mercoledì 26 maggio 2010

PARALLELO 38

L'attualità della legge bavaglio e la realtà di anni di precariato dicono che non sarebbe stata una scelta saggia, ma io, già da piccolo, da grande volevo fare il giornalista. A poco più di vent'anni, universitario idealista, mi imbattei in Giuseppe Reale, ai tempi già ex deputato impegnato con una casa editrice e una rivista dallo stesso suggestivo nome, Parallelo 38. Esponente democristiano all'epoca di una certa notorietà anche nazionale, figlio adottivo innamoratissimo della sua città di adozione, Reale era stato tra i pochi dell'arco costituzionale a schierarsi con Reggio Calabria nella disputa per il capoluogo di regione, e forse per questo quando lo conobbi io era piuttosto fuori dai circuiti politici dominanti. Tant'è che cominciai a lavorare con lui, nonostante fossimo opposti per età, esperienza, credo religioso e fede politica.
Parallelo 38 aveva per anni combattuto la battaglia ideale dell'europeismo, parliamo dei tempi in cui si sognava una unione politica ed economica prima che monetaria, ma quando mi ci avvicinai io la sua linea editoriale era virata sul mediterraneismo, a seguito della presa di coscienza del fatto che Italia e Calabria fossero periferia d'Europa ma centro del Mediterraneo, e che la geografia e la storia stesse suggerivano dove bisognasse guardare. L'immigrazione era appena cominciata. In quest'ottica, un manipolo di ragazzi entusiasti, tra una correzione di bozze e un'etichettatura manuale per la spedizione, scriveva di sogni come la democrazia elettronica, la lotta alla corruzione e alla mafia, l'elezione diretta del sindaco, per nessun compenso che non l'autoremunerazione ideale e la crescita personale sotto cotanta guida. Così, quando Reale nel 93 accettò di farsi nominare sindaco da un Consiglio comunale in preda alla bufera giudiziaria, di fatto portando Reggio dall'essere probabilmente la prima città a sperimentare un sindaco eletto dal popolo (con la nuova legge elettorale che avevamo salutato come una nostra vittoria) ad essere l'ultima, decisi che non c'era ragione per continuare a collaborare...
Reale è morto 92enne in questi giorni (qui il commiato di Giusva Branca su Strill), ma non ne parlo per rendere pubblico il mio personale cordoglio, pur essendo un blog una sorta di diario pubblico e quindi lecito questo tipo di operazioni. Il fatto è che rintraccio nella cronaca di questi giorni un filo che può riallacciarsi al percorso ideale di Parallelo 38 (nella foto la stele fatta erigere da Reale al passaggio del parallelo, con gli stemmi delle città più famose da lui attraversate: Atene, Smirne, Seul, Cordoba, San Francisco e appunto Reggio Calabria), appena ricordato.
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La crisi greca, infatti, ha messo a nudo la fragilità di una costruzione europea basata essenzialmente sulla moneta, e le contromisure prese sembrano proprio sempre le stesse opportunistiche catene con cui le autorità finanziarie mondiali stanno imprigionando tutti i principi in cui ci hanno insegnato credere. E se non vogliamo sbrigarcela come Barnard, che nel corso di una delle sue analisi peraltro lucida afferma che Prodi è un criminale dimenticando che a farlo si sta in pessima compagnia, dobbiamo essere alquanto analitici.
