L'iniziativa è accompagnata dalla pubblicazione su un sito, questo Vinci's papers, delle copie scannerizzate che i ragazzi sono riusciti a reperire, con l'aiuto di alcuni di noi (ma non mio: le avrò smarrite in uno dei miei cento traslochi). E la volontà di non spoilerare, unita alla consapevolezza di essere di fronte a un evento "interno", in cui tutti gli interessati alla partecipazione già aderivano, mi ha indotto a parlarne su queste pagine solo dopo. Ma anche a questi patti, e a cose fatte, sento il bisogno di farlo, per sottolinearne la meritorietà, in primis dei ragazzi e degli insegnanti che li hanno affiancati.
Non sono potuto intervenire in presenza, ma oggigiorno la cosa è ordinariamente bypassabile. Mi hanno chiesto conto in particolare di un mio articolo sugli scrittori meridionalisti, che in quel periodo scoprii grazie all'astuzia di un'altra insegnante, la professoressa Quattrone Ferro (mi hanno detto che è ancora in vita - magari la rivado a cercare, come feci nel 1999 in - occasione dell'uscita di Chi c'è c'è - e la cosa non è più vera nemmeno per tutta la nostra classe), che al tempo trovò il modo di avvicinare alla lettura degli adolescenti zucconi e sfaccendati (peraltro, come tutti gli adolescenti di ogni epoca, secondo gli adulti di ogni epoca). La domanda mi ha dato l'occasione di sottolineare una cosa forse risaputa ma a cui spesso non si bada tanto: a scuola, come poi nella vita, uno dei fattori che contano di più è la fortuna di incontrare le persone giuste (nella fattispecie, gli insegnanti giusti) al momento giusto, ovviamente unita alla bravura di saperla riconoscere. E magari è una professoressa di italiano, a spingerti nella direzione opposta rispetto a quella che ti aspettavi essendoti iscritto allo Scientifico, ma capita benissimo che uno che si iscrive al classico venga invogliato a diventare un matematico, per dire. Avrei voluto dirgliela bene, sta cosa, ai ragazzi, anche per fare indirettamente un complimento ai professori presenti, ma noi invitati avevamo cinque minuti a testa e verso la fine siamo anche stati invitati a una maggiore sintesi, perciò gliela scrivo qui e poi gli mando il link.
E che mi trovo, dico loro un altro paio di cose che avevo in canna e gli ho solo accennato:
- oltre alla fortuna, conta che una volta che hai capito cosa sei poi non te lo scordi mai di esserlo: io, ad esempio, ho studiato comunicazione quando ancora non c'era la facoltà, e mi sono trovato a fare il comunicatore per mestiere dopo decenni, quando oramai non me l'aspettavo più, proprio perché dentro non avevo mai smesso di esserlo - l'episodio è significativo: credendo di partecipare a un colloquio selettivo, capitai invece nel bel mezzo di una riunione operativa per il varo di un sito Internet, e da comunicatore cercai di dire cose sensate, evidentemente riuscendoci al punto che, scoperto l'equivoco, mi fu detto che il colloquio era superato;
- oltre alla fortuna e all'essere se stessi, conta il modo con cui ti approcci alla narrazione della realtà: meglio uno strafalcione, meglio rischiare di essere "iscritto tra i complottisti", che accettare supinamente i fatti per come ti vengono raccontati - e più il racconto è monocorde, più il dissenso è nascosto o peggio ancora perseguitato, più vi si deve accendere una lampadina nel culo a farvelo muovere per andare a cercare i racconti alternativi: solo così alla fine avrà senso che la vostra voce esista, e avrete la possibilità di esercitare l'arte di raccontare (notizie o storie poco importa) e non il mestiere che tanto oramai non ci campa più quasi nessuno e tra un po' le macchine faranno al posto vostro. D'altronde, come peraltro è emerso dagli interventi di molti, quei ragazzi di decenni fa, con la loro iniziativa editoriale, questo volevano fare: dire le cose dal loro punto di vista, sottraendosi ai luoghi comuni che pretendevano di incasellarli da direzioni opposte.
Vi lascio, in omaggio al taglio dei ciclostile di cui parliamo (in cui spesso si parlava anche di musica), con la canzone da cui ho preso a prestito il titolo, che poi è proprio di quell'epoca li. Grazie, compagni di liceo vecchi e nuovi.
P.S. (ma davvero): mio nonno me lo diceva sempre "stai attento che a forza di dire fesserie finisci sui giornali..." Eccomi qua, nome e cognome.
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