lunedì 31 maggio 2010

UNITA' D'ITALIA, FU VERA GLORIA?

Arriva il 2 giugno, e come sempre per i molti giorni precedenti i romani si debbono sobbarcare un surplus di traffico dovuto ai palchi montati su via dei fori imperiali perchè una moltitudine di "privilegiati" (ma de che? sai che palle dev'essere sta cosa, come dimostra il berlusca nella foto...) possa assistere comodamente alla parata militare.
Di buono c'è solo che dopo qualche anno in cui era stata tolta hanno reintrodotto la giornata festiva e dunque non si lavora. Per il resto si tratta solo della riedizione di una pagliacciata che, non dimentichiamolo, inaugurò in quella location il predecessore dell'attuale "
dittatore con troppo poco potere" (ipse dixit), al secolo Benito Mussolini, che distrusse un quartiere storico della Capitale e tutti i reperti archeologici che ci stavano sotto per fare bella figura con Adolf Hitler in "una giornata particolare"... Già soltanto questo sarebbe un ottimo motivo per non celebrare la festa della Repubblica con una sfilata di quel genere in quel posto, ma vabbè oramai è tradizione...
Quest'anno in più c'è il fatto che questa ed altre manifestazioni già retoriche di per se avverranno nel quadro delle celebrazioni del 150mo anniversario dell'Unità d'Italia. Un uragano di insopportabili luoghi comuni ci investe proprio mentre una linea politica dettata da un partito separatista fa strage della nazione italiana vera, quella nata dalla resistenza al nazifascismo che aveva fondato lo Stato sociale nei decenni successivi. Abbiamo già parlato della faccenda federalismo e dei suoi per niente remoti terribili rischi, ma credo che ci torneremo spesso. Oggi, con il contributo di un lettore, che come si dice "
riceviamo e volentieri pubblichiamo", perchè come diceva con efficacissima sintesi il mio professore di storia e filosofia al liceo "Garibaldi è partito da Quarto con mille avanzi di galera smorbillati, come non si sà è riuscito a conquistare tutto il Sud, poi il re dei Savoia gli ha detto 'dammelo subito', lui gli ha risposto 'obbedisco', e ci ha rovinati!".
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Caro Cugino, in questa stagione di celebrazioni retoriche sull'Unità d'Italia vorrei cercare di fornire un punto di vista “non ufficiale” e fuori dal coro, rispondendo a questa domanda, io credo legittima: la spedizione antiborbonica del 1860 rappresenta realmente il mito fondante della nostra italica patria o c’è anche dell’altro? Non ho la pretesa di fornire verità definitive quanto piuttosto stimolare nel lettore curiosità legittime e invitarlo all’approfondimento critico di quello che i libri di scuola ci hanno imposto come certezza storica.
Curiosità e domande, dunque.
  • Partiamo da una considerazione di carattere temporale: nove mesi furono sufficienti a spazzare via, azzerandolo, un regno importante e secolare, ricco e organizzato, in taluni casi tecnologicamente all’avanguardia, il Regno delle Due Sicilie. Tale fu il tempo intercorso tra lo sbarco dei Mille a Marsala e la resa dell’esercito borbonico a Gaeta. Il ricorso postumo a plebisciti-farsa (noi italiani siamo considerati in questo degli specialisti) aveva dato copertura internazionale ad una machiavellica operazione di esportazione della democrazia ante litteram. Erano veramente “buoni italiani” quelli intervenuti a liberare i loro sfortunati fratelli del sud, vessati da una monarchia arretrata e straniera (ed era veramente tale, questa monarchia)? E come mai le truppe regolari piemontesi, entrando nel Regno delle Due Sicilie dagli Abruzzi, non dichiararono mai guerra a quello stato sovrano, invadendolo in violazione di ogni più elementare legge del diritto internazionale?
  • La democrazia forzosa, basata sul sistema di censo piemontese, garantiva il voto ad una ristretta cerchia di nobili e ricchi borghesi, promuovendo al parlamento delegati eletti con poche centinaia di voti: era questo il desiderio e la priorità delle masse popolari del sud?
  • Il ruolo internazionale dell’Inghilterra e le sue mire sul Mediterraneo fornì alibi politici e denaro contante per l'avventura garibaldina (e le corruttele che piegarono la resistenza della macchina bellica borbonica): questo rappresentava realmente l’interesse del popolo italico nel suo insieme (nord, centro e sud)?
  • L’esercito dei vinti, formato in gran parte da contadini, carbonai, pastori del meridione, pagò un forte tributo di sangue in quella che dovrebbe essere considerata la prima guerra civile italiana: 2700 morti, 20000 feriti, migliaia di dispersi e migliaia di deportati al nord, in carceri con condizioni di vita a volte disumane (situati sulle Alpi a oltre 2000 m. di quota, senza alcuna forma di riscaldamento). Molti di questi deportati non fecero mai ritorno alle loro case. La domanda qui è: chi ha inventato i campi di concentramento?
  • Tra il 1861 ed il 1865 gli sbandati dell’esercito borbonico, coloro che non vollero arrendersi ai piemontesi, si riunirono sulle alture appenniniche di Lucania, Campania e Calabria per resistere, con la  guerriglia, all’invasore piemontese. Assieme ai civili che ne ingrossarono le file, furono considerati “briganti”, e subirono una scientifica eliminazione che allungò il tributo di sangue del sud: 5200 morti, 5000 arrestati, 3500 consegnati alle forze piemontesi, per un totale di oltre 13000 uomini messi fuori gioco. Quanto sopra detto è verificabile dagli archivi militari italiani, da quelli borbonici e dai carteggi privati di militari delle due parti in conflitto. Non resta traccia nei documenti, ma nella memoria popolare ("arrivano i piemontesi!") si, dei contadini che venivano considerati fiancheggiatori e sterminati: interi paesi rasi al suolo, con stupri e saccheggi. In ogni caso, di tutto questo nella storiografia ufficiale, e quindi nei testi  scolastici, non si fa alcuna menzione: perché?
A chi ha ancora un cervello pensante l'onere di darsi le risposte. Secondo me, molto modestamente, l'unità d'Italia è solo l'ennesima occasione in cui il motto “guai ai vinti” ha dimostrato la sua universale valenza.


Pasbas

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