giovedì 30 dicembre 2010

ALL'OMBRA DELL'ALBERO

Non volevo scrivere ancora di Giancarlo Fornari, anche perché ho la sua voce dentro che mi invita a guardare avanti e mi sgrida perché non ho ancora pronto quel pezzo sulla moneta che dovevo pubblicare entro l'anno, ma rientrato in ufficio ho trovato la casella di posta piena di messaggi incrociati tra tutti coloro che hanno avuto il privilegio di lavorare con lui in quella stagione pionieristica per la comunicazione pubblica che aveva in lui uno dei suoi artefici principali. Non ne riporto il contenuto, anche perché è facilmente immaginabile, ma noto che si tratta di un caso rarissimo in cui un dirigente viene ricordato con affetto da "sottoposti" oggi così distanti per territorio e/o scelta professionale. Al saluto di Paolo Tenaglia era allegato il bellissimo video di Peter Gabriel che trovate in fondo, scelta azzeccatissima. Prima, l'ultimo saluto a Giancarlo lo lascio alle significative e toccanti parole di lui stesso, pubblicate quando stava benissimo (lo preciso solo perché ciò evita di equivocarne il senso) sul sito di Liberauscita:

Preghiera per l’Uomo-Albero
(Se e quando io non sarò più io)
di Giancarlo Fornari

Grazie per avermi dato
una seconda giovinezza
grazie per amarmi
grazie per leggere, giocare e parlare con me
di tutto ciò che ti interessa
e mi interessa
grazie per correre con me
per camminare con me
nell’ombra dei boschi o sulle colline
colorate di ginestre
grazie per abbracciarmi
per fare l’amore con me
con il corpo e con il cuore
per salire in alto con me
come su un aliante
sollevati da una corrente calda
sempre più in su
fino a stancarci.
E grazie per quando
io più vecchio di te
non potrò più correre
io indebolito
non potrò più seguirti
io più stanco
faticherò ad amarti
grazie di essere con me
di sostenermi
di lasciarmi appoggiare
perché so che per te
la vita con me non è solo sesso
non è solo correre e giocare
la vita è anche solo un sorriso
una parola una carezza
e queste sarò sempre in grado di dartele
anche da vecchio.
Ma se e quando io non sarò più io
quando la vecchiaia o un male oscuro
mi strapperanno da me
quando qualcosa di misterioso e inesplorabile
mi dividerà in due
(la mia anima la mia mente e il mio cuore
proiettati per sempre negli spazi
il mio corpo immobile
su una sedia a rotelle)
quando ridotto ad albero
non potrò neanche sorriderti
perché non capirò più
cosa sei tu
e cosa sono io
allora, amore
dovremo separarci.
Io non ti ringrazio
per quello che farai
per quell’Uomo-Albero
Uomo-Sasso
Uomo-Carne
Corpo grossolano
Pura materia
senza luce dell’anima
senza cuore
senza sorriso
che porterà il mio nome
ma non sarò più io.
Io, amor mio, mentre tu ti sacrifichi
per quella cosa inerte
io sarò altrove
sarò a passeggiare tra le nuvole
sarò sulla cima dell’Epomeo
a veder sorgere il sole
sarò sopra lo Sciliar
a giocare con un deltaplano,
sarò a meditare
in una grotta delle Egadi.
Io, amor mio,
sarò nei libri che ho letto e in quelli che ho scritto
sarò nella memoria
delle persone che mi hanno incontrato
e mi hanno voluto bene
sarò negli occhi delle mie figlie
sarò nel tuo cuore
sarò dovunque
tranne che là
in quella controfigura umana
in cui non mi riconosco
e che non avrà più niente
a che vedere con me.
Perciò ti prego, amore mio,
parlo seriamente
non voglio sacrifici
specie se inutili.
Quando vedrai che non sono più io
conservami solo
nella tua memoria,
non conservarmi
a fini statistici.
Non aiutarmi a sopravvivere
privato di tutto ciò che mi rende umano
anche se ti diranno che un Dio lo vuole.
Ma se un Dio ha potuto volermi fare questo
e se è lo stesso Iddio
che ha voluto e accuratamente programmato
la Shoah
che organizza i massacri
le pestilenze e i flagelli
che funestano questo mondo
solo “per metterci alla prova”
e “realizzare il suo disegno provvidenziale”
non è un Dio buono
e probabilmente non è neppure un Dio
ma solo la proiezione
delle loro povere menti
e tu non devi ascoltarlo.
Ascolta, ti prego, solo il tuo cuore e il mio.
Trova in te la forza di aiutarmi.
Prendimi con te
per un ultimo viaggio
verso un Paese buono
dove capiscono che gli Uomini-albero
gli Uomini-sasso
anche se non possono esprimerlo
vogliono morire
non vogliono essere obbligati a vivere
una vita di sasso e di albero
senza alcuna offesa
per queste rispettabili
Entità dell’universo.
E tu, amor mio, non portare il mio lutto
non essere triste a causa mia
sappi che ci ritroveremo
un giorno o l’altro
una vita o l’altra
forse trasformati in due farfalle
o magari in due rondini
voleremo insieme
su su per i cieli
e avremo dei piccoli sempre affamati
da nutrire di insetti
e la notte ci ameremo al buio
nel nostro nido di paglia
con il cuore e con il corpo
fino a stancarci.
Amore se mi vuoi bene
uccidimi.