Della questione greca, e di quella italiana ad essa strettamente connessa, come adesso ammette per interposta persona anche chi trasuda sempre ottimismo per scelta di marketing, c'è infatti da fare una doppia lettura: da un lato, va bene rimarcare - come ho fatto anch'io qui nei giorni scorsi - l'eccessivo potere degli organi monetari sovranazionali e la legittimità di un pensiero politico che miri a ridimensionarlo, attraverso magari anche quella riforma della finanza che si spera non resti un pennacchio elettoralistico di Obama; dall'altro, occorre ritornare con la mente al dibattito sull'introduzione dell'euro e al perchè molti di noi allora furono favorevoli. L'accesso alla moneta unica, infatti, era in quella fase subordinato al rientro in una serie di parametri che implicavano la riduzione drastica del deficit corrente e del debito pubblico: si sperava, allora, in un momento in cui stavamo davvero sfiorando la bancarotta, che la costrizione "fisica" della moneta unica fosse l'unico strumento con cui era possibile ridurre gli italiani a un comportamento virtuoso. Questo non si è compiuto, nonostante incoraggianti inizi, ma per tutta una serie di ragioni che con le sciagurate politiche dell'FMI entrano poco; infatti:
  • gli italiani hanno sopportato per pochissimo tempo di essere governati da chi si ponesse il problema dei bilanci pubblici, mettendo per ben tre volte in sella chi prometteva loro di fregarsene;
  • nel dettaglio, occorreva una morigerazione della dinamica stipendiale dei dipendenti specie pubblici, una riforma delle pensioni, una seria e prolungata lotta all'evasione e alla corruzione; ebbene, la concertazione ha bloccato gli stipendi, mille riforme hanno portato il pubblico impiego a standard accettabili, le pensioni sono state riformate più volte fino a farci smettere di desiderare di campare a lungo, ma l'evasione e la corruzione sono sempre più fuori controllo, toccando vertici mai visti in democrazia, ed ancora oggi si annunciano manovre con questo impianto complessivo: perchè bloccare gli stipendi e non piuttosto, ad esempio, stangare chi ha aderito allo scudo fiscale? è vero, si  mancherebbe alla parola data, ma anche l'adeguamento degli stipendi all'inflazione programmata era stato promesso, ed è meglio ingannare ricchi delinquenti che poveri onesti cittadini;
  • nel frattempo, è stato creato quello che Marx chiamava "esercito industriale di riserva": precarizza di qua, flessibilizza di là, non c'è quasi nessuno in Italia sotto i trent'anni con un lavoro fisso e dignitoso - poveri ragazzi che vengono utilizzati anche per esternalizzazioni di servizi prima pubblici, che guardano in cagnesco quelli più grandi di loro che hanno uno stipendio fisso, e che per avere una casa propria devono sperare nei soldi dei genitori o nella loro dipartita precoce;
  • per guidare l'introduzione dell'Euro il governo Prodi aveva istituito una Commissione che si sarebbe dovuta occupare di gestire la transizione; si trattava di metter su iniziative tipo una verifica generalizzata e dettagliata dei prezzi al consumo e all'ingrosso prima e dopo lo switch-off, ma non sappiamo se la Commissione le avrebbe avviate o meno, perchè questa fu sciolta dal neonato governo Berlusconi appena insediato, al solo evidente scopo di consentire a una parte di cittadini, presumibilmente elettorato proprio, di arricchirsi alle spalle di un'altra parte (fu così che il commercio in pratica applicò un tasso di cambio di 1000 lire un euro), col non trascurabile sottoprodotto di poter dire ai defraudati che la colpa era di chi aveva voluto l'introduzione della nuova moneta (il "criminale" Prodi);
  • il disegno unitario europeo nel frattempo subiva un ulteriore stravolgimento: si preferiva ampliare piuttosto che approfondire, ed anche se l'allargamento dell'Unione non si estendeva automaticamente all'area euro, esso da un lato privava via via di senso i parametri di Maastricht (mettere sullo stesso mercato soggetti con vincoli diversi in termini di virtuosità di bilancio è come mischiare mele marce e mele sane nello stesso cesto: prima o poi avviene un allineamento in basso) e dall'altro allontanava sine die il lato "politico" del progetto, quello che doveva portare dall'unione monetaria all'unione di politiche economiche e fiscali all'unione politica.
In questo contesto, all'interno peraltro di un contesto mondiale di eccessiva finanziarizzazione dell'economia che prima o poi era facile prevedere avrebbe mostrato la corda, l'attacco speculativo ai carri più deboli del carrozzone era solo questione di tempo. Ed eccoci infatti alla cronaca del caso greco, ed alla sua "soluzione" tanto assurda quanto interna alle logiche stesse che hanno portato alla sua esplosione. Prestiti ad interesse, questo stiamo dando ai greci; ma se l'UE fosse uno Stato unitario dovrebbe aiutare le sue regioni più deboli per salvare se stesso, non far si che le regioni meno deboli facciano da strozzine, in attesa che qualcun altro debba fare lo stesso a loro e così via fino ad aver consegnato al Governo Monetario Mondiale le chiavi dell'Unione e delle catene dei suoi sudditi.
