domenica 31 dicembre 2017

IN-FINITO

Rieccomi qua.
Sono io.
Io.
Si sono proprio io.
Sono io questo mucchietto d'ossa ripiegato su se stesso che fatica a respirare. Ho dolori dappertutto. Così forti e così ovunque che non so più localizzarli, e forse manco li sentirei più se ogni tanto non ne spuntasse uno più acuto, o forse più ottuso, però va bene, va bene così, mi dico, tutto questo vuol dire che sono viva.
Un attimo fa vedevo da terra i piedi del tavolo, ora da un fianco questa sponda di letto, e mi dicono che sono passati giorni. Io capisco, capisco tutto, ma non ho forza, e tutto sommato neanche voglia, di parlare.
Credo di avere capito. E so che cosa voglio. Voglio rivedere i suoi occhi. Gli occhi di mio figlio. Non mi importa quanta fatica mi comporta, da ora in poi concentrerô ogni energia che mi resta su questo obiettivo: resistere fino a che non arriva.
Ma ogni minuto, ora o giorno che passa la pena è maggiore, il dolore più forte, l'energia minore. Ho deciso: me lo immagino. Forse al mio scopo vale lo stesso, in fondo c'è un sacco di gente che muore di morti improvvise, non credo che a nessuno di loro riesca di andare in paradiso. Perché questa dev'essere, la storia di inferno paradiso eccetera: il tempo, questo crudele inganno che chiamiamo tempo, non scorre in linea retta, ma lungo una curva che agli estremi tende a infinito. L'ultimo istante dura per sempre. Ma non tutti hanno la fortuna di capirlo per tempo: le religioni devono a ciò una buona fetta del loro successo, ti preparano alla giusta confezione dell'ultimo pensiero per vie traverse.
Non servono, se hai il tempo è la fortuna di aver capito il trucco. Ora io ci penso, a quello sguardo. E così il tempo che si dilaterà all'infinito lo conterrà. Ci penso, e mi basterà.
Ma poi lo sento. È qui. Mi parla. É la sua voce, che poi mi ricorda un'altra voce, di un amore che non c'è più da anni. Mi parla. Non posso rispondergli. Ma lo guardo. Mi guarda. Lo guardo. Mi dice ci vediamo dopo. Gli rispondo con gli occhi. Gli rispondo: certo, ci vedremo per tutta l'eternità. Non capisce, va via, ma capirà. Ciao figlio mio ora posso morire. Questa cosa così misteriosa, che uno si chiede sempre cosa sarà mai, non è poi tutto sto gran che.  Anzi, forse non è niente. Non esiste, la morte, finché esisto io.
Ed io eccomi qua.
Sono io.
Io.
Si sono proprio io
Io sono qui, e ti guardo, per sempre.

lunedì 25 dicembre 2017

VENT'ANNI FA

Il dicembre del novantasette è stato a dir poco cruciale per chi vi scrive, e un ventennale è una bella cifra tonda per ricordarlo. Ma, niente paura, questo non è un post nostalgico e autobiografico, tanto gli amici trovati allora in quel di Trento e mai più persi, e anche quelli un pochino persi di vista ma mai di cuore e di pensiero e quindi di contatto almeno occasionale, lo sanno se mi leggono che sto parlando di loro.
E' un post di auguri di natale, ma a modo mio: con una scaletta, pardon oggi si dice playlist, necessariamente in qualche modo originale. La trovate alla fine, però: prima parliamo, sempre a proposito di musica, di un disco che ha fatto vent'anni pure lui e in qualche modo a suo tempo ha fatto epoca, e che stavo riascoltando l'altro giorno e mi ha fatto venire voglia di scriverne nei termini in cui lo sto facendo, forse anche perché proprio a Trento, anzi per la precisione a Rovereto, vidi la band che lo portava in tournée, e mi piacque tanto (no, non era una sorpresa: li avevo già visti e li seguivo da prima che si chiamassero come si chiamavano) che li andai a rivedere qualche giorno dopo alla tappa di Padova.
I CSI, infatti, avevano un passato come esponenti del combat-folk-post-punk emiliano (si chiamavano CCCP, ovviamente se avete la mia età o vi interessa la storia contemporanea), e avranno un futuro come PGR, e oggi i loro rivoli continuano a deliziare gli appassionati. E nella loro breve esistenza in quanto tali avevano pubblicato già alcuni capolavori: Ko de mondo, Linea gotica e il live acustico In quiete.  Dischi di quelli che non puoi segnalare dei pezzi come notevoli senza fare torto a tutti gli altri, comunque di livello: al massimo, puoi tracciare una tua personale playlist, appunto. Ma si trattava di dischi "difficili", come spesso capita alla roba di vera qualità, con una sacca di estimatori crescente si, ma che sacca rimaneva. E ai nostri eroi, probabilmente, piaceva così, anzi sicuramente dovremmo dire visti gli accadimenti successivi.
Avvenne infatti che nel 1997 diedero alle stampe Tabula rasa elettrificata. E fu il classico "botto". Il disco suonava come niente aveva mai suonato in Italia né suonerà più. Energia pura, dall'inizio alla fine. Roba che ti strappava i sentimenti dalle viscere, la rabbia soprattutto. Tanto che quando a un certo punto un pezzo diceva "rivoluzione", nessuno faceva caso al fatto che intendesse il moto terrestre attorno al sole: tutti urlavano, urlavamo, come se la dovessimo fare li, in quel momento, molti col pugno alzato, anche chi come racconta meglio Gaber di quel gesto aveva sempre avuto un certo pudore. E i CSI andarono al primo posto delle classifiche di vendita degli album.
Roberto Vecchioni... Mi direte: che c'entra musicalmente il Professore con Giovanni Lindo Ferretti e company? Ci arrivo: Roberto Vecchioni il suo trittico di capolavori lo ha scritto tra il 76 e il 78, e poi si in mezzo a tanta, troppa produzione, qualche perla la troviamo anche nei quarant'anni seguenti, ma quei tre dischi li, (Elisir, Samarcanda e Galabuig stranamore e altri incidenti) perfetti dal primo all'ultimo brano, erano irripetibili. Nel primo dei tre, il brano più leggero è un divertissement in chiave storica (ricorrenza, questa, frequente nella produzione vecchioniana) che a un certo punto dice:
viviamo per il pubblico, ma ci chiamiamo Pietro: in cima alle classifiche, ci rivogliamo indietro.
Non lo sapeva, ma parlava dei CSI di vent'anni (di nuovo i vent'anni) dopo.
Ancora in tour con "tabula rasa", infatti, i nostri cominciarono a maturare lo scioglimento. Pubblicheranno ancora tre live, uno atipico registrato a margine di un evento commemorativo di Beppe Fenoglio, e due diciamo così di addio dal titolo Noi non ci saremo (volume I e II, appunto), preso in prestito da Guccini e i Nomadi con tanto di cover.
Misurate la distanza tra una parabola artistica come quella appena descritta e quelle odierne, ed avrete evidenza empirica dell'enunciato filosofico che la freccia del progresso non sta sempre verso avanti nel tempo.
Buone feste a tutti. e buon ascolto:
  • Memorie di una testa tagliata (attenti: è di un realismo assoluto, l'orrore della guerra lo senti nelle ossa meglio che nella prima mezz'ora di Salvate il soldato Ryan, e vi sembrerà di capire cosa si prova a morire);
  • Cupe vampe (a ricordarci che l'Europa marcia di oggi è nata banchettando sulla carogna della Jugoslavia, del cui smembramento era stata il mandante);
  • E ti vengo a cercare (l'unica cover di Battiato cantata meglio di Battiato stesso, cioè conferendo al brano significati ulteriori);
  • Unità di produzione (quella della rivoluzione di cui sopra);
  • Forma e sostanza (un trattato di filosofia in forma di canzone "conosco le abitudini, so i prezzi, e non voglio comperare né essere comprato", con tanto di catarsi incorporata "voglio ciòooo che mi spetta, lo voglio perché è mio, mi spettaaaa!" a cantarla in coro);
  • Fuochi nella notte di San Giovanni (che riprende il "chi c'è c'è" dal brano di inizio album, che cito alla fine come dulcis in fundo, a dimostrare che di una sorta di concept sui generis si trattava)
  • A tratti (fate attenzione al cambio di ritmica a circa 3/4 di canzone: innescato dalla chitarra, cui la batteria a un certo punto si appende, dopo essersi ostinata per un po' a mantenere il suo pestaggio ossessivo precedente, è uno dei passaggi più interessanti della musica italiana, e non sto esagerando, e culmina col seguente rimarchevole testo:
Non fare di me un idolo, mi brucerò, se divento un megafono m'incepperò,
cosa fare o non fare non lo so, quando dove perché riguarda solo me,
io so solo che tutto va ma non va, non va, non va, non va, non va...
Sono un povero stupido so solo che chi è stato è stato e chi è stato non è:
chi c'è c'è e chi non c'è non c'è....

giovedì 21 dicembre 2017

10. PRIMO: NON BERE - LENNONIANA

In attesa di Sushi Marina, continua la pubblicazione dei racconti di Chi c'è c'è, raccolti da un "geestre" direttamente dalle menti di 21 terrestri in animazione sospesa su un astronave perduta nel cosmo, forse ultima testimonianza del nostro pianeta ormai distrutto. Qualcuno ricorderà che alcuni dei racconti li ho "ricavati" partendo da testi di mie canzoni quando ho dovuto abbandonare il sogno di cantarle: qui pubblico prima il racconto, il sogno di un'astronauta egiziana, poi la canzone da cui è tratto, pensata come una ballata veloce ma musicabile a piacere da chi mi chiedesse di poter usare il testo...