Mettete a confronto queste parole con la miseria di chi sceglie di istituire la "giornata nazionale per gli stati vegetativi" nella ricorrenza del giorno in cui la volontà di Eluana Englaro per se stessa è stata dopo 17 anni finalmente rispettata (qui l'appello di Micromega a farne invece la Giornata nazionale della libera scelta sulla propria vita), e avrete una vaga idea della siderale distanza tra la statura del gigante che ci ha lasciati e quella dei nani (qualcuno anche suo coetaneo) cui un'apparente buona salute invece ancora consente di imperversare e affliggerci.
E ora la parola a Peter Gabriel che è meglio...

martedì 28 dicembre 2010

VOLA SOLO CHI OSA (MA IO CONSIGLIO IL PARACADUTE)

Volevo lasciare parecchi giorni l'articolo precedente in cima, perchè la morte di Giancarlo mi ha lasciato, ci ha lasciati in tanti (questo il saluto su Fiscooggi, la rivista telematica che ha creato nel 2001 con una piccola squadra di collaboratori tra cui il sottoscritto), senza altre parole e pensieri che non quelli che lo riguardano. Ma da un lato ho la sua voce dentro a spronarmi a guardare avanti, a continuare a tentare di svuotare col cucchiaino delle parole il mare d'ignoranza in cui si tenta di farci annegare tutti, dall'altro mi sono imbattuto su Facebook in una nota della mia amica Luciana Ognibene che già dal titolo (e poi a leggerla non solo da quello) sembrava quasi esigere di essere postata qui, subito dopo il saluto all'uomo che vola. Poichè la condivido in pieno tanto da poterla sottoscrivere, col suo permesso la pubblico, approfittando per segnalare il suo sito Vizio creativo a tutti, per conoscere meglio quello che fa questa donna di Qualità. Dove per qualità intendo quello che avevo riportato in questo vecchissimo post: tra l'altro, fare le cose talmente bene che da fuori nessuno possa dire se fate sul serio o giocate.
Piccole riflessioni ad uso e consumo di chi ha un sogno, da parte di una che cerca di realizzare i suoi senza pestare i piedi al prossimo.
Ti hanno insegnato che volere è potere.
Ti hanno detto che per far avverare un sogno, bisogna crederci davvero.
Ti hanno inculcato che se davvero desideri qualcosa, allora lo puoi ottenere.
Non è che non sia vero.
Se hai un sogno, ci devi credere, lo devi difendere, lo devi desiderare.
Senza questi presupposti, il tuo sogno rimane lì dov'è: a prendere polvere in un cassetto.
Quello che hanno dimenticato di dirti, è che volerlo non basta.
Non è sufficiente gettarsi allo sbaraglio e sperare che vada bene.
Se vuoi volare, accertati di avere ali abbastanza forti prima di fare il salto.
Sì, lo devi volere, ci devi credere e devi lottare.
Ma prima devi studiare, tanto.
E farti un mazzo che non finisce più.
E avere l'umiltà di accettare le critiche.
E la maturità di riconoscere i tuoi limiti.
E non aspettarti che qualcun altro possa fare i compitini a casa al posto tuo.
Non esistono scorciatoie, non esistono Bignami: c'è "solo" da lavorare sodo.
Cambiare il tuo nome su Facebook da "Mario Rossi" a "Mario Rossi Fireman", e distribuire biglietti da visita al tuo vicinato, non fa di te un pompiere, e se non sai come funziona un'autobotte e non hai mai usato un idrante, probabilmente alla prima occasione valida... ti scotterai, e di brutto.
Essere a corto di occasioni non è piacevole, ma c'è qualcosa di peggio.
Avere l'occasione, e non essere pronto: questo è il peggio che ti possa capitare.
Scusate il non piccolo e non innocente sfogo, è che sono particolarmente intollerante verso chi si dice "grafico" e fa i biglietti da visita con Photoshop, chi pretende di fare il "programmatore" e fa i siti web con Word, chi si spaccia per "fotografo" e non sa come si usa un flash da studio... insomma quelli che cercano una scorciatoia per tutto quello in cui io e pochi altri imbecilli abbiamo investito tempo e denaro solo per studiare, studiare, studiare e cercare di capirci qualcosa. Non ce l'ho con voi, giuro. Lo sto dicendo per il vostro bene: studiate, studiate, studiate.
Sinceramente, Lu
NB Commenti e riflessioni sempre ben accetti, non siate timidi. Non sono cattiva: è che mi disegnano così (©J. Rabbit)

