martedì 27 marzo 2018

16 - OUR PERSONAL HERO


Tra tanti racconti nati da canzoni mie, qui c'è n'è uno che prende spunto da una altrui. Si tratta di un brano (anzi, di due che vanno ascoltati di seguito: Calabuig e Sette meno uno) che mi ha sempre colpito, tra l'altro dell'album forse migliore della carriera di Roberto Vecchioni, e più che per quello che racconta per quello che lascia di non detto, da immaginare prima e dopo. Ed è proprio quello che ho fatto, mettendolo nel sogno di un giovane astronauta scozzese, nel capitolo sedici di Chi c'è c'è.

16 - OUR PERSONAL HERO

Ognuno di noi ha un eroe personale, qualcuno con cui si identifica nella fantasia, come Woody Allen con Humphrey Bogart in quel vecchissimo film. La maggior parte si sceglie un eroe bello, forte e invincibile, una persona esistente o esistita, famosa o meno, o comunque un personaggio della storia, della letteratura o della musica, o una leggenda. Poi c'è chi se ne inventa uno, magari proprio perché non ne trova uno abbastanza bello, forte e invincibile per i suoi gusti. Io invece non solo me lo sono creato di sana pianta (salvo spunti subconsci, ovviamente), ma me lo sono fatto perdente. Solo, pieno di dubbi, e perdente.
Si chiama Anthony MacIntosh, è scozzese come me, e come me è un giovane signore molto al di sopra della media nella scala sociale. Ciò nel suo mondo di due secoli fa significava essere un nobile, mentre nel mio è essere uno scienziato così ricco e famoso da essere prescelto per il programma Exodus, l'unico omosessuale dichiarato su 21 soggetti; anzi, dovrei dire: nonostante abbia dichiarato da tempo la mia omosessualità.
Il fatto che io sia un allievo di Hawking credo sia stato decisivo: non potevano, o non hanno voluto, prendere lui, ufficialmente per via del suo pesantissimo handicap fisico e della sua vecchiaia, perciò se avessero individuato il loro astrofisico in uno dei miei meno brillanti ma eterosessuali colleghi avrebbero scoperto troppo i loro scopi riproduzionisti. Che però sono apparsi subito palesi a tutti, e a molti giustificatissimi, e quindi si sarebbero potuti risparmiare di mandare anche questo unico finocchio tra le stelle.
Io dal canto mio ho accettato sforzandomi di applicare in questa sede quello che nella vita comune ho imparato a fare naturalmente, quasi d'istinto, e che tutti dovrebbero fare sempre con tutti quando si è fuori contesto: non considerare i miei gusti sessuali. Essere un uomo a cui piacciono altri uomini non è molto diverso da essere un uomo a cui piacciono le bionde piuttosto che le brune, le bimbe piuttosto che le tardone, o le morte piuttosto che le vive. E nessuno si è mai preoccupato dei gusti sessuali di un altro "etero" prima di assumerlo o eleggerlo; invece se ha gusti "omo" la questione diventa rilevante eccome, come se il mondo non fosse oramai sovrappopolato ed il problema riproduttivo quindi niente più che un ricordo ancestrale.
Già, quante altre stronzate sono state commesse nella storia ubbidendo ad un impulso ancestrale: la difesa della razza, della nazione, della famiglia. Concetti che sono come gli insiemi infiniti in matematica: le loro parti non si distinguono dal tutto. Sono di più i numeri pari o quelli dispari? E i numeri pari o tutti i numeri? Così se sei di quella razza allora sei quella razza, se colpisco uno della tua famiglia non è solo per arrecarti il dolore della sua perdita ma è proprio lo stesso che ammazzarti, tanto è vero che lo faccio anche se sei già morto. Nei razzisti, nelle faide, nei sessisti, o meglio ancora nel razzista nel mafioso nel sessista che c'è dentro ognuno di noi, c'è come un corto circuito tra i due emisferi del cervello, quello della logica e quello dell'immaginazione.
La logica asimmetrica, quella per cui ad esempio se A è parte di B allora per ciò stesso è cosa diversa da B, cioè quella per cui noi possiamo distinguere e comparare, come dire raziocinare parlare pensare scrivere, è solo una piccola crosticina su un mare di magma mentale che funziona con un'altra logica,  simmetrica, per cui la nostra sintassi non ha significato alcuno. Se A è parte di B allora B è parte di A, e allora A è B: la parolina non, anche se io la penso, non arriva nel profondo della mia mente, non vi è comprensibile. Lì esistono solo immagini e idee, non preposizioni o particelle, e se evoco un'immagine con l'ordine di non pensarla ecco che l'ho pensata, come quando sto perdendo una partita importante e mi dico non ti innervosire e quindi mi innervosisco, o sto a dieta e mi dico non mangiare la torta e la torta ormai mi è entrata in testa e non sto bene finche non la mangio.
Il bello è che senza questo magma non potremmo fare libere associazioni, sogni, scelte complesse in ordine a problemi senza soluzione logica, insomma non potremmo esistere. E' il nostro hardware, il nostro linguaggio macchina; la cultura, la logica, l'apprendimento non sono altro che il software, i programmi. A questo punto diventa fondamentale interfacciare le due cose con un sistema operativo il migliore possibile, come il NIP-OP che oggi va per la maggiore, cioè creare un'altra logica, una bi-logica che ci permetta di ragionare di una cosa di cui non si può per definizione ragionare, un linguaggio intermedio che ci possa fare intuire come funzioniamo dentro la testa, e descriverlo con una buona approssimazione. Sperando che ciò ci aiuti a risolvere i problemi che questo universo sommerso che siamo noi ci pone.
Per esempio, io prendo una bottiglia con su scritto BIRRA. Istantaneamente dal mio cervello logico parte l'ordine di cercare tutti i files inerenti ai concetti di bottiglia e birra, e dall'altra parte saltano fuori anche tutti i ricordi connessi, comprese le sensazioni di piacere o disgusto collegate. L'insieme complesso di queste sensazioni, unito ad altre informazioni sul tipo di birra che leggiamo sull'etichetta o sulla temperatura che fa o sulla sete che abbiamo, ci fa prendere una decisione che può essere più o meno logica, ma che necessita di comportamenti consequenziali per essere attuata: comprare la bottiglia, stapparla, berla. E' un groviglio di interazioni tanto difficile da descrivere quanto delicato da tenere in equilibrio.
Per questioni più importanti della vita reale, il problema con le etichette è che spesso non vengono messe con la precisione imposta dalle leggi del mercato alimentare. Così appena vedo uno zingaro i files collegati che saltano fuori sono SPORCO e LADRO, e magari provo la stessa sensazione spiacevole di quella volta che mi hanno rubato le ruote della macchina, anche se non so se è stato proprio uno zingaro o un altro. E allora cambio strada, se incrocio uno zingaro, quasi senza accorgermene. Magari quello è proprio un ladro, e ho fatto bene. Ma magari no.
Ora, io non so cosa la gente possa avere in archivio, sotto l'etichetta OMOSESSUALE, ma già le parole con cui veniamo appellati in tutte le lingue e gli idiomi del mondo ci riportano appunto ad un tempo in cui la specie per sopravvivere selezionava necessariamente in favore di quelli che si eccitavano non appena vedevano una donna. Parlo di milioni di anni fa, probabilmente. Ma quanto dentro e quanto a lungo hanno influito sul piano culturale certe predisposizioni "naturali"?
Poco conta che esse siano naturali solo fino a un certo punto, dato che esse si sono instaurate relativamente di recente, col patriarcato, che notoriamente ha preso il sopravvento sul matriarcato (quello sì naturale) quando la scarsità delle risorse rispetto al rapporto popolazione/ambiente ha favorito la lotta fra gruppi e quindi la forza fisica come mezzo di selezione. La donna, non adatta alla guerra ma depositaria della maternità, doveva essere asservita e controllata. Suo figlio, se maschio, le apparteneva solo fino a quando il fisico non gli avesse consentito di lavorare e poi di combattere, per conto di un padre che soltanto il controllo sociale poteva certificare come suo; se femmina, fino a quando non fosse divenuta a sua volta abile ai fini riproduttivi, per cui sarebbe stata venduta al suo nuovo proprietario. Se omosessuale (o deforme, o handicappato), era destinato ad un ruolo marginale, nelle società migliori, ed in altre soppresso.
Naturale o meno che fosse, ciò aveva un suo animale senso, ai tempi. Ma quante di queste scorie ancestrali hanno resistito per millenni nelle società umane di qualsiasi impostazione etico-politico-religiosa che fossero? E quante resistono ancora? Fino a quando era uno scandalo che una coppia etero non si sposasse e non avesse figli? Ieri, avant'ieri? E domani? Ed io, io: se non sapessi tutto ciò che so, mi avrebbero imbarcato? E cosa faranno di me se e quando sbarcheremo, se le mie conoscenze astrofisiche si rivelassero superflue? Mi promuoveranno "gran sacerdote" e si inventeranno che quelli che vorranno seguire la mia carriera dovranno essere casti? Mi inventerò sciamano, o buffone? Mi costringeranno ad accoppiarmi con una donna? Ed io, quand'anche acconsentissi per puro senso del dovere verso la specie, di chi mi innamorerò mai più?
Sir Anthony MacIntosh non era omosessuale. Forse. Cioè: può darsi pure che lo fosse, ma in certe epoche ed in certe condizioni non si poteva neanche contemplare una simile evenienza, forse neanche di fronte a se stessi. Fattostà che il mio eroe personale era scontento. Scontento di quella moglie che gli era stata promessa bambina e gli aveva dato tre figli praticamente negli unici rapporti sessuali completi della sua vita, atti sessuali e non atti d'amore, figli cresciuti dalle governanti e mai amati, come fossero cosa altrui. Scontento di quei banchetti senza fine, con tutta quella selvaggina morta che appunto sapeva di morte, di putrefazione, dietro a quel fragrante gusto del primo boccone. Scontento delle chiacchiere a corte, dei giullari che pure  erano probabilmente le persone migliori di quel consesso. Scontento delle cacce alla volpe, quello strano rito in cui si accompagnava a persone senza cuore, senza anima, senza colore, ... vuote, ecco, vuote.
Fu così che un mattino, durante l'ennesimo foxtrot, fu visto allontanarsi nella nebbia, come stesse seguendo una buona pista. E forse era vero, forse stava seguendo per la prima volta una pista tutta sua, stava seguendo davvero se stesso. Ma esisteva un posto per uno come lui a quel tempo? E che gli successe, dopo che sparì alla vista? Si uccise? Si creò un eremo e vi si fermò per sempre? Scappò con una "strega", come venivano chiamate a quei tempi le donne che fossero appena un po’ più libere delle altre? Non lo so. L'ho inventato io e non lo so. Nessuno lo sa. La mia storia finisce che "non si seppe mai più nulla di lui" 

