sabato 28 aprile 2018

AL BUIO

Questa canzone è molto vecchia, forse ha addirittura 35 anni; oso mantenerla tra quelle non dico attuali, ma che non mi vergogno di presentare sul blog in caso qualcuno ne volesse l'uso (ricordo che il testo è registrato, ma non è certo questione di soldi), perché penso che tratti di questioni senza tempo. Pensata come un valzerotto – il ritornello cantato il resto parlato - ma come le altre rimusicabile liberamente da chi la prendesse, la canzone infatti parla di cose che hanno riguardato gli adolescenti di ogni epoca: i supporti e gli strumenti di comunicazione sono tutto sommato "sovrastruttura", quella età per chi la ricorda davvero (cioè, liberandosi del filtro della nostalgia di essere "tutto per possibilità" - cit.) è difficilissima. Come dimostrano le tante tragedie che si leggono in cronaca. Ai miei tempi molti si teneva un diario, specie le ragazze, a me è capitato a un certo punto di pensare che portasse sfiga (avevo letto "Il mestiere di vivere" di Pavese, e dal testo si capisce), così ho smesso, e l'ho "seppellito" con questa canzone. Tra l'altro, avevo cominciato a scrivere canzoni proprio perchè, prima ancora di sentire Croce citato da De Andrè sostenere che prima dei 18 anni tutti scrivono poesie dopo solo i poeti e gli stupidi, avvertivo che la necessità di dare una forma musicabile ai miei versi fosse un recinto che mi costringeva a rimuginare con più attenzione ogni parola, laddove la poesia dopo gli ermetici era invece diventata un pascolo per tutti quelli che vogliono dare la stura alla propria anima senza continenza (ok, questo l'ho capito dopo, allora pensavo solo che era "troppo facile").
AL BUIO

Caro diario,
se tu per me rappresentassi qualcosa come per chi riversa sui tuoi simili tutto l’affetto e l’amicizia, ti direi buonasera ogni sera e annoterei su di te le impressioni e gli avvenimenti della mia giornata; ma siccome tu non rappresenti per me niente di tutto questo, ci sentiamo raramente e non ti do mai del tu come sto facendo per caso ora. Comunque,
al buio sto meglio
al buio sto bene
da solo, però,
così mi conviene:
mi metto a pensare
e vedo solo ciò che voglio io…
e se
credessi
in dio….
Caro diario,
se io avessi con te un rapporto diverso da quello che ho, anzi se io avessi con te un vero rapporto, ti potrei dire, dopo un periodo di vita vissuta, di incoscienza quindi, che so una malattia o un esame all’università; ecco, mi potrei scusare con te per il lungo silenzio, dicendoti magari che era forzato, giustificazioni tra le altre.
Per ora ti basti…
al buio sto meglio
al buio sto bene
da solo, però,
così mi conviene:
mi metto a pensare
e vedo solo ciò che voglio io…
e se
credessi
in dio….
Caro diario,
se tu mi potessi parlare mi diresti “guarda dietro, c’è scritto che non ti lascerai mai perdere dal controllo di te stesso, che non potrai mai più credere, te ne sei dimenticato?” e io ti ringrazierei perché mi avresti per l’ennesima volta ricordato di quel meccanismo psicologico che mi blocca prima del saltino. Come dici, c’è rimpianto nella mia voce? come si vede che non mi conosci neanche tu…

mercoledì 25 aprile 2018

SMARTPHONE GENERATION

Mentre c'è ancora chi si chiede se sia il caso di regalare o meno lo smartphone a una ragazzina di 10 anni (e io, detto tra noi, sarei per il no, anche se temo sia difficile resistere...), sempre più studi riferiscono un sempre maggiore utilizzo di questi dispotivi da parte di bambini sempre più piccoli.
Quello in cui mi sono imbattuto io è di Eleonora Cannonia, Teresa Gloria Scalisi e Andrea Giangrande dell'Università della Sapienza di Roma, e si intitola:
Indagine sui bambini di 5-6 anni che usano quotidianamente i dispositivi mobili in ambito familiare: caratteristiche personali e contestuali e problematiche cognitive ed emotive
Se volete approfondire potete acquistarlo qui, io poi vi dico cosa mi ha colpito, e qui intanto vi riporto l'abstract:
La diffusione tra i bambini di dispositivi elettronici interattivi (in particolare smartphone e tablet) è un fenomeno recente ma in crescente espansione. In Italia le ricerche si sono concentrate finora sui bambini in età scolare e sugli adolescenti, mentre sono pochi gli studi sui prescolari. Nel nostro studio 473 genitori di bambini di 5-6 anni hanno compilato un questionario che indagava caratteristiche sociodemografiche e familiari, problematiche del bambino, tipologia dei dispositivi tecnologici domestici, caratteristiche dell’uso di smartphone e tablet da parte del bambino, opinioni dei genitori su tale uso. I risultati indicano che metà dei bambini del campione utilizza uno smartphone ed il 48,5% un tablet. Confrontando bambini che usano i dispositivi mobili per almeno 2 ore al giorno (utilizzatori abituali, n=45) con bambini che li usano occasionalmente (utilizzatori occasionali, n=69) emerge che gli utilizzatori abituali hanno padri più giovani, vivono in contesti dove sono maggiormente presenti dispositivi digitali, in cui i dispositivi mobili sono considerati strumenti di conoscenza e di promozione dell’intelligenza e vengono impiegati soprattutto per intrattenere il bambino in ambienti più adatti agli adulti (es. ristoranti). Inoltre, negli utilizzatori abituali sono più frequenti problematiche emotive, di autoregolazione e relative al sonno ed all’alimentazione. 
Questi i passaggi che hanno attirato la mia attenzione, per come li ho capiti e riesco a dirli io:
  • la ricerca ha indagato su bambini in età prescolare, metà usa abitualmente lo smartphone, prevalentemente maschietti, il 20% da prima dei due anni, il 10% esagerando;
  • i bambini più a rischio di diventare utilizzatori abituali sono significativamente figli di padri infraquarantenni, che ovviamente a loro volta sono maggiormente "tecnologici" (spesso giocano alla playstation coi figli) e ritengono maggiormente che imparare a usare presto la tecnologia renda i loro figli più "intelligenti";
  • vi sono indicazioni che l'utilizzo abituale del telefonino in età precoce possa influire negativamente sullo sviluppo cognitivo ed emotivo in modi e misure che travalicano quanto si può intuire a lume di logica, e persino su aspetti fisici come il sonno e la forma fisica;
  • il multitasking in tenera età, che a naso può essere visto, e infatti lo fa, come ausilio allo sviluppo di capacità nel bambino che gli verranno utili da grande, può invece causare un deficit nella capacità di attenzione sostenuta, e quindi di comprensione ed elaborazione delle informazioni;
  • dall'articolo e dalle altre ricerche esaminate dagli autori risulta che i rischi maggiori riguardano i bambini che vengono lasciati da soli ad utilizzare lo smartphone o il tablet per più di due ore al giorno;
  • poichè i problemi suddetti tendono a indurre maggiormente i genitori ad usare smartphone e nuovi media in genere per contenerli, la cosa può instaurare un circolo vizioso.
E ora vi saluto che mi sono arrivate delle notifiche su Facebook, devo seguire alcune chat di gruppo su Whatsapp, monitorare i click sull'ultimo post del blog che vanno verso i 2500, e programmare la registrazione dell'ultima serie fighissima che poi siccome non ho mai tempo vedrò un'annata per notte...