10. PRIMO: NON BERE

Quando ero piccola, alla classica ed insulsa domanda “cosa vuoi fare da grande?” io rispondevo sempre “la dottoressa”, come tanti altri bambini, peraltro. Ma io volevo davvero fare il medico, ed avrei potuto, sul serio: mio padre era un ricco commerciante del Cairo, e poteva permettersi di farmi studiare. Accettò di pagarmi l’università in Inghilterra, ma mi orientò verso ingegneria aerospaziale, l’altra mia grande passione, perché -disse- “sarai una delle poche con quel titolo, in Egitto, ed essere rari è sempre bene”. Aveva ragione, anche troppo: divenni astronauta, il primo del mio paese a volare sullo Shuttle verso la costruenda stazione spaziale geostazionaria. Ma nel profondo del mio cuore io sarò sempre un medico mancato, più che un astronauta realizzato.
Mohammed veniva da un villaggio ai margini del deserto. Un posto che era rimasto molto povero nonostante la buona ripresa che il nostro paese aveva visto nell’ultimo decennio, in tono minore rispetto ad altri paesi nordafricani ma comunque buona, sì, direi. Anche suo padre era riuscito, con molti sacrifici, a farlo studiare. Ovviamente in Europa aveva dovuto arrangiarsi con dei lavoretti, ma ce l’aveva fatta: era medico. Medico!
Ci conoscemmo all’università, e diventammo subito amici, forse perché era chiaro che lui era diverso da tutti gli altri nostri connazionali che incontrai lì, forse perché lui era quello che avrei voluto essere io. E probabilmente questo fu anche il motivo per cui la nostra amicizia non finì, come tante, con la fine degli studi. Continuai a cercarlo, a chiedere notizie, a seguirne la carriera. Era molto capace. Si specializzò in cardiologia, entrò in ospedale, e vi fece carriera facilmente. Cominciò a mandare soldi a casa, invece che le solite lettere piene di nostalgia. Il padre gli aveva proibito di tornare, neanche per le vacanze. Non era solo per una questione di soldi, quello era semmai il motivo per cui non era mai venuto lui su ad Eton, ma perché lo conosceva bene, suo figlio.
Mohammed era cresciuto per strada, amava visceralmente ogni cantuccio del suo paesino d’origine, e ogni mendicante, ogni ragazzino, ogni vecchio che avesse calcato quella polvere. E non riusciva a digerire il grado di povertà e sottosviluppo cui quelle zone sembravano condannate. La mortalità infantile era altissima, le pratiche di contraccezione l’Egitto le aveva accettate ufficialmente, visto che erano la contropartita alla remissione graduale del debito internazionale, ma non aveva mai fatto realmente nulla per capillarizzarle, sia per tenersi buoni i partiti integralisti (che controllavano la “provincia”), sia perché comunque era difficile per chiunque avere dati reali su quei posti sperduti.
Inoltre vi era ancora diffusissima l’infibulazione, una pratica barbara legata alle peggiori tradizioni religiose nordafricane e non solo, consistente nell’asportare alle ragazzine la clitoride e talvolta anche le grandi labbra, la cui ratio sta nell’impedire loro di vivere una sessualità piena, da donne. Il controllo sociale, l’ordine: la preoccupazione dei vigliacchi di tutte le epoche. La riduzione della complessità per sedare la propria paura di vivere: è questa l’esigenza profonda di ogni razzista. Rendere le donne incapaci di provare piacere rende irrilevante la loro scelta in amore, le rende sottomesse per sempre. In più, se non bastasse tutto questo e quant’altro si può dire sulla cosa in sé, essendo la pratica dichiarata illegale e nello stesso tempo tollerata, non poteva giustamente essere praticata nelle strutture pubbliche, e veniva regolarmente eseguita in ambulatori fatiscenti da medici privi di scrupoli, se non addirittura in casa con mezzi di fortuna, con conseguente gran numero di infezioni, talvolta dall’esito mortale.
Troppe bambine mutilate che non saranno mai pienamente donne, troppi bambini nati, troppi denutriti, troppi malati, troppi morti, perché lui non ci pensasse di continuo. Dopo una decina d’anni aveva messo abbastanza soldi da parte, tra risparmi e contributi alla causa, per realizzare quello che aveva in mente da sempre. Un ospedale, con tanto di consultorio, ai margini del deserto, vicino casa sua. Quando comunicò le sue intenzioni al padre, questi dapprima tentò di convincerlo con le buone a desistere, poi gli intimò di non farsi in ogni caso vedere a casa che non gli avrebbe rivolto la parola. Non mantenne il punto, se lo mangiarono tutti di baci e abbracci non a pena si affacciò sulla soglia. A posteriori, avrebbe fatto meglio ad essere più convincente. Non che sarebbe servito, comunque, con quel testone!
Ebbe tanto facilmente i permessi e il terreno, quanto difficilmente trovò colleghi disposti a seguirlo nell’avventura; tanto facilmente riuscì a tirare su la struttura, quanto presto arrivarono i primi contrasti con l’autorità islamica locale.
Eppure fu subito pieno, l’ospedale, per quanto bisogno c’era di una struttura del genere in quel posto! Mohammed lavorava venti ore al giorno, e riusciva ad aiutare un numero di persone tale che sembrava ne lavorasse quaranta. Ma non era lui ad aiutare la gente, era la gente che aiutava lui. Semplicemente, ci sono individui che riescono a convivere col pensiero che esistano persone al mondo più sfortunate che avrebbero bisogno di loro, e altri che non ci riescono; tra questi ultimi, ci sono quelli che rimuovono quel pensiero dentro di se, e quelli che lo esorcizzano facendo tutto quello che possono, se non di più. Questi ultimi sono i più grandi e meravigliosi egoisti sulla faccia della terra: i missionari, le suore, o i medici come lui.
Solo che i missionari, bene o male, sono dei religiosi: lui addirittura era un laico, non lo si poteva tollerare minimamente. Cominciarono con piccoli sabotaggi. Poi arrivarono le minacce, prima a lui, poi ai pazienti che gli si rivolgevano. Quando sentì l’esplosione capì subito che era il suo ospedale ad essere saltato in aria. Col suo cammello giunse col cuore della notte giusto alla distanza necessaria per accertarsene. Era tutto distrutto, probabilmente c’erano molti morti. Si precipitò tra le macerie, fece tutto quello che poté per salvare delle vite, poi quando già lo tiravano via dicendogli che non c’era più nulla da fare, che erano ventiquattr’ore che scavava e che comunque non c’erano più dispersi, che sarebbe stato meglio se fosse andato a riposare un po’, allora girò su se stesso, rimontò sul cammello e sparì.
Lo ritrovarono morto nel deserto una settimana dopo. Il padre mi telefonò perché gli avevano trovato addosso una lettera indirizzata a me. Mi arrivò dopo qualche giorno. Era apparentemente frutto del delirio di un uomo smarritosi senza viveri né acqua nel deserto, ma non per me che lo conoscevo bene. Non era neanche un sogno, era la riflessione lucida di un uomo morente, era il messaggio per l’amica di studi con cui condivideva i valori. Significava: abbiamo ragione noi, vai avanti. Era un racconto, una parabola.
Diceva che dopo qualche ora in groppa al cammello cominciò a girargli la testa, forse per la stanchezza, finché non cadde di sella picchiando col capo in terra e perdendo i sensi. Non so quanto tempo dopo rinvenne, ma si ritrovò circondato da tre viandanti che si prodigavano a rinfrescarlo bagnandogli il viso e i polsi, facendogli ombra e sventolandolo. Quando si accorsero che aveva aperto gli occhi sfoderarono ognuno una borraccia e fecero per offrirgliela, contemporaneamente, così che quasi le picchiarono una con l’altra. Le ritrassero guardandosi in cagnesco, e solo allora Mohammed cominciò a vederli bene. Erano simili per aspetto fisico e corporatura, ma vestiti tutt’affatto diversamente: non fosse perché si trovava nel deserto avrebbe creduto si trattasse di un mullah, un prete cattolico, e un rabbino. No, non era possibile, forse era sconvolto dalla sete; meglio chiedere da bere ai tre strani viandanti. I tre si guardarono con odio, si alzarono in piedi, si tolsero i mantelli e... sguainarono le sciabole! Tre luminosissime sciabole di acciaio, argento e oro, ...e tre coltelli rossi nell’altra mano!
In un attimo, l’islamico fu sull’ebreo, e con una finta gli conficcò l’arma nel fianco sinistro, ma troppo profondamente, cosicché restò sul colpo quell’attimo in più che bastò al cristiano per pugnalarlo alla schiena. Poi il prete si avvicinò a Mohammed, dicendogli: “guarda, sono svaniti, era tutta una scena allegorica mostratati da Dio per farti capire dove sta il Giusto; tu hai fatto del bene in vita, ora giustamente l’unico, il vero Dio ti vuole accogliere nel suo seno, orientare finalmente nel senso giusto la tua ansia d’amore; ecco, bevi...”.
“Ma io, come sai, cara Fatma, non berrò mai di quest’acqua.”, queste le ultime parole scritte dal mio amico. Me lo immagino, con le secche labbra serrate, sufficientemente per non fare entrare l’acqua, ma purtroppo non abbastanza da non fare uscire l’ultimo respiro.
...
LENNONIANA

Quando Mohammed cadde dalla sella,
batté la testa e tutto scomparì;
non stava ritornando da una guerra,
ma dalla gente che non lo capì.
Aveva messo in piedi quattro tende
per fare entrare chi credeva in lui:
sembrava che curasse tanta gente,
ma era la gente che curava lui.

E ha fatto bene il padre
a dirgli "figlio non restare qua,
vattene su in Europa,
studia, fatti dottore e resta là"...

Mohammed ascoltò dapprima il padre,
ma poi non resistette e tornò giù:
voleva troppo bene alla sua gente
e alla terra della sua gioventù;
con quelle quattro tende e pochi soldi
faceva ciò che per lui era dovere,
ma la città ai confini del deserto
capiva solo i calci nel sedere.

E ha fatto bene il padre
a dirgli "figlio non restare qua,
vattene su in Europa,
studia, fatti dottore e resta là"...

Così dopo tre giorni di deserto,
in cui sentiva solo il vento e il nulla,
lo colpirono sole, nulla e vento,
e Mohammed cadde esausto dalla sella;
passarono di la tre viandanti,
tre, come le tre parche del destino,
congiunti da chissà quali accidenti:
un imam, un cattolico e un rabbino;

i tre lo videro e si avvicinarono,
gli diedero dell’acqua sulla faccia,
ma ognuno aveva una sacca per bere:
doveva sceglier lui quale borraccia.
L’arabo li guardò stupito e attento
e disse che non c’era differenza,
allora i tre si guardarono negli occhi,
e c’era odio più che diffidenza,

tirarono da sotto i tre mantelli
tre sciabole di luce argento e oro,
con l’altra mano presero i coltelli,
rossi come strumenti di lavoro;
l’islamico barbuto, con sveltezza,
con una finta sbalordì il rabbino,
ma, mentre gli premeva nelle carni,
la schiena porse incauto al suo vicino.