sabato 25 dicembre 2010

L'UOMO CHE VOLA

Ci sono uomini che seguono le piste altrui e ci sono uomini che le tracciano. Giancarlo Fornari era uno di questi ultimi. Tra i primi in Italia a parlare di comunicazione pubblica e a capovolgere il rapporto tra cittadino e PA, fu tra gli artefici dello Statuto del Contribuente, fondò il primo sito internet di una pubblica amministrazione italiana, poi la prima rivista on-line di un'amministrazione pubblica al mondo, poi - "chissà perchè" giubilato a dispetto di proclami pubblici di segno contrario - anzichè "godersi la pensione" si mise a insegnare all'università e fondò una delle prime riviste di controinformazione, mentre nel tempo libero si dava prima al volo a vela e poi all'arrampicata, già ultrasettantenne.
Questo soltanto nel percorso della sua vita che si è intrecciato col mio, di prima non parlava quasi mai: era un uomo proiettato nel futuro, e questa era solo una delle cose che ti insegnava con l'esempio se gli stavi accanto. Mi scelse tra i suoi collaboratori quando partecipai per sbaglio a una riunione operativa del sito di cui sopra, premiando quello che ero prima di guardare quello che avevo sul curriculum (Fromm non è solo teoria), e da allora mi ha voluto al suo fianco in tutte le suddette "avventure". Questo blog è nato come valvola di sfogo quando lui fu costretto una prima volta a rallentare su Contrappunti, poi ripresa col consueto vigore fino all'aprile scorso, con l'ultimo pezzo del mio alter ego che muore con lui.
Presidente di LiberaUscita, l'associazione italiana per il testamento biologico e la depenalizzazione dell'eutanasia, è stato costretto a un'uscita non nel suo stile dalla malattia, ma non è durata tanto e a posteriori non se ne lamenterebbe. Uno dei motivi per cui noi agnostici non possiamo ammettere l'esistenza di un dio è perchè altrimenti la vita ci sembrerebbe un suo scherzo macabro. Per questo tentiamo di viverla come si dovrebbe vivere un bel viaggio verso una meta qualsiasi, che sò il polo nord: la cosa che meno interessa è arrivare, l'attenzione è tutta focalizzata sull'itinerario, le cose che incontri, le tappe, le persone che dividono con te un tratto di strada.
Ho negli occhi un filmato realizzato durante un lancio in paracadute del già "anziano" Giancarlo, che esibiva nello stesso e nel mostrartelo un entusiasmo e un atteggiamento da ragazzo. All'uomo che vola sempre è lieve la terra, ciao amico mio.

giovedì 23 dicembre 2010

SE UNA NOTTE DI NATALE UN LETTORE...