giovedì 19 aprile 2018

COSI FITUSI

"IL NOSTRO LAVORO VA TUTELATO, NON PENALIZZATO"
Prima la cronaca, poi la storia, anche se in questo caso il senso è lo stesso: Reggio Calabria, fuori dai coglioni!

La cronaca: una fidejussione fantasma

Tra gli adempimenti di una squadra che vuole iscriversi al campionato di basket, c'è la presentazione di una fidejussione di 100mila euro (per la A2, credo sia diversa in altre categorie, se c'è in tutte), a garanzia del pagamento regolare degli emolumenti agli aventi diritto. In altre parole, se la società non paga gli stipendi, il giocatore (o altra figura avente titolo) attinge alla fidejussione. Non so quanto sia sufficiente una misura del genere, stante il monte stipendi complessivo di una squadra media della categoria, ma magari una funzione psicologica ce l'ha. Se la squadra paga regolarmente tutti gli stipendi, la società avrà buttato i soldi che gli è costata la garanzia: poche migliaia di euro, pazienza. Il punto è che se una squadra non presenta nei termini tutta la documentazione necessaria, perde il diritto all'affiliazione, e riparte dai dilettanti. Ora, non so quanto sia difficile ottenerla, tra Reggio e Gioia Tauro, in questi anni, anche se la tua società è una delle più gloriose e seguite del basket nazionale (anche quest'anno, tra i primi pubblici della Lega), le conosciamo le banche, specie al Sud. Fattostà che la Viola l'anno scorso non la presenta, ma il suo presidente, uno che bene o male, col suo tornaconto o meno, in otto anni di questa avventura qualche milioncino ce l'ha messo, versa di tasca i 100mila e ottiene l'iscrizione. Poi, a metà stagione, una stagione travagliata e dispendiosa, in cui vende mezza squadra ma alla fine riesce con un paio di acquisti fortunati a trovare la salvezza ai playout, trova una fidejussione, la presenta e riottiene i suoi soldi. Dallo stesso broker ottiene un documento analogo per il campionato successivo, quello in corso. Squadra iscritta, sponsor sulle maglie, mercato finalmente tempestivo ed assennato, grande allenatore, conferma dei migliori dell'anno scorso, acquisti perfetti. Campionato stra-or-di-na-rio: nel girone d'andata alcune sconfitte di misura e solo un paio nette, nel girone di ritorno quasi solo vittorie, i playoff magari non si vincono (ne sale solo una) ma ci si divertirà. Era ora, dopo anni di purgatorio! Ma a febbraio qualcuno NON AVENTE TITOLO escute la fidejussione. E si scopre che è falsa, com'era falsa anche quella dell'anno prima. La società dichiara subito di essere stata truffata, e presenta degli esposti alla giustizia ordinaria. Il presidente si precipita a versare i 100mila come l'anno prima. E, a differenza dell'anno prima, quest'anno non si sono fatte fesserie col mercato e quindi nessun tesserato lamenta mancati pagamenti. Ma alla FIP non basta. Il regolamento imporrebbe dei controlli tempestivi, per la stessa logica di salvaguardia dei tesserati per cui è stata prevista la presentazione della garanzia. Ma non ci sono stati, per due anni di fila. Se si invocasse il rispetto di quella norma, la società andrebbe radiata, ma anche chi doveva controllare non la passerebbe liscia, e poi si dovrebbero togliere dei punti alle poche squadre che hanno battuto Reggio (Latina due volte), e fermare il campionato in attesa della conclusione di tutta la serie di ricorsi e controricorsi di tutti contro tutti. Sai che casino! Se invece si valutasse l'impatto nullo del documento irregolare, anche non credendo alla buonafede neroarancio, sul regolare svolgimento del campionato, allora si dovrebbe punire magari draconianamente i dirigenti responsabili ma lasciare alla squadra tutti i punti conquistati sul campo - l'anno scorso, per via di un'irregolarità minima ma più impattante (un lodo di un giocatore, mi pare), alla stessa Viola venne dato solo un punto di penalizzazione, in linea con situazioni simili in varie squadre negli ultimi anni. Allora il giudice sportivo si inventa, letteralmente, una sanzione a dir poco singolare: calcola quanti punti ha la squadra, quanti quella che retrocede, e infligge alla Viola tanti punti di penalizzazioni quanti bastano perché resti ultima anche se vince tutte le partite che