Si avvicinò a Mohammed il vincitore
e disse “io non ho ucciso, è stato dio
che ti ha mostrato queste false scene
per mostrarti che il giusto sono io:
tu hai cercato di fare il bene in vita,
ignaro di esser sulla via sbagliata,
ma dio accoglie ogni anima nel seno,
non chiede di che religione è stata,

tu non potevi sapere come fare
per mettere a buon frutto la bontà,
e invece di cercare nel tuo cuore
tentavi di cambiar la società”,
allora fece per porgergli l’acqua,
ma Mohammed serrò il labbro e poi spirò,
pensando “ho fatto il bene senza dio
e buono e senza dio io morirò”

E ha fatto bene il padre
a dirgli "figlio non restare qua,
vattene su in Europa,
studia, fatti dottore e resta là"...

venerdì 15 dicembre 2017

UN PARTITO ANTI, DEMOCRATICO

L'immagine viene da un istruttivo post su Oltrelalinea
Ogni volta che mi capita di voler tornare su temi già trattati, mi dico che va bene averne di ricorrenti, ma se esagero poi la persistente esiguità di lettori non mi deve sorprendere. Poi però non mi tengo, specie quando la mia insistenza è solo lo specchio della ricorrenza dei temi nella cronaca, politica e non. Pensando a questo, prima vi invito a rileggervi un mio vecchio post "conclusivo" sul concetto di verità, e poi comincio.
L'urgenza viene dalla pompatissima guerra alle "fake news", così denominate (e di continuo) perché l'inglesismo ha purtroppo oramai consolidato la sua funzione di aggiornamento ed enfasi dei concetti: il del tutto equivalente italiano "notizie false" non avrebbe lo stesso appeal (aridaje) e risulterebbe meno manipolabile. In altre parole, il termine in voga riduce la percentuale di coloro che, sentendo che è stata fatta una legge per combattere le notizie false, si chiederebbero chi mai possa avere la facoltà di discernere se una cosa sia falsa o vera, e che fine fa la democrazia se a qualcuno viene attribuito il potere di stabilirlo. Erano i comunisti, a poter leggere solo la "Pravda" (in italiano proprio "verità"), in democrazia si dovrebbe semmai fare tutto il possibile perché i cittadini siano messi in condizione di discernere in un mare di libertà di espressione, e non mai invece considerati "gregge" da proteggere censurando la libertà di chiunque di dire puttanate.
Ad esempio, io personalmente reputo che tutte le storie che tutti raccontano ai bambini in questo periodo natalizio siano solenni fesserie, e se fossi dittatore assoluto senz'altro impedirei che venissero propinate in TV come a scuola favolette come quelle di Babbo Natale e di Gesù bambino come fossero verità assolute (specie la seconda). Ma non essendolo, e non volendolo essere, mi limito a fare "controinformazione" (si, anche in privato) per incentivare il libero giudizio almeno nel mio piccolo.
Si tratta di un distinguo "filosofico" così elementare che non è credibile sfugga al "legislatore": è cioè impossibile credere che egli non si renda conto che una normativa come quella d'attualità è senza mezzi termine totalmente illiberale ed estranea alla logica democratica. Pertanto è appena consequenziale dedurre che se ne rende conto benissimo, e quindi la vuole esattamente, consapevolemente e precipuamente per sostituire sostanzialmente alla democrazia un regime vero e proprio, in cui si impedisce a chi non è allineato di esprimere le proprie idee. Anche perchè, quando il suo allora avversario politico fece e rifece lo stesso tentativo, della cosa se ne rese conto benissimo e anzi si fece promotrice di immense levate di metaforici scudi contro ogni "legge bavaglio" veniva proposta. E' la stessa cosa, e i distinguo degli amici centrosinistri ora che l'obbrobrio viene dai loro capi sono solo penosi e ridicoli graffi di unghie sugli specchi. Il PD ha gettato anche l'ultima maschera, è un partito antidemocratico alla stessa stregua, anzi peggio perché inganna a cominciare dal nome, di Forza Italia, con cui si appresta a continuare a governare se non viene fermato. E può essere fermato solo dal movimento 5 stelle, vi piaccia o meno, perchè votare Grasso o altri schieramenti di sinistra nella migliore delle ipotesi è un voto sprecato, nella peggiore e più probabile è un voto che arriverà indirettamente (neanche lo nascondono) allo schieramento dell'inciucio che vuole solo finire il compito per cui è ben pagato dai suoi mandanti (nelle istituzioni monetarie sovranazionali e nel capitalismo finanziario e multinazionale): la distruzione dell'Italia come Paese sovrano e produttivo.
Qual'è quindi la verità? L'11 settembre 2001 il capo di una onnipotente fazione terroristica mussulmana da una grotta dell'Afghanistan ha ordinato il più grande attentato dell'era moderna, o invece è impossibile che la più potente difesa aerea del pianeta si sia fatta infinocchiare da 4 arabi incapaci di pilotare un ultraleggero coordinati a distanza da un rampollo arabo miliardario peraltro addestrato dalla CIA in funzione antisovietica? Posso saperlo subito, o almeno cercare di farmi una mia idea, o devo attendere decenni come per JFK? E anche qui, che i dubbi sulla versione ufficiale circolano da sempre, era giusto censurarli? Kevin Costner sarebbe scampato alla Boldrini? E com'è che il discrimine tra definire uno dittatore oppure leader democratico non passa mai da quante elezioni vince e con che misura, e invece passa sempre da quanto è organico alla linea politica dei padroni del vapore? Sul Venezuela e sulla Siria chi è che dice la verità e chi palle? Posso deciderlo io o me lo deve dire il PD? E qual'è "la verità su Giulio Regeni" (la virgoletto perché a un certo punto la frase è diventata un tormentone), quella che hanno sempre sotteso tutti i commentatori di regime per assecondare la narrazione che ha accompagnato per anni quella enorme bufala mediatica che si sono rivelate le cosiddette "primavere arabe", o quella che sta emergendo adesso, anche ufficialmente, e che solo pochi scetati avevano intuito subito?
Insomma, se siamo in democrazia voglio poter leggere anche della fusione fredda (chi se la ricorda?) o del nucleare pulito al torio, come dell'efficacia e della pericolosità dei vaccini, e farmi da solo l'idea se sono stronzate o meno. Io sono un cittadino democratico, e voglio ragionare con la mia testa. Chi me lo vuole impedire, chi vuole imporre le sue minchiate come verità e quelle altrui come fake news, merita solo un enorme, granitico, VAFFANCULO.

lunedì 11 dicembre 2017

DUBBIO (7 MILIARDI DI ZANZARINI)

Ogni post di questo blog viene letto mediamente da un centinaio di persone. Se  pensiamo che nell'era pre-Internet era quasi impossibile avere un uditorio del genere senza essere "qualcuno", è tanto. Se invece il dato lo misuriamo coi parametri del web, è praticamente nulla, anche volendo escludere dal contesto facebook e gli altri social, dove una péreta fatta bene può avere riscontri immensi. Mi consolo, e quindi insisto, se penso alla natura dei contenuti che posto, tutt'altro che "facili" e comunque pensati per tutto tranne che per "acchiappare" lettori, ché per fortuna vivo d'altro e non ho messo nemmeno AdSense.
Da un po' di tempo, per mantenere la media fisiologica di sei o sette post mensili, sotto la quale un blog è clinicamente morto, mi aiuto pubblicando a puntate le mie cose edite (un libro di ricette in vernacolo e uno di racconti) e inedite (ma depositate: le mie "canzoni con la musica in testa"). Queste ultime, non nego, nella speranza che qualcuno che la musica riesce a farla uscire dalla testa, ma magari ha più difficoltà con le parole, ne noti qualcuna e mi scriva per chiedermene l'uso. Dico tutte le volte che non è questione di soldi, ci accorderemmo facile, ma evidentemente la rassicurazione non basta, visto che ancora non è arrivata una richiesta che è una. Certo, c'è sempre la possibilità, anzi a questo punto direi la probabilità, che io sovrastimi i miei testi come lo scarrafone mamma sua, ma è gratis e non demordo: questo inno alla "religione del mettere tutto in discussione" l'ho pensato come una canzonaccia rocchettara, ma se vi piace potete pure girarlo a valzer (come tre quarti delle canzoni di Ligabue, peraltro) o a come cavolo vi pare e piace, a me che me frega....
DUBBIO (7 MILIARDI DI ZANZARINI)

Vola
per la stanza
e tra tutti
ha sempre scelto me.
Niente,
non c’è niente da fare:
ha già provato il mio sangue
e non la puoi fermare.
Furba,
com’è furbo chi è piccolo,
com’è furbo chi ha il naso
molto lungo.
E il bello
è che quando sfiora la pelle
non si fa neanche sentire:
io non me ne accorgo mai,
strano!
stra-a-no

Mentre
sto per fare qualcosa
lei la blocca sul nascere:
il suo ronzio mi disturba.
Patetica
è la faccia che faccio
quando le do ragione,
quasi sempre ormai.
Costante
è la sua incombenza:
peggio di un bombardiere
con l’atomica.
Ma lasciatela stare,
ne son tossicodipendente:
mi sono accorto che se mi manca
penso sempre a lei,
strano!
stra-a-no, no?

Come puoi pensare
di non averne bisogno,
di surrogarla con un dio,
brutto stupido di un infinito?
Grottesco,
per non dire presuntuoso,
è questo modo di pensare,
ma ce n’è bisogno e lo rispetto.
Che dici?
è bisogno pure il mio?
d’accordo, e allora rispettami,
non ghettizzarmi come fai sempre.
E ascoltami:
dio e la zanzara
sono due bastoni,
ma uno con carota e l’altro no.
Zanzara,
zanza-a-ra, ah!

Talvolta
mi ha momentaneamente lasciato,
ma io l’ho fatta tornare:
ormai è felicità,
è giustizia,
è pace con me stesso,
è equilibrio col mondo,
è gioia di dare un me
critico,
anche se non automatico
da questo punto di vista,
però ci provo e ci arriverò.
E, cazzo,
se le trovo uno zanzaro,
la farò riprodurre,
e un poco ci riuscirò.
Zanzaro,
zanza-a-ro, oh!

La coppia
farà milioni di figli,
tanti piccoli zanzarini
rompiscatole e antipatici,
e il dubbio
regnerà sulla terra,
e partirà dall’introspezione
la famosa società di uguali.
E il cattivo
si autodistruggerà,
ed il buono non sarà più pio,
perché privo di antitesi logica.
E pazzo,
paranoico e fesso
sarà l’uomo normale,
in culo alla vecchia normalità.
E che cazzo
mi avete sorpreso che urlavo?
quali cazzate buttavo?
quante zeta ho già scritto?
Domani
sarò un vecchio qualunque,
probabilmente antipatico
malato, bavoso, ancora fesso
e strano,
stra-a-no.

venerdì 8 dicembre 2017

GIOVANE PALESTINESE AGGREDITA NELLA NOTTE...

