giovedì 30 settembre 2010

ORA PRO NOBIS

Si può abbandonare per una volta la traccia della controinformazione per salutare un grande attore. Tony Curtis lo era, grandissimo attore brillante ma anche drammatico, anche se riuscì a procurarsi meno occasioni di dimostrarlo rispetto ad altri, ad esempio il suo sodale Jack Lemmon. Con quest'ultimo è scolpito nei ricordi di tutti per il film che è il capolavoro assoluto della commedia brillante americana, quell'A qualcuno piace caldo che è imprescindibile per chiunque asserisca di amare il cinema: pare addirittura che Tony adesso raggiunga gli altri tre protagonisti di quella pellicola (oltre al citato Lemmon, Marilyn Monroe e il regista Billy Wilder) nel luogo di sepoltura.
A me piace ricordarlo, però, anche in altri due film esilaranti, anche se meno universalmente consacrati dalla critica: La grande corsa sempre con Lemmon, e con Peter Falk e Natalie Wood, praticamente un fumetto tanto che diede origine a una serie fortunatissima di cartoni animati, proprio come sempre con Blake Edwards regista La pantera rosa, e Boeing Boeing, in coppia con l'immenso Jerry Lewis.
Molti a questo punto chiuderebbero sulle note della strepitosa sigla di Attenti a quei due, ma secondo me il saluto più appropriato è uno spezzone di un film con Totò e Macario (Il monaco di Monza): occhio anzi orecchio attorno al secondo 15 dello spezzone. Nessuna preghiera sarebbe più adatta.

martedì 28 settembre 2010

PRIMA GUARDARSI ALLO SPECCHIO, GRAZIE

Ho un amico iraniano che venne in Italia a studiare quando c'era ancora lo Scià; la rivoluzione di Khomeini gli creò notevoli problemi personali (anche fisici) e gli impedì per anni il rientro in patria, ma nonostante ciò lui da sempre (lo conosco da vent'anni) mi dice che c'era lo zampino degli americani sia dietro l'ascesa (per colpo di Stato, ai danni di un governo democraticamente eletto) di Pahlavi che dietro la sua caduta. Si faticava a credergli, ma più passa il tempo più penso che dicesse il vero. Molto credibile è sempre stata invece la sua narrazione di una società civile iraniana molto meno bloccata di quanto si possa vedere da qui: dietro la cortina di una rigidità di precetti pubblici, diversi per tipo ma non per sintassi da quelli in vigore presso le società di impianto cristiano prima del sessantotto, si cela un costume privato molto meno ingessato di quanto crediamo, per alcune cose meno del nostro.
Con questo, e con questo post in genere, non è che io voglia e possa negare che l'Iran abbia i suoi problemi in tema di democrazia effettiva e di laicità, anzi dal mio personale punto di vista politico/religioso ne ha tantissimi, ma non ne ha l'esclusiva, e temo che di ciò abbiamo esempi sotto gli occhi su cui il giudizio non può che essere negativo anche prescindendo da un'ottica come la mia:
  • qualche giorno fa parlando del caso Sakiheh ero stato purtroppo facilmente profetico: pochi giorni dopo negli USA è stata giustiziata una donna (peraltro intellettivamente minus habens) per un reato simile a quello dell'iraniana - certo iniezione letale e non lapidazione, ma se per voi fa differenza ecco che adesso Sakineh forse la impiccano, contenti? allora chiedo: dobbiamo mobilitarci solo quando ci fa comodo oppure opporci alla pena di morte dovunque e comunque? e perchè non cominciamo da chi ne ha il record, la Cina? cos'è, i partner commerciali non si toccano?
  • sono anni che i media ce li sfracassano con il nucleare iraniano, ma ammesso e non concesso (le armi di distruzioni di massa di Saddam, mai trovate perchè non c'erano, non sono state di lezione) che stiano tentando di dotarsi di testate con la scusa degli usi civili, sono i primi che lo fanno? e se qualcuno ha diritto di detenere armi nucleari e qualcun altro no, qual'è il discrimine? il grado di democrazia? e allora la Cina? l'essere uno Stato confessionale? e allora Israele? allora chiedo: dobbiamo proibire le armi nucleari solo a chi ci sta "antipatico" o dobbiamo bandirle ovunque? e perchè non cominciamo da chi ne ha di più, gli Usa, solo perchè è dei "nostri"? e siamo sicuri che sarà sempre dei nostri la Russia?
  • sull'undici settembre sono tornato spesso e non mi va di ripetermi se non in estrema sintesi: dall'esame libero e attento di tutto quello che ho visto e letto non posso dedurre cosa sia esattamente successo ma posso affermare con certezza che la versione ufficiale è in molti punti smaccatamente fasulla oltre che logicamente impossibile; se posso dire io queste cose, perchè non può dirle Ahmadinejad all'ONU? perchè è questo che ha detto (ecco un estratto su Megachip, per chi ha pazienza c'è pure la traduzione integrale) e non quello che gli hanno messo in bocca i telegiornali italiani: accusare senza prove gli Usa di autoattentato, per di più in sede e veste ufficiali, sarebbe stato da cretini e infatti il premier iraniano non lo ha fatto, salvo che per i nostri arguti commentatori; ha sottolineato invece che persino negli Usa stessi c'è una gran parte di persone che non crede alla versione ufficiale, ed effettivamente questo pare emerga nei sondaggi, o bisogna aspettarsi di meno da un popolo che è stato capace di eleggere un presidente negro? e allora chiedo: dobbiamo pretendere trasparenza solo da quelli che amiamo chiamare regimi, o da tutti, anzi cominciando proprio dai Paesi sedicenti democratici? se non comincia la "culla della democrazia" a fare chiarezza, a che titolo può pretenderla dagli altri? perchè non promuoviamo in sede Onu una commissione d'inchiesta indipendente sull'attentato alle Torri, con accesso illimitato a tutta la documentazione? magari c'è una spiegazione al fatto fisicamente impossibile che sono crollate su se stesse a velocità di caduta libera, peraltro tutt'e tre, anche quella che non è stata colpita da nessun aereo...
Insomma, va bene che la coerenza non è una virtù, ma qui si esagera. Chi è per una democrazia vera in uno Stato laico (nello spirito dell'articolo 3 della nostra Costituzione) può inorridire per uno Stato dove la politica - così come l'etica pubblica - è guidata dalla religione e le elezioni sono lungi dal rappresentare una reale sovranità popolare. Ma deve farlo per ogni Stato dove queste condizioni si verificano, a cominciare dal nostro, non a piacere. E deve magari cominciare a lottare per questi principi laddove la sua azione può essere maggiormente efficace, cioè a casa propria e dei propri alleati, per poi forte della propria coerenza tentare di esportare altrove questa lotta, per contagio ideale e non militarmente. Chi si fa scudo dietro i propri simboli religiosi e si abbandona voluttuosamente ai propri autoritarismi, invece, perde ogni diritto di interessarsi degli affari interni altrui. Specie di quelli di un grande popolo che magari se lasciato in pace troverà la sua strada verso una società giusta. Se abbiamo qualcosa da insegnare, agli iraniani, abbiamo certo anche qualcosa da apprendere da loro. Alzarsi e abbandonare l'assemblea mentre il loro rappresentante parla e poi riportare sui media travisazioni di comodo di quello che dice non va certo in questa direzione.

