mercoledì 5 maggio 2010

I RAGAZZI DI TERZA CLASSE

Quando ascolto musica leggera, più che al genere musicale bado al lavoro che c'è dietro. Ho fatto il deejay in radio da adolescente, ai tempi d'oro delle radio libere, quando chi stava dietro i microfoni (si parlava rigorosamente "al buio": senza musica sotto, non tagliando sfumando o disturbando i pezzi), con una mano preparava il disco dopo e faceva il preascolto, con l'altra rispondeva al telefono, con l'altra regolava il mixer, con l'altra risolveva un qualche problema tecnico, ma quante mani avevamo? Più grandicello ho cantato in una band, senza speaker, in locali fumosi, col batterista che picchiava, il pianista che gli stava accanto che non si sentiva e alzava il volume, il chitarrista idem, il bassista pure, e il povero cantante che urlava e gli schioppavano le corde vocali: carriera stroncata, anche perchè tecnica, che ve lo dico a fare, zero. Ma tutta questa frequentazione con la musica mi ha fatto presto sviluppare una specie di sensibilità: quando uno canta, riesco a distinguere quasi subito le sue intenzioni. Se cioè il pezzo che mi propone ha dietro un lavoro da artista, o è solo artigianato (magari ottimo), o peggio solo commercio. Meglio: se davvero il lavoro dietro ha una necessità comunicativa, se il tipo ha esaurito quel tipo di necessità ma ormai vende e quindi si limita a riprodurre se stesso con maestria, o se invece è tutto studiato a tavolino dal marketing team della casa discografica.
Un'altra cosa che è facile capire quando uno si è fatto l'orecchio (bisogna avere il pacco immerso dentro al secchio, diceva Jannacci) è che diavolo ascoltasse da piccolo quell'artista. alcuni esempi di estrema notorietà italiana, per capirci:

  • Carmen Consoli, i Cranberries
  • Elisa, Alanis Morrisette
  • Mark Knopfler dei Dire Straits, Dylan
  • De Gregori, sempre Dylan, e infatti i suoi pezzi arrangiati elettrici sembrano dei Dire Straits
  • Bersani, Dalla (da vicino)
  • Dalla , James Brown
  • Capossela, Conte, e Tom Waits
  • Caputo, Buscaglione
  • Elio e le storie tese, Frank Zappa
  • Bandabardò, (tra gli altri) Rino Gaetano
  • Petra Magoni dei Musicanuda, Mina
  • Battiato, i Pink Floyd
  • Morgan, Battiato e Modugno
  • Gazzè, i Police (questo poi, scommetto ne avesse una cover band)
  • Ligabue, Springsteen
  • Vecchioni, Neil Young
  • Pino Daniele, o Bluse.

Già, il blues. Se continuiamo questo esercizio, e risaliamo pe li rami, il blues è quello che ascoltavano da piccoli tutti quelli che fanno rock (e pop-rock), o almeno i loro emuli: in altre parole, o in primo o in secondo grado troviamo nel background di chiunque faccia rock e pop-rock gli standard del blues.
Chiedo a Pasquale Morabito dei Terza classe, una band romana che ha un repertorio che spazia
dagli standard blues come Key to the highway, Hoochie Coochie Man, One Scotch One Bourbon One Whiskey a pezzi rock come Cocaine, Honky Tonky Women; Brown Sugar, Proud Mary , fino a ballad come Wonderful tonight, periodo storico dai 40 ai 70, se è daccordo con questa linea:
Io credo che la risposta sia, anzi debba essere, affermativa. Come recita un famoso pezzo di Muddy Waters “The blues had a baby and named it R&R”, da cui si evince come  le radici della musica contemporanea siano da ricercarsi lì, nel blues rurale cantato dai neri nei campi di cotone, nelle carceri e nelle chiese. E nel blues si trovano, sapientemente mescolati, melanconia (I feel blue, today) e socialità (i canti di tipo call&answer), disperazione (I’ll be blue always), impulso amuoversi, il viaggio  come metafora della vita (I got the key to the Highway), ribellione, gioia, speranza e depressione: il blues è null’altro che un grande contenitore di emozioni.
Saresti in grado di allungarmi la lista? Secondo te, chi tra gli artisti più noti del panorama contemporaneo italiano e straniero ascoltava da piccolo pezzi come quelli che suonate voi?
Se ti riferisci ai pezzi blues, puri e duri, si deve tornare ai vari Muddy Waters (I’m ready, Trouble in mind etc..), John Lee Hooker (Boom Boom), Elmore James (Wang Dong Doodle), Robert Johnson (il padre di tutti i bluesman moderni, con Sweet Home Chicago, Crossroad, Love in vain etc…); ma per non fossilizzarsi troppo sulle radici, il nostro repertorio fa un saltino in avanti (anni 60-70) riprendendo hits dei CCR (Proud Mary, Have you ever seen the rain?, Bad Moon raising),  dei Rolling Stones (Jumping Jack Flash), di J.J.Cale (After Midnight), di CSN&Y (la bellissima Teach your children), mischiando così le caratteristiche “nere” di questa musica con le sue contaminazioni “bianche”. Quanto alla seconda parte della domanda, mi trovi veramente impreparato e poco aggiornato, ma credo di non sbagliare se dico che i migliori gruppi italiani degli anni 60-70 si sono formati ascoltando interpreti quali quelli sopra menzionati.
Se dovessi definire il blues in poche righe, cosa diresti? è un giro armonico, uno spirito, o cosa?
Questa è veramente la domanda clou: provo ad essere sintetico nella risposta. Il blues è una particolare struttura armonica, composta da accordi di I, IV,V nella loro forma minore e/o maggiore (ma esistono blues modali, con un solo accordo). Il blues è un modo di esprimere, in musica, i sentimenti che l’artista prova nella realtà e che cerca di condividere socialmente (trovo che l’aspetto sociale del blues sia il suo carattere maggiormente distintivo). Il blues è soprattutto “mood”, “feeling”, approccio costruttivo alla realtà (anche la più dura e spietata), socializzazione di paure e gioie, disperazione e speranza, fantasia e concretezza.
Grazie, Pasquale. Chi volesse saperne di più vada a sentire i terza classe dal vivo, perchè tra un classico e l'altro un paio di volte si fermano a chiacchierare proprio sul significato del blues e l’origine di alcuni pezzi.
Il prossimo concerto è al Brikke, un locale con una sua filosofia, come si può vedere qui, originale ed alternativo, da provare. Magari proprio l'8 maggio prossimo col blues dei Terza classe.

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