socialismo reale, il capitalismo ha potuto credere di essere l'unico sistema possibile, l'unico giusto: allora, libero di scatenare tutto il suo potenziale distruttivo, tramite neoliberismo prima e neocolonialismo mascherato da globalizzazione dopo, ha portato in soli vent'anni il mondo sulle soglie della catastrofe.
      Figlio di questo delirio di onnipotenza, è in atto un piano consapevole, favorito dalle tendenze "naturali" del mercato, di riduzione progressiva dell'area del benessere a una élite sempre più ristretta: l'obiettivo è un mondo che garantisca a queste estrema ricchezza stavolta assoluta e del tutto incurante del sostentamento anche minimo di tutti gli altri, cosa credete che siano, se no, le continue riforme delle pensioni, lo scippo delle liquidazioni, il collasso della sanità pubblica, l'attacco all'istruzione pubblica, le privatizzazioni di tutto (perfino l'acqua), la precarizzazione del lavoro, l'approccio poliziesco all'immigrazione finalizzato alla schiavitù, eccetera? Questi studiano, le sanno le cose, e mentre la decrescita "felice" è un tema da carbonari del web, mentre il resto dei sudditi è stato dealfabetizzato per via televisiva e viene tenuto buono con la paura e la propaganda (scena madre, l'11 settembre 2001: la verità si saprà forse tra qualche decennio, come nel caso Kennedy), lo scenario di riferimento dei piani delle élite economiche mondiali è (esattamente come nella metafora di 2012 di Emmerich), dato che le risorse del pianeta non consentiranno affatto il mantenimento del tenore di vita occidentale nè a miliardi nè a centinaia di milioni nè nemmeno a decine di milioni di persone, il livellamento in basso del tenore di vita per tutta l'umanità per poterne mantenere uno elevatissimo in pochi. La decrescita felice, insomma, c'è già qualcuno che la persegue da decenni: felice per una cerchia ristretta e infelicissima per tutti gli altri.
      L'unica nostra possibilità di scampare a questo destino è acquistarne consapevolezza presto, e trasformare la cosa in azione politica prima che si formalizzi, e prima o dopo succederà, l'abbandono anche formale della democrazia come forma di governo, come tappa finale di un rimaneggiamento sostanziale che abbiamo sotto gli occhi da tempo. Liberarsi del regime berlusconiano è solo il primo passo, e ha ragione Flores d'Arcais ("da Fini a Vendola") bisogna percorrerlo anche con compagni di strada scomodi. Ricostruire un pensiero "di sinistra" è il secondo, e niente ha a che vedere - come bene dice Carlo Bertani - con le manovrine di vecchie facce e vecchi simboli in corso. Altrimenti passeremo dalla padella Berlusconi alla brace Montezemolo, schiavi di un potere economico-bancario-finanziario che non ci lascerà scampo. E in questo pensiero devono esserci idee nettamente diverse da quelle attualmente universalmente condivise su moneta (ecco cosa c'entra la Norvegialeggiamo questo rapporto e passiamo parola), debito pubblico e privato, istruzione e ricerca pubbliche, crescita e sviluppo (dePILandoci) e rapporto con le cose. Cominciando - come sempre bisogna fare - da se stessi, col recuperare la relazione con gli oggetti che era considerata normale fino a 30 anni fa, e fu tragicamente abbandonata in Italia proprio con la Milano da bere del compare dell'imbonitore che impazza da sedici anni, facendoci scordare la storia delle cose.