Infatti, pochi giorni dopo aver partecipato al "salvataggio" della Grecia recitando il consueto mantra dell'ottimismo, del "noi siamo stati i migliori del mondo nei confronti della crisi per questo ci ha colpito meno di altri" che ci propina da due anni grazie al monoblocco informativo che gli fa da endo ed esoscheletro, Berlusconi improvvisamente ci manda a dire che servono "lacrime e sangue" per "non finire come la Grecia". E di nuovo punta a distribuire lacrime e sangue dove crede di colpire meno il suo elettorato e gli interessi suoi e dei suoi sodali (leggete bene la manovra, è quasi incredibile la faccia di tolla). Deve ringraziare, ancora una volta, soltanto il fatto di non avere di fronte un'opposizione credibile, che in qualsiasi altro paese civile avrebbe fatto occupare le strade e le piazze dai milioni di cittadini che vengono tartassati per consentire ai soliti noti di continuare un altro po' ad ingrassarsi. A parte Vendola, il PD tace (peggio, parla di opposizione responsabile, a un governo di irresponsabili) : non è colpa di Grillo se dobbiamo sentire da lui che prima di toccare i pensionati e togliere l'elemosina agli invalidi bisogna congelare la TAV e il Ponte sullo stretto, abortire il progetto nucleare, abolire TUTTE le province e stoppare il federalismo fiscale almeno fino a che non si scopre la verità su quanto diavolo ci costerà, dimezzare le prebende della Casta e non limarle di un 10% che sa di presa per il culo, eccetera. Ci fosse un soggetto politico con questa linea, quanto elettorato conquisterebbe di quello emerso, e quanto di quello dormiente?
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Torno sulla traccia: dall'Europa al Mediterraneo. Non è vero che il progetto Unione Europea è figlio della globalizzazione a guida finanziaria, perché invece sua madre è la notte di tragedia culminata con la seconda guerra mondiale e suo padre il consesso di idee volto a impedire di ripiombarvi. I monetaristi sono arrivati dopo, ad appropriarsi prima dei Paesi a capitalismo più maturo poi del progetto unionista. Non è un caso, se ammettiamo che il monetarismo e la finanziarizzazione dell'economia sono tentativi estremi del capitalismo di sfruttare fino in fondo, ben oltre la soglia di schiavizzazione dei lavoratori, un modello di sviluppo che ha i suoi limiti nella fisica, perchè è iperbolico laddove il sistema di riferimento in cui agisce è finito, come dimostra da ultimo l'incidente della piattaforma petrolifera in America, che non è casuale ma figlio dell'esigenza di andare a prendere il petrolio dove si è al limite della capacità tecnica per farlo e ben oltre la capacità economica di sostenerne i rischi. Ma il consesso di idee di cui sopra, di cui è figlia anche la nostra Costituzione, sapeva bene queste cose: non a caso l'articolo uno della nostra Carta dice che l'Italia è fondata SUL LAVORO. E' su questo pilastro che avevano fatto leva persino i regimi nazifascisti: la società deve avere a suo fondamento l'elementare concetto che esistono alcuni diritti fondamentali che devono essere garantiti per ogni suo membro, e un lavoro su cui ciascuno possa fondare la sua progettualità è il primo di questi. Gli altri elementi del sistema capitalista devono pertanto essere trattati da variabili dipendenti: è se ciascuno ha un lavoro retribuito sufficientemente e relativamente stabile, che tutto il resto prima o poi va a posto, semmai, se no gli cambiamo posto. Se invece tagli gli stipendi, o fai in modo che non si possa mai averne uno fisso, come diavolo pensi che possa sussistere una domanda interna ad assorbire una qualsivoglia produzione?
Per cui, se si vogliono evitare scenari catastrofici su scala mondiale come quelli descritti qui, delle due l'una: o si fa in modo che l'Europa torni ad essere quella che i suoi padri fondatori avevano immaginato, fondata sul lavoro il welfare e i diritti civili dei suoi cittadini, o il progetto è destinato a fallire miseramente. Se metti a contatto due sistemi, uno in cui i lavoratori sono garantiti e uno dove non lo sono, presto o tardi i lavoratori non saranno garantiti nemmeno nel primo, altrimenti le sue imprese non saranno in grado di competere. L'Unione economica europea nasce perchè questo proposito, se vogliamo protezionista, potesse realizzarsi in un'entità con una massa critica tale da poter esportare il suo modello e contagiare i sistemi con cui veniva in contatto piuttosto che viceversa, ed è esattamente questo che è mancato nella globalizzazione. Si doveva tenere duro, per far si che americani prima e cinesi poi adottassero il nostro modello, anche se questo significava crescere meno sia come numero di Stati membri che come PIL. Non so se siamo ancora a tempo per riprendere quell'antica traccia, ma la crisi mondiale potrebbe essere un'opportunità per farlo. Altrimenti non resta che il piano B: ognuno pensi per se, e l'Italia smetta di guardare all'Europa, metta (cito Reale) un compasso con la punta su Reggio Calabria e il pennino a Milano, e cominci a immaginare un'entità sovranazionale che comprenda i Paesi anche di poco dentro quel cerchio. E chiami - non è una battuta - Chavez come consulente.

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