restano. Geniale: trattandosi di "semplice" penalizzazione, è immediatamente applicata, e col secondo grado esecutiva anche se non ancora definitiva (ci sarebbe l'Alta corte del CONI, e poi eventualmente il TAR, ma coi tempi loro), e se riesco a svolgere il tutto prima dell'inizio della post-season questa può aver luogo regolarmente. Ammesso che l'avverbio sia congruo quando estrometti la squadra più forte del momento senza che abbia rubato mezzo dei punti conquistati: la storia dello sport italiano è piena di squadre che hanno comprato e venduto partite e arbitri, drogato atleti, falsato campionati, cavandosela con sanzioni inferiori o comunque gestibili (un esempio su tutte, la Reggina di Mazzarri, con una penalizzazione enorme si ma non abnorme, e comunque tempestiva così da poter originare uno dei più bei miracoli sportivi italiani). C'è poco da dire, salvo che questo non sarebbe sicuramente successo a una qualunque squadra con un peso politico in federazione (Roma, ad esempio, l'anno scorso non aveva presentato nessuna documentazione, nei tempi, eppure alla fine è stata ammessa con tanto di tarallucci e vino). Ed è qui che bisogna raccontare la storia. Ma prima, chiudiamo la cronaca con alcune considerazioni:
  1. ci sono dei tifosi che più che l'ingiustizia subita lamentano la sciaguratezza della dirigenza - per carità, questa non è in discussione, anche in presenza di buona fede figurarsi in assenza, ma fare impresa nel profondo sud non è opera semplice, solo la ndrangheta e i suoi sodali non hanno problemi finanziari, e se è vero com'vero che il risparmio per essersi rivolti al broker farlocco anziché a una banca vera è risibile rispetto al bilancio di un anno di attività, allora o sei scemo ma proprio scemo, oppure sei stato costretto a farlo, magari perchè hai trovato solo porte chiuse e all'ultimo momento piuttosto che la radiazione hai preferito diciamo così provarci, confidando che controlli preventivi non ce n'erano (come non ce n'erano) e che quest'anno avresti sempre pagato tutti a tempo (come poi hai fatto);
  2. se è vero quanto sopra, allora sarebbe bello sapere chi è l'escussore indebito che ha indotto però la FIP a guardare per la prima volta le carte, o almeno chi lo ha spinto a far rovistare in carte che delle due l'una, o non era addentro alle cose sportive e allora non doveva manco conoscerne l'esistenza, o era addentro e allora doveva sapere che per un non tesserato come lui non potevano valere;
  3. sempre se è vero quanto sopra, allora ecco il senso dello striscione dei giocatori in foto, prima della incredibile vittoria ad Agrigento ottenuta a penalizzazione inflitta e con uno straniero in meno: la fidejussione è prevista a nostra tutela, tu FIP per tutelarci dovevi controllare prima che noi firmassimo i contratti, facessimo squadra e scalassimo il campionato, se controlli ora e ci penalizzi ci stai punendo due volte, la prima perché ci hai messo a rischio nei confronti di una società forse non sana, la seconda perché a fine stagione, con la società che invece ha sempre fatto il suo dovere dimostrandosi sana, anziché accettare i soldi del presidente a proteggerci in questo scorcio di campionato, hai preferito vanificare tutto il nostro lavoro, falsando tu, si tu e adesso, il campionato (mò voglio vedere che fa Napoli ai playout, una squadra che ha racimolato 3 vittorie in tutta la stagione, e che spero che a Reggio domenica venga sepolta da almeno 50 punti di scarto davanti a 9mila spettatori del Pentimele pieno);
  4. infine, se è vero che la norma che prevede la fidejussione è a tutela dei tesserati, l'unica cosa sensata che potrebbero fare Federazione e/o Lega, proprio perché le realtà del sud non siano penalizzate rispetto a quelle in cui si trovano facilmente non solo le fidejussioni, ma anche gli sponsor principali e soprattutto secondari a frotte, e quindi i tesserati siano tutelati allo stesso modo a tutte le latitudini, sarebbe stipulare una convenzione con uno o più istituti cui le società possono rivolgersi se non riescono a reperire diversamente la fidejussione prevista - com'è che non è venuto in mente a nessuno, se davvero la tutela dei tesserati è la loro principale preoccupazione?