Mai amato il Natale, e non perché non ho fede: se l'avessi lo odierei proprio, festa consumistica per eccellenza qual'è. E' che non sopporto l'ipocrisia. Non amo gli alberi di Natale, e non perché in fondo sono stati la prima di tante tradizioni importate come Halloween o inventate dai pubblicitari come Santa Klaus. E' che quelli veri sono un delitto e quelli finti una tristezza. E non amo la computer graphic, e pur usando un pc per lavoro e uno per diletto non ho mai giocato a un videogioco più avanzato di campo minato, poi per eccesso di politically correct divenuto prato fiorito. E' che proprio più sofisticati sono meno mi divertono.
Ma questo alberello di Natale che mi ha mandato Gemma Serena è proprio carino, realizzato come facevano i pionieri della grafica con le stampanti ad aghi. Su un testo, poi, di uno dei più grandi scrittori italiani contemporanei, Italo Calvino, tratto da un suo riuscitissimo romanzo degli anni 70 che è un prototipo logico dei moderni ipertesti. Grazie, Gemma, e auguri a tutti voi.

I
Libri
Che Da
Tanto Tempo
Hai In Programma
Di Leggere,
I Libri Che Da Anni
Cercavi Senza Trovarli,
I Libri Che
Riguardano Qualcosa Di Cui
Ti Occupi In Questo Momento
I Libri Che
Vuoi Avere Per Tenerli A Portata
Di Mano Per Ogni Evenienza,
I Libri Che
Potresti Metter Da Parte Per Leggerli
Magari Questa Estate
I Libri che
Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri Libri Nel Tuo Scaffale
I Libri Che
Ti Ispirano Una Curiosità Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile,
Ecco Che
Ti è stato possibile ridurre il numero illimitato di forze in campo
a un
insieme
certo
molto
grande
ma comunque calcolabile in un numero finito,
anche se questo relativo sollievo
ti viene insediato dalle imboscate
Dei Libri Letti Tanto Tempo Fa
Che Sarebbe Ora Di Rileggerli
E Dei Libri Che Hai Sempre
Fatto Finta D’Averli Letti
Mentre Sarebbe Ora Ti
Decidessi A Leggerli Davvero.

da Italo Calvino
Se una notte d’inverno un viaggiatore

lunedì 20 dicembre 2010

L'ITALIA OLTRE IL GIARDINO

L'amico che scrive oggi è un grande giornalista: raccoglie dati, studia, incrocia, e poi scrive - mica un dilettante come me che vomita pensieri di getto dopo essersi fatti gli occhi a pomodoro sui siti di controinformazione. Per questo, come si dice, ricevo e volentieri pubblico questo suo pezzone, che mi sembra un ottimo modo per tornare a parlare di Berlusconi senza ripetermi, come rischiavo di fare non avendo la verve di un Michele Serra o la statura di un Giorgio Bocca. Sono giorni tristi, in cui il Caimano ha inferto forse il colpo di grazia alla democrazia rappresentativa dimostrando che persino un deputato, anzi due, del partito più all'opposizione rimasto in parlamento può essere semplicemente comprato, a dei ragazzi che toccano con mano che se ancora qualcosa possono comprare è coi soldi di papà, quando e quanti ne hanno. Giorni tristi, in cui questi ragazzi vengono privati con astuzia cossighiana anche della voce, del diritto di manifestare tutto il loro scontento, perfino rimbrottati alla fine dal saccente Scrittore Anticamorra nei cui confronti ho sempre nutrito una istintiva diffidenza che mi si fa sempre più chiara.
Allora ben venga uno sguardo da fuori, da oltre il giardino, della Berlusconeide: vista dagli altri - Banca Mondiale, Reporter Senza Frontiere, Transparency International, Fraser Institute, Institute for Economics and Peace e World Economic Forum - questa nostra Italia cialtrona e fascistoide è irrimediabilmente bocciata. Figa a parte, s'intende...
articolo di Stelio Fantani