domenica 26 settembre 2010

IL TEMPO CHE FA

Si, è vero: iniziative come il No 'ndrangheta day di ieri a Reggio Calabria e il Woodstock a 5 stelle di ieri e oggi a Cesena (qui la diretta) se ne sono sempre fatte e lasciano il tempo che trovano.
Ma il teatrino politico italiano non ha mai toccato un livello così basso, almeno secondo quanto dice l'autore principale della sceneggiatura, che però si affretta a distinguere per contrasto l'azione silente del suo "governo del fare", e qui davvero ci scappa la pernacchia. Si vede a Napoli, in questi giorni, lo stile dell'azione politica berlusconiana, come si è visto all'Aquila e in millanta altre occasioni: sporcizia sotto il tappeto, telecamere accese a mostrare tutto lindo e quanto siamo bravi, poi via a farsi i cavolacci propri e che i problemi tornino pure a mostrarsi a video spento, chissenefrega. Ponti, centrali nucleari, proclami vuoti sulla lotta all'evasione e "pieni" sull'evasione come diritto, la crisi che ci ha colpiti meno ed è già finita, e intanto la disoccupazione cresce, e le cifre reali sono ancora una frazione di quelle ufficiali.
Il guitto insomma gioca ancora la sua prima cara vecchia carta "la politica è tutto uno schifo, ora arrivo io che metto a posto tutto", evidentemente c'è qualcuno che ci crede ancora. Altrimenti non vedo come sia possibile che uno possa con una mano scatenare i suoi mastini in una cagnara senza tregua intorno alla proprietà di un appartamento tra parenti e paradisi fiscali, e con l'altra denunciare la canea stessa come fosse opera altrui, quando inoltre lui stesso non ha mai voluto rispondere sulle società offshore di cui si è avvalso per mettere su il suo presunto impero e su dove diavolo ha preso i soldi all'inizio: d'accordo, davanti al giudice hai diritto di avvalerti della facoltà di non rispondere, ma davanti a degli elettori democratici cavolo no, o me lo spieghi o anche se sono di destra non ti voto. Chi lo sa che ci sono un paio di processi da cui risulterebbe che è proprio la mafia ad averglieli dati, quei soldi? Solo chi legge Travaglio e spulcia nel web, ma è così, e in quasi ogni altro Paese al mondo un Berlusconi se anche fosse stato dichiarato eleggibile la prima volta (e non lo era, a norma di legge, in quanto concessionario pubblico: la norma sul conflitto di interessi c'è ed è stata ignorata, altro che mancare) si sarebbe dimesso per tentare di dimostrare la propria estraneità a così gravi responsabilità penali, e se no sarebbe stato costretto a furor di popolo a dimettersi fino a che non avesse chiarito di non avere nemmeno responsabilità politiche.
Insomma, Gianfrà, se non ti vuoi documentare sull'origine delle fortune berlusconiane sui libri di Travaglio, che se contenessero una sola virgola di inesattezza sarebbero costati carissimo al suo autore a forza di querele, fatti due risate con questo suo pezzullo e appuntati le righe che parlano delle Cayman e delle 64 società offshore, indici una conferenza stampa e dici chiaro chiaro: facciamo una legge, oggi, che chi non riesce a chiarire la provenienza dei suoi beni fino all'ultimo centesimo, case comprese certo, viene dichiarato ineleggibile e se eletto viene dimissionato. Oppure, facciamo un faccia a faccia con Vespa e Santoro, ognuno si noi due si porta un avvocato di fiducia, e parliamo degli affari all'estero di entrambi, sia mai la gente pensi che siano loschi. Chissà perché non lo fa, speriamo che sia solo per la vergogna di avere fatto da spalla per quindici anni a un siffatto capocomico.
E allora, sarà pure che Grillo è un anziano comico che finge di voler entrare in politica per fare ancora più soldi, sarà pure che una manifestazione con troppi gonfaloni rischia di essere l'ennesima foglia di fico davanti alle vergogne di un corpo sociale che ormai morirebbe se gli venisse asportato il tumore 'ndrangheta, ma le persone che ci vanno, a Cesena a Reggio e dovunque si venga chiamati alle armi di questa guerra civile contro la mentalità mafiosa (e quindi contro la classe politica che ne è frutto), sono una bella notizia. Come un giorno di sole dopo venti che piove.

giovedì 23 settembre 2010

NIENTE PAURA

Sono entrato con qualche riserva al cinema per vedere un film di Ligabue, ne sono uscito molto contendo di avere visto un film di Piergiorgio Gay. Il quale - azzardo - secondo me quello che aveva da dirci avrebbe potuto benissimo dirlo senza appoggiarsi alle canzoni di Ligabue, persino a quella che ha dato il titolo al film, Niente paura. Ma non avrebbe avuto la stessa eco, e la stessa incisività, e insomma anche se solo fosse una paraculata promozionale del regista/sceneggiatore e/o della produzione e non una scelta artistica imprescindibile (come poi magari è, chi lo sa, non è questo il punto), sarebbe buona e giusta: in sala c'era una comitiva di adolescenti attratte dal Liga, e anche se una solo di loro, contagiata da quel morbo di nome pensiero, avesse partorito mezza idea "giusta" a seguito delle affabulazioni dei veri protagonisti del film che come lo stesso Ligabue ammette sono gli intervistati, sarebbe stata cosa buona e giusta l'aver cavalcato la fama del cantautore di Correggio.
Ad esempio, ad un certo punto Paolo Rossi se ne esce con una provocazione delle sue: hanno trasformato con una strategia precisa il popolo in pubblico, ammesso che esista una strategia inversa e si trovi chi la voglia e possa attuare, poi sarebbe necessaria una cosa "un po' di destra, e vabbè", una polizia culturale che giri per strada a chiedere a persone a caso una poesia di Leopardi o la trama dei Promessi Sposi, e se non la sa la rinchiudono a studiare. Ecco: gli interventi dei vari Don Luigi Ciotti, Margherita Hack, Giovanni Soldini, Fabio Volo, Stefano Rodotà, Beppino Englaro, più altri personaggi meno conosciuti tra cui la figlia di Guido Rossa o sconosciuti del tutto, erano tutti di questo livello, e si perdonano anche quelli un gradino sotto come Carlo Verdone e Javier Zanetti (ecco una scelta certamente di Ligabue...), se intanto mi hai fatto risentire Giovanni Falcone e Sandro Pertini. E senza Ligabue a fare da sirena prima e colonna portante (non solo sonora) poi, quelle voci forse si sarebbero perse nel nulla, invece che ricordarci che un'altra Italia esisteva e potrà esistere.
Insomma, rispetto al piduista attuatore dei piani del capo della sua loggia, che prevedevano il controllo della televisione e attraverso questa l'instupidimento delle coscienze a svuotare di significato il concetto di democrazia (in questi giorni è il grande Chomsky a spiegarci come), c'è stato un "prima" e dunque ci sarà - anche se Veltroni ci mette tutto il suo impegno ad ostacolarlo - un "dopo". Niente paura, perchè come diceva Paolo Borsellino:
"chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola".