La storia: uno spettro dietro l'altro

Dire che ci siamo abituati è poco, le vicissitudini drammatiche (sempre più presenti ovunque nel basket nostrano) nella storia della Viola Reggio Calabria non si contano. Vado a memoria, ma un po' mi ha aiutato Marrari, signorone che per questa vicenda ha restituito la tessera FIP.
  • 1983, siamo appena promossi per la prima volta in a2, ma non abbiamo un palazzetto regolamentare, ci iscriviamo come Banca Popolare Catanzaro, riusciamo a completare il Botteghelle (un prefabbricato di 3500 posti dove entravamo in 5mila) in meno di un mese, ma per i primi turni del campionato la Domenica Sportiva continua a chiamarci così;
  • 1986, ultima giornata. Siamo alla prima stagione di A1, retrocedono 4 squadre. Noi vinciamo la nostra in casa, protagonista un ventenne padovano che grazie a un crescendo di prestazioni viene convocato in nazionale (riserva a casa, purtroppo), Brescia, nostra concorrente diretta, in quel momento sta perdendo di 7 con Varese, a circa un minuto dal termine: portiamo in trionfo la squadra e il presidente, siamo salvi! Ma Brescia fa 8 punti in un amen, e risale a pari punti con noi, retrocediamo noi perchè negli sconti diretti Brescia prevale: lì avevamo perso di 2, a Reggio vinto di 1. A ulteriore beffa, nella partita di Reggio, Brescia aveva giocato un tratto di partita in 6 contro 5, col pubblico che assordava arbitri e tavolo ignari della situazione: che ne sai, magari mezzo canestro in più l'avremmo fatto, giocando pari. A tragica chiusura finale, pochi giorni dopo la riserva a casa, tornando a casa per vedersi Italia-Francia di calcio, precipita da un muretto e muore, Massimo Mazzetto si chiamava, e si chiama oggi la palestra dove si allena la squadra;
  • 1993, playoff scudetto, contro Treviso. La squadra è di prim'ordine, con un solo problema: gli stipendi in dollari, nell'estate della svalutazione per l'uscita dallo SME, sono lievitati. Ma c'è uno sponsor serio, Panasonic, e un impianto da 9000 posti sempre pieno, se vengono i risultati rientreremo. Senza infortuni, avremmo chiuso in testa la stagione regolare: prima che si assentassero Garrett e Volkov eravamo secondi, ma chiudiamo lo stesso sesti, il che significa che ai quarti abbiamo Treviso, forse la più tosta, con l'ultima li, ma intanto gli stranieri sono rientrati e ce la giocheremo. E infatti ce la giochiamo, all'ultimo secondo Garrett schiaccia, gli arbitri dichiarano fuori tempo massimo un canestro tempestivissimo, se avessimo vinto in semifinale avremmo avuto Pesaro che quell'anno avevamo maltrattato sia all'andata che al ritorno. Con uno scudetto forse avremmo ammortizzato il contraccolpo economico di cui sopra, che farà sentire i suoi effetti qualche anno dopo;
  • 1997, il primo fallimento. I tentativi di far fronte ai costi cresciuti in una situazione di crisi che al Sud si sente ancora di più portano la società a svenarsi, quando il presidente Scambia viene indagato per mafia, e i travasi a favore della Viola interpretati come distrazioni a uso personale, portano presto alla pronuncia fatale. La storia sportiva continua grazie all'immediato interessamento di Santo Versace, che fonda una nuova società che rileva "al volo" il titolo sportivo. Ma le accuse di mafia si dimostreranno infondate, e il fallimento sarà prima annullato nel 2008, poi riconfermato nel 2016 ma solo per una questione di termini di presentazione di documenti (i dettagli per i pignoli sono qui, la storia una volta conclusa è stata raccontata in un film): la storia senza l'accanimento che già allora si stava dimostrando cronico avrebbe potuto avere altro svolgimento, senza nulla togliere alla NBV di Versace e Angelucci che tra l'altro ci portò un certo Manuel Ginobili (dominio in a2 e subito playoff in a1, usciti ai quarti contro Bologna solo per l'infortunio del play argentino Montecchia - 4 decimi dell'Argentina oro olimpico erano fioriti a Reggio);
  • 2001, la vicenda Barbaro. La squadra viene da anni di successi, ma la proprietà non può resistere alle sontuose offerte di acquisto di un nuovo gruppo. Che forte di uno sponsor che dice enorme firma il ritorno di Recalcati coach, e una serie di stelle tra cui l'allora ai vertici Carlton Myers. Poi, vicino ferragosto, un silenzio assordante lascia trapelare pian piano una realtà tragica: lo sponsor si è dato, il presidente intende onorare i contratti di tasca intanto che ne trova un altro (è sicuro di farlo, il Pentimele ai tempi fa 9mila spettatori fissi, la metà sono già abbonati e sognano lo scudetto), i familiari lo fanno interdire, i tesserati pretendono i pagamenti dalla vecchia proprietà. Quando tutto sembra perduto, e le pendenze risolte tra generosità lodi e rate, arriva una nuova proprietà. Ma non ci sono giocatori, e il campionato è domani. Vengono contrattualizzati dieci peones a gettone sulla strada per Roma, si perde 114-48, poi mentre la squadra si costruisce si perdono altre 12 partite di fila. Ma a fine anno si sfiorano i playoff;
  • 2003, ancora Treviso. La Viola di Silipo con coach Lardo era anch'essa una squadra fortissima. Ai playoff sbanca Treviso e poi si porta sul due a zero, perde la terza in trasferta e si gioca il match point per le semifinali scudetto in casa, davanti a oltre 10mila tifosi. A un respiro dal termine si è avanti di 7, il pubblico fa festa. Edney e gli arbitri fanno un parziale di 8-0 che ci estromette. Di nuovo, quello scudetto che forse avrebbe garantito il rientro dagli investimenti svanisce. Si abbassano le pretese, si vivacchia per qualche anno, il ripescaggio per fallimento altrui ci dà l'ultima a1, poi, dopo una dignitosa a2 con coach De Raffaele, uno che oggi vince scudetti, si fallisce di nuovo. E' il 2007.
Due anni dopo inizia l'era Muscolino. A Gioia Tauro gestiva la compagine locale, gli viene voglia di scalare la Viola, nel frattempo rinata per l'iniziativa di alcuni appassionati che però non hanno potenziale economico. Leggete la sua lettera aperta di oggi, con cui dichiara di mollare anche in caso gli ulteriori gradi di giudizio ci dessero ragione. Non sto qui a difendere una persona che non conosco. Difendo quello che ha fatto, riportando la squadra del cuore, mia e di migliaia di reggini in giro per il mondo, dalla b2 ai playoff per tornare in a1. Non so se guadagnandoci o rimettendoci personalmente, anche se temo la seconda, ma non è questo il punto. Ha commesso degli errori, è giusto che paghi, se saranno dimostrati da tutti i gradi della giustizia. Ma infliggere una penalizzazione così severa alla squadra, tale da vanificare 8 anni di sforzi ed equilibrismi in una realtà economica che più depressa non si può, per una questione che nulla c'entra col merito sportivo, è una cosa mai vista, un rigore che se fosse stato applicato in passato oggi tre quarti delle squadre di calcio professionistiche non esisterebbero più (se mi metto a fare esempi ci vuole un altro post lungo così, pensate solo alle fatture false e alle finte compravendite di giocatori, per non parlare dei bilanci fasulli e dei debiti fiscali, e l'elenco fatelo voi), e se oggi facesse giurisprudenza nel giro di dieci anni possiamo chiudere con il basket professionistico in Italia. Ma tranquilli, lo fanno oggi a Reggio Calabria, poi alle vostre squadrette del cavolo le lasciano in pace, potete stare tranquilli a belare, perché pecore siete altrimenti almeno una voce fuori dal coro si sarebbe sentita, a difenderci.