venerdì 23 marzo 2018

OCCHI APERTI!

Vista l'età, credo proprio che prima che rendano obbligatorie le
auto a guida autonoma io se non ancora morto non guidi più da
tempo. Ma voi che farete a tempo e sarete costretti a farlo, mentre
la macchina va, tenete gli occhi aperti come se steste guidando...
Che poi questo vale per tutto: se avete un profilo Facebook, e lo
usate senza cautela e consapevolezza, di ciò che accade la colpa
è vostra, non di chi usa i dati acquisiti per cercare di manipolarvi.
Non c'è niente da fare, non so nemmeno se sarebbe sufficiente che davvero facessero il governo di scopo antisistema e che questo attuasse come primo passo lo spoil system più feroce nell'intero mainstream, intanto perché la Lega ha già dato prova abbondante in passato di essere in realtà contigua agli ambienti che dice di voler combattere (e si, lo so, è quello che rimprovera qualcuno anche ai cinquestelle, specie chi all'inizio ci flirtava perché magari sperava di avere con loro un ruolo di guida saggia che non gli hanno riconosciuto, ma almeno finora senza prove), e poi perché inizio a temere si tratti proprio di scarsa propensione al ragionamento, non volendo asserire nulla in merito proprio alla quantità di materia grigia, di chi tenta oggigiorno di campare di giornalismo (con rare eccezioni, ovviamente).
Malafede o meno, sono giorni che ci martellano (le palle) con un paio di narrazioni: la spia avvelenata in Inghilterra da Putin in persona, e i dati degli utenti di Facebook usati per manipolare la campagna elettorale a favore di Trump. Beninteso, i due non sono campioni né di democrazia né di simpatia, ma a furia di attacchi di stampa li stanno facendo risalire nelle classifiche di entrambe le cose, almeno ai miei occhi - che alle ultime elezioni si è visto, però, proprio isolati non sono...
Ora (si lo so che a voi che già che siete qui a leggere vuol dire che è inutile, ma immaginiamo tutti di poterci rivolgere ai citrulli che ancora credono ai telegiornali) mi domando e dico: premesso che la storia dell'umanità è piena di spie e controspie fatte fuori da tutti nessuno escluso, com'è che l'asserzione britannica della colpevolezza russa viene presentata pervasivamente come fosse un fatto pacificamente acclarato? Esattamente, peraltro, come nel recente passato in troppi altri casi in cui presto (ma non abbastanza presto, in genere intanto si era fatto in tempo a fare una guerra, deporre un governo legittimo, uccidere migliaia di innocenti e destabilizzare permanentemente aree fino ad allora stabili) si è visto non fossero che voci infondate e tendenziose? E va bene, lo fanno per malafede e/o stupidità, ma allora la domanda diventa: come cazzo è possibile che ci sia ancora UNA persona che crede a certe notizie?
Il paradigma si adatta perfettamente anche all'altra questione: qua non si tratta di credere o meno che sta Cambridge analitica abbia rubato i dati per conto di Trump, che Zuckemberg in questo sia parte lesa o protagonista di una distrazione ben retribuita, o che Facebook e simili siano uno strumento utile o un pericoloso coacervo di insidie. Si tratta di rispondere a una domanda logica semplice semplice: in che cazzo di modo (intendo uno serio, non grattate di unghie sui vetri come questa) è mai possibile che qualcuno avendone i dati induca a cambiare intenzione di voto a qualcun altro se non a un deficiente facilmente manipolabile comunque?
Ho chiuso i due ultimi paragrafi con due domande retoriche, perché si tratta di questioni in cui non ammetto neanche l'ipotesi che chi non sia un sub-umano possa rispondere diversamente. Ma i sub-umani esistono, sono tra noi e votano. E anche se pure tra loro oramai una buona fetta è senza lavoro e con altri problemi derivanti dalla crisi, nonché consapevole di chi e come la abbia creata e cavalcata, c'è ancora una fetta che si beve le minchiate, altrimenti i partiti che hanno fatto da sicari starebbero allo zero virgola e non ancora in doppia cifra (pur se sconfitti). E quindi? E quindi la lotta non finirà mai, bisogna togliere il velo alle narrazioni che tentano di imporre i padroni del vapore e mettersi in tasca delle versioni semplici delle verità che ci stanno dietro, da spendere al bar in ufficio negli spogliatoi della palestra o dovunque ci sia un amico da scuotere o un conoscente da mettere davanti a un pezzo di specchio per fargli vedere che boccalone è. E quindi:
  • se i social network possono manipolare le coscienze, lo fanno per soldi e in tutte le direzioni, quindi se parte una campagna in una sola direzione è solo per un obiettivo strumentale;
  • se ci sono morti sospette tra le spie, ci sono da sempre e da tutte le parti, quindi se parte una campagna contro qualcuno occorre andare a vedere se non sia proprio questo qualcuno quello scomodo ai boss che magari ci può aiutare a salvare la pelle o almeno indicare la strada;
ma anche:
  • se cominciano a dire che un tipo di motore inquina, magari quello stesso che fino a ieri era il più ecologico, andiamo a vedere a chi conviene metterlo fuori gioco e a chi magari spingere qualcos'altro, che magari fatti bene i conti non è mica detto che sia più ecologico dell'altro davvero, o più sicuro, e poi magari chiedersi se l'obiettivo finale non sia proprio toglierci tra tutte le altre libertà anche quella di andare dove ci pare quando ci pare (fateci caso: la fanno franca solo quelli coi soldi, che possono ancora cambiare macchina spesso, o meglio ancora farne proprio a meno, perché vivono nei centri storici e ci lavorano pure, se lavorano);
  • se oggi si dimostra che chi ha promosso la guerra contro uno Stato sovrano e l'assassinio del suo leader aveva un interesse addirittura personale e monetario a farlo, come ieri si era dimostrato che il pretesto per un'altra guerra e un altro assassinio eccellente era insussistente, con quale faccia tosta si può irridere chi non ha mai creduto o comunque a un certo punto decide di non credere mai più alle cosiddette versioni ufficiali? Mollate gli ormeggi, e quando vi chiameranno complottisti rispondete che i complottisti sono quelli che i complotti li ordiscono, non i cittadini che tentano di svelarli per cercare di capire cosa diavolo sia successo davvero.