lunedì 20 settembre 2010

IL MIO PODERE

Daniele Furlan è un ragazzo tetraplegico a seguito di un incidente stradale: uno degli esempi della distorsione che abbiamo tra la percezione dei pericoli e la loro reale consistenza statistica. Temiamo più gli zingari, ad esempio, che le automobili, quando invece a pensarci bene di persone uscite malconce da un campo nomadi non ne conosciamo, ma dalle lamiere della propria auto, per propria o altrui colpa non conta, invece si. Il caso di Daniele è dunque tragicamente "normale", quello che non è normale - o forse invece magari si, in un certo senso, bisognerebbe conoscere tutti gli altri per poterlo dire - o comunque è da segnalare è come Daniele ha reagito agli eventi.
Un po' ve lo dico adesso: tra l'altro, ha scritto un libro. Il resto lo scoprirete sul canale youtube di Daniele, e ancora di più se comprate e leggete il libro. Che parla delle due vite di Daniele con in mezzo l'incidente: la prima è la storia di un giovane di famiglia operaia che grazie alle sue capacità e alla sua ostinazione riesce a diventare un piccolo imprenditore, senza perdere il contatto con gli amici e come tutti districandosi in situazioni familiari e sentimentali complicate; la seconda è la storia del ritorno ad una quotidianità almeno accettabile, che comporta lunghi periodi di degenza ospedaliera, nei quali il dolore è una costante e la perdita della ragione è sempre dietro l’angolo: una nuova vita in cui la scala delle priorità viene del tutto ribaltata, e il rapporto con gli altri si svolge in un contesto completamente cambiato.
Il libro si chiama Il mio podere, edizioni Albatros - Il filo 2010 (ISBN 978-88-567-1121-9), e si può acquistare presso le librerie del gruppo Ugo Mursia (qui il motore di ricerca), oppure direttamente in Internet.
Se non bastasse tutto quanto detto per comprarlo, sappiate che i diritti d'autore di Daniele sono interamente devoluti all'associazione La colonna per la ricerca nel campo delle lesioni spinali, per cui fate i bravi, e passate parola!

venerdì 17 settembre 2010

NESSUNO TOCCHI ABELE

Allo squallore e alla gretezza non c'è migliore risposta che la poesia. Perciò questo post si chiude col testo e col video di una delle canzoni più belle mai scritte dall'immenso Fabrizio De Andrè (musica di Fossati) nell'intepretazione meravigliosa che ci ha regalato Ginevra Di Marco: Khorakhanè (a forza di essere vento). Ma prima necessita essere duri, e allora non risparmiamogliele, al nano francese (frettolosamente spalleggiato, per opportunismo elettoralistico ma anche per gratitudine nucleare, dal nano italiano), che dobbiamo ringraziare perchè ci vuole ogni tanto qualcuno che ci ricordi (e magari lo ricordi anche a quelli del PD, che litigano sul nulla) che differenza c'è tra destra e sinistra, ad esempio nella percezione del "diverso". Laddove "nano" non allude, come guardandoli potrebbe sembrare, alla statura in centimetri, che ovviamente nulla significa nonostante l'ironica battuta sempre di De Andrè a proposito di Un giudice che preconizzava un Ministro, bensì alla statura intellettuale e morale, che si dimostra una volta di più rasoterra.
Gli zingari, signori miei, sono il passato e il futuro dell'umanità, sono "il punto di vista di Dio", che per chi ci crede amava più Abele che appunto per invidia fu ucciso da Caino, e per chi non ci crede il racconto biblico è metafora del millenario scontro tra le civiltà nomadi e quelle stanziali, vinto "militarmente" da queste ultime. E il paradiso terrestre fuori di metafora era il mondo fin quando alla tribù retta dal matriarcato bastava raccogliere quello che trovava e cacciare gli animali nel territorio dove si era installata, per poi spostarsi da un'altra parte quando quel territorio non era più sufficiente lasciandolo a rigenerarsi. Mondo che entrò in crisi dove e quando la relativa scarsità di risorse rispetto alla popolazione provocò il bisogno che aguzzò l'ingegno degli uomini che divennero agricoltori e allevatori (e guerrieri e patriarcali). E lo scontro tra le due civiltà, tra Caino e Abele, arriva ai giorni nostri attraverso mille e mille fasi, ad esempio quando i Greci giunsero da noi in cerca di territori dove stanziarsi e scacciarono i nomadi italici cintando foci di fiumi e porti naturali, o quando i più affamati degli europei iniziarono la cosiddetta conquista del west a spese dei nomadi pellerossa perpetrando forse il più grande genocidio della storia umana. I quattro gatti che ai giorni nostri portano ancora tracce della cultura nomade, imbastardite dalla loro trasformazione in sottoproletariato urbano, sono invece ancora abbastanza numerosi, secondo i poveracci che li temono e i bastardi che rinfocolano e strumentalizzano questo timore, per giustificare persecuzioni, tanto loro non hanno nessuna lobby in grado di influire anche su Hollywood come gli ebrei, e l'olocausto degli zingari, impressionante per quanto minore per numero di morti - ma superiore in percentuale, non ce lo racconta nessun film.
Vaffanculo, bastardi razzisti, che state trascinando il mondo oltre che al degrado morale anche alla rovina materiale, riconsegnandolo così senza rendervene conto proprio ai nomadi, gli unici in grado di ripopolare la Terra quando la civiltà del petrolio e dell'uranio avrà finito di distruggerla.
Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento,
a quel campo strappato dal vento,
a forza di essere vento
porto il nome di tutti i battesimi,
ogni nome il sigillo di un lasciapassare,
per un guado, una terra, una nuvola, un canto,
un diamante nascosto nel pane,
per un solo dolcissimo umore del sangue,
per la stessa ragione del viaggio: viaggiare.
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso,
qualche rom si è fermato - italiano -
come un rame a imbrunire su un muro.
Saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura,
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura,
finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace.
I figli cadevano dal calendario,
Jugoslavia Polonia Ungheria,
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via,
e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere e a bere,
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere.
Ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare:
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare,
e se questo vuol dire rubare,
questo filo di pane tra miseria e sfortuna,
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio.
(Poserò la testa sulla tua spalla
e farò un sogno di mare,
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra diventi casa.
Chi sarà a raccontare?
Chi sarà?
Sarà chi rimane.
Io seguirò questo migrare,
seguirò questa corrente di ali.)