Come ho altre volte ricordato, oggi cade la festa religiosa che onora la ricorrenza più equivocata di tutte: quasi la totalità dei cattolici (persino praticanti, e forse anche qualche prete) è convinta sia la celebrazione dell'immacolata concezione di Gesù da parte della Madonna, e invece è quella della Madonna da parte di sua madre (Sant')Anna, fissando la quale un papa nell'ottocento ha inteso chiudere una diatriba teologica durata secoli e secoli, tra chi reputava che appunto Maria non potesse assurgere a Santa madre di Dio se fosse stata concepita con peccato e chi invece pensava che la scelta divina successiva fosse sufficiente a mondarla. Roba che per molto meno si sono fatti scismi e guerre sanguinosissime, quindi forse Pio nono ha fatto bene, anche se forse lui era invece pressato più che altro da necessità politiche, mica si poteva permettere divisioni interne con l'unità d'Italia alle porte e il potere temporale sotto minaccia.
Per il resto, la storiella che ci consente oggi di non andare a lavorare (a chi ha un lavoro fisso, e siamo sempre meno, che rispetta le domeniche e le feste, ancora molto meno) non è troppo più assurda di tutte le altre narrazioni religiose, a cominciare dalla creazione della luce prima di quella del sole. Massimo Troisi, che era un genio assoluto, queste cose che io vi dico annoiandovi ve le passava con somma leggerezza, ad esempio con la famosissima Annunciazione, il meno famoso ma ancora più sublime dialogo con Dio, o il mitico Minollo che voleva salire pure lui sull'Arca di Noè (e il diluvio universale è forse la più fondata delle leggende, se pensiamo che una sua versione è riportata da quasi ogni culto sulla faccia della Terra).
Eppure, come bene seppe cogliere e mostrarci un altro gigante, Fabrizio De André da Genova, di storie belle e credibili la tradizione cristiana degli inizi era gravida, fu la Chiesa-istituzione a preferirgli versioni meglio adeguate a mantenere il gregge docile e infantile. E se anche non volessimo riascoltarci La buona novella, basterebbe poco a immaginare come deve essere andata, e ascoltandolo a capire che si che c'era santità, eroismo, sangue e sudore, negli avvenimenti veri o perlomeno probabili che hanno ispirato le fandonie dei secoli a venire.
C'era una volta una ragazzina, vergine come doveva essere (è dovuto essere fino a avant'ieri) prima del matrimonio, e come si capisce dal fatto che stiamo parlando di una all'incirca dodicenne, che viene data in sposa a un vecchio, cioè uno che forse non aveva l'età mia di oggi che sono un ragazzo di 54 anni ma che ai tempi era decisamente un vecchio. La ragazzina viene stuprata, di notte, come spesso capitava in tempi in cui la notte era nera e non c'erano le statistiche sulla violenza sulle donne, e il vecchio, che forse per vergogna non l'aveva ancora toccata, ha pietà di lei, e finge di credere alla storia dell'angelo eccetera eccetera che la bambina si è inventata forse per malizia, ma più probabilmente per reagire al trauma. Oppure, seconda versione, Mariuccia era stata già stuprata quando il vecchio, ormai in pace coi sensi, accetta dietro compenso, o magari di nuovo solo per pietà, di pigliarsela in moglie con tutto il pacco, che un figlio a bottega fa sempre comodo e altrimenti ormai non l'avrebbe più avuto, e una disonorata in meno in circolazione è sempre meglio che una in più. Magari era pure amico di famiglia, che ne sappiamo, e comunque nel paese tutti conoscono tutti forse Anna e suo marito erano clienti...
Com'è come non è, sto figlio cresce vispo e intelligente, e capace di trucchi che nessuno comprende, e insomma gente così allora diventava capopopolo, mica andava ai talent in tivù come oggi. Il fatto è che c'era un esercito invasore, e il popolo non è mai contento di subire angherie, solo che senza un leader di solito abbozza, poi quando lo trova si rialza, fa un po' di casino, e quando glielo ammazzano riabbozza. Se ci riesce, racconta la sua vita, hai visto mai i posteri. Raramente, questa storia diventa un (cult, diremmo oggi, allora si diceva) culto. E i culti talvolta diventano istituzioni, perdendo se stessi ma entrando nella Storia, e rieccoci all'inizio.
Ma fermiamoci un attimo. Pensate che quando sto Joshua è stato giustiziato, orribilmente come usavano i romani (ma loro inchiodavano le vittime in un altro modo rispetto al crocifisso del nostro immaginario) pare avesse già 33 anni, grandicello per i tempi, e da 3 agitasse le masse di tutta la Palestina. A quell'epoca, il suo padre putativo doveva essere già defunto da un pezzo, la gente allora mica ci arrivava all'ottantina, ma sua mamma non aveva che una 45na d'anni, e se era bella la metà di come viene solitamente rappresentata oggi la direbbero una MILF, ma questa o la sapete o la googleate, io non ve la spiego. Una bella e scura donna palestinese che piange suo figlio ucciso dalle truppe imperiali: oggi sarebbe una copertina da TIME, se non ce ne fossero troppe e se la stampa occidentale non eseguisse così diligentemente il compito di raccontare la mezza messa, escludendo la mezza che ci condanna e ci danna per l'eternità.
Io non sono credente. Ma vi ho appena mostrato, detto senza falsa modestia, più sentimento religioso in trenta righe scritte di getto rubando tempo al giusto sonno di quanto ce ne sia nelle storielle che ancora oggi racconta la Chiesa ufficiale. Sia detto senza toccare i preti "di frontiera", di qualunque frontiera anche dentro la città, che fanno il lavoro sporco e davvero santo, e magari dentro al cuore sono d'accordo con me. Certo, mi ha aiutato aver frequentato Pasolini o Fo o Saramago. Ma stavolta non ho nessun link da consigliarvi, solo buone feste da augurarvi, che l'8 dicembre si fa il presepe. O non si usa più?

domenica 3 dicembre 2017

5 ANNI DOPO, ANCORA 5 STELLE

Cinque anni fa in questi giorni maturava il mio abbandono definitivo al serpentone mutaforme PCI-PDS-DS-PD: il segretario Bersani dichiarava che sarebbe stato con Monti "senza se e senza ma" e io (che finalmente avevo chiaro che eravamo stati ingannati e che l'Europa a trazione Euro era il NemicoDelGenereUmano e niente di meno) come moltissimi altri elettori del centrosinistra decisi che con lo stesso virgolettato avrei votato da allora in poi solo per chi fosse stato capace di sconfiggerli proponendo un'Italia diversa in un'Europa diversa. Quest'ultimo inciso escludeva ed esclude, logicamente, Berlusconi e berlusconidi, le cui differenze politiche con il centrosinistra, vere o presunte, si dipanavano e si dipanano in tutta la gamma delle cose che non contano (la marxiana sovrastruttura) mentre per quelle che contano (la struttura, dell'economia e della politica economica e monetaria) non ce n'erano e non ce ne sono. Come dimostrano anche Scalfari, finalmente gettando la maschera, e Fabiofazio, che invece si capiva fin dagli esordi che soggettino fosse.
Fummo davvero in tanti, allora, ma non tutti passammo ai cinquestelle, perché alcuni invece, non tanti ma abbastanza, cedettero all'inganno, appositamente architettato, di una forza politica che dichiarava di collocarsi proprio nella nicchia dell'alterità politica al neoliberismo (uso questa sintesi per non ripetere la descrizione di dettaglio del capoverso precedente), salvo però restare in coalizione col centrosinistra, a suo dire per da un lato sfruttare il meccanismo elettorale in vigore e dall'altro costituire elemento di traino a sinistra per l'intera alleanza. L'inganno fu smascherato, per chi lo volle vedere, subito dopo: la sinistra usci dalla coalizione appena dopo che la stessa ebbe assicurato a lei la presenza in parlamento (e alcune prestigiose cariche istituzionali, tuttora ricoperte, direi con buone dosi di ignominia non temessi di andare fuori traccia) e al PD una maggioranza fasulla che gli ha permesso di spadroneggiare per tutta la legislatura, con l'appoggio di una fetta variabile di variamente impresentabili destrorsi, varando provvedimenti legislativi uno peggiore dell'altro e persino un tentativo di riforma costituzionale meritoriamente bocciato dagli italiani. Maggioranza fasulla due volte, perché non solo figlia di un cartello elettorale sciolto subito dopo il voto ma anche di una legge elettorale dichiarata incostituzionale, roba che se questa gente avesse un minimo di decenza, o per meglio dire la faccia simile a una qualsiasi altra parte del corpo che non sia il culo, se non si sarebbe dimessa almeno avrebbe evitato di continuare a legiferare sui massimi sistemi come se niente fosse, fino a imporre una nuova legge elettorale persino peggiore della precedente (e di quella intermedia con cui non voteremo mai) con cui andremo a votare adesso, prima che venga con ogni probabilità dichiarata incostituzionale anch'essa.
In tutto questo, sono appunto passati cinque anni, in cui i cinquestelle hanno anche mostrato i loro bei difetti/problemi/errori. Ne elenco qualcuno, giusto per dimostrare che non lo dico solo come espediente retorico:
  • la Raggi non è all'altezza del problema Roma, anche se non è la sua statura politica a difettare in assoluto, è Roma ad avere problemi non affrontabili da nessun sindaco senza l'appoggio diretto e incondizionato della politica nazionale (il che ci dice: 1. che i grillini hanno fatto male i conti - e qui l'avevo detto prima delle elezioni - e peccato di ingenuità a giocare per vincere elezioni che gli altri hanno giocato per perdere; 2. che quelli che hanno governato Roma avendo dalla loro parte il governo nazionale i problemi non solo non li hanno risolti ma in massima parte li hanno creati per precisa volontà politico/affaristica), e a questo si è aggiunta una serie di errori tattici e gestionali che sarebbe stata tollerabile forse solo nello scenario ottimale che non c'era, cioè coi grillini a palazzo Chigi prima che al Campidoglio, e manco;
  • Giggino è tanto bravo ma la sua linea politica dopo l'investitura pare tradire che nemmeno lui ha capito (ok, lo dice, ma poi fa l'opposto) una cosa fondamentale: cercare i voti al centro è una cosa sensata solo in un sistema maggioritario bipolare, in un sistema variamente proporzionale si vota per appartenenza e le posizioni prese si spostano con difficoltà e quindi in misura trascurabile, invece c'è un bacino enorme (attorno e oltre il 50% ormai) di gente che si è rotta il cazzo di votare, in cui sapendoci fare, e anzi proprio avendo una linea politica come quella grillina prima maniera, si può pescare a piene mani andando a stravincere le elezioni in barba a tutti i sondaggi;
  • la cosa più preoccupante è che pare che la cosa non l'abbia capita manco quello che passava come il suo contendente "di sinistra", quel Di Battista altrettanto "acchiappante" ma forse al momento meno determinato e adatto alla bisogna, come se il moVimento avesse abbandonato, per timore di impaurire una fetta di elettorato, l'idea che nessun progetto di rifondazione del Paese è possibile senza recuperare almeno parti significative della sovranità improvvidamente ceduta all'Europa;
  • il caso "Di Battista", che (anche se nega sia così, ma non ci crede nessuno) rinuncia a candidarsi ma resta in politica per potere giocarsi la prossima volta (senza un neonato di mezzo, e magari da leader) la seconda e ultima candidatura consentita dalle regole interne, induce a riflettere proprio su queste ultime, con qualche eccezione troppo spesso consistenti in una auto-impiccagione non necessaria e soprattutto neanche richiesta da settori significativi di elettorato grillino attuale e meno che meno potenziale - va bene rimarcare la diversità, ma ad esempio ci sono metodi meno autolesionistici che elucubrare automatismi meccanicistici tra la carriera politica e gli intoppi giuridici a cui essa è naturalmente esposta, tanto la gente capisce benissimo la differenza tra onesti e disonesti, e quando sceglie questi ultimi è per interesse e magari anche simpatia non certo perché le regole del partito non hanno impedito la loro candidatura.
Detto questo, oggi come e più che nel 2013 la salvezza dell'Italia passa da due parole d'ordine, che poi rappresentano un binomio indissolubile di azioni politiche: sovranità e onestà. Occorre recuperare in capo allo Stato sovrano la possibilità di adottare le politiche economiche e monetarie che siano più opportune momento per momento (regressive quando serve che siano regressive, ma espansive quando serve che siano espansive), e fare in modo che lo scettro sia in mano a una classe politica che non ne approfitti per il suo proprio ed esclusivo arricchimento. E, anche se non lo garantisce, il movimento 5 stelle è l'unico schieramento politico al momento che potrebbe vincere le elezioni e attuare questo scenario. Non ci sono "mosse del cavallo" che tengono: se voti per quello o per qualunque altro progetto a sinistra del PD nella migliore delle ipotesi è come se non votassi, nella peggiore hai portato indirettamente (come nella vicenda vendoliana del 2013, ri-raccontata qualche riga sopra) acqua al mulino del progetto reazionario e ultracapitalistico di cui il PD è esecutore. E non unico, perché anche il centrodestra ha gli stessi padroni e ha obbedito e obbedirà alle stesse logiche, attuando le stesse politiche con la sola differenza di prestare un filino più attenzione al proprio pubblico (ma solo per prenderlo in giro meglio, come fece con autonomi e piccoli imprenditori all'avvio dell'Euro, cui garantì una bel bonus non vigilando sulla conversione dei prezzi, salvo poi scordarsi di difenderli di fronte al progetto tedesco di smantellamento dell'apparato imprenditoriale italiano - e ora avete capito pure a che serviva e serve la Lega, a tenervi buoni mentre vi inc....).
Per cui, italiani e italiane che vi siete rotti le palle e non votate più, alle prossime elezioni politiche, anche fosse solo a quelle, fate un'eccezione e votate m5s. Fidatevi, è l'unica e forse l'ultima speranza del nostro Paese di evitare lo sfacelo, e anche se non è una certezza è l'unico modo per guardarsi allo specchio sereni, non essendone stati complici. Se votate per chiunque altro, chiunque scegliate, non c'era bisogno lo dimostrasse Scanzi, è la stessa identica cosa: votate contro voi stessi, contro il popolo italiano.
E se ciascuno di voi che era già convinto di dover far cogliere al Paese questa occasione storica, o che si è convinto adesso, si assume l'onere di tentare di convincere, riportando queste argomentazioni e/o altre sue, i propri amici che credono ancora ai fantasmi della sinistra o che hanno deciso di non votare più (quelli che ancora persistono a votare PD lasciateli perdere, sono irrecuperabili e meritano solo di essere le prossime vittime della sciagurata azione politica euro-liberista e traditrice che il partito-bestemmia minaccia di proseguire), pensate, basta che ciascuno ne convinca uno e si raddoppia, quindi un dieci per cento in più è più a portata di mano di quanto si creda, poi lasceremo gli analisti, come nel 2013, a chiedersi basiti come può essere successo.