venerdì 16 marzo 2018

15 - TI PIACE MOZART?

Anche il racconto numero 15 di Chi c'è c'è (mia prima e unica opera di narrativa fino all'uscita di Sushi Marina nei prossimi mesi) nasce da un testo di canzone scritto qualche anno prima, ma in questo caso, forse proprio per il tipo di canzone (pensata come un quasi-rap "parlato" mentre sotto suona con volume in crescendo la famosissima 45° sinfonia; e si, anche questa se volete il testo - come per gli altri - potete metterci la musica che vi pare, ma prima provate a immaginarvela così...), la distanza è maggiore. La canzone, infatti, è una veloce suggestione, quasi cronachistica, di un mancato incontro, il racconto invece è il sogno piuttosto articolato di un'astronauta iraniana che contiene ed esplora anche la narrazione di quel mancato incontro.

15 - TI PIACE MOZART?

Per una donna essere bella è un vantaggio e una maledizione, a seconda dei punti di vista e delle circostanze. Certo, puoi scegliere tra tutti quelli che ti muoiono appresso; ma se sei davvero bella sono troppi, e i più intraprendenti sono spesso i peggiori. Quindi, la prima cosa è imparare a difenderti. Anzi, no: prima ancora bisogna che ti rendi conto della tua bellezza. La consapevolezza è infatti anche in questo caso fondamentale: ho visto troppe ragazze troppo belle troppo presto darsi via a poco prezzo al bulletto del quartiere, che le vedi e sono incantevoli e poi le senti parlare e ti cascano le braccia, tanto volgare è quello slang ciancicato e pieno di parolacce; oppure soggiogate dal fascino maturo di quell'amico troppo grande, che le sposa presto e presto invecchia, condannandole ad una vita infelice (e/o condannandosi alle corna).
Se invece sei consapevole di essere bella puoi giocare coi maschietti, e tenerli sotto, e farci quello che vuoi: nel senso che se non vuoi puoi anche non farci niente, e nessuno sfiorerà le tue spalle dritte e i tuoi occhi ben aperti ed attenti. Se, e dico se, ti piace qualcuno, allora puoi facilmente farglielo capire, tanto a lui tu piacerai sicuramente, e poi sei tu che guidi la danza. Almeno, quasi sempre è così.
Quella volta, al matrimonio di una mia amica italiana, puntai un tipo belloccio al tavolo in fondo. Il ricevimento era fastoso, nel giardino di una lussuosa villa secentesca toscana, e l'orchestra da camera stava suonando la 45^ sinfonia. Io partii con decisione ed indifferenza, pensando di passargli vicino che poi qualcosa sarebbe successo. Lui non mi aveva notato ancora, ma qualcosa inconsapevolmente avvertì, io non credo al caso: gli cadde il tovagliolo a terra quando io ero a qualche metro, cosicché quando gli passai vicino lui si ritrovò ad un palmo dal naso le mie lunghe, dritte, sode, abbronzate, in una parola bellissime cosce. A farla apposta non poteva venire meglio.
Rimase immobile, per qualche secondo che gli dovette parere un'eternità. Forse pensò qualcosa, ma non ne sono sicura. In ogni caso gli tolsi il tempo di parlare, di dire qualsiasi cosa, pensata o meno che fosse. "Ti piace Mozart?", gli chiesi a bruciapelo, inducendolo ad alzare lo sguardo da quella posizione così in basso da fargli venire gli occhioni sgranati dei bimbi, quelli tondi tondi che tu dall'alto vedi le cornee a metà nascoste dalle palpebre superiori e quasi galleggianti su un mare di bianco/azzurrato umido e pieno di venuzze minuscole. Quegli occhi così spalancati che ci vedi l'anima, quegli occhioni che gli uomini non fanno vedere mai, chi per natura chi dopo la prima grossa fregatura amorosa.
Prima di incontrare il mio sguardo, il suo risalì lentamente dai polpacci (che a gambe unite, se sono diritte come le mie, si sfiorano) alle ginocchia (che ho diritte ma non sporgenti), alle cosce (muscolose, e quasi del tutto scoperte dalla mini vertiginosa che indossavo), alle mutandine bianche (da sotto si dovevano vedere, se le avevo messe), alle pieghe che la gonna attillata faceva tra le ossa del bacino (visto il mio ventre piatto), all'ombelico (naturalmente scoperto, perfetto ed incastonato in addominali scolpiti e abbronzati), al seno (che dovette intravedere da sotto il top), al collo (lungo, tra le clavicole e il mento), alle labbra (mai truccate perché già rosse, e malcelanti un malizioso sorriso, semichiuse nella domanda appena sparata), fino agli occhi (neri e luccicanti, incorniciati da ciglia che sembrano finte e più in là dai lunghi boccoli neri dei miei capelli orientali).
Io sono persiana. E ho preso il meglio dei tratti somatici dei miei due bei genitori, così da somigliare probabilmente ad una delle protagoniste delle mille e una notte, perché quando un'orientale è bella è bella davvero. I miei, di famiglie benestanti, erano stati mandati a studiare in Italia, dove si erano conosciuti, e vi si erano fermati per sfuggire al regime khomeinista, che aveva fatto torturare e uccidere tanti loro amici che incautamente erano tornati in una patria precipitata indietro di mille anni e non avevano accettato la nuova realtà, e bastava rifiutarne non dico i valori ma anche solo i costumi per essere considerati nemici. Così, dopo un fidanzamento lungo e tormentato (a mio padre piacevano troppo le donne, ed era spesso ricambiato: era bello, e che ci sapeva fare ce l'aveva scritto in faccia), si sposarono ed ebbero me.
Mi chiamarono Sheida, che in iraniano significa “gioia”: un nome bellissimo. Per molti anni in Italia lavorarono e guadagnarono bene, tra arredamenti di interni ed import di tappeti, e si inserirono ancora meglio: ebbero la cittadinanza, e mio padre addirittura divenne presidente della squadra di calcio del quartiere e candidato di sinistra al consiglio comunale. Poi una serie di problemi finanziari, ed il rinnovato clima di fiducia che seguì alla svolta moderata del 1997, li indussero a rientrare in Iran, prima parzialmente e poi definitivamente.
Io intanto ero cresciuta, e all'università rimasi a Roma, ma la specializzazione in fisica nucleare mi rese preziosa anche per l'Iran, così cominciai a fare la spola per motivi di lavoro fra Teheran, Roma... e Parigi. Qui invero mi ci portò, attraverso Milano, un'altra attività, cominciata per gioco e continuata per soldi, stando attenta a non trascurare troppo i miei studi: quella di modella. Ero abbastanza richiesta dagli stilisti, ma ancora di più dai giornalisti: ero l'unico fisico nucleare a sfilare in passerella, e i titolisti vanno matti per i giochi di parole quanto i lettori per le storie che si prestano al transfert. Al momento dell'imbarco, a trentadue anni suonati, non svolgevo più quell'attività da anni, ma mi mantenevo ancora molto bella. Certo non come quella volta al matrimonio della mia amica, però!
Raccattò il tovagliolo, lo piegò sul tavolo, si alzò in piedi e mi prese la mano, senza dire una parola ma guardandomi sempre fissa negli occhi. Avevo visto bene, era più alto di me, condicio sine qua non perché mi piaccia un uomo, e non è facile visto il mio uno e ottanta. Poi aveva le spalle e il petto robusti ma non troppo muscolosi (non mi piacciono i culturisti, sembrano dei formaggini capovolti), gli occhi neri con le ciglia lunghe e lo sguardo intelligente, basette a punta ben curate, e soprattutto mani bellissime e affusolate, da pianista. Dalla carnagione e dai modi doveva essere meridionale, e con molto sangue arabo nelle vene, ché i razziatori saracini risparmiavano solo le donne che si concedevano loro senza troppe storie.
Sempre senza fiatare, fece un cenno all'orchestra, che attaccò un valzer lento di Strauss padre, "Skaterwaltz": lo riconobbi perché è quello con cui inizia "Tunnel of love" dei Dire Straits, un classico del rock di tanti anni fa. Ebbene sì, in realtà mi intendo più di pop rock e blues che di musica cosiddetta (secondo me impropriamente) "colta". Mentre ballavamo, osservati e presumo invidiati da tutti i presenti certo anche più degli sposi, io pensavo già a come sarebbe stata la sera dopo, quando avrei accettato dopo qualche studiata titubanza il suo invito a cena, e cioè quale ristorante avrebbe scelto, se avrebbe retto al mio livello di conversazione, e alla mia resistenza a letto subito dopo. E scommetto che anche lui stava pensando alle stesse cose: a come invitarmi a cena, a quale ristorante portarmi, a cosa dirmi per intrattenermi mentre mangiavamo, sapendo entrambi bene dove saremmo finiti dopo senza neanche dirlo.
Appunto, senza dirlo: non ce n'era bisogno. Invece lui a un certo punto socchiuse le labbra, come volesse baciarmi, si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò qualcosa... di schifosamente volgare, gratuito, non necessario, spoetizzante. No, non sto facendo la puritana: era esattamente quello che volevo anch'io, in sostanza, e allora? E allora non so perché, mi divenne istantaneamente antipatico, pensai "che stupido", e gli dissi semplicemente, e con un tono che non lasciava spazio ad appelli, "no". Il valzer era finito, mi ringraziò, mi riaccompagnò al tavolo e tornò a sedere al suo.
Ma non gliene diedi quasi il tempo. D'istinto, andai a bisbigliare qualcosa al violinista e mi sistemai al centro della sala. Mia madre, danzatrice figlia di danzatrice da chissà quante generazioni, mi aveva insegnato la danza del ventre, e chi non l'ha vista fatta da una persiana non sa cos'è la sensualità. Un ventre scoperto che si muove con la sapienza di migliaia di anni di tradizione ti scopre e ti tocca i nervi profondi, ti scombussola i pezzi del puzzle della tua anima, ti riempie i polmoni di aria, ti gonfia il petto, ti drizza le spalle, ti irrora di sangue il cervello e i muscoli, ti rimette a posto la psiche e ti guarisce dalle malattie genetiche, in una parola ti eccita da morire, se poco poco sei maschio. Ti titilla una parte della mente che avevi dimenticato di avere, ti riporta a quando hai ammazzato Abele, e perdìo se stavi bene! Ti libera da te stesso, e ora sai ciò che vuoi, che vuoi partire davvero, e amare davvero, che neanche la morte ti può fermare.
Addosso avevo gli occhi di tutti, uomini e no. Stavo bene, ero dentro me stessa fino alle ossa, fino all'anima, la mia e quella di tutte le mie antenate che dalla notte dei tempi mi avevano fatto giungere quest'arte meravigliosa. Così non guardai più nella direzione del mio uomo, da cui mi ero sentita davvero offesa e irritata, e che sciocca ero stata!
Quando mi voltai infatti non c'era più, era andato via, e prima della torta! Dopo qualche minuto un cameriere mi portò una rosa e un bigliettino da visita, con aggiunta la scritta: "NO, MOZART NON MI E' MAI PIACIUTO". Risi forte: per un uomo essere bello, e saperlo, deve essere un problema ancora maggiore che per una donna, con conseguenze ancora più pesanti. Non gli ho mai telefonato.
TI PIACE MOZART?