L’economia, il pil, il deficit e il debito pubblico sono oramai superati, vecchi orpelli che misuravano Paesi che esistevano nelle moltitudini statistiche, ma non sulle tavole delle famiglie. E allora ecco la novità. Il Governo si valuta ora attraverso il Gender Gap, ovvero, osservando le distanze, le disuguaglianze e le differenze che si colmano e si recuperano in corso d’anno nel modo in cui sono trattati i due sessi, uomini e donne. Ecco dove il BerluscTer è da primato. Il perché? E’ un’altra storia.
Sono oramai prossime le celebrazioni per il transito dell’era del Biscione a quella del Drago (plurale). Insomma, è ora di tirar le somme e di rendere l’onore dovuto all’Esecutivo instancabile del fare, non del filosofeggiare o del riflettere, profili in cui si racchiude invece la tipizzazione propria che ha segnato le stagioni del centrosinistra di governo. Dunque, passiamo in rassegna i risultati del fare berlusconiano. Partiamo dall’economia. Un terreno questo dominato, anzi, inquinato dalla stampa malevola, dai commenti di economisti intrisi di pessimismo e, per ultimo, da responsabili istituzionali, per esempio il numero 1 di Bankitalia, zavorrati da ansie numeriche che mascherano e mettono in ombra i successi clamorosi centrati in 2 anni di BerluscTer. Come peraltro ben esplicitato, e ricordato, con ricchezza di reportage, dal MinzulPop, nuova versione in 3.D dell’antico Tg1, l’ammiraglia Rai un tempo votata alla beatificazione del nulla di fatto made in centrosinistralandia.
Dall’Homo Sapiens all’Homo Domesticus
Comunque, torniamo ai numeri. Il pil, cioè la ricchezza prodotta annualmente dal Paese è immobile, in uno stato di ibernazione. In pratica, l’Italia sta transitando dalla Grande depressione alla Grande recessione, anticamera d’una prossima Grande stagnazione. A suggerirlo sono alcuni indicatori. Innanzitutto, il deficit che danza oramai da tempo intorno all’asticella del 5 per cento, senza mostrare segni di riacquisita tonicità. Andando oltre l’altalena del deficit c’imbattiamo nel macigno del debito pubblico, fermo a novembre 2010 a quota 1.844miliardi, in pratica 178miliardi di euro in più rispetto ai 1.665miliardi con i quali s’era chiuso il 2008 che aveva immortalato l’esordio del BerluscTer. Restando ai numeri, quindi non tenendo conto del MinzulPop, in soli 19 mesi in media ogni singolo contribuente, sono all’incirca 40milioni, pensionati inclusi, ha visto riversarsi sul futuro delle proprie tasche 4450 euro di nuovi debiti, non di maggiori risorse né di ambita liquidità, visti i tempi, ma di passività aggiuntive, e persino autocelebrate. E’ forse per ovviare a questa criticità imprevista che, sempre nel corso del 2009, e 2010, il BerluscTer ha fatto in modo di restituire 400mila lavoratori allo stato di disoccupazione. Su questo capitolo, considerando l’interezza dei mesi di governo dell’attuale esecutivo non è affatto azzardato indicare in mezzo milione di nuovi disoccupati il risultato dell’azione del fare.
Corruptionomy
 Ma l’economia, come abbiamo già accennato, è sotto scacco da parte dell’esercito dei pessimisti a oltranza. Quindi, passiamo a considerare altri dati che guardano più alla qualità e ai contenuti piuttosto che alla freddezza d’un pil peraltro ibernato. Per esempio, parliamo del tasso di corruzione che il Transparency International pubblica ogni anno. Nel corso dell’anno passato, e rispetto al 2009, le posizioni perdute sono state 8. Il Paese, quindi, è scivolato in 63esima posizione. Niente male, un successo.
A sproposito del disfare
Peraltro, bissato dalla 80sima posizione, cioè 4 posti in meno, centrata nella graduatoria del doing business stilata annualmente dalla Banca Mondiale. Un risultato grottesco questo per un governo che si presenta votato all’impresa e che, nei fatti, sembra sempre più relegarla nell’angolo, tanto da venir bocciato, nel suo fare, dalla stessa Banca Mondiale, non dall’Internazionale socialista. Un non-fare imprenditoriale ed economico segnalato anche dal Fraser Institute, autorevole paladino del conservatorismo economico votato all’antiburocratismo in stile destra anglosassone. In questo caso, l’indice della libertà economica, diffuso annualmente dall’Istituto, coglie al 68simo posto l’Italia del BerluscTer, ovvero ben 12 gradini più in basso rispetto alla performance del 2008. Ennesima conferma del disfare economico che contraddistingue l’attuale esecutivo? Difficile rispondere, considerando le ripetute congiure dell’Intelligence mondiale ordite ai danni del nostro governo. Lasciamo quindi la camera oscura dell’economia, vera palude, e passiamo a considerare altri ambiti. Del resto, da molti, tra coloro che orpellano l’attuale compagine che guida il Paese, s’è manifestata spesso l’esigenza di valutare indici di qualità, non soltanto economici, per esprimere un giudizio complessivo sullo stato d’un Paese, in particolare sul Belpaese.
….evviva la pace, abbasso la guerra
Allora prendiamo le classifiche dell’Institute for Economics and Peace. In materia non c’è ombra di dubbio, non siamo un Paese in guerra e, soprattutto, non siamo terreno aperto a conflitti civili. Siamo un paese pacifico, anzi, come ci ricorda il Tg1 versione MinzulPop, siamo una società radicalmente pacificata ove regna l’armonia, grazie al BerluscTer naturalmente. Scorriamo fiduciosi la graduatoria del Global Peace Index e, con sorpresa, scopriamo d’esser raffigurati in 40esima posizione. Anche in questo caso uno scivolone, -16 rispetto al 2008. Meglio di noi fanno, in Europa, Ungheria e Slovacchia, coppia di Stati stranota per il loro ondeggiare istituzionale. Proviamo a uscire dal Vecchio Continente e, questo sì ha un effetto deprimente, sorta di placebo inverso. Il GPI, infatti, ci svela che sono considerati più stabili e armonici, oltreché pacifici, dell’Italia berlusconiana e legaiola, in ordine, il Botswana, la Malesia e….il Vietnam. E’ qui che sull’orlo della depressione il lettore si ferma e volta pagina.
Intima comunicazione
Infatti, si passa in fretta a osservare le classifiche di Reporter Senza Frontiere. Su questo terreno non dovremmo avere rivali, grazie all’esordio del Tg1 versione MinzulPop, campione di libertà di stampa ed esempio massimo di informazione salutista che non s’inchina. E invece, giù di 5 posizioni, dal 2008. Oggi, quindi, siamo in 49esima, a braccetto con il Burkina Faso ma, evviva, un gradino sopra El Salvador.
Ce l’hanno con B
Com’è possibile? Scivoliamo ovunque. E’ ovvio, l’indicatore sull’armonia e la pace italiana è monopolio della sinistra estrema. Sbagliato. L’Istituto che lo cura elabora le indicazioni provenienti dal mondo accademico internazionale e dai think tank più spostati nell’area del conservatorismo. Per di più le somme finali sono tirate sotto la supervisione dell’Economist Intelligence Unit, braccio operativo dell’Economist, a sua volta Bibbia della conservazione anglosassone.
Eppur si muove
Ritorniamo allora all'economia, al World Economic Forum, per osservare che in tema di gender gap, cioè di ineguaglianza tra i sessi, abbiamo guadagnato ben 17 posizioni. Finalmente, siamo in decisa rimonta. Ecco un segno evidente della politica del fare. Stiamo scalando le posizioni nella piramide delle differenze tra i sessi, colmando le distanze che per decenni, anzi, secoli hanno relegato in coda il nostro Paese. Come stiamo ottenendo questi risultati? Chissà, forse candidando decine di giovani letterine, modelle, letteronze, donne immagine ed ex-escort, alcune per la verità in azione permanente, nelle liste destinate, alternativamente, ad aprire le porte, e i seggi, dei consigli comunali, provinciali e regionali, delle aule parlamentari, con l’allegato del Parlamento europeo, ecc…..Chissà.