      venerdì 19 novembre 2010

      TUBULAR BALLS

      La decisione di investire parte della propria esistenza in un progetto di aiuto concreto nei confronti di popolazioni meno "fortunate" di noi, raccontata su questo blog in post come quello di Terramama o nella pagina Adottocondiletto, acquista valore non solo se maturata in omaggio a valori autoformati piuttosto che in adesione a una missione religiosa, ma soprattutto se si svolge nella consapevolezza che questo genere di cose si fanno innanzitutto e soprattutto per se stessi. Consapevolezza, questa, che ho sentito ammettere francamente anche da parte di persone che peraltro si dicono mosse da una fede: in quel caso, a spingerle non è certo l'attesa di una qualche ricompensa da parte del loro dio, quanto invece l'insopprimibile urgenza di "fare qualcosa" una volta sentita la quale senza obbedirle risulta impossibile godersi la propria vita.
      Vivere esperienze del genere nel proprio privato, e/o dare eco (se se ne ha la possibilità, e nei limiti di questa) a quelle e a tutte le altre di cui si viene a conoscenza, non deve però esimerci dal mantenere anche (ebbene si, possiamo pensare molte cose contemporaneamente...) una visione prospettica delle cause delle situazioni di bisogno (siano esse lontane maree estese o vicine sacche locali) tra cui abbiamo scelto quella su cui versare il nostro modestissimo contributo personale. Ciò perchè è solo se da questa parte del mondo quella visione si fa opinione di massa che i nostri piccoli autoconsolatori (per quanto utilissimi) cucchiaini verranno affiancati da efficaci autopompe nello svuotamento del mare della sofferenza.
      Bisogna sapere, ad esempio:

      • che questo governo ha fatto precipitare al penultimo posto tra i Paesi OCSE il già scarso apporto in termini di aiuti contro la povertà nel mondo: anche fosse solo per questo, bisogna augurarsi che questa (sciagurata anche per molti altri versi) esperienza politica volga davvero al termine, e pentirsi nel caso la si abbia in qualche modo sostenuta o lasciata prosperare nell'indifferenza;
      • che l'ultimo magheggio del commercialista che da quindici anni si atteggia a genio della politica fiscale (dicendo tutto e il contrario di tutto: memorabili i suoi argomentatissimi articoli sui danni provocati dai condoni fiscali poco prima di vararne una serie da record mondiale, o i suoi discorsi da no-global tra uno scudo fiscale e l'altro) ha praticamente derubato le organizzazioni no-profit di gran parte dell'ammontare del 5x1000 (già di suo un'elemosina, specie se paragonato al truffaldino 8x1000);
      • che tutta la fame del mondo è nipote amatissima del colonialismo, prima del quale le condizioni di vita normali (in senso statistico, ma anche modali o dell'ultimo decile) nel mondo erano apprezzabilmente simili (d'accordo, in basso), e figlia voluta del neocolonialismo, prima del quale ancora le differenze erano parecchie (decine? centinaia?) volte più basse di adesso: e dunque si può senz'altro affermare che per qualunque confort ciascuno di noi si possa dotare c'è qualcuno nel mondo che muore in diretta conseguenza.

      Leggiamo con attenzione questo pezzo di Cardini, che inquadra perfettamente la questione: siamo colpevoli di genocidio. Questo sistema capitalistico mondiale a guida finanziaria va smantellato prima che finisca di distruggere il pianeta. Le alternative ci sono, i popoli più coraggiosi hanno cominciato a praticarle, ad esempio gli argentini e i sudamericani in genere, forse forti dei decenni di sofferenze subite per essere il cortile di casa, the backyard, dell'imperialismo statunitense. Ma bisogna cominciare a pensarle, ste cose, tutti, perchè sia tra noi che si selezioni chi prenda il posto dei cosiddetti leader che dalla morte di Berlinguer stanno costantemente dilapidando l'idea stessa di sinistra. Per poi spacciare per tale una lista di luoghi comuni recitati in prima serata, peraltro male: ignorando l'abc della comunicazione, che per il mestiere che si sono scelti (e quanto ben retribuito!) è come voler fare l'idraulico senza capire un tubo.

      mercoledì 17 novembre 2010

      TERRAMAMA M'AMA

      Menomale, almeno oggi su sto blog del cavolo non si parla di politica!”, ecco cosa si potrebbe esclamare leggendo il pezzo di oggi. Ma sarebbe un errore, frutto del persistente malintendimento del vero significato del termine “politica” . Quando dei ragazzi si guardano in faccia si danno un calcio in culo e decidono di investire il loro tempo, non solo quello “libero”, per fondare e gestire un’organizzazione con obiettivi concreti di aiuto nei confronti di gente meno fortunata, come è successo a ottobre 2009 con la fondazione di Terramama Onlus (il link è al profilo facebook, il sito lo stanno realizzando, ma potete contattarli anche a info@terramama.it - ed effettuargli donazioni a Banca Etica C.F. 97568720581) , questi ragazzi fanno Politica nel senso più alto del termine. Per tante ragioni, non ultima quella che se è una fede in qualche dio a muovere qualcuno di loro intimamente, non ce lo vengono a raccontare nella ragione sociale. Fargli da eco è il minimo che si possa fare per aiutarli e incoraggiarli: questo è il racconto quasi “in soggettiva” di Simona, leggiamolo assieme.