Il futuro: qui non si muore mai

Però, mi dispiace per voi, non finisce qui. Se qualcuno rileva la squadra ripartiamo dalla B, se no prima o dopo di nuovo dai dilettanti, e a suon di trasferte dove il nostro pubblico surclassa quello di casa (come quest'anno a Roma, due volte, una cosa da brividi, che ho vissuto personalmente molte volte ed è successa tantissime altre,  a tutte le latitudini e in tutte le serie) prima o poi una squadra neroarancio che si chiama Viola arriverà a mettere le mani su quello scudetto che gli spetta di diritto. Come quello che avete rubato alla squadra di pallavolo femminile, scucito dalle maglie per un'altra trappola che vi racconto un'altra volta. Perché qui non si muore mai. E voi, voi tutti, chi ha commesso il delitto e chi ne gioisce, siete solo quelli del titolo...

mercoledì 11 aprile 2018

UN FILM GIÀ VISTO

Normalmente non pubblico integralmente testi altrui, preferisco semmai infarcire i miei post di link che vi invito a seguire, presi sia dai siti di controinformazione che consulto abitualmente (e trovate in colonna destra, con l'occasione implementata) sia da altrove. L'eccezione di oggi è perchè la scelta comune di molti dei siti che vedete in firma è di riportare pari pari un testo. Dell'argomento sapete come la penso: ci hanno raccontate tante di quelle palle che ormai è come si diceva "diligenza del buon padre di famiglia" invertire "l'onere della prova", non credendo mai in prima battuta a quello che racconta il mainstream, ma semmai soltanto dopo prove schiaccianti, forse. La penultima cazzata era quella della ex spia russa e sua figlia avvelenati col gas da Putin in Inghilterra, bufala patentata ma col cavolo che danno alla smentita la stessa eco che hanno dato alla notizia che ci ha tambureggiato per giorni e giorni. L'ultima riguarda, di nuovo, i presunti attacchi chimici di Assad. Se qualcuno ancora ci crede, si faccia vedere da uno bravo, e intanto i suoi cari avviino pure le pratiche per la seminfermità mentale, non si sa mai. Io intanto, nel mio piccolo, sottoscrivo il seguente appello (la firma in calce non la aggiungo solo per non passare per megalomane, visto il livello delle altre):
Comunicato Congiunto Blogger Italiani
La situazione militare in Siria e attorno ha ormai raggiunto il livello di guardia. Il presidente americano si accinge a prendere decisioni la cui portata e la cui pericolosità sono inimmaginabili. Le accuse ad Assad di avere bombardato con armi chimiche il centro di Douma non sono né provate né sensate. Il rischio di uno scontro diretto con la Russia, su qualcuno degli scenari che sono già da tempo in fibrillazione, è imminente. La Russia ha già messo in stato di allarme tutte le sue difese, su tutti i fronti. Di fronte al silenzio e alla menzogna del mainstream italiano e occidentale, noi blogger italiani facciamo appello, tutti insieme, ai partiti italiani, affinché si esprimano immediatamente chiedendo al nostro alleato principale di non commettere altre sciocchezze e di attendere il risultato di una commissione internazionale che accerti le responsabilità. Washington non può essere il giudice supremo. Né vogliamo correre il rischio di essere trascinati in guerra senza sapere il perché. Per questo pubblichiamo, tutti insieme, questo comunicato. Abbiamo ormai la forza informativa congiunta non meno grande di un grande quotidiano nazionale. Facciamola valere.

lunedì 9 aprile 2018

17 - IL COLORE DEL SANGUE + SFORZI INUTILI

Della serie "allora è proprio vero che a volte la
realtà supera le capacità d'immaginazione..."
Il racconto numero 17 di Chi c'è c'è (mia prima e unica opera di narrativa fino all'uscita di Sushi Marina nei prossimi mesi) è, come peraltro il testo di canzone da cui (molto alla lontana, direi...) prende spunto, decisamente tra i meno attuali, o meglio tra quelli che si possono apprezzare solo se si tiene presente che sono stati scritti 20/25 anni fa. Però da un lato l'astronauta/narratore è una giovane indiana con per una volta la capacità di interloquire col telepate geestre, per cui il racconto è l'unico che si inserisce nel filone narrativo che contiene tutti gli altri, dall'altro la canzone (pensata come un bolero cantato alla Rino Gaetano, ad alimentare la citazione finale di un vecchio pezzo di Lauzi, ma come per le altre potete metterci la musica che volete, se vi piace e me la chiedete) è tra le poche che i Ristrittizzi all'epoca riuscivano ogni tanto a infilare tra una cover e l'altra, quindi l'operazione filologica di affrontarne la lettura potrebbe in qualche modo valere lo sforzo...
P.S. No, non trovo affatto contraddittorio continuare a ritenere l'opzione governo a tempo m5s/lega la meno peggiore tra quelle che potremmo vedere concretizzarsi a breve...