sabato 18 dicembre 2010

THE PARTY

Vado di fretta ma ho il tempo di un saluto a Blake Edwards. Pochi giorni dopo Monicelli, ci lascia un altro grande vecchio della cinematografia, di una grandezza diversa ma non quantitativamente, direi: Colazione da Tiffany e l'intera serie della Pantera Rosa (quello con Benigni però da dimenticare) non sono direi da spiegare, ma come non ricordare Operazione sottoveste (Tony Curtis e Cary Grant, il sommergibile rosa pieno di ragazze....), La grande corsa (sempre Curtis, Peter Falk e Nathalie Wood, il fumettone che originò una fortunatissima serie a cartoni animati), Victor Victoria (Julie Andrews, da poco sua moglie, en travesti), o i recenti Skin deep (memorabile la lotta al buio tra due uomini nudi con preservativo fluorescente addosso) e Nei panni di una bionda (con l'irresistibile corpo di Ellen Barkin in un anima da purgatorio maschile). Ci ha fatto ridere da morire, il marito di Mary Poppins, ma mai quanto nella prima mezzora più esilarante della storia del cinema, quella di Hollywood party, dove un gigantesco Peter Sellers distrugge nei primi 5 minuti un set cinematografico e poi, finito per errore nelle liste degli invitati anzichè in quelle di proscrizione, nel resto del film la casa del produttore. Il tutto con una faccia impassibile degna dei migliori Chaplin e Laurel assieme. Vi posto le prime due scene, il film se non lo avete visto cercatelo, se siete abbastanza scemi come me riderete con le lacrime.