      Sono partita per il Kenya il 16 dicembre 2009. E’ stato un viaggio pieno di aspettative. Prima della partenza cercavo di immaginare ciò che avrei potuto vedere e quanto peso avrebbe avuto sulla mia vita futura. Di certo era un viaggio diverso… ero emozionata. Durante il volo per Mombasa mi guardavo intorno, nell’aereo c’erano famiglie, coppie, amici, tutte persone che appena atterrate si sarebbero velocemente trasferite in qualche resort 5 stelle per chiudersi in un acquario virtuale, passando tra la realtà del posto velocemente: veloci nei loro bus ovattati con aria condizionata, veloci per non vedere la realtà, veloci per non sentire quell’odore acre. L’odore dell’Africa, dei corpi sudati e sporchi, dei mercati affollati di quella massa eterogenea di gente che parla, urla, cammina si sposta come un fiume in piena… Come un flusso che non si ferma mai, sempre in movimento, sempre: macchine, clakson, persone, animali, bici… Caos, tanto caos: “Dov’è l’interruttore?” - ti verrebbe da dire – “Fermi, fermi un attimo, non mi strattonate, per favore un po’ di spazio, un po’ di aria, non respiro, cos’è questa puzza, perché tutti mi osservano?” E poi: “poverino quel bimbo…”, stupore, meraviglia, emozioni contrastanti che corrono… lo stesso fiume in piena ora è sulla mia pelle, sudata e calda, nei miei occhi, nel mio sangue, nello stomaco, dentro, profondamente dentro… L’Africa degli infiniti spazi, delle grandi distanze, delle grandi mancanze! L’Africa, quella vera, ti entra dentro, prepotente, come una forte spinta… E quei bimbi: un pugno dritto allo stomaco, un colpo secco, e la gola si chiude, si chiude perché non vuoi piangere… È ridicolo, non posso piangere, sono appena arrivata!… Ma questi bimbi sono così soli!… Questa è l’Africa appena la senti, la annusi, la vedi, la tocchi, è questa, e come per tutte le cose, belle o brutte che siano, prima o poi ti abitui.
      Come è iniziato? Perché io in Africa, in Kenya, a costruire un pozzo? Flavia… è iniziato tutto da Flavia: Flavia Sconti, il presidente di TerraMama ONLUS, la nostra associazione. Flavia la nostra amica, la compagna di avventure, di risate, Flavia con la sua inseparabile collana dell’Africa, Flavia che crede, che vuole fare, che insiste, che si arrabbia, che a volte non si capisce, ma che vuole capire, che a volte si rassegna, che piange ma che insiste, che ama, che non vuole piangere… E’ Flavia che ha iniziato. Lavora per i vigili del fuoco di Roma e questa è la terza volta che viene in Kenya. La scorsa volta ci è stata 3 mesi: ha preparato la tesi e ha fatto un stage all’orfanotrofio di Salvation Army, il Mombasa chilrden’s home. Tornò con l’idea di costruire un pozzo nel villaggio di Shimba hills, e per farlo ha mobilitato i colleghi e la famiglia. Ma dopo il terremoto in Abruzzo i suoi colleghi ovviamente hanno tralasciato quella che era la sua causa e si sono impegnati in questa dolorosa e triste emergenza. Allora noi amici abbiamo organizzato un mercatino con tutte le nostre vecchie cose e così facendo siamo riusciti a raccogliere altri soldi per quello che ormai era diventato anche il nostro progetto, accompagnato dallo slogan di Flavia “senza di te non pozzo”. La decisione di fondare un’associazione è venuta quasi da sé, e fu così che il 22 ottobre 2009 nacque TerraMama Onlus, piccola e inesperta come tutti i neonati.
      Ed eccoci in Africa, ci ospiterà Kadija, una pimpante ed energica signora keniota dalla risata dirompente che abita per gran parte dell’anno in Italia, nell’appartamento al piano di sopra della famiglia Sconti. Nel villaggio dove si dovrebbe realizzare il pozzo abita suo fratello, ed è lei il nostro aggancio, il lungo filo che ci lega al Kenya. La sua casa in Africa si trova in Mtwapa, un quartiere molto popolato a 20 km da Mombasa. Mi vengono a prendere all’aeroporto e mi portano in quel fiume di corpi e macchine in fila, nel sempre intenso e chiassoso traffico di Mombasa, in quella che per un mese sarebbe stata la mia quotidianità.
      E così, grazie all’aiuto di tante persone che si sono appassionate al nostro progetto, siamo riuscite a costruire un pozzo e mezzo… cioè, uno l’abbiamo ultimato ed è in uso, l’altro l’abbiamo lasciato a metà per mancanza di soldi!… Anche perché in parte li utilizziamo per sostenere il Mombasa chilrden’s home, l’orfanotrofio di Salvation Army, dove pure siamo andate. Al nostro ritorno ci siamo ripromesse che avremmo comprato loro una lavatrice: uno non ci pensa, ma lavare tutti i giorni a mano i vestiti dei bimbi e la biancheria da letto è davvero impegnativo per le “mamme”, le signore che si occupano con amore dei piccoli ospiti dell’orfanotrofio. Intanto abbiamo “adottato” per ora quattro bimbi, pagandogli la scuola privata, i libri, le scarpe e le divise. Il nostro obiettivo futuro è quello di ultimare il pozzo lasciato in sospeso, perchè ci credevamo e ci crediamo molto sia noi che la gente del vilaggio.
      Già sull’aereo mi sentivo in fuga, in colpa per il fatto di tornare nel mio mondo “facile”, nella mia vita superacessoriata. Qui, quei bimbi mi mancano, e quando penso a loro mi convinco ancora di piu che non ci possiamo fermare e far finta di non vedere, perchè è piu facile vivere senza troppi pansieri!… Anche se credo fortemente che si può iniziare a salvare se stessi anche solo cercando di essere comprensivi e amorevoli con il vicino di casa, il collega, l’amico in difficoltà, perché no lo sconosciuto, cominciando col sorridere loro di più, ma per davvero: con gli occhi e col cuore. Sono piccoli gesti che noi che viviamo nella parte “sazia” del mondo non usiamo più, ma non sono né facili né tantomeno scontati. L’Africa mi ha insegnato anche questo, a non dare nulla per scontato! E’ iniziando un cammino verso gli altri, da percorrere passo dopo passo, che noi possiamo cambiare le nostre vite.
      Simona Verlengia