“Ti piace Mozart?”
Fece prontamente per spostarsi,
ma l’ansia di cogliere il fazzoletto
cadutogli solo un momento prima
fu infantile, e di certo non poteva
aspettarsi l’incontro a fil di naso
con quelle due gambe drittissime
coperte da pochissima gonna
padrone di una voce domandante
“ti piace Mozart?”
da dietro sette ordini di denti
uguali e bianchi come il fazzoletto.
Bellissima. Ciò che gli venne in mente
è ovvio come tutto ciò che è sesso
e spesso mascheriamo con cautela
tra frasi smozzicate e senza senso.
Così studio, appena si riebbe
dalla sorpresa di quella domanda
(“ti piace Mozart?”)
e dal perché e dal come venne posta,
un modo per toccarla,
come arrivare ad un coinvolgimento,
il ristorante dove poi invitarla
e quali storie raccontar mangiando.
Ristette. E gli usci, come da altra bocca:
“Ti piacerebbe, non so, in prospettiva
di fare gambe e gambe, ventre e ventre?”
“No”, rispose la ragazza.
“E a me Mozart non è mai piaciuto”,
lui disse. Pensò.

domenica 11 marzo 2018

DI CHE MORTE MORIRE?

Eh, si: non era impossibile da prevedere...
Il compianto Giovanni Sartori, inascoltato inventore in Italia della scienza della politica, fin dagli anni 80 sosteneva che non esistono leggi elettorali perfette, ma solo più o meno adatte a questo o quello panorama politico. Ogni meccanismo, infatti, è una coperta corta che o lascia scoperti i piedi della rappresentatività o le spalle della governabilità, per cui bisogna sceglierlo in base alla composizione ideologica dell'elettorato e a quello che si reputa necessiti al Paese. In Italia, invece, conclusa la lunga esperienza del proporzionale puro, perfettamente funzionale al fatto che il quadro internazionale impediva ogni reale cambio di maggioranza (e però garantiva una certa diffusione del benessere), ogni nuova legge elettorale introdotta, e sono state davvero troppe, lo è stato con un occhio e spesso due allo specifico interesse di chi aveva la forza di farla approvare, e nessun riguardo a fissare regole del gioco funzionali agli italiani.
Il calcolo di questo interesse, però, è molto complesso, quindi spesso è risultato fuori dalla portata delle "intelligenze parziali" (citando Camilleri) che ci si sono applicate, vuoi perché non hanno adattato il proprio schieramento ai meccanismi (Segni che introdusse il maggioritario e poi si presentò da solo anziché in coalizione con Occhetto, Veltroni che accelerò la fondazione del PD proprio dopo che Berlusconi aveva reintrodotto il proporzionale) vuoi perché la volontà popolare spesso proprio di fonte ai tentativi più arroganti e stupidi (hai voglia a dire che tutto va bene a reti unificate: il mio portafoglio lo conosco io) di manipolazione ha prodotto risultati inattesi (il primo Berlusconi, il movimento 5 stelle già l'altra volta).
E' con questa chiave che bisogna leggere la parabola del (prevedibile, si) disastro renziano: quando pensava di avere il 40% ha fatto una legge elettorale che consegnasse una maggioranza blindata proprio al partito che avesse raggiunto quella cifra, e quando ha capito che quella legge avrebbe rischiato di favorire i grillini (tutt'altro che deludenti dove governano, nonostante dalla stampa serva sembri il contrario), anziché lasciare in vigore l'ibrido risultante dalle bocciature costituzionali della legge precedente, ha varato un nuovo meccanismo che favorisse le coalizioni, ma non troppo, in modo da lasciare come unico scenario praticabile un Renzusconi bis. Peccato, appunto, che gli elettori si sono espressi in modo da rendere il suo desiderata l'unico scenario matematicamente impossibile, vista l'evaporazione dei consensi sia del PD che di Forza Italia. Inoltre, il Rosatellum rispetto al Consultellum ha, secondo calcoli autorevoli, mantenuto il quadro di scarsa governabilità ma con una quarantina di seggi in più al centrodestra, una ventina ai cinquestelle, e altrettanti in meno al PD e a LeU. Un vero capolavoro di intelligenza politica, e ancora lo fanno parlare, i suoi compagni di partito, anziché sommergerlo di pernacchie appena apre bocca...
Ora sono giorni che gli osservatori professionali si affannano a ragionare sugli scenari possibili, ciascuno tirando la giacchetta alla realtà dalla parte dei propri desideri e interessi. Viene voglia di chiamarsi fuori, aspettando alla finestra. Ma uno schemino piccino picciò per fornire un quadro interpretativo a ciò che potrebbe capitare non me la sento di negarvelo.

scenariovantaggisvantaggi

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governo politico m5s-Lega
Se ancora il m5s avesse voglia di farlo (e cioè se le cautele di Di Maio erano solo elettoralistiche, come io spero), si potrebbe andare in UE a chiedere una profonda riforma dei Trattati (su moneta e immigrazione, innanzitutto), e rispondere all'eventuale rifiuto denunciandoli e uscendone (a Bagnai e Borghi i dicasteri economici), per usare la spesa in deficit per politiche keynesiane massicce (ovviamente affiancate dal dimezzamento simbolico delle prebende ai politici e da una feroce lotta alla corruzione).Se non riesce la scommessa di far ripartire davvero l'economia e cambiare davvero il concetto stesso di carriera politica, alle prossime elezioni entrambi i partiti sarebbero puniti pesantemente dagli elettori, primo perché avrebbero fallito in questo preciso mandato, ma anche perché lo avrebbero fatto nonostante l'inattesa partnership con uno schieramento portatore di valori in parte davvero incompatibili.

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governo politico m5s-PD-LeU, o monocolore m5s con appoggio esterno PD e LeU
Se il PD si derenzizzasse immediatamente, e i suoi nuovi leader si ponessero come obiettivo farlo ridiventare un partito di centrosinistra, dovrebbe accettare l'idea che è proprio il m5s ad avere portato avanti in loro latitanza le idee di sinistra in Italia, e supportarlo accettandone la leadership nel tentativo di riportarle avanti, avendo in cambio la possibilità di orientare le scelte del m5s in tema di diritti civili, accoglienza, eccetera.Se non cambiano UE e Euro, questo schieramento non ce ne porterà fuori, e ogni seria politica keynesiana sarà impossibile (reddito di cittadinanza in primis, checché ne dica Tridico, ma basta guardare le buche di Roma). Alle prossime elezioni il PD sparirà e anche il m5s sarà molto ridimensionato, e vincerà la Lega unita alla destra estrema, o chiunque abbia un progetto sovranista e xenofobo.