mercoledì 15 settembre 2010

CHI VUOL ESSER COMPLOTTISTA

Sull'11 settembre ci sono tornato spesso - si tratta di una questione cruciale per la democrazia, la libera informazione e il libero pensiero, oltre a essere stato un punto di svolta (ovviamente in peggio) per il mondo - e non ho molto da aggiungere nel merito a quanto ho elencato nel primo anniversario a blog aperto, due anni fa. Ora che persino Le Monde ha ospitato una voce critica, anche se tra le meno incisive, e che pare addirittura che i sondaggi dicano che la maggioranza degli americani NON crede alla versione ufficiale, ci torno ancora un attimo per due motivi:
  1. voglio completare il discorso fatto a proposito di Sakineh sulla condizione femminile, con i dati riportati da Mazzucco su Luogocomune relativi alla guerra in Iraq: lasciamo un Paese in ginocchio, senza nessuna speranza non dico di darsi l'ordinamento democratico che si fanfareggiava stessimo esportandovi ma nemmeno un qualsiasi ordinamento stabile, depradato delle proprie risorse naturali il cui accaparramento era il vero obiettivo ed è l'unico risultato di un conflitto in cui l'occidente ha sulla coscienza oltre un milione di morti innocenti;
  2. sullo stesso sito di controinformazione, c'è un divertente finto-test per scoprire se sei un complottista o no: rispondendo sempre si, scorrerete tutto l'elenco delle domande a cui se con elementare senso comune rispondeste di no verreste appunto bollati come "complottisti", domande che nessuno dei difensori ad oltranza delle ricostruzioni ufficiali si è mai fatto, per evidente difetto di logica o peggio per malafede.
Purtroppo Internet è piena zeppa di idioti che abusano con le loro minchiate della libertà di pensiero (ammesso che ne abbiano uno), ed è gioco facile per chi vuole neutralizzare voci scomode ma fondate fare di tutta l'erba un fascio etichettato come "complottismo", ma la costante presenza in tv di trasmissioni come Voyager e conduttori come Giacobbo (non parlo di Minzolini) dimostra che il virus è transmediale, e dunque a prescindere dal mezzo non abbiamo alternative al paziente esercizio del discernimento caso per caso. Mettiamo allora da una parte le cose di cui possiamo essere certi e da un'altra quelle di cui abbiamo ancora dei dubbi, e ripassiamo:
  • è certo che la versione ufficiale degli attentati alle torri gemelle è falsa come una banconota da 7 euro,
  • è certo che non c'erano in Iraq le armi chimiche e batteriologiche che invadendolo avremmo dovuto neutralizzare,
  • è certo che in Afghanistan e in Iraq: ci sono state in totale forse due milioni di vittime innocenti, le condizioni di vita materiale delle popolazioni sono drammaticamente peggiorate, la condizione della donna è enormemente subalterna (a Kabul come prima, a Bagdad molto peggio di prima), quello che ha a che fare con petrolio e gas naturale è passato sotto il controllo americano,
quindi
  • è certo che le due guerre in questione sono state avviate con motivazioni fasulle e hanno avuto come effetto l'appropriazione di risorse naturali, tanto che è legittimo dedurre che sia proprio quest'ultima la motivazione reale.
Sul resto posso discutere, ma solo con chi condivide queste elementari deduzioni. Chi non mette le cose reali nel mondo della realtà, le supposte se le metta dove alludeva il grande Totò...