17 - IL COLORE DEL SANGUE

Chi sono? Sono un’astronauta indiana cresciuta a Londra. Come faccio a parlare con te? Perché mi è stata tramandata dai miei genitori l’arte antica della meditazione, dell’immersione in se stessi. Così io ho rallentato la mia coscienza ad un ritmo che pensavo sarebbe stato compatibile con quello del mio essere congelato, e così facendo sono riuscita a restare vigile. Ti ho sentito subito entrare, non sembravi avere intenzioni offensive,  e comunque non avrei potuto impedirti di ucciderci: non sono in grado di svegliare il mio corpo, a quello ci penserà il computer se e quando lo riterrà opportuno.
No, non so dirti come attivarlo, queste sono macchine troppo avanti rispetto alle mie conoscenze di informatica. Io sono anche medico aiurvedico. Ma soprattutto sono specialista in ortopedia; e aggiungici un po’ di sapienza tradizionale, ecco che sono un po’ più che fisioterapista, diciamo. E poi qualche anno fa ho partecipato ai campionati europei di atletica leggera. Eptatlon. Sette discipline insieme. Tosto, sì. Serviva una come me se e quando questi corpi rattrappiti avessero ripreso a muoversi.
Dicevamo, come faccio a parlare con te senza svegliarmi? Oh, di preciso non lo so. Credo però che tu, quando entri in empatia mentale con qualcuno, adatti inconsapevolmente la tua “velocità di registrazione” a quella di proiezione delle immagini mentali del soggetto che stai toccando. Temo che quando avrai finito ti accorgerai che è passato tanto di quel tempo che spero che non sarà un guaio, per te. Si, va bene, quando avrai contattato anche le ultime quattro persone tornerai da me e tenterò di spiegarti quello che posso per farti accedere al sistema centrale, anche se non so se funzionerà. Ora però, visto che se hai già “parlato” con sedici di noi qualcosa della nostra storia e del perché siamo qui la sai, raccontami qualcosa di te.
[……..] 
Ok, ora ti racconto la mia, di storia. Anzi, no: ho cambiato idea. Ti racconto la storia di alcune persone che ho conosciuto, che attraverso di esse capirai ancora di più, di me. I miei genitori, innanzitutto. Emigrarono a Londra dal Punjab pochi mesi prima che io nascessi, quando nella loro terra infuriava la guerra civile. L’India era ancora la stessa ex colonia britannica che Gandhi avrebbe voluto libera, unita, e pacifica, e che poco dopo con la guerra del Pakistan si sarebbe rivelata divisa da odii religiosi, etnici, territoriali, e in definitiva ancora schiava dell’Occidente. Il colonialismo aveva solo cambiato pelle.
Cinquant’anni dopo gli indiani erano davvero troppi, oramai più dei cinesi, e troppo divisi, affamati e sporchi. Tra i due più grandi popoli del pianeta c’era questa differenza, che i cinesi erano bene o male un popolo, noi no. Di lì a poco, l’avvento al potere di Sonia Gandhi prima, e del figlio suo e di Rajiv quando anche lei fu assassinata, avrebbe cambiato le cose: troppo il piccolo Raul assomigliava al bisnonno putativo per non riuscire a coagulare le migliori energie che percorrevano il paese agli inizi del secolo.
Ma i miei genitori non potevano saperlo, ai loro tempi. Loro scappavano dal sangue e dalla violenza, figli dell’intolleranza religiosa e del conflitto razziale, nipoti della disoccupazione e della povertà. Così a Londra, in quel 1998, arrivarono da poveri e senza lavoro: alloggiavano in dodici in una stanza vicino Paddington; mio padre, medico, si arrangiava a vendere roselline in giro per i pub. Mia madre, appena si liberò dal mio peso, e si rese conto che non aveva di che nutrirmi e vestirmi neanche se digiunava, provò a darsi da fare. Dalle fessure delle persiane si doveva vedere il passeggio sotto casa: ragazzine, per lo più filippine e cinesi, buttate in strada senza documenti per non acclarare la loro minore età e per tenerle sotto giogo. Mamma, minuta e bellissima, di nascosto da papà, un giorno ci provò: si truccò e scese giù. Forse adescò qualche cliente, forse qualche sterlina la incassò. Sicuramente incassò la delazione delle schiave, e trovò i loro protettori ad attenderla il giorno dopo. Non aspettarti mai nella realtà la solidarietà tra oppressi che trovi nei film.
Fu massacrata di botte, e sfregiata. Si trascinò dentro il portone, dove mio padre, al ritorno alle tre del mattino da uno dei suoi interminabili e scarsamente fruttuosi giri, ché pure nella caleidoscopica Londra raccoglieva più fastidio per la sua diversità e la sua povertà che soldi, la trovò ricoperta di sangue rappreso ed ecchimosi, molte le probabili fratture. A sentire quelli dell’ospedale pubblico, sarebbe rimasta storpia.
Ma lui era un grande medico, e la guarì. E nel guarirla, si guarì. Decise che doveva in qualche modo riuscire ad esercitare il suo dono, la sua professione. Cominciò coi derelitti suoi simili in cambio di cibo e abitini dismessi per me. Poi rimise in piedi una cameriera filippina conciata malissimo dall’artrosi, e la sua ricca padrona visti i risultati volle i suoi servigi. E pagò. E sparse la voce. Oggi mio padre lavora solo su appuntamento. E si è potuto permettere di permettermi di essere quello che ho voluto essere. Una studentessa, un’atleta, poi un medico come lui. Ma per uno che si è salvato mille altri non hanno trovato che povertà e disoccupazione nel loro cammino, e razzismo e intolleranza, e violenza e sangue. E non solo fra la mia gente.
Tu ora infatti vedi in queste teche persone di vari colori e tratti somatici. Io non so se è così pure fra la tua gente, ma noi abbiamo il 99,9% periodico di patrimonio genetico comune, siamo tutti esattamente la stessa razza, eppure sono millenni che ci combattiamo e uccidiamo e trucidiamo in nome delle nostre differenze presunte razziali, o religiose, o ideologiche. O meglio con la scusa di queste differenze. Oggi forse abbiamo distrutto il pianeta.
Ma senti questa storia, è emblematica: una quindicina di anni fa il processo di unione europea aveva infranto per sempre i sogni separatisti di molte più o meno storicamente fondate minoranze etniche. Una delle più aleatorie e meno serie era sorta qualche tempo prima nell’Italia settentrionale, senza mai prendere realmente consistenza in verità, ma con capi abbastanza numerosi e furbi da far parlare del movimento come se avesse davvero seguaci determinati a tutto e reali possibilità politiche. Come per tutti i sogni falliti, lasciò qualcuno senza mestiere e qualcuno senza ragione. Tra questi ultimi venne fuori uno dei serial killer più sfuggenti d’Europa: ammazzava “terroni”, meridionali del suo stesso Paese. Ebbene, quando fu arrestato si scoprì che si chiamava Terracenere, ed era di origine pugliese. Si, insomma, di una regione terrona come le sue vittime.
Temi il tuo simile, ciccio, più che il diverso. Quel tuo capitano, per esempio, da quello che mi hai raccontato sono sicura che ti vuole fregare. Ti ha mandato giù perché se andava male eri tu a crepare, e se andava bene si inseriva sul tuo codice di trasmissione e si prendeva tutti i meriti. Perché parlo al passato? Ma perché, se non l’hai ancora capito, è passato tanto di quel tempo, e i nostri sistemi hanno interrotto le tue comunicazioni appena sei salito a bordo, che lui ha di certo pensato che sei bello e defunto, e se non è andato via di certo non ti viene a cercare. Si, lo so che arriveranno gli scienziati! Ma tu intanto che mangi? Dai, che ti dico io dove sono le provviste liofilizzate, speriamo che trovi qualcosa di compatibile… Ah, poi nella sala ologrammi ci sono tutte le informazioni scientifiche che vuoi, quelle biologiche, quelle… anzi, a proposito, di che base chimica siete voi, sempre carbonio? E di che colore è il tuo sangue?