venerdì 24 novembre 2017

9. AL DI LA’ DELL’ORIZZONTE

In attesa di Sushi Marina, continua la pubblicazione dei racconti di Chi c'è c'è, raccolti da un "geestre" direttamente dalle menti di 21 terrestri in animazione sospesa su un astronave perduta nel cosmo, forse ultima testimonianza del nostro pianeta ormai distrutto. Qualcuno ricorderà che alcuni dei racconti li ho "ricavati" partendo da testi di mie canzoni quando ho dovuto abbandonare il sogno di cantarle: questa è una delle mie preferite, tanto che il testo è quello che ho pubblicato per primo. A sognare di essere l'armatore di Achab è, nel racconto, probabilmente una giovane astronauta scandinava.

9. AL DI LA’ DELL’ORIZZONTE

Non volevo farlo partire. Cioè, per uno che di mestiere fa l’armatore non è normale. Poi non è facile trovare un equipaggio come si deve per una baleniera, di questi tempi. Ci vuole gente tosta, disposta a stare in mare a lungo, e soprattutto ci vuole un comandante con quattro paia di palle quadrate, che trovi la gente giusta e la guidi per mare. Achab mi era sembrato di primo acchitto la persona che ci voleva. Era capitano, era colto, era un duro, aveva parecchi segni sul corpo a testimoniarne le peripezie e quindi la maturità; ma purtroppo non mi accorsi per tempo degli ancòra maggiori segni sulla sua anima.
Così cominciammo ad armare la nave, caricare le provviste, reclutare la ciurma, e intanto più tempo passavo con quell’uomo più mi convincevo della sua profonda insanità. Cominciai a temere dentro di me per la mia nave: mi era costato tanto acquistarla e rimetterla a nuovo, non mi andava di perderla. E ad ogni chiacchiera scambiata con Achab, ad ogni conferma che me ne risultava di quanto fosse sentimentale, idealista, incosciente, in una parola folle, mi si insinuava il dubbio che io quella nave se l’avessi lasciata partire quella volta non l’avrei più vista.
Poi un giorno saltò fuori la storia di Moby Dick. Capitò giù al bar del porto un vecchio marinaio irlandese che era stato imbarcato con lui. Aveva bevuto un po’ più del dovuto, e cominciò a sparlare: “...è un demonio, vi dico. E’ bianca, enorme, grande quanto quattro o cinque balene normali messe insieme. Ed è intelligente come il più intelligente degli uomini. Ed astuta. Oh, se è astuta. Ah, ma anche lui è un demonio. E’ così da quando quella gli ha staccato la gamba. Lui da allora non è più un cacciatore di balene, no: è un ossesso. Non vuole più altro dalla vita che ucciderla, ed è disposto a giocarsi tutto pur di riuscirci: la nave, la sua stessa vita, e quella dei suoi compagni. Io vi dico questo, signori: non mi rimbarcherei con lui per tutto l’oro del mondo, e chiunque di voi abbia cara la pelle...”.
Ammutolì all’ingresso di Achab nel pub. Il capitano spuntò dall’ombra silenziosissimo, come a voler confermare quella fama demoniaca che l’irlandese voleva accreditargli. Apparve prima il suo sguardo del resto, ed era già fisso sull’oratore. Che si sentì inchiodato alle spalle, smise di parlare e si voltò. Poi si sedette a continuare a bere in silenzio come se nulla fosse. Achab approfittò del silenzio generale per attaccare un’arringa, in cui combinò promesse di ricchezza e minacce in una salsa di arte oratoria e mimica tali che non mi ricordo cosa disse, ma rammento che non fui sorpreso a vedere tutte quelle mani alzate in segno di adesione quando finì, e l’avrei alzata pure io se avesse avuto senso. Uscendo di lì Achab incrociò il mio, di sguardo, e mi si gelò il sangue nelle vene. Cionondimeno lo seguii fuori, e gli chiesi di Moby Dick.
Non cercò di affabularmi. Era leale, con me: mi stimava migliore di quella feccia. Confermò tutto: la storia della gamba, l’odio, il desiderio di vendetta, la maestosità e l’intelligenza della bestia. Ma mi convinse che se c’era un uomo al mondo che poteva catturarla era lui. E che la gigantesca balena valeva da sola una stagione in mare, anche se comunque prima e dopo la sua cattura tante altre prede avrebbero reso il viaggio ancora più redditizio.
La notte prima della partenza, però, un pensiero mistico mi tolse il sonno. Dare una personalità ad un animale, per quanto intelligente, è come dargli un’anima: ciò al mio Dio non poteva piacere. Achab era senza dubbio un empio, bisognava fermarlo. Giunsi al porto all’alba, ma era già tutto pronto. Aveva intuito che avrei cercato di fermarlo, ed aveva fatto lavorare gli uomini di notte. Erano tutti lì, sul ponte, appoggiati alla balaustra, stanchi e silenziosi, e mi guardavano. Non mi avrebbero ascoltato. Però parlai lo stesso, sommersi Achab di parole, che venivano quasi da sole: io stesso mi stupii della mia inedita abilità oratoria, tanto mi parve bello e convincente il mio discorso.
Ma le mie parole scivolarono su Achab come l’acqua sulle piume di un’anatra. Era come se lui fosse più della somma delle sue parti, e non sarebbe servito a nulla smontarlo tutto: sarebbe rimasto lì, in piedi, immobile, lo stesso. Questi pensieri mi suggerirono che allora in fondo lo ammiravo, anzi no: lo temevo, ne avevo rispetto, mi ispirava deferenza. Ristetti per qualche istante, e bastò perché il capitano mi piantasse sul posto e desse l’ordine di mollare gli ormeggi. Poi si voltò a guardarmi, fisso, e prima che potessi riavermi la nave si era mossa e non mi restava ormai che aspettarne il ritorno.
Lo immaginai in piedi sulla tolda a guardare l’orizzonte, e se possibile più in là, fermo così, per ore, alla ricerca della sua ossessione. E risi di me: possibile che mi ero fatto fregare ancora da quei cacciaballe dei marinai? Siamo tutti balenieri, lo facciamo per i soldi; Moby Dick è solo una grossa balena, nella migliore delle ipotesi. E Achab è un gran trascinatore: sa bene che magari quella che lo ha ferito è già stata catturata chissà quando da chissà chi. Ma gli serve: Moby Dick è un mito, è il mostro marino che da sempre atterrisce e affascina i marinai. Che però alla fine salpano sempre: come Ulisse, che dopo venti anni di mare, finalmente tornato a casa, ne ripartì quasi immediatamente - e, si noti, tornato da solo, trovò lo stesso altri compagni disposti a seguirlo. Ulisse, quello delle Sirene, di Polifemo, di Scilla e Cariddi. Ognuno ha i suoi mostri. Per me Moby Dick non esiste.
... …
Ho perso il conto degli anni. Non so più da quanto aspetto che torni la mia nave. Ma tutti i giorni, imperterrito, mi piazzo qui sul molo, vicino al faro, a contemplare le grigie onde e ogni tanto a scrutare l’orizzonte in cerca di un segno. E sogno. Sogno di essere dentro la testa di Achab e guardare coi suoi occhi, oltre orizzonti sempre più lontani. Sogno di essere una giovane vichinga in attesa del ritorno del suo guerriero, che a furia di guardare al di là dell’orizzonte si addormenta e sogna di volare su una nave tra le stelle, e sulla nave dormire, e mentre dorme sognare di essere l’armatore di Achab. E nel sonno mi rendo conto che invece è il contrario, che c’è un Achab dentro la testa di ognuno di noi, a farci vivere anche per ciò che non vediamo ma che sappiamo che c’è, e forse è la parte peggiore di noi, ma è quella che amiamo di più.