domenica 12 settembre 2010

SAKINEH E IL 12 SETTEMBRE

L'attivismo del Ministero delle Pari Opportunità
Sai chi è Sakineh? La risposta è no. Nessuno lo sa davvero, nemmeno molti di quelli che ne hanno fatto un simbolo della lotta contro la barbarie e per la condizione della donna. Pare si tratti di un'adultera, e la cosa provoca già un brividino nel maschio italico che - non dimentichiamolo - fino a pochi decenni fa poteva ammazzare impunemente la sua donna in caso di adulterio (si chiamava "delitto d'onore"), e che sia stata mandante e/o complice nell'assassinio del marito. Ora, da quest'ultima accusa qualcuno dice sia stata scagionata, altri no; la seconda ipotesi regge un po' di più, altrimenti la pena capitale o è illogica oppure dovremmo averne molte di più e figurarsi come sguazzerebbe certa stampa occidentale se l'Iran lapidasse tutte le sue adultere.
Se dunque siamo dalle parti di un delitto, la questione si allarga e si complica: cosa succederebbe a un'americana o cinese nella stessa situazione penale? Forse proprio la stessa cosa: esecuzione capitale, solo con un'igienica iniezione o una spettacolare impiccagione. Allora è la barbarie della lapidazione il problema? E quante volte allora questa viene usata ad esempio in Arabia Saudita, assieme magari alla decapitazione che non è che sia poi così elegante? Perché dunque sui media abbiamo proprio il caso Sakineh?
Apparentemente, perché il figlio della condannata è riuscito a bucare l'isolamento mediatico facendo pervenire in occidente un legittimissimo appello a salvare la vita alla propria genitrice. E una serie di condizioni e regole dei mass-media fanno si che questi si siano buttati sulla notizia: una sua eco avrebbe "pagato". E intendiamoci, se alla fine tutto ciò sarà servito a evitare un'esecuzione, anche solo questa mentre centinaia di altre vanno avanti nel silenzio mediatico, ne sarà valsa la pena: se non vogliamo dire religiosamente che ogni vita è sacra, diciamo allora psicosocialmente che ogni vita è "la" vita, e tanto basta. L'ordinamento giudiziario di una democrazia che si rispetti deve prevedere, come il nostro fa, il concetto di pena come percorso riabilitativo dell'individuo, e da questo punto di vista sono molto più gravi - se così si può dire - le esecuzioni nei sedicenti democratici Stati Uniti che quelle nell'assolutista Yemen (per un quadro complessivo vedi Amnesty international). Ma tutto ciò non risponde alla nostra domanda iniziale (che, si badi bene, andrebbe mantenuta a maggior ragione - per questioni quantitative - se fossimo in presenza di un semplice adulterio): perchè proprio Sakineh?
Andreotti, che in questi giorni è tornato alla ribalta della cronaca per una sua agghiacciante battuta sull'avvocato Ambrosoli ("se l'andava cercando"), e ci fosse stato un TG che avesse sottolineato che uno che è stato accusato di essere il mandante di un omicidio non è carino che anche quando assolto si metta a fare battute del genere sull'ammazzato (d'altronde, nessuno dice mai che c'è una sentenza definitiva che dice che Andreotti è stato per decenni in combutta con la mafia ma il reato è prescritto fino a una certa data e dopo non è sufficientemente provato, e invece NON dice che è innocente come sicuramente avrete sentito se vi informate solo in tv); dicevo il "divo Giulio" in altri tempi era capace di battute ben più felici, come la notissima "il potere logora chi non ce l'ha" e la meno nota ma più al caso nostro "a pensare male si commette peccato ma spesso ci si azzecca". E allora IO PENSO MALE. E dico fermamente che bisogna essere contrari a tutte le pene di morte con qualsiasi modalità in qualsiasi Paese specie se sedicente democratico. E che bisogna badare alla condizione di tutte le donne in tutte le sue accezioni in qualsiasi Paese specie se dichiaratamente paritario.
Invece, invece... Invece come oggi nove anni fa un figlio di papà occasionalmente Presidente degli Stati Uniti dichiarò che a buttar giù le Torri gemelle era stata un'organizzazione guidata da un arabo figlio di uno sceicco amico di suo padre (chissà, magari i due pargoletti giocavano persino assieme, mentre i grandi discutevano dei loro affari petroliferi...) tramite un commando di terroristi arabi egiziani eccetera tra cui 4 piloti addestrati sui piper i cui documenti erano stati trovati, immediatamente - in due cumuli di macerie dove non si sarebbero mai trovati nemmeno tutti i corpi, appena bruciacchiati laddove la temperatura era invece stata sufficiente a fondere travi d'acciaio larghe metri. Secondo loro, perchè invece secondo la fisica non c'era quella temperatura e i crolli come li avete visti possono avvenire solo a seguito di una demolizione controllata. Ebbene, seppure tra i presunti terroristi non ci fosse nessun cittadino dell'Afghanistan, con la scusa che il presunto mandante si nascondesse proprio lì, e si può parlare di "scusa" finchè non ce lo trovano - e in nove anni e milioni di civili uccisi non ce l'hanno trovato, hanno invaso l'Afghanistan iniziando una guerra che forse non finirà mai e sicuramente non avrà mai un vincitore. Ma è riguardando la storia dell'Afghanistan che si vede la corda delle menzogne occidentali: una monarchia assoluta rovesciata da un socialista odiato dai religiosi ma malvisto anche dai sovietici, che quando fu ucciso invasero il paese, e contro i quali furono finanziati e addestrati dagli occidentali (con l'apporto economico e personale di amici arabi, in testa l'Osama Bin Laden in questione) i fondamentalisti islamici padri di quei talebani che qualche anno dopo divennero "i nemici".
Ecco, è proprio questo il momento in cui vorrei focalizzassimo la nostra attenzione: vi ricordate a un certo punto, un annetto prima dell'attentatone alle twin towers, quale divenne l'argomento principale di tutta la stampa mondiale? La condizione delle donne afgane. Fu allora che sapemmo del burqa, che compariva nelle sue varie versioni sulle copertine di ogni magazine. Delle donne saudite, in condizioni peggiori ancora adesso, non ce ne occupammo allora e non ce ne saremmo occupati mai. Nemmeno di quelle del Kuwait, che se dieci anni prima non avessimo impedito a Saddam di annetterselo sarebbero state proiettate secoli avanti d'incanto, come oggi le donne irachene sono state proiettate secoli indietro dalla nostra nuova guerra d'occupazione. E le donne afgane non hanno fatto un solo passo "in avanti" da quando occupiamo il loro Paese e sterminiamo loro, i loro mariti e i loro figli, ma voi della loro condizione non sentite più parlare: li là narrazione è la nostra sedicente "missione di pace". Serve ancora qualcosa per dimostrare che a noi occidentali della condizione delle donne (nemmeno delle nostre, guardate la velinocrazia e i femmicinidi) non interessa nulla, salvo strumentalizzarla quando ci serve un pretesto per attaccare uno Stato sovrano?
Speriamo che a pensare male stavolta io mi stia sbagliando, o il caso mediatico Sakineh dimostra soltanto che si sta preparando la guerra all'Iran. Che non è l'Afghanistan o l'Iraq, però: occhio che lì le cose andranno molto ma molto peggio....

venerdì 10 settembre 2010

LO STILE DI ROSETTA

Tengo questo blog per pura passione, eminentemente "politica" nel senso alto del termine, quello che mi hanno insegnato in una scuola ancora forse non rovinata da tante "riforme". La remunerazione è l'attenzione dei non molti ma crescenti lettori, che commentano più su Facebook che qui e sono più numerosi tramite Net1news che direttamente da qui: è normale. Oggi è successa una cosa che invece non è normale, e che anche fossi costretto a chiudere domani quest'avventura, con le ore che gli ho dedicato spesso sottratte al sonno (per diletto è anche perdi letto), la rende degna di essere stata vissuta. Ho avuto l'onore di ricevere questo messaggio, col permesso di pubblicarlo, ma il suo posto non è tra i commenti al post precedente ma in un post a sé, da adesso il primo nella mia classifica personale:
Sono Rosetta Neto Falcomatà, moglie di Italo Falcomatà. Ho avuto modo di leggere la pagina da Lei intitolata "Purtusa". Le scrivo innanzitutto per congratularmi per l'analisi precisa e puntuale che ha fatto della storia della nostra città: la memoria che Lei ha delle vicende politiche che si sono susseguite dalla rivolta di Reggio ai nostri giorni non fa una grinza e risulta ancor di più ammirevole anche per il fatto che Lei non vive in questa città ma viene raramente e, mi pare d'aver capito, in questi ultimi tempi malvolentieri. La volevo in ultimo ringraziare per il bel ricordo che conserva di mio marito: le sue parole oltre ad essere rispondenti al vero lasciano trapelare una sincera ammirazione e stima per l'uomo oltre che per l'amministratore. Dopo la morte di mio marito è stata creata la Fondazione Falcomatà, il cui obiettivo principale è coniugare, attraverso le varie attività, il ricordo e la speranza. Quanto Lei ha scritto è una spinta a continuare.
Che dire? Sono commosso, oltre che a mia volta "spinto a continuare". Grazie, signora Rosetta. Si vive e si lotta proprio per queste "piccole" cose.