3

governo politico Centrodestra-PD, o tecnico tutti contro m5s
Se i nostri padroni europei si confermano forti come negli ultimi anni, è questo lo scenario più probabile. L'Italia continuerà sulla china degli ultimi anni, magari dopo una prima fase con qualche contentino, saranno completate le privatizzazioni, completata la sottoproletarizzazione degli italiani e avviata la fase definitiva del loro rimpiazzo con manodopera straniera giovane e senza pretese. Alle prossime elezioni il m5s prenderà la maggioranza assoluta dei seggi con qualunque legge elettorale.Il rapporto debito/PIL continuerà a crescere fino a costringerci a chiedere l'aiuto ai fondi europei di salvaguardia, il che significa fine anche formale di ogni sovranità del nostro Paese, cosa che nessuna nuova elezione potrà ribaltare, solo una guerra o una catastrofe a questo punto potrebbero, forse (molto forse), azzerando tutto, darci una speranza di ripartire.

4

governo tecnico "di scopo", per una nuova legge elettorale e elezioni tra massimo un anno, con tutti dentro
Se ci si accordasse al più presto per una legge elettorale a doppio turno tipo quella dei sindaci, che se ci fosse oggi risolverebbe il rebus chiedendo domenica 18 agli italiani "ok, vi siete espressi su chi vi rappresenta, ora diteci da chi volete essere governati: Salvini o Di Maio?", e magari su una legge che improntasse la selezione della classe politica e i costi del suo mantenimento ai criteri oggi del m5s, sarebbe l'ideale.Visti i soggetti, la nuova legge elettorale sarebbe un'altra, e purtroppo qualunque altra tranne quella tipo sindaci in Italia produrrebbe ancora o un indebito vantaggio a maggioranze assurde, o un nuovo stallo (anzi, in questo caso, dovendo avere il consenso di tutti, quest'ultimo). Col risultato di avere perso un anno di tempo per ritrovarci al punto attuale. Anzi, peggio: con uno sgherro della UE direttamente al governo.

Come vedete, non esiste uno scenario ottimale, ma solo scenari preferibili ad altri, o meno indesiderabili di altri, con riferimento ad alcune variabili e trascurandone altre. Se io fossi un tifoso dei cinquestelle, e non un italiano di sinistra che si è trovato a sostenerli anche molto convintamente in seguito al tradimento dei partiti di sinistra, preferirei il terzo (con tutti i rischi che comporta). Se io fossi uno che ancora spera che il PD possa (ri?)spostarsi a sinistra, e non uno convinto che a sinistra non lo è mai stato perché è proprio nato per fare da sicario allo Stato sociale con mandante l'ultraliberismo, preferirei il secondo. Se ci fosse una qualche speranza reale di realizzazione dei suoi vantaggi, e non temessi che siano pari a zero o quasi, preferirei il quarto. Siccome penso che le occasioni quando si presentano bisogna coglierle, temo che l'unico modo per realizzare gli scopi fondativi del movimento 5 stelle, dati i risultati elettorali, sia l'abbraccio forse suicida con la Lega, da cui si potrebbe però pretendere almeno l'accantonamento delle posizioni più becere in nome del raggiungimento degli obiettivi comuni: rifare dell'Italia un Paese sovrano, che usi questa sovranità per il benessere dei suoi cittadini. Se serve a raggiungere questi obiettivi, vale la pena anche scomparire. Ecco, l'ho detto: se realizza in fretta quello che deve, preferisco il primo scenario. Ma tranquilli: a livello di probabilità è nettamente in coda.

lunedì 5 marzo 2018

CHE GIORNATA, IL 4 MARZO!

Che domenica memorabile, per il tennis italiano!
C'è un'età in cui cominci a imparare lo scandire del tempo tramite orologi e calendari, ed è più meno allora che io sentìi parlare di 4 marzo, per la precisione 1943. Amavo la musica credo per DNA, e i parenti si divertivano a vedermi imitare il mio idolo Gianni Morandi e cantare a memoria le canzoni di Sanremo e Canzonissima sue e di altri. Quella volta, a sette anni e mezzo, fui affatato da un omino buffo e peloso che cantava di Gesù bambino in un modo strano, accompagnato da un violino magico e indimenticabile. Più grande scoprirò che quella canzone si doveva chiamare proprio Gesù bambino, il testo era di una donna (Paola Pallottino) e parlava di ladri e puttane, ma la censura televisiva dell'epoca impose al loro posto la gente del porto, e un cambio di titolo che il cantante e autore delle musiche non sapendo che pesci prendere lì per lì ebbe la genialità di pensare alla propria data di nascita, inducendo da allora e per sempre tanti ad attribuire a quel brano un valore autobiografico in realtà inesistente.
Con un capolavoro del genere a celebrarla, la data non poteva che avere un destino fausto, e infatti ecco che il vostro devoto blogger proprio in un 4 marzo di 43 anni dopo si sarebbe trovato a discutere la propria tesi di laurea in Scienze politiche, materia Sociologia delle comunicazioni, argomento Partecipazione politica e riproduzione sociale in una ricerca sperimentale nelle scuole superiori di Reggio Calabria. La cosa più simile a una laurea in Comunicazione che c'era ai tempi.
Ma il 4 marzo non aveva ancora finito di stupire: ecco che nel 2018, 32 anni dopo (il periodo si abbrevia, se lo fa con una logica dobbiamo attenderci qualcosa di grosso il 4 marzo 2039, dopo altri 21) si verifica un'altra congiunzione astrale rarissima. In un panorama tennistico nazionale a dir poco desolato, dove è raro assistere a una qualche vittoria nostrana sporadica, ecco che nello stesso giorno, a migliaia di chilometri di distanza, due ragazzi italiani di 30 anni, un maschio e una femmina, vincono un torneo del circuito mondiale: Fabio Fognini l'ATP 250 di San Paolo del Brasile e Sara Errani il WTA 125 di Indian Wells negli USA.
Come dite, mi sfugge qualcosa? C'era forse qualche altro evento da citare in questo 4 marzo? Le elezioni politiche no: io avevo previsto partorissero un nuovo Renzusconi e a quanto pare è il primo scenario a palesarsi come matematicamente impossibile, quindi ho sbagliato (che volete farci, non sono un matematico di grido), fosse anche solo di eccesso di scaramanzia, e quindi è meglio che taccia. Poi ancora devono assegnare i seggi, secondo i meccanismi astrusi di una legge elettorale concepita proprio per minare l'avanzata al nemico e avvelenargli i pozzi, ed è sui seggi che bisogna ragionare. Ma forse di una cosa si può già gioire: la sparizione dalla scena politica di un tizio che sin dall'inizio si è presentato come uno dei sacchi di arroganza più vuoti di sostanza della storia dell'umanità, che voglio vedere ora se ha il coraggio di proporsi ancora a qualcuno (ci proverà fino alla fine, potete giurarci) e se esiste ancora qualcuno che all'eventualità non gli rida in faccia, e magari di un partito che ho il vanto, si proprio il vanto, tra tante previsioni toppate, di avere scritto nel 2007, prima della sua fondazione, che sarebbe stata una sciagura per la sinistra italiana.

venerdì 2 marzo 2018

14 - COLOMBO

C'era solo una cosa più mitica del trench, in
quei vecchi telefilm: la Peugeot 403 cabrio.
E siamo arrivati al racconto numero 14 di Chi c'è c'è (mia prima e unica opera di narrativa fino all'uscita di Sushi Marina nei prossimi mesi). Qui il legame col testo di canzone di cui è la "versione in prosa" (l'astronauta sognatore/narratore qui è un giovane greco) è parecchio stretto, arrivando a riprodurne persino la tripartizione (navigatore/detective/uccello) legata all'alone semantico del termine. La canzone nasce come veloce rock ballad, coi versi del ritornello più corti e "cantati", ma (come per gli altri testi) se vi piace potete metterci la musica che volete (ve lo ripeto tutte le volte, anche se ormai dispero che riuscirò mai a piazzarne uno, eppure non chiedo soldi, mah, saranno troppo scarsi, o troppo poco adatti ai tempi, o entrambe le cose...).