mercoledì 22 novembre 2017

SCUOLA DI FARMACIA 2: LA BEFFA

L'attuale sede dell'EMA, a Londra
PROBLEMA
Dati:
  1. Avevamo quattro vaccini obbligatori perché le preposte autorità sanitarie avevano ponderato che solo per quelli era incontestabile il bilancio tra pericolo di diffusione della malattia e costi sia economici che sanitari potenziali della somministrazione generalizzata del farmaco. Di fatto, erano diventati sei per via dell'affermarsi progressivo della somministrazione unica con due facoltativi.
  2. I vertici mondiali della sanità, notoriamente infestati dalle lobbies farmaceutiche, decidono che l'Italia deve fare da apripista alla generalizzazione degli obblighi vaccinali, imponendo, anche per patologie scarsamente diffuse e senza chiarimenti definitivi in merito alla pericolosità dei preparati, per via politica, col consueto supporto terroristico della stampa prezzolata e compiacente che alimenta allarmismi ingiustificati, ciò che al massimo sarebbe stato accettabile ottenere tramite una campagna di persuasione consapevole e corretta.
  3. L'Italia esegue, anche perchè - si scopre - confida in cambio di ottenere una sede prestigiosa e molto redditizia: per tutti, viste le ricadute occupazionali (per quanto modeste, di sti tempi buttale via...), ma soprattutto per politici e amminestratori.
  4. A compito eseguito, com'è come non è, la prestigiosa agenzia finisce altrove - per sorteggio, e cosa pretendevi se non sei capace nemmeno di qualificarti ai mondiali di calcio?
  5. Improvvisamente, la stampa mainstream si ricorda di rimarcare che la normativa che ha imposto l'obbligo vaccinale è "piena di contraddizioni", che poi sono quelle che abbiamo citato all'inizio, e parte di quelle che andiamo ripetendo da mesi facendo eco ai pochi siti di controinformazione rimasti a fare informazione libera in Italia.
Quesito:
  • Quanto fa due più due?
Soluzione:
..............
(per quelli "de coccio", leggetevi qui Viale...)





sabato 18 novembre 2017

NOTTI TRAGICHE

Da bambino ero milanista, perché mio papà lavorava a Milano e perché ci giocava il più grande regista italiano di tutti i tempi, Gianni Rivera, uno col fisico di un "abatino" (Brera dixit) che sembrava non correre ma invece (avete presente Federer nel tennis, che sembra non faticare?) velocizzava il gioco più di tutti i corridori di oggi mandando il pallone lontanissimo dove voleva lui, segnando tanto e facendo segnare (anche mezzi brocchi) ancora di più. Quando Berlusconi comprò il Milan, e ancora non si sospettava che la cosa facesse parte di una strategia ben più ampia né si conoscevano le origini malavitose dei suoi soldi, mi ero già allontanato dal calcio da alcuni anni, perché era iniziata nei primi anni 80 la meravigliosa parabola sportiva della Cestistica Piero Viola, e il basket lascia miglia indietro il calcio per quasi ogni dimensione sportiva (frequenza e varietà di gesti tecnici, suspense, peso dei valori in campo, eccetera). Così, mentre mio cugino/fratello e molti altri milanisti famosi o meno esultavano per i nuovi trionfi rossoneri, io mi dimettevo da tifoso, e intanto capivo che quel modo di intendere il calcio, sia del presidente (comprare rose lunghissime di giocatori, tanto i soldi non sono un problema) che dell'allenatore (zona pressing a tutto campo, per tutta la partita, che così le due squadre giocano in venti metri), lo avrebbe rovinato, perché avrebbe costretto i concorrenti all'emulazione.
Fui facile profeta, e infatti i decenni a seguire videro da un lato bilanci societari sempre più gonfi e fallimentari, e dall'altro il talento calcistico sempre più mortificato, e deselezionato fin dalle giovanili, sull'altare della tattica e dell'eretismo podistico (ancora Brera, un autentico vulcano di neologismi). In questi trent'anni, qualche partita l'ho anche vista, ma mi sono sembrate quasi tutte mortalmente noiose. Sarò io, ho sempre pensato, visto che invece gli altri correvano a comprarsi l'ultimo pacchetto televisivo satellitare o digitale terrestre; dimenticavo che assistere a uno spettacolo sportivo decente è l'ultimo dei problemi del calciofilo medio, che invece si identifica con la propria squadra del cuore per ben altre ragioni (soddisfare l'atavico bisogno di appartenenza tribale, o sedare l'ansia della morte legandosi a qualcosa che viveva prima di lui e gli sopravviverà, ad esempio). E invece.
Invece finalmente una (meritatissima) disfatta toglie il velo alla verità. E anche se in tanti, non solo l'impresentabile vertice federale, si stanno prodigando e si prodigheranno per rattoppare il proprio giocattolo, è un piacere poter ascoltare delle voci autorevoli (qui Sconcerti) dare forma oggi ai miei annosi pensieri, formatisi anche per aver osservato da vicino, per varie vie, la realtà sconvolgente delle odierne scuole calcio. Posti dove si fa a pagamento quello che una volta anche da noi, e ancora oggi in mezzo mondo, si faceva gratis per strada o all'oratorio. Anzi, magari si facesse, perché quello era giocare a pallone, selezionando per natura i talenti e le personalità (se ti menavano e tornavi a casa a raccontarlo, tua madre ti rimenava), questo è un'altra cosa: imparare fin da piccoli schemi su schemi anziché il dribbling (sei pazzo? è meglio trascinare il piede così ti procuri il fallo magari da ultimo uomo...) fino sul fondo con cross a rientrare, sgomitare con gli altri per un posto in squadra nel campionato di categoria (con due fattori premianti: il fisico precoce, e le capacità di influenza dei genitori, di qualunque natura esse siano), essere alla moda e acchittati come quelli che guadagnano i milioni e vanno in televisione. Avvicinandosi a tante, troppe scuole calcio - provate - viene voglia di urlare all'allenatore qualcosa come "ma li vuoi fare giocare a pallone, sti ragazzini?", e ci si trattiene solo per non farsi picchiare... dalle mamme (tutte in tiro, e più cazzute dei papà, assieme ai quali guardano ai pargoli come a pacchi di soldi in fieri).
No, non è un caso che l'ultima generazione di campioni sia venuta fuori dal "mondo" precedente. Oggi, se vostro figlio è la reincarnazione di Rivera e lo portate a calcio, ve lo fanno ritirare dopo due mesi perché non pressa, se lo è di Bruno Conti perché è innamorato della palla, e con la stessa logica deselezionano ogni possibile nuovo Baggio, Totti, Del Piero o Pirlo, ma anche Rocca, Facchetti, Scirea per andare in difesa. E a proposito di quei campioni, scrissi a caldo su Contrappunti che vincere quel mondiale si sarebbe rivelata una iattura: il calcio aveva già mostrato tutti i sintomi della sua malattia, e senza quella inaspettata vittoria avrebbe con ogni probabilità ricevuto la giusta cura da cavallo, con sei o sette big, tra cui le romane e le milanesi, cancellate o almeno mandate a ripartire dai dilettanti, il commissario era pronto. Ma il centrosinistra precario di quel governo non poteva affrontare l'enorme calo di popolarità che gli sarebbe derivato dal proseguire su quella strada dopo la vittoria a Berlino, anche se quella cautela non gli valse nulla, e pochi mesi dopo ci ritrovammo il presidente pallonaro di nuovo in sella, grazie soprattutto alla sventatezza di quello delle figurine con l'Unità che oggi fa il cinematografaro ed era meglio per tutti avesse fatto sempre solo quello.
Così, anche solo per scaramanzia, possiamo giudicare benaugurante questa eliminazione (fosse entrato il golletto e avessimo vinto anche solo ai rigori nessuno oggi parlerebbe di crisi del calcio italiano, e ci prepareremmo alla solita overdose di "notti magiche", senza dubbio, se pensate che anche così stanno facendo di tutto, e magari ci riusciranno pure, per continuare l'andazzo come se niente fosse), hai visto mai davvero riformano il calcio (e hai visto mai gli italiani non distratti dal pallone pensano ai loro problemi e mandano al governo qualcuno di veramente nuovo che glieli risolva..).
Le idee in giro ci sono, ad esempio quelle di un certo Van Basten (uno che Sacchi voleva giubilare assieme ad altri "vecchi" e poi invece per loro fortuna cacciarono Sacchi e con Capello vinse altri 3 campionati): niente più fuorigioco per allungare le squadre (così i centrocampisti hanno di nuovo lo spazio e il tempo per ragionare come ai tempi di Rivera, e nuovi Rivera possono emergere), espulsioni a tempo al posto del cartellino giallo, e definitive dopo un tot falli, cambi volanti e reversibili, e ultimi dieci minuti cronometrati al netto. Lo so, sto scandalizzando i puristi. Ma lo spirito del calcio, quello vero, la ragione vera del suo enorme successo mondiale, non è nell'immutabilità dei regolamenti (che infatti sono cambiati moltissimo, ma spesso in peggio), è nella sua essenza di sport proletario e democratico, praticabile da tutti: da chi ha i soldi e da chi non li ha, da chi è grosso/potente/veloce e da chi è piccolo/intelligente/svelto. Se non cambiare significa tradire questo spirito, allora il cambiamento radicale è la cosa più conservatrice, in senso proprio, che si possa avere.

lunedì 13 novembre 2017

8. L’ERA DEI TOPI

Questa storia di pubblicare (in attesa di Sushi Marina) quei racconti di Chi c'è c'è (raccolti da un "geestre" direttamente dalle menti di 21 terrestri in animazione sospesa su un astronave perduta nel cosmo, forse ultima testimonianza del nostro pianeta ormai distrutto) che sono nati a partire da testi di canzoni unitamente a questi ultimi, mi è parso un esercizio di stile non sterile. Stavolta però metto sopra la canzone e sotto il racconto da essa tratto, in cui a sognare (più precisamente, a sognare di sognare) è una giovane astronauta forse anglosassone, per rispettare la cronologia esegetica, che a volerla spingere indietro si trova ancora l'ossessione per il disastro atomico incombente che pervase le nostre menti di giovani degli anni ottanta, influenzando immaginari artistici a tutti i livelli. Io avevo sentito dire che a ereditare il pianeta sarebbero stati gli scarafaggi, e a Reggio ce n'è di quelli grossi che volano, arrivati con lo sbarco degli alleati nel 43, ma per questo pezzo, che ho immaginato rock spinto duro, con intro lenta (i versi corti) arpeggiata sullo stesso giro e giro completo di assoli tra una strofa e l’altra (ma chi vuole il testo può metterci la musica che vuole, e chiedermi l'adattamento che serve), ho preferito i topi, meno probabili scientificamente ma più evocativi letterariamente.
L’ERA DEI TOPI
Alla fine di quel ciclo
evolutivo che ci ha forgiato
ci sostituirà qualcuno
che si disegnerà
nella scala evolutiva
e dove spesso noi ci disegniamo
traccerà una banda d’estinzione
ed ironizzerà:
“quegli esseri imperfetti
che credevano di sapere tutto
e di essere quasi immortali
non hanno resistito
ad un po’ di radiazioni!
e che diamine, che imperfezione!
meglio i nostri progenitori
che soli sono sopravvissuti
e hanno ricevuto in mano da Dio
lo scettro del mondo:
è da allora che è iniziata
l’era dei topi!”