martedì 14 dicembre 2010

ISTINTIVAMENTE ISTANBUL

Suleymaniye, moschea del XV secolo
restaurata troppo pesantemente
Oggi che Berlusconi riesce per l'ennesima volta a salvarsi il culo, grazie a tre finiani, due del PD e due dell'Italia dei Valori, io non mi azzardo a commentare l'incommentabile e vi parlo di Istanbul.
Pochi giorni non bastano nemmeno ad una visita turistica classica, ma non riesco proprio ad andare in un posto senza tentare di guardare di sbieco, cercando tra le righe del libro aperto che è una città che si vende per vivere.
Non serve ricordare che Bisanzio (città assurda, città strana) divenuta Costantinopoli raccolse l'eredità di Roma, quindi conquistata dall'Islam lo conquistò divenendo il centro del suo quarto impero fino alla Prima guerra mondiale, quando sbagliò alleato. Poteva finire a rotoli, senza l'intervento di Mustafà Kemal, non a caso detto Ataturk, "padre dei turchi", il che a me ricorda come nella provincia lucano-pugliese per dire "mio padre" si dice "attanime". E' sotto di lui che la moderna Turchia si incamminò in un processo di laicizzazione decennale, che però ha invertito il suo verso negli ultimi tempi. Oggi, la sterminata città conta tredici milioni di abitanti (ma i turchi ti dicono sedici, diciassette, come fosse una cosa di cui vantarsi), ma nelle zone che bazzichiamo noi turisti, essenzialmente le europee più antiche, i turchi in giro sono una minoranza, e tra loro una maggioranza di uomini, le donne spesso a capo coperto. Anche se sul velo ci sarebbe tanto da ragionare, valutando da un lato la fondatezza dell'interpretazione coranica che lo imporrebbe e dall'altro la legittimità della sua critica in nome di una emancipazione femminile tutta da valutare, non è un buon segno per il sogno di Ataturk.
Istanbul mi ricorda istintivamente Venezia (e Chianalea...)
Fino a poco tempo fa, e infatti le guide turistiche riportano ancora questa raccomandazione, una moneta ipersvalutata e una superinflazione rendevano assolutamente sconsigliabile cambiare, anzi, i turchi stessi cui putacaso pagavi una cena 12milioni di lire andavano di corsa a cambiarle in euro o dollari perchè tenessero potere d'acquisto. Oggi il processo inflattivo è molto minore e il cambio euro/lira è fisso su 1 a 2, in vista del tanto anelato ingresso in Europa, ma già i più furbi tra i negozianti e ristoratori ti fanno un cambio diverso tenendosi una commissione fittizia. Come se vox populi abbia cominciato a dubitare della bontà del progetto, anche solo guardando poco oltre il loro naso, i cugini greci.
Di sicuro guardandosi intorno, tra file di negozi ininterrotte, bazar sterminati (una notizia: il centro commerciale NON è una nostra invenzione), e zone grandi come tutta Terni (dico per dire, perchè TR è la sigla automobilistica sia della cittadina italiana che della repubblica turca) costituite quasi esclusivamente da ristoranti pub e locali vari, non si capisce come possa convenire a questa gente rinunciare a una moneta abbastanza debole da averli trasformati in una meta turistica obbligata per la stragrande maggioranza di quei pochi tra i poveri cittadini dell'area euro che ancora si possono permettere una vacanza. L'ultima sera a cena nella Montmartre turca, una deliziosa stradina che scende verso il mare dal liceo di Galatasaray, nel localino striminzito gestito da un ragazzo di vent'anni che potrei mostrarvi mettendo una mia vecchia foto, tanto mi è parso mi somigliasse, pensavo a quanti dei suoi parenti e avi sono emigrati specie in Germania nei decenni passati, e a come dunque si debba ritenere fortunato lui ad avere la possibilità di lavorare nella sua terra, a come difenda questa prospettiva lavorando duro e bene (era peraltro gentile e professionale): da noi i suoi coetanei li abbiamo costretti dietro le barricate e sotto i manganelli, per assenza di altra prospettiva.
Santa Sofia, da qui si affacciava il Sultano
Basta, sono appena tornato da una breve vacanza e mi sto già riavvelenando. Mi rifugio allora col pensiero nelle tante bellezze viste pur in così poco tempo e col maltempo siberiano sul collo, tante sì ma per decidere di andare o tornare a Istanbul ne basta una: la chiesa più bella del mondo, per mille anni anche la più grande, poi moschea e modello per tutte le moschee del mondo, la basilica della divina Sapienza, o Ayasofya, o come la conosciamo noi Santa Sofia. Una costruzione così proporzionata e imponente, ultimata ai tempi in meno di sei anni di lavori da mille muratori e diecimila manovali. Saranno stati schiavi, ci viene da dire a noi che siamo stati addestrati a pensare di non esserlo, mentre invece lo siamo anche noi, ah se lo siamo... E i ragazzi se ne stanno accorgendo: io leggo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando...