14 - COLOMBO

Colombo sì che era un navigatore, non noi. Ci hanno fatto dei test, ci hanno chiuso in questi bozzoli criostatici, ed hanno programmato un cervellone NIP-OP per svegliarci solo in caso di avvicinamento ad un pianeta con caratteristiche compatibili alla nostra biologia. Potremmo viaggiare per millenni, ma che avventura sarebbe? Colombo no, lui voleva qualcosa di preciso. Intanto conosceva Talete e gli altri presocratici , precursori di Copernico, perciò sapeva che la Terra era tonda, ed era sicuro che navigando verso Occidente sarebbe arrivato ad Oriente, prima o poi. Ma, appunto, non sapeva quanto ci sarebbe voluto, e quindi ci volevano navi grandi e tanti uomini. A chi chiederli, se non ad un re? Ad una regina, che domande!
I viaggi per mare ai tempi erano davvero duri, quanto noi non riusciamo ad immaginare e non affronteremmo mai. C'era la carne secca, e poco altro cibo che poteva reggere tanto tempo senza marcire, e le malattie da carenze alimentari, specialmente vitaminiche, erano frequentissime, per non parlare di quando a bordo scoppiava un'epidemia di qualcosa. Si era sempre tutti sporchi, pieni di parassiti, raffreddati, ed ubriachi. Le donne, quelle bisognava inventarsele: guai, se eri giovane e carino, a tentare la carriera del marinaio! A meno che non fossi anche forte ed armato, o non ti piacesse prenderlo a quel posto, s'intende. Che poi "guai a provarlo, magari ti piace", diceva sempre il vecchio Aristoteles.
Questi era un anziano marinaio dalla pelle ovviamente abbronzatissima, ma anche dura e grinzosa come di cartapesta, che alle rughe della fronte ci potevi incastrare le biro. Aveva di certo visto le rotte che erano state di Ulisse e degli altri eroi achei, ma oramai non gli restava altro che ogni tanto costeggiare col suo gozzo facendo finta di pescare, e la maggior parte del tempo stare seduto a riva accanto alla sua barca sbrogliando e riimbrogliando la sua rete mentre ci raccontava storie fantastiche, a noi ragazzini di un'altra epoca. Io lo ascoltavo a bocca aperta, un po' per le cose che diceva, un po' perché mi stupiva sempre vedere spuntare dai bermuda, all'altezza del ginocchio quindi, la sua enorme palla spelacchiata di vecchio ernioso.
C'era una delle sue storie che mi intrigava più di tutte le altre, un po' perché il protagonista dava il nome al nostro mare, un po' perché mi intristiva e mi inquietava da morire, e poi perché... non sapevo perché, e l'avrei scoperto da grande, quando mi avrebbero chiesto a bruciapelo perché avessi scelto di studiare semiotica. Il motivo, infatti, era nella storia di Egeo e Teseo, paradigma di tutte le incomprensioni della storia dell'umanità, esempio classico del rapporto significante/significato.
Io mi identificavo con Teseo, l'eroe che partiva per andare ad uccidere il Minotauro, e che eroicamente ci riusciva, ma poi distrattamente scordava di sostituire le vele nere con quelle bianche, cosicché - come da accordi - il padre Egeo avesse potuto capire non appena scorte le navi all'orizzonte che l'impresa aveva avuto buon esito. Coraggio e distrazione, antinomia come "genio e sregolatezza": mi identificavo bene; meno bene col vecchio Egeo, il quale, visto che le vele nere per lui significavano che il figlio era morto nel tentativo vano di sconfiggere la Bestia, subito decise di suicidarsi, gettandosi dall'alta rupe di osservazione nel mare che avrebbe preso il suo nome. Al che Aristoteles quasi sempre chiosava: "non fidatevi delle convenzioni, dei segni stabiliti, tra cui i peggiori sono le parole: quasi nessuno le pesa, dà loro l'importanza che dovrebbero avere, il valore che è stato loro assegnato, e quasi tutti si scordano delle parole che hanno detto anche poco prima; per giudicare qualcuno o qualcosa, aspettate sempre che la nave arrivi in porto, e controllate i fatti da vicino".
Anche Colombo sapeva ciò, e purtroppo per lui anche i suoi marinai: non deve essere stato facile trattenerli con promesse di facile ricchezza dall'ammutinarsi, quando il viaggio si stava allungando troppo anche per chi fosse avvezzo alle difficoltà marinare dell'epoca. Cristoforo doveva essere anche un buon affabulatore. Ma neanche lui poteva sapere che il viaggio era stato sì più lungo del previsto, ma anche molto più breve di quanto gli sarebbe stato necessario per arrivare alla sua meta originaria per la strada che aveva scelto. Il mondo era sì tondo, ma anche molto più grande di quanto si aspettasse, e ben diverso per terre e popolazioni. Almeno a giudicare dagli indiani, troppo strani per essere quelli che lui cercava.
... ...
Colombo sì che era un detective. Adoro quei vecchi telefilm. Persino gli ultimi, quando un Peter Falk oramai decrepito impersonava il tenente in pensione che, invidioso del figlio che ne aveva preso il posto nella squadra omicidi, e soprattutto molto apprensivo per lui, lo seguiva come un'ombra nelle sue indagini rischiando sempre di comprometterle, ed invece alla fine essendo decisivo nella loro risoluzione. Scontati ma divertenti, si, comunque io preferisco di gran lunga quelli delle serie classiche, quelle di 50/60 anni fa. Sì, quelle in cui il tenente col trench sdrucito e il vecchio spider Peugeot incastrava un ricco assassino ogni puntata, girandogli intorno come le mosche alla merda fino ad inchiodarlo, e costringerlo a confessare. Sempre, invariabilmente.