Quando il sole della notte dall’oriente delle tenebre di sorgere deciderà
noi se ci fossimo potremmo osservare un mutamento di struttura nella vita,
e nel sole nero dell’estate solo schifosissimi topastri si abbronzeranno,
e nell’aria profumata solo il puzzo del loro schifoso sangue,
e le gite in montagna, e le passeggiate al mare saranno ormai loro prerogativa,
e le scuole e gli uffici e le case e le osterie le faranno anche loro e forse meglio,
e saranno presuntuosi, e si sentiranno pure loro esseri superiori,
e magari qualche nostro scienziato li ammirerebbe pure,

e la terra per loro sarà più grande che per noi, date le loro dimensioni,
e la sfrutteranno a fondo e più a lungo, date le loro minori necessità alimentari,
e oggi sono già dieci volte noi, e all’olocausto sopravviveranno tutti,
e forse faranno i nostri stessi errori ma anche le tante cose giuste,
e saranno nella grazia di Dio da quando riusciranno a alzarsi in piedi ed a guardare in alto,
ed avranno i loro santi, ed avranno i loro eroi, ed avranno la loro storia,
e nel mare puzzolente e grigio scuro sguazzeranno come noi nel mare azzurro
e quell’aria senza più l’ozono non gli farà che bene

perchè i raggi ultravioletti quando andranno via le nuvole atomiche li colpiranno
e muteranno loro, ma anche la terra in un ambiente a loro esatta misura,
e forse pure diventeranno belli, e forse un giorno si guarderanno allo specchio,
e uno di loro troverà un nome più bello per tutti che non sia topo
ma neanche uomo…
...
8. L’ERA DEI TOPI
  • Ma, professore, la preistoria è programma del primo anno!
  • E beh? devi essere preparata su tutto il quinquennio, lo sai.
  • Si, è così, d’accordo, ma in pratica agli esami di maturità si chiede sempre solo il programma dell’ultimo anno...
  • Oh, insomma! Sai rispondere, o no?
  • Si, professore, ma...
  • Niente “ma”, coraggio! Tu sei una delle migliori alunne della classe, su, io ti voglio far fare bella figura. Fammi un bel “volo di pipistrello” sulla preistoria, con particolare riferimento all’era degli uomini.
  • Bene, l’origine della nostra specie è antichissima. Come sempre accade in questi casi, molte leggende si sono sovrapposte nei secoli, a seconda della cultura dei popoli e dei tempi in cui sono sviluppate. Ma tutte hanno degli elementi comuni, che - come hanno dimostrato scienziati ed archeologi - poggiano su avvenimenti reali. Uno è il cosiddetto Grande Disastro, l’evento con cui è stata spazzata via la specie allora dominante sul pianeta, appunto gli Uomini. L’evento successivo, non si sa esattamente di quanto, è la Grande Mutazione, cioè la relativamente breve fase evolutiva con cui la nostra specie ha preso il controllo della Terra.
  • Limitiamoci agli assunti scientifici, ed andiamo con ordine.
  • D’accordo. Dall’insieme dei rinvenimenti archeologici sembra si possano dedurre una serie di informazioni sul pianeta nell’era degli umani, tra cui alcune trovano concorde l’intera comunità scientifica. Dall’esame delle rocce risulta che il livello delle radiazioni fosse molto minore dell’attuale, ma ad un certo punto dovunque si trova uno strato che testimonia che circa 5000 anni fa il livello radioattivo salì bruscamente, sicuramente per un evento straordinario, non sappiamo se naturale o artificiale. Lo Squitt ipotizza che gli umani avessero scoperto il modo di riprodurre l’energia delle stelle, o qualcosa di molto simile, che utilizzavano per il loro fabbisogno fino a che qualcosa deve essere andato storto, o di cui addirittura facevano uso militare, cosicché il Grande Disastro altro non sarebbe stato che una gigantesca guerra conclusasi con l’autodistruzione completa della specie. Ma la sua teoria non è condivisa da chi ritiene che gli umani, in quanto esseri intelligenti come noi e forse più avanzati scientificamente, avessero di certo il controllo della loro tecnologia così da tenerla - com’è ovvio - sotto la guida se non della loro etica (su cui non possiamo giurare) almeno del tornaconto collettivo. Resta pertanto l’ipotesi di una grande catastrofe naturale, come potrebbe essere la collisione con un gigantesco asteroide, il cui cratere oggi potrebbe essere sott’acqua.
  • Ma, ad esempio, che atmosfera respiravano gli umani?
  • Sempre dalle rocce risulta che l’aria avesse in percentuale molta meno anidride carbonica, anche se il valore era già in crescita durante l’era umana, con forte accelerazione negli ultimi secoli, prima del brusco aumento susseguente al Disastro. Per l’ozono invece vale il discorso opposto. Se ne deduce che il cielo dovesse avere uno strano colore azzurrognolo. L’ozono, infatti, tratteneva i raggi ultravioletti, alla cui repentina intensificazione alcuni scienziati attribuiscono la Grande Mutazione, ma a cui comunque gli umani dovevano avere ben scarsa resistenza, come pure alle radiazioni.
  • Una razza debole, dunque: meraviglia come abbia dominato tanto a lungo. E che mi dici del mare?
  • Di riflesso, letteralmente, anche il mare doveva sembrare azzurro. Quel poco che avevano. I maggiori ritrovamenti archeologici, quelli meglio conservati, sono infatti tutti subacquei, e si crede che nelle profondità degli oceani - se fosse possibile recarvicisi - si troverebbero addirittura i resti delle grandi città costiere della mitica Europa.
  • Come mai quest’enorme differenza nel rapporto acque/terra emersa?
  • Per via della differenza di temperatura innescata dal Grande Disastro, tramite una nube forse causata dalle esplosioni, forse dai detriti dell’asteroide, o anche per il mutato spettro della luce solare che attraversa l’atmosfera. Fattostà che la Terra degli Umani aveva le calotte polari enormemente più grandi, e molti ghiacciai anche a latitudini più basse: scioltosi tutto quel ghiaccio...
  • Va bene, basta così; ora passiamo alla Grande Mutazione.
  • Qualcosa su radiazioni e raggi ultravioletti l’ho già detta. Il fatto è che la nostra razza, come risulta anche dagli studi umani sui nostri progenitori (dai documenti rinvenuti pare addirittura  che li usassero come cavie per esperimenti di vivisezione: che barbari!), ha avuto sempre enorme facilità di adattamento all’ambiente, grazie anche alla prolificità ed al rapido susseguirsi delle generazioni. I nostri antenati dovevano sopravvivere in un ambiente a loro molto ostile, cosa che non gli sarebbe riuscita se la natura non li avesse dotati delle caratteristiche che ho appena detto, che fecero sì che già negli ultimi tempi del dominio umano i “topi”, come li chiamavano, sovrastassero per numero gli uomini. Erano però ancora solo animali, pur se intelligenti e sofisticati, e vivevano da parassiti, nel sottosuolo delle città degli umani, che li perseguitavano in modo massiccio. Forse inconsciamente prevedendo il loro futuro di dominatori del pianeta. E infatti i nostri avi al disastro sopravvissero in numero sufficiente, e si adattarono alle nuove condizioni ambientali nel giro di qualche generazione. Il primo esemplare di “mus erectus” il cui scheletro è stato rinvenuto risale ad appena 4800 anni fa, il primo “mus sapiens” a 4000. Ma già siamo agli albori della civiltà, e il resto è Storia.
Sempre lo stesso incubo, porca miseria. E’ da quando mi hanno addormentata che sogno di viaggiare per 5000 anni per il cosmo per poi tornare su una Terra in mano ai topi, o meglio ai loro evoluti discendenti, che ridono della nostra incapacità di mantenere in piedi la nostra stessa casa, e tracciano soddisfatti una banda di estinzione sulla scritta “razza umana” nel grafico della scala evolutiva che studiano a scuola, e che vede naturalmente loro al vertice. Con dimensioni e caratteristiche biologiche più adatte al pianeta, specie dopo la guerra nucleare, i topi hanno rifatto forse in meglio e di certo più rapidamente il nostro stesso percorso, fino a che uno di loro non si è alzato in piedi e ha guardato in alto, ha visto le stelle e ha cercato di prenderle, e non riuscendoci ha concepito l’idea di Dio. Per poi guardare dentro di sé e ritrovare lo stesso spazio infinito, assieme alla sete di conoscenza.
I topi, o come diavolo hanno scelto di chiamarsi, mi accoglieranno tra loro, novella Gulliver? O mi uccideranno, per paura che io contamini la loro saggezza coi miei valori tipicamente umani, cioè clamorosamente autodistruttivi? Mi chiederanno notizie, me ne daranno, si faranno osservare? Non lo so, e neanche lo immagino: il mio incubo si svolge sempre dentro un’aula scolastica, il giorno degli esami, e si conclude sempre con le stesse battute insulse.
  • Benissimo, Minnie, avrai un bel voto.
  • Grazie, professor Mouse, lei è gentilissimo.
  • Chiamami Mickie, bimba. A proposito, che fai stasera?