giovedì 9 settembre 2010

PURTUSA

Non mi era capitato finora di parlare così spesso della mia città natale, e tre degli ultimi quattro post è forse davvero troppo, ma non è colpa mia se l'altro ieri su L'Espresso è uscito un notevole reportage su Reggio dal titolo significativo Al Sud c'è un buco nero (in reggino, purtusu niru, plurale purtusa in a come nel neutro latino). E' perfino contrario agli "scopi costitutivi" di questo blog fare da richiamo anzichè a uno dei tanti piccoli semisconosciuti siti di controinformazione ad un giornale di quella notorietà e diffusione, ma davvero l'articolo deve essere letto, da chi voglia capire cosa sta succedendo da quelle parti.
La cronaca politica di questa estate parla di un Sindaco Facente Funzioni, fino a ieri stretto collaboratore del Sindaco uscente e oggi Governatore della Calabria Peppe Scopelliti, che apre una crisi politica sollevando con parole pesanti un gran polverone mediatico per poi misteriosamente farla rientrare come se nulla fosse, perchè - almeno a sentire la voce della strada - se davvero fosse arrivato un commissario prefettizio, anche bendisposto, più di qualcuno avrebbe rischiato la galera. La quotidianità facilmente riscontrabile de visu parla dell'unico capoluogo di provincia italiano senza il gas di città, dell'acqua dai rubinetti che in molte zone ancora manca spesso e quando c'è è salata, di un dissesto idrogeologico che salta all'evidenza alla prima pioggia seria e di uno abitativo che verrà purtroppo evidenziato dal prossimo terremotone, di un'enorme disoccupazione giovanile, e di tante altre cose appunto raccontate meglio di me dal settimanale di Repubblica.
Quello che io posso aggiungere è un po' di memoria personale, come tale magari imperfetta ma credo ugualmente significativa:
  • Reggio negli anni 60 era una cittadina liberty piccola bella elegante pulita e vivace, e se i ricordi di un bambino possono essere deformati essi sono confermati dai racconti di tutti coloro che li hanno vissuti già adulti, ma proprio tutti: basta chiedere a un sessanta/settantenne a caso;
  • la rivolta del 1970 non fu, come ancora in troppi preferiscono asserire, una cosa pilotata dalla destra eversiva, se non nel senso della famosa "mosca pilota" in groppa all'elefante; fu invece una rivolta popolare di massa con una motivazione giustissima sia in linea di principio (in tutte le Regioni tranne Calabria e Abruzzo il capoluogo fu lasciato dov'era sugli atlanti, nei libri di scuola e nella percezione comune, e anche gli aquilani fecero le barricate quando fu spostato a Pescara ma a loro diedero subito ragione) che in linea di fatto (non era vero, come fu detto, che si trattava di un "pennacchio" senza valore: lo sviluppo nel Sud passa per il potere politico e la gente lo sapeva, che quel passaggio di simbolo significava decenni di abbandono per la propria città), una rivolta di tutti i reggini cavalcata dalla destra per colpevole mancanza degli altri schieramenti, salvo all'inizio la sinistra anarchica;
  • nei 23 anni successivi a quei fatti, la città languì nel più totale abbandono; unica "presenza", i lavori per l'intubazione della ferrovia nel lungomare, un'idea sbagliata a priori: rifare il tracciato "a monte" e riprogettare totalmente il waterfront sarebbe stato molto più logico e rapido, oltre a non creare i problemi alle falde acquifere e allo scarico dell'acqua piovana e torrentizia dovuti a quella galleria, rimasta peraltro un mostro di cemento nudo fino alla seconda metà degli anni novanta, a rendere impraticabile al passeggio il litorale;
  • in tutto quel periodo, la città non aveva nessuna occasione di svago per i suoi ragazzi nè attrazione turistica, i Bronzi di Riace costituirono un'eccezione per un periodo brevissimo e chi veniva a vederli non si fermava manco per pranzo figurarsi per una o più notti, la gente continuò a comprare le bombole per il gas (ancora oggi la maggioranza non ha il gas di città) e cominciò a rifornirsi di acqua alle fonti (la montagna alle spalle è ricchissima di falde) perchè i rubinetti spesso tacevano o davano acqua salata (e ancora oggi per molti è così, il nuovo acquedotto ha risolto i problemi solo in parte), e tutto ciò si aggiunge ai problemi invece comuni al resto del Sud Italia, disoccupazione con conseguente emigrazione giovanile in testa, anche perchè dal 1970 al 1993 si sono susseguite infinite crisi politiche commissariamenti scandali eccetera, insomma non c'era nessuna guida politica;
  • in mezzo a tutto questo, la criminalità passa attraverso alcune fasi: ricordo un periodo in cui saltavano i negozi a decine (una bomba a un ristorante sotto casa ci svegliò di notte buttando giù tutti gli infissi), segno di un racket imperante mentre l'allora presidente della Reggina Calcio e titolare di un'agenzia di vigilanza privata dichiarava ai giornali che a Reggio il racket non esiste, seguito da una guerra di mafia che fece centinaia di morti in pochi anni, con periodi in cui si aveva in media un morto al giorno tanto che era statisticamente probabile trovarsi prima o poi dalle parti di un'ammazzatina (a me capitò di vedere i resti di un tipo spalmati freschi sulla facciata di una palazzina), mentre in provincia si effettuava la transizione dalla 'ndrangheta rurale dei rapimenti a quella internazionale della droga e della finanza: secondo voi, in questo quadro c'è da stupirsi se a quasi nessuno della mia generazione è venuto in mente di avviare un'attività imprenditoriale?
  • nel 1993 all'ennesima crisi mette "riparo" (tradendo peraltro anni di campagna giornalistica per l'elezione diretta del sindaco tenuta con la collaborazione di un manipolo di giovani entusiasti tra cui il sottoscritto) Giuseppe Reale, ma il suo tentativo naufraga presto lasciando spazio a Italo Falcomatà, professore comunista che rivela presto doti tali da garantirsi nel 97 la rielezione al primo turno - vera iattura, la legge elettorale aveva un bug: se vincevi al primo turno non prendevi il premio di maggioranza e quindi avevi difficoltà a meno di non avere avuto una maggioranza bulgara, cosa che però avvenne nel 2001, poco prima che una leucemia fulminante ce lo portasse via; quella stagione è stata meritatamente chiamata "primavera di Reggio", e se è vero che potè avvenire anche grazie ad un ingente afflusso di soldi pubblici è anche vero che fu l'unica volta (e la cronaca odierna è qui a testimoniarlo) che quelli furono usati nel modo giusto, e non solo nel senso che furono negati agli appettiti degli amici e degli amici degli amici.
Di quello che succede dalla morte di Falcomatà in poi parla meglio L'Espresso di me, che da quando nell'86 ho cominciato a vivere altrove torno sempre meno spesso e potrei essere prevenuto nel giudicare quei segnali negativi che registro ogni volta, dai gazebo in cemento e acciaio a deturpare (nella foto) il lungomare fatto ristrutturare da Italo e a lui intestato, al degrado crescente delle periferie grazie anche ai nuovi condoni governativi, dall'immenso spreco del tapis roulant (con i soldi per realizzare e mantenere il quale si sarebbero potuto pagare trasporti pubblici elettrici gratuiti per tutto il centro storico per decenni) alla buffonata bipartisan di appiccicare l'etichetta di Città metropolitana a una realtà geografico-politica di tutt'altro tipo, dal pozzo senza fondo di un ponte che non si farà mai (e meno male) alla finta privatizzazione dei trasporti sullo Stretto con costi per l'utenza quadruplicati e servizi peggiorati su mezzi sempre più fatiscenti (ma si chiama Metromare, e allora...!), fino alla movida con eventi mondani annessi a spese dell'erario mentre i servizi fondamentali alla popolazione continuano ad essere inesistenti. Di acqua e gas ho già parlato, di asili nido e ospedali meglio non parlare, gli autobus ora sono amaranto ma sono rari e vuoti come sempre: il riggitano prende l'auto anche per 200 metri e per andare a passeggio in via marina (tra parentesi, Falcomatà l'aveva chiusa al traffico serale e notturno, d'estate), anche se le strade già a un chilometro dal centro sono tutte purtusa purtusa. Come dire tutte buchi, nel buco nero.