martedì 7 dicembre 2010

PIÙ NERO CHE BIANCO

Poiché per qualche giorno viaggioperdiletto prendendomi una pausa dal controinformare, preferisco che resti come articolo di primo piano un qualcosa di utile, piuttosto che il solito sproloquio sociopolitico.
Più nero che bianco - i colori della Guinea Bissau” è il titolo della mostra fotografica che si terrà dal 14 al 18 dicembre al Blurry (www.blurry.it) a Trastevere, organizzata dai volontari romani dell’associazione pugliese S.ol.co. onlus.
Le foto sono di Sergio Leonardi, membro dell'associazione e fotografo professionista (questo il suo sito), scattate questa estate in Guinea Bissau in occasione dell’inaugurazione dell'Hospital do povo, costruito ad Ingorè coi fondi dell'associazione.
Se potete, andateci proprio martedì 14 dicembre all'inaugurazione della mostra: potrete ascoltare l’esperienza vissuta dall’autore delle foto durante un eppiauàr (siamo a Roma, qui si scrive così) il cui ricavato sarà in parte devoluto ancora alla onlus.
Ho fatto due chiacchiere con Rosella Volpicelli, membro dell'associazione e volontaria per due volte in Guinea Bissau...

Com'è andata con questo ospedale? a che punto siete e quando è iniziata l'avventura?
L'idea dell'ospedale da una vera e proprio richiesta del popolo di Ingorè. Sono ormai dieci anni che l'associazione rivolge i propri sforzi verso lo stesso villeggio della Guinea Bissau costruendo pozzi, due asili, aiutando l'agricoltura tramite l'invio di un trattore e mandando con container aiuti umanitari di ogni genere a secondo delle necessità contingenti . Nel 2005 durante uno dei viaggi annuali che l'associazione compie alcuni nostri volontari sono stati contattati da un comitato promotore e portavoce del popolo composto dalle massime autorità del villaggio che ha richiesto a gran voce la costruzione di un ospedale. È apparso subito un obiettivo molto sfidante, ma, abbiamo accettato. E alla fine passo dopo passo eccoci qui. Con un ospedale di ben 13 stanze: accettazione, ambulatorio e sala d’attesa, sala pre-parto, parto e post-parto, guardia medica, 5 stanze di degenza per un totale di 26 posti letto per adulti, 6 per bambini e 4 per neonati, un blocco operatorio ed un laboratorio di analisi, questi ultimi due ancora da ultimare. Sarà principalmente una clinica materna infantile che si occuperà di seguire le mamme in gravidanza, permettendo finalmente di effettuare parti cesarei, e i bambini, curando le patologie tipiche della zona come la malaria e la denutrizione. 
Come ti sei avvicinata all'associazione? Cosa vi muove, davvero?
Ho conosciuto Francesca, il vicepresidente dell'associazione quattro anni fa. Un incontro veloce