sabato 11 novembre 2017

1000 VOLTE MANU

Non è la prima volta che celebro l'immenso talento di Manuel Ginobili, su queste pagine che anche quando cambiano grafica restano su tema neroarancio, i colori sociali della Viola Reggio Calabria.
L'occasione stavolta me la da l'iniziativa della società cestistica reggina in occasione delle mille partite in NBA del campione che mosse i primi passi con la sua canotta: un bellissimo video (lo trovate in fondo) con immagini e interviste sia dell'epoca che più recenti, che lancia una maglietta celebrativa per una volta azzurra, con tanto di scudetto argentino e scritta "MANU", che la squadra indosserà nella prossima partita.
Chi è Ginobili, ai profani di basket, glielo faccio dire da due esperti, il giornalista Flavio Tranquillo e l'allenatore Gaetano Gebbia, in questo video di Reggioacanestro. Io posso solo aggiungere la mia testimonianza di tifoso neroarancio (della prima ora: fin dagli anni settanta dello "scatolone" in serie B), che:
  • quando ha visto la prima volta giocare l'allora ragazzino argentino gli riconobbe subito lo sguardo del leader pronosticandogli una grandissima carriera - e non ero certo il solo, anche se nessuno forse avrebbe mai potuto arrivare a prevedere che giocasse ancora in NBA a quarant'anni suonati avendovi vinto 5 titoli;
  • quando seguiva la Viola in trasferta in quegli anni poteva farlo con la certezza che c'era un tipo in campo che poteva farti vincere ovunque, e con l'orgoglio di avere l'invidia e il rispetto di tutti, perché lui giocava per la tua squadra.
Con un po' di fortuna, anzi con un pizzico in meno di quella sfortuna che sembra perseguitare la Viola negli anni (un giovane prospetto già convocato in nazionale che muore cascando da un muretto, un canestro buono annullato che avrebbe mandato in semifinale scudetto una squadra di campioni, un fallimento annullato in Cassazione dopo vent'anni che però intanto ha prodotto i suoi effetti nefasti, un tizio che rileva la società per farla ambiziosissima coi soldi promessi da uno sponsor che però si defila e quando cerca di metterceli lui la famiglia lo fa interdire, un altro fallimento stavolta senza redenzione se non partire dai campionati dilettantistici, insomma non ci siamo fatti mancare niente... ma d'altra parte non moriamo mai, e se moriamo risorgiamo, ormai è dimostrato), il suo amico e connazionale Montecchia (vinceranno le olimpiadi...) non si sarebbe infortunato prima dell'incontro decisivo con la Virtus Bologna per le semifinali scudetto, e forse avrebbe perfino vinto il titolo a Reggio prima di andare in NBA, passando proprio da un paio d'anni di trionfi nelle V nere.
Ma se con i "se" non si fa la storia, una promessa senza se, fatta da un tipo così, magari invece è da crederci. E allora arrivederci a presto, questa è casa tua, Manu!

mercoledì 8 novembre 2017

QUALCUNO ERA COMUNISTA

Una delle campagne promozionali più belle della
storia del marketing è di un giornale comunista
Ogni tanto giova ripetere anche le cose risapute: la Rivoluzione d'ottobre si commemora a novembre perché nella Russia zarista ortodossa era ancora in vigore il calendario giuliano, ma è proprio in questi giorni che i bloscevichi prendevano il potere, giusto cento anni fa. Una cifra così tonda che l'anniversario non si può non celebrare, anche se magari ricorda una disfatta (come per Caporetto pochi giorni fa, alla rivincita di Vittorio Veneto toccherà l'anno prossimo) o la fine di un sogno (come per il cinquantennale dell'uccisione di Che Guevara il mese scorso - a proposito, guardate cosa stanno facendo agli archivi di Gianni Minà...).
Ma se per le rievocazioni storiche è il caso di lasciar fare a chi è di mestiere (anche se scrive per i peggio traditori della sinistra italiana), un paio di riflessioni possiamo approfittare per farle anche tra dilettanti e amatori. Magari a partire dalla riuscitissima idea che il pubblicitario Panzeri (quello di "liscia gassata o Ferrarelle", non uno qualunque) partorì per uno dei tentativi di rilancio de Il manifesto.
Chi anche non avesse una foto propria o di un figlio in questa posizione, infatti, ha sicuramente almeno visto un bambino dormire così. E' farsi venire in mente uno slogan così fulminantemente efficace, che è raro, ma il punto non è questo. E' che il pugnetto ti suggerisce una cosa non vera. I bambini non sono comunisti.
Il senso del possesso, infatti, non fu solo prealessandrino (cit.), ma preumano, preprimatico, premammifero, e forse dobbiamo andare ancora più indietro, se esistono rettili o uccelli o insetti che si appropriano del cibo per dividerlo al massimo con la loro prole difendendolo dai propri simili. Il motore è l'istinto di autoconservazione, e se è vero che l'uomo è animale sociale, e deve a questa caratteristica scimmiesca la sua evoluzione verso il dominio dell'ecosistema (il gruppo ha consentito che passassero la selezione darwiniana dei cuccioli nati molto più immaturi di qualsiasi altro mammifero, ma per ciò stesso più intelligenti, dato che il cervello degli umani finisce di crescere quando già si interagisce con l'ambiente), è anche vero che ciò incide a un livello meno profondo delle forze che fanno litigare i bambini attorno a un oggetto gridando "è mio!", trionfare cupo chi se lo accaparra e piangere disperato chi lo perde.
Avere dimenticato ciò, è il peccato originale del comunismo. Si, anche del cristianesimo (e l'accostamento non è blasfemo: barzellette a parte, i primi cristiani erano decisamente comunisti, come capita a molte sette), ma peggio, se dal cristianesimo da un lato è potuta nascere l'etica protestante, senza cui non sarebbe nato il moderno capitalismo (questa non si può spiegare in breve: fidatevi, o studiate), e se dall'altro lato la doppia morale tipica dei cattolici non gli avesse consentito di edificare, mentre si predica la povertà e la condivisione, una istituzione che ha accumulato nei secoli ricchezza e potere enormi. Costruisci un sistema di potere per instaurare la dittatura del proletariato, e chi più chi meno tutti quelli che hanno in quel sistema un ruolo di responsabilità ne approfitteranno per avere per se più ricchezza e/o potere della media, nella misura in cui gli sarà possibile. Mentre tutti gli altri, esclusi dalla possibilità di accedere a qualsiasi relativo vantaggio, si consoleranno guardandosi attorno, e magari in testa capiranno che il vantaggio relativo dei burocrati è oggettivamente minimo e poi è funzionale alla Causa, ma nel cuore saranno infelici, e se magari vedranno vicino a loro altri popoli che con altri sistemi sono più dinamici e felici ne saranno invidiosi in misura crescente. Vi ho raccontato così l'ascesa e la caduta del cosiddetto socialismo reale, per una sintesi maggiore (peraltro, visto quando fu concepita, decisamente profetica) vi rimando a Bennato. In ogni caso, è una storia molto ma molto diversa da quella che vi raccontano.
Ma dimenticarsi della dimensione sociale, come il neoliberismo trionfante ha per varie vie imposto al mondo negli ultimi trent'anni, crea il problema opposto, e prima o poi toccherà rammentare che senza le briglie costituite da istituzioni democratiche e diritti irrinunciabili (e, tra questi, quelli economici sono propedeutici a quelli civili: concedere questi ultimi avendo tolto gli altri è solo una solenne presa per i fondelli, di cui peraltro prima o poi si rendono conto tutti, anche i sostenitori più sfegatati, poi non ci si sorprenda di certe scoppole) gli istinti preumani portano alla distruzione dell'umanità, tramite ogni forma di conflitto. E' esattamente quello che sta accadendo al mondo, e alla nostra società.
Nei trent'anni precedenti, quando ne aveva bisogno per solleticare l'invidia dei popoli comunisti, il capitalismo aveva accettato di ibridarsi col socialismo in quella sorta di età dell'oro chiamata Welfare State. La sua morte ha nel capitalismo globalizzato i mandanti, nei nuovi schiavi di vario tipo (migrare o accettare di vedere la realtà soltanto attraverso uno schermo sono solo i due modi limite di capitolare, in mezzo tutti gli altri modi, tra cui accettare l'erosione dei diritti senza ribellarsi) le vittime, nei politici e nei giornalisti (quelli in teoria pagati per esserne rispettivamente i guardiani e i cani da guardia) i killer prezzolati. Orwell lo aveva previsto: non parlava solo di comunismo come si può credere con superficialità. Non è possibile resuscitare quell'ibrido, anche perchè il suo modello di sviluppo è incompatibile con le risorse del pianeta e pertanto inestendibile. Ma urge trovare uno nuovo, e presto, perché gli ibridi sono sempre vincenti, e perché infatti altrimenti il nuovo ibrido vincente c'è già, ed è pronto a mettere le mani sul volante. E se non facciamo qualcosa, il processo si fermerà solo quando guadagneremo e lavoreremo quanto un cinese. Se ci va bene. In altre parole, per non aver difeso il nostro capitalismo screziato di comunismo, ci toccherà essere sudditi di un impero comunista condito di capitalismo, bell'affare...
Ora, io sono abbondantemente quello che si diceva una volta un uomo di mezza età. Le rivoluzioni le hanno sempre fatte i giovani, magari guidate da uomini più maturi ma comunque meno anziani di me oggi. Quelli come me talvolta le hanno appoggiate, ma poi sono stati i primi a rimetterci le penne. Ma non è questo il problema: è che a un certo punto capisci che le rivoluzioni a un certo punto finiscono tutte con un regime simile a quello che hanno abbattuto se non peggiore. Da giovane lo avevi studiato, ora lo capisci. Quindi non vi dico di farla, anche perché per farla bisogna essere disposti a cose che uno si deve sentire da se, e se non sei disposto a tutto e tenti lo stesso finisci presto nel ridicolo, come avete appena visto in Catalogna. Ma se smettete di votare (e oramai ad averlo fatto è la maggioranza assoluta degli elettori, quota che levita se guardiamo solo i giovani) fate il loro gioco: sappiate che lo hanno fatto apposta, a farvi venire lo schifo. Tornate a votare, oggi per Grillo, domani per chiunque altro si dimostrerà altrettanto o ancora di più alternativo a questo sistema di connivenze multistrato che ha di fatto cancellato la democrazia. Dovete pretendere di essere sovrani, cioè sudditi democratici di uno Stato sovrano che è lì per garantire i vostri diritti inalienabili, primo dei quali il diritto all'autosostentamento e alla libertà dal bisogno senza cui tutti gli altri diritti restano sulla carta, e per interloquire solo con altri Stati sovrani che garantiscono ai loro cittadini le stesse cose (è esattamente aver ceduto su questo fronte, che ci ha rovinato), si fotta la globalizzazione.
Se non lo fate, non vi salverete. Se lo fate, tra cent'anni qualcuno lo ricorderà. Magari così:

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Dell'argomento AI ne abbiamo già parlato come di uno di quei pericoli gravissimi verso i quali sarebbe opportuno porre argini non appen...

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