martedì 7 settembre 2010

MUOIA SANSONE

No alla legge Porcellum. Mai più al voto con questa legge elettoraleA commento della rottura del 29 luglio, avevo dato le mie quote sugli scenari che si aprivano; forse è ancora presto, ma gli avvenimenti di questi ultimi giorni pare mi diano ragione, purtroppo: è sempre più probabile che si voti entro dicembre, e in questo caso è certo con la vecchia legge e probabile con il solito vincitore. Che stavolta interpreterà la cosa come un plebiscito personale, e avrà mani libere nella sua opera di demolizione della Costituzione, formale dopo che materiale. Le ultime speranze di evitare questo scenario stanno proprio nella Costituzione stessa, che prevede che il Presidente della Camera non possa essere dimissionato da nessuno, e che il Presidente del Consiglio non possa sciogliere le Camere, bensì debba, preso atto di non avere più la maggioranza, limitarsi a rimettere il mandato al Presidente della Repubblica, il quale a sua volta deve consultare i gruppi parlamentari, eventualmente conferire un mandato esplorativo, e se di delinea una possibile nuova maggioranza parlamentare un nuovo incarico di governo a un soggetto che a sua volta deve chiedere la fiducia alle Camere. Solo se questo percorso si rivela impraticabile, il Capo dello Stato scioglie le camere e vengono indette nuove elezioni.
Tutto questo iter richiede del tempo, ed è per questo motivo che ha fretta di avviarlo chi ritiene che se non dà tempo agli avversari di organizzarsi ha più probabilità di vincere. Se si votasse in primavera, infatti, potrebbero innescarsi dinamiche oggi imprevedibili: l'occasione di far fuori il "capo" potrebbe essere ghiotta per i "sottocapi" e i "capetti delle altre famiglie", per usare un gergo da film oleografico sulla mafia... Intanto, tutti coloro che dichiarano di non volere il voto immediato mettono la legge elettorale al primo punto del da farsi; sarebbe consolante, se (non dico tra i vari partiti esistenti o in fieri, ma almeno all'interno di uno di essi, ad esempio il PD) si fosse anche daccordo su quale, di legge elettorale, mettere al posto del porcellum (che, ricordo, è un'assurda proporzionale pura con premi di maggioranza calcolati diversamente per Camera e Senato, collegi grandi e liste decise a livello centrale dai partiti: in pratica, al 95% si sa già chi siederà al parlamento, nominato dai capi anziché eletto dal popolo). Invece no, ognuno ha la sua proposta, e magari fosse perchè è la migliore non dico per il Paese ma almeno per il proprio schieramento: tutti dicono la prima cosa, sono convinti della seconda, e sbagliano persino a calcolare i propri interessi. Con questo andazzo, la probabilità di cambiare legge prima di un voto autunnale è nulla, Berlusconi lo sa, ed ecco i famosi cinque punti del taglione per addossare a Fini anche la responsabilità della caduta del Governo, buona moneta per la campagna elettorale.
In questo quadro, l'unica cosa sensata che si potrebbe tentare è accordarsi, PD IdV UDC e finiani, su una leggina facile facile che dichiari abrogata l'attuale legge e ripristini la precedente: qualsiasi altra proposta richiederebbe, per essere discussa elaborata condivisa proposta e approvata, tempi che non ci sono. Su questa base, sarebbe ragionevole che Napolitano desse l'incarico per un governo a termine, con la missione di portarci al voto in primavera. Altrimenti, prepariamoci a che un 30% di italiani, gli ottusi che ancora credono in Papi e quelli che credono solo ai propri interessi di bottega magari padana, profittando della probabile astensione di almeno 4 milioni di elettori di centrosinistra disgustati dal Pd e dai partitini alla sua sinistra, consegnino il 100% del potere alla cricca del boss di Arcore.
La proposta di ritorno al mattarellum (che, ricordo, è un maggioritario uninominale rovinato da un cervellotico recupero proporzionale ideato per salvare il culo ai big trombati nei collegi) è di Libertà e Giustizia, che però prevede sia attuata attraverso una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare che è out sia per i tempi, visti i discorsi già fatti, che per i modi, vista la fine che ha fatto quella di Grillo - che ha ben altro potere mediatico, peraltro - ancora nei cassetti di Schifani nonostante l'enorme successo popolare. Firmiamo pure, ma intanto speriamo che chi vuol far fuori Berlusconi si accordi per farla a prescindere, questa leggina.
Nella improbabilissima ipotesi, invece, che le parole di Fini, davvero foriere di una "nuova destra" e non solo frutto di opportunismo politico, portino addirittura a un governo di transizione e autentica "rinascita democratica" (la citazione gelliana è voluta quanto ironica, ma non sarcastica) che si occupi dell'emergenza economica e di una normativa sul conflitto di interessi che spinga Silvio a imitare il suo mentore e godersi il maltolto alle Bahamas o in Libia, cominceremo con calma a parlare nuovamente legge elettorale per decidere serenamente quale sarebbe davvero la migliore per il nostro Paese. Ben sapendo che non si tratta di una questione secondaria, che il gioco è le regole con cui si gioca. Non volendo chiamare ad occuparsene direttamente Sartori potremmo almeno ripassarci la sua lezione, come ha fatto tempo fa Nobili su Contrappunti, concludendo che il maggioritario a doppio turno è in teoria il miglior sistema per l'Italia, come è dimostrato dalle elezioni comunali, perchè contempera l'esigenza di rappresentatività ideologica -ancora molto sentita dagli italiani - con la governabilità, ma appunto solo a patto che contemporaneamente venga varata una seria normativa sul conflitto di interessi (altrimenti il ballottaggio, e relativo premio di maggioranza, lo vince sempre lui...). Ma a prescindere dalla formula scelta, è opportuno che la sua definizione venga fuori davvero da un confronto al più alto livello tecnico, e che venga pure varata una norma costituzionale che vieti in futuro il cambiamento della legge elettorale se non nel primo anno della nuova legislatura: un nuovo porcellum, altrimenti, è sempre possibile... Anzi, vista la propensione del soggetto in questione di considerare i propri interessi privati non al primo posto ma all'unico posto disponibile nei suoi pensieri, direi che è probabile questa come qualunque altra azione alla "muoia Sansone con tutti i suoi filibustieri", per citare ancora una volta il grande Totò.