Una volta Aristoteles mi raccontò che in gioventù gli era capitato di vivere, tra un viaggio e l’altro, per un po' a Genova, in Italia, dove in un bar del porto aveva fatto amicizia con un vecchio ubriacone che sosteneva che l'avevano costretto a dimettersi dalla magistratura. Diceva che era uno tosto, uno che i delinquenti li inchiodava, che aveva costretto ad ecclissarsi una serie di grossi papaveri tanto che ad un certo punto saltò un'intera classe politica, e parve profilarsi anche un profondo rinnovamento morale in tutto il Paese. Aveva rovinato un certo Crax (che poi sarebbe morto in esilio, trascinando nel fango con le sue ben documentate memorie tutti i suoi complici) perché aveva fatto confessare tutti i suoi scagnozzi, politici e non. Beh, quasi non ci credetti quando mi disse come si chiamava quel magistrato: Colombo! Come il mio tenente!
Divenne il mio eroe, ed io chiedevo tutti i giorni ad Aristoteles di raccontarmi qualcuna delle sue imprese. Ora, non so quanto davvero visse in Italia il mio amico marinaio, e quindi quanto ne potesse sapere sul serio, ma non l'ho mai visto fermarsi di fronte ad ostacoli banali come una certa ignoranza dei fatti: lui li integrava, arrotondava, aggiustava, e alla fine erano più veri del vero. Mi narrò di un vecchio con la gobba e le orecchie a punta che sembrava un demonio, e forse lo era perché governò più o meno occultamente l'Italia e la Mafia per oltre sessant'anni, durante i quali venne pure processato ma alla fine assolto benché anche le pietre sapessero che era colpevole, e riabilitato, e quindi incensato a reti unificate. Quando fu pubblicata, anche in Grecia, la notizia della sua morte, Aristoteles non ci aveva creduto: aveva sentito dire che Andreopulos, o come diavolo si chiamava, era immortale, e secondo lui stava ancora nascosto da qualche parte, tutto rincurvito e rincartapecorito, a tirare i fili come sempre.
Quindi mi narrò di un tizio calvo e bassotto, pieno di debiti nonostante i munifici aiuti dei suoi padrini politici, che ad un certo punto, vìstosi perso, con gli amministratori delle banche dentro casa, apparve sulle sue reti televisive annunziandosi come l’"unto del Signore", e cominciò a sparare una sfilza di promesse talmente incredibili che lo votarono tutti; e che al governo non ci restò tanto ma non gli importava, tanto in Italia si stava bene anche all'opposizione, e lui in capo a tre o quattr'anni tornò ricchissimo e potentissimo, tanto da mettere in difficoltà quei giudici che, finito di rovinare i suoi compari ed ex protettori, lo avevano preso di mira.
Poi mi disse perfino che anche nell'alta magistratura, cazzazione o qualcosa del genere, c'erano infiltrati uomini della criminalità organizzata, che mandavano tutti i loro amici mafiosi assolti; e che poi, quando ciò non si poté più fare, i politici tutti d’accordo fecero una bella riforma che rimise "sotto cappella" i giudici, inoltre spuntandogli tutte le armi. Un po' come se al mio Colombo avessero impedito quei dietrofront con "un'ultima domanda" che gli hanno fatto risolvere tanti casi. Tra i giudici onesti, allora, i più furbi si buttarono in politica pure loro, i più vigliacchi si adeguarono al nuovo clima, e gli altri si ritirarono a vita privata spendendo la pensione al bar del porto, come il mio eroe.
Certo che i marinai a volte le sparano proprio grosse! Io non posso credere che in Italia siano successe cose del genere, e così recentemente. E' pur vero che a me gli italiani sono sempre sembrati un po' strani: ...pur non essendo razzista, e quindi aborrendo per principio quelle frasi idiote che seguono lo schema "tutti i verdi sono così e tutti i blu sono cosà", ho dovuto notare che tra gli italiani è abbastanza diffuso un certo atteggiamento piacione e infantile, come di latente ma coriacea irresponsabilità... Ma è senz'altro un pregiudizio, un'impressione infondata.
... ...
Colombo, sono solo un colombo. Non sono certo un piccione viaggiatore, né un uccello migratore. Non emigro, io, non mi serve cercare il caldo a costo di affrontare un lunghissimo e pericolosissimo viaggio sul mare aperto; preferisco stare qui anche d'inverno, in piazza c'è sempre qualche turista o qualche vecchietto che ti getta qualche mollichina. Né sono obbligato da un istinto cieco a tornare al mio luogo d'origine, cosicché possano sfruttarmi per recapitarvi dei messaggi: sono pigro, stanziale, e preferisco fare i porci comodi miei piuttosto che quelli degli altri.
Purtroppo, però, da qualche tempo l'aria di Atene si è fatta davvero irrespirabile. L'antica agorà, la piazza dove i cittadini scendevano "a vedere che si dice" , è annegata nella metropoli, assediata dal traffico, colma di smog per dodici mesi all'anno. E poi - sai che c'è? - mi sono stufato! Voglio vedere altri mondi, voglio anch'io valicare il mare Oceano, voglio volare, ma volare sul serio, non quei voletti tra un cornicione e un capitello che ho sempre fatto. Voglio conoscere: parto. Me ne vado in Colombia, che non so dov'è e com'è ma mi suona bene, chissà perché.
E allora volo, volo, volo, sempre più su, vicino al sole. E' meraviglioso, è azzurro, l'aria è leggera, buona, e fa caldo, tanto caldo... Troppo caldo, direi, mi sento quasi sciogliere... Un momento: mi sto sciogliendo davvero! Sono le mie ali a squagliarsi, neanche fossero di cera, e io, io... precipitoooooooooo! Aristoteles, come si chiamava quel tizio che volle volare un po' troppo vicino al sole? Ah, Icaro. Anche lui aveva queste cose strane sotto le piume, queste cose goffe e divine? Ma a cosa serviranno, poi, queste "mani"?