SFORZI INUTILI

Son razzista perché figlio di terroni sfortunati
che han lasciato per bisogno la terra dei loro padri
quando ancora per fortuna non mi avevano sfornato,
e son nato al nord,
sun de Milàn.
E odio tutti quanti quelli che sono diversi anche di poco
da quel tipo uguale che vorrei essere e non sono,
ma somiglio tanto che quasi nessuno se ne accorge
qui al nord,
qui luntan.
E mi danno sui nervi quelli nati qui che non han capito
che tutti i guai del paese vengono dagli altri:
i romani, i terroni, gli zingari, i marocchini,
maledetti Garibaldi, Cavour, i Savoia, giù fino a Prodi.
Ma è arrivato Umberto Bossi e gli altri amici della Lega,
cui presto o tardi tutti i qui pensanti si uniranno,
e allora sarà un’era nuova per l’Europa intera,
da Bologna al Nord
(già Firenze no).
Cacceranno i mafiosi gentilmente e gli altri a calci,
i pugliesi di Bitritto manderanno via lontano,
tanto sui miei documenti è scritto “nato il, a Milano”
babbo l’è mort,
mamma tra un po’.
E i capelli li ho già biondi, credo da parte normanna,
la pelle è scura ma la lampada è tanto di moda,
quando avrò un po’ di danè potrò cambiare il mio cognome:
mi sfottevano a scuola:
“Terracenere sei
e ritornerai”
“Terracenere sei
e ritornerai”
“Terracenere sei
e ritornerai”

venerdì 6 aprile 2018

REQUIEM PER UN QUOTIDIANO

Ebbene si, sono stato un lettore di Repubblica dei primi giorni, ho persino in libreria la ristampa del numero 1. Quando si compravano ancora i quotidiani cartacei, era Repubblica il mio. L'Unità meno, non mi scappava mai solo quando aveva Cuore come inserto, e di Cuore ho la raccolta completa in chissà quale cantina.
Il suo fondatore era un vecchio azionista, ma questa la devo spiegare: il Partito d'Azione era stata la gamba laica della Resistenza, la più piccola ma quella con le meglio intelligenze, senza la quale forse i gamboni credenti, nella trinità o nella dittatura del proletariato poco cambia, non ce l'avrebbero fatta a marciare assieme, e il corpaccione della nascente patria democratica sarebbe finito o in pezzi, o preda di uno dei due dogmi, privo di quella dialettica che ne ha costituito l'architrave di quel che di buono che è diventato.
O dovremmo dire che era, diventato. Perché guarda caso quando Repubblica nasceva si stava svolgendo il tentativo più nobile di riunire le due colonne del Paese per finalmente svincolarlo, a trent'anni e passa dalla sconfitta militare, dalla tutela impostagli dai vincitori, e condurlo a una sovranità compiuta. Gli artefici erano due anziani statisti, uno dei quali morì per un coccolone in diretta pochi anni dopo, quando ormai il progetto era passato in mani altrui ed era diventato un'altra cosa, di valenza opposta, l'altro invece intanto era stato fatto fuori dai brigatisti.
Cioè, dai brigatisti... Sarebbe come dire che quel gol di Cristiano Ronaldo l'ha fatto il suo piede, anzi la sua scarpa, lasciando perdere sia il suo intero corpo perfettamente coordinato nell'esecuzione della rovesciata perfetta, sia il suo cervello che l'ha pensata e ha deciso di eseguirla, sia gli anni e il lavoro che ci sono voluti per forgiarli entrambi, a quel ragazzino che come tutti i suoi omologhi sognava da piccolo di diventare un campione. Moro lo volevano morto in troppi, perché la potesse scampare: gli ottusi e manovrati esecutori, i suoi compagni di partito contrari alla sua linea politica, i poteri forti di qua e di là dell'oceano. E tutti hanno fatto qualcosa o omesso di fare qualcos'altro, perché lui facesse quella fine, e l'Italia non avesse allora quella sovranità che poi non avrà mai più e chissà se adesso davvero si fa quel governo che potrebbe tentare di ridarcela, su mandato di oltre il 50 per cento dell'elettorato.
In tutto questo, Repubblica ha cominciato ben presto a tradire il suo iniziale tracciato di indipendenza e laicità, scodinzolando ai potenti del momento, ma noi non ce ne accorgevamo, intanto perché quando uno da la propria fiducia fatica sempre un po' a revocarla, e poi perché arrivò il catalizzatore Berlusconi, ad avviare una lunga stagione di unità del centrosinistra, quanto apparente lo si sarebbe visto presto.
La parabola del giornale si sarebbe conclusa, così in basso da rendere impossibile a un essere qualsivoglia pensante di consultarne la versione web se non per la cronaca spicciola lo sport o le spigolature, quando in pratica è diventato l'house organ del partito-bestemmia, il che equivale a dire la voce del padrone eurocentrico nella sua missione di smantellamento del tessuto industriale italiano e sottoproletarizzazione dei già cittadini ora di nuovo sudditi. Poche eccezioni meritavano una visita, di solito rubriche tenute da figure liberopensanti (tra cui purtroppo non si può più annoverare il già direttore proprio di Cuore, la cui libera acutezza dorme da anni sull'Amaca), tra cui si segnalava quella di Piergiorgio Odifreddi.
E' appunto la sua cancellazione che mi ha spinto a questo post, per come è maturata:
  1. il fondatore, ormai da anni derubricato a terzopaginista per limiti di età, completata la sua mutazione (o è solo uno svelamento?) da bruco liberale laico a farfalla reazionario baciapile passando per crisalide renziana e sdoganatrice di ex cavalieri, si spertica in lodi a un Papa che egli stesso criticava da cardinale, quando serve attingendo alla sua fervida fantasia;
  2. il commentatore, matematico divulgatore di successo e noto agnostico (come un tempo anche l'altro), credendo ancora alla sedicente indipendenza del giornale su cui scrive, si permette di criticare la fondatezza dei suoi assunti, definendoli appositamente fake news per giustamente evidenziare che tale etichetta si sposa altrettanto bene se non meglio al mainstream che a ciò per cui è stata creata (delegittimare le ultime fonti di informazione libera a disposizione degli esseri pensanti);
  3. il direttore, che deve la sua notorietà alle sue disgrazie infantili anche se magari si sarà meritato tali vette per le sue doti giornalistiche, dimostra se ce n'era bisogna a che livello è sceso il suo giornale cacciando a metaforici e pubblici calci in culo l'audace commentatore.
Se trovate i due ultimi link non funzionanti, e non vedete più il blog di Odifreddi in colonna destra, sapete chi ringraziare.
E visto che ci troviamo, vi lascio una serie di link di approfondimento, e un video molto istruttivo, sul caso Moro:

  • Biondani, ovvero ma che traffico che c'era a via Fani!...;
  • Ferrara, ovvero lo scenario e i mandanti;
  • Paoli, ovvero tutto l'affaire Moro per chi vuole davvero approfondire.

E buona visione:




lunedì 2 aprile 2018

INTANTO VOLA INTANTO VA

I racconti di Chi c'è c'è sono 21, più quello che li racchiude 22, le canzoni che avevo scritto in gioventù oltre il centinaio: fatti due conti, anche considerato il fatto che molte di queste, proprio perché datate e giovanili, non ritenendole più né attuali né attualizzabili non le ho nemmeno tolte dal cassetto per registrarle alla SIAE e proporle qui ad eventuali "acquirenti" (dove le virgolette intendono che non le vendo per soldi, mi interessa che chi volesse un testo abbia qualcosa da farsene), qualcuna non cannibalizzata per il libro del 99 ci deve stare. Eccone appunto una, che peraltro era una delle poche ad avere una musica, intendo una abbastanza convincente da essere stata anche suonata un paio di volte live dai Ristrittizzi, per cui chi mi chiedesse il testo può anche ascoltare come l'avevo pensata (una ballata veloce col ritornello che saliva un po', e il finale ad libitum...), prima di magari metterci tutt'altra base.
Chi ha dalla mia età in su, però, già dal titolo avrà intuito che un legame con qualcos'altro questa canzone ce l'ha: si tratta di un meraviglioso brano di Sergio Endrigo, Una storia, dal cui testo cito due strofe a mo' di omaggio peraltro dichiaratissimo, come potrete vedere. 
INTANTO VOLA INTANTO VA
…e intanto vola, intanto va,
intanto vola e se ne va;
non credere ai tuoi occhi puoi,
ma intanto voli, intanto te ne vai…
La primavera era passata da poco,
il vento caldo cominciava a filare,
dalla finestra ora scappava il tuo gioco,
la malasorte e la malinconia
venivano dal mare, e
le tue canzoni non portavano a niente:
vita vissuta aveva tolto spessore,
non dire più ma fare e dare l’amore.
La lontananza e la riadolescenza
non vanno mai d’accordo accanto,
e tu rimani solo intanto…
…e intanto vola, intanto va,
intanto vola e se ne va;
non credere ai suoi occhi, e poi?
intanto voli, intanto te ne vai…
Da sempre sai che tu sei un po’ differente,
però migliore o peggiore dipende
se ottimista o pessimista è l’istante…
oscillazioni tra follia,
eccezionalità e – idea! –
canzone triste tipo anni sessanta
(primo Vecchioni oppure Sergio Endrigo):
la primavera era passata da poco
(originale come idea!),
doveva essere estate e
ti sei svegliato che era inverno…
…e intanto vola, intanto va,
intanto vola e se ne va;
puoi credere anche agli occhi suoi,
ma intanto voli, intanto vai…
…e intanto vola, intanto va,
intanto vola e se ne va;
non credere ai tuoi occhi puoi,
ma intanto voli, intanto vai…
…e intanto vola, intanto va,
intanto vola e se ne va;
non credere ai suoi occhi, e poi?
ma intanto voli, intanto vai…
…e intanto vola, intanto va,
intanto vola e se ne va;
puoi credere anche agli occhi suoi,
ma intanto voli, intanto te ne vai…

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