domenica 5 settembre 2010

RACCOGLIE TEMPESTA

Ho fatto appena a tempo a lasciare la mia terra natia, un giorno in più ed avrei assistito a una quasi-alluvione. E' piuttosto tipico dalle mie parti che a fine agosto, primi di settembre, arrivi un acquazzone ad apparentemente "spezzare" la stagione. Dico apparentemente perché invece più a nord la stagione viene davvero spezzata, e perché invece da noi poi torna il bello e si fanno i bagni migliori, a settembre tutti, a ottobre tanti regolarmente, a novembre se va bene i più coraggiosi. E' altrettanto tipico, perchè la terra è riarsa i tombini ostruiti le strade tutto sommato non costruite per affrontare pioggie copiose come quelle di posti ben più piovosi eccetera, che questo primo acquazzone crei qualche problema: allagamenti di strade e cantinati, fango, detriti, qualche franetta e buca specie nelle frazioni montane o vicino al mare. Succede anche altrove, e allora dov'è la notizia?
Intanto nella misura del fenomeno, un vero e proprio flash-flood che ha visto in due ore rovesciarsi su alcune zone della città la pioggia che ci cade in quattro mesi. Poi, nelle conseguenze sul territorio, che solo per fortuna non sono state tragiche, come dimostrano ad esempio questo reportage fotografico e questo video. Sotto il primo aspetto, è proprio il termine che ci deve far riflettere: è americano, inventato apposta per questi acquazzoni che fanno danni da alluvione, la cui comparsa negli ultimi decenni (prima c'erano solo i due fenomeni distinti), e con crescente frequenza, prova una volta di più i cambiamenti climatici in atto sbugiardando i negazionisti anche illustri. Il secondo, a quasi un anno dalla tragedia sul versante messinese, ci ricorda brutalmente quali sarebbero le priorità per l'area dello Stretto: riassesto idrogeologico di un territorio violentato, altro che ulteriori violenze sotto forma di ponte e strade e ferrovie d'accesso allo stesso.
Non mi stanco di ripeterlo (e parlo per Reggio solo per averne conoscenza diretta, ma di Messina si può dire lo stesso): la città distrutta dal sisma del 1908 ha retto benissimo a due eventi di oltre 5 gradi Richter (del livello di Friuli, Irpinia o L'Aquila, per intenderci) negli anni 70, perché nei decenni precedenti si era costruito secondo piani datati ma saggi e con criteri antisismici. Oggi, dopo 30 anni di condoni edilizi (per non parlare delle opere pubbliche e delle costruzioni scriteriatamente autorizzate), con le colline che poi sono pendici dell'Aspromonte sfregiate nel profilo da infinite costruzioni abbarbicate sulla sabbia e mai ultimate all'esterno (ma con interni lussuosi, potete giurarci), a fare da contraltare ad analoghi edifici sui greti più o meno irregimentati dei torrenti, non credo che un terremoto di quell'entità si risolverebbe con solo tre morti di paura come a gennaio 1975. E se la pioggia torrenziale decide di continuare per giorni e giorni come ad esempio nel 1953, non so quante di quelle case resisteranno a monte piuttosto che scivolare a valle.
L'ultimo bagno prima di partire l'ho fatto snorkelando tra i resti dei paesi inghiottiti dal maremoto del 1908, l'ultimo sguardo dalla tangenziale è sempre per quello skyline che sembra Beirut dopo il passaggio degli israeliani. Poi quando succedono le cose diciamo che è fatalità. Com'era il proverbio? Chi semina vento...

venerdì 3 settembre 2010

SI FANNO IN QUATTRO. VOLTE.

Ho anticipato il rientro dalle ferie di due giorni, sperando di evitare quanto è successo a chi ha imboccato la A3 lunedì 30 agosto, dieci ore da Reggio a Roma per le code ai cantieri e una deviazione sulla ss19 di oltre cento chilometri: oramai il giorno prima e quello dopo al weekend non possono considerarsi partenza intelligente. La notte tra mercoledì e giovedì, invece, la percorrenza torna accettabile, e si ha pure il tempo di tenere due conti, visto che l'anno scorso lo avevo già fatto, così, tanto per vedere se hanno fatto progressi.
Questa la comparazione:


2009 km % 2010 km %
vecchio tracciato 152 34,3% 137 30,9%
cantieri 134 30,2% 114 25,7%
nuovo tracciato 157 35,4% 192 43,3%
totale 443
443

Il tasso di progresso nei lavori ultimati potrebbe farci prevedere la conclusione dei lavori in 5/7 anni, ma sarebbe una deduzione affrettata e superficiale. Già facendo lo stesso calcolo sul tasso di percorrenza nel vecchio tracciato, si arriva alla conclusione che di questo passo solo tra 8 o 10 anni sarà stato rifatto o perlomeno cantierizzato. L'apparente contraddizione è spiegabile dal fatto, già fatto notare l'anno scorso, che hanno cominciato con le parti più facili, appoggiate a terra o su viadotti non impegnativi o gallerie brevi. Il calo dei cantieri aperti è in tal senso molto preoccupante, ed è peraltro maggiore di quanto ho indicato, perché l'altra volta ci ho messo dentro solo i tratti ad una corsia, stavolta anche qualche cantiere breve. Tuttavia, volendo con una sterzata di ottimismo concedere che i lavori saranno completati diciamo tra 10 anni, anziché i 20 che il pessimismo della ragione ci suggerirebbe, il tempo necessario per rifare la Salerno/Reggio alla fine sarà stato di 24 anni, contro i 6 previsti inizialmente. Quattro volte tanto. Ah, e tranne i 40 chilometri più vicini a Salerno, la strada sarà a due corsie come quella precedente, solo più nuova e sicura: e ci mancherebbe anche che non lo fosse, dopo tutti questi anni di disagi per la scelta scellerata di sovrascrivere il tracciato esistente...
Ricordiamocelo quando nell'imminente campagna elettorale l'imbonitore per eccellenza tenterà di appiopparci le sue bufale: un ponte sospeso a campata unica di 3 chilometri e passa, lungo il triplo di quello più lungo mai realizzato, "costruito in sei anni" senza che ci sia ancora nemmeno il progetto definitivo, o delle nuove splendide centrali nucleari, che ci daranno tra tanti anni meno energia di quanta potremmo averne domani con una pesante virata sulla microproduzione diffusa solare ed eolica, e lo faranno a costi che nessuno saprà mai esattamente quantificare. Ricordiamoci anche che una strada mai ultimata rovina economicamente un territorio e fa incazzare chi è costretto a percorrerla, un ponte che crolla deturpa permanentemente un paesaggio e si erge a monumento dello spreco di enormi risorse altrimenti utilmente impiegabili, ma una centrale nucleare che ha dei problemi - come qualsiasi cosa costruita in Italia - potrebbe non lasciarci nemmeno la possibilità di rimpiangere il fatto che abbiamo dato il voto a un ciarlatano.

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