      Dal mio diario di viaggi:
      “L’avventura è finita, ho capito che a volte ci si abitua anche al peggio, ho capito che la generosità parte dal cuore e che deve andare nella giusta direzione perché bisogna essere prudenti, ho capito che sono fortunata e che devo gioire piu di quello che già faccio per tutto quello che ho. Ho capito che bisogna parlare e osservare le persone per capirle, camminando al loro fianco e nelle loro scarpe per un po’. Se fai bene… in genere… ricevi bene, ma non è sempre scontato! Ho capito che con poco possiamo fare tanto e DOBBIAMO FARLO. Ho capito che negli occhi di un bambino c’è tutta la sua storia perché gli occhi di un bambino non mentono mai. Ho capito che a volte le persone sbagliano per superficialità, per ignoranza, per insicurezza, per paura… e se tu non hai di questi “problemi”… devi capire… prima o poi faranno i conti con se stessi e non con te. Le persone vanno prese per quello che sono. Ho capito che se una qualità ti può rendere la vita più difficile non devi cercare di cambiarla. Ho capito che il viso di una persona e i suoi occhi parlano piu di tante lingue conosciute: se penso alle “mamme” dell’orfanotrofio credo davvero che non avevano bisogno di parole… Ma questo non è un motivo per non imparare bene l’inglese!”

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