KOLOMBO (STRANISSIMA AVVENTURA D’OCCIDENTE)
Per quanto inusitata fosse questa
stranissima avventura d’occidente
ho ritenuto fosse da tentare:
Copernico ormai non poteva più
attendere il riscontro affermativo
sulla rotondità di questa terra.
Quando ho capito che me la sentivo
sono partito per le Indie.
E per strada
ho trovato
tanto mare,
ma un po’ meno
di quanto io
mi potessi aspettare da Dio:
quanto sono strani, quanto sono strani
questi indiani.
...
Per quanto assai intricata fosse questa
stranissima avventura d’occidente
ho ritenuto fosse da tentare:
coi criminali qui non si può più
che investigare con intraprendenza
cercando di portarli a confessare.
Quando ho capito che in questo paese
le prove non si trovano
son scappato:
ognuno ha
chi può insabbiare,
un protettore
in Cassazione,
e che orecchie e che gobba, per Dio!
Quanto sono strani, quanto sono strani
sti italiani
...
Per quanto ardua e lunga fosse questa
stranissima avventura d’occidente
ho ritenuto fosse da tentare:
dalle altre rotte non si passa più
e poi non sono mica un migratore
le piazze mi appartengono da sempre.
quando ho capito che aria tirava,
“Colombia aspettami” e poi via.
e per strada
ho trovato
tanto sole
che le ali
si son sciolte
e precipitando ho potuto guardare
per la prima volta sotto le mie piume
quell’immagine stessa di Dio:
Quanto sono strane, quanto sono strane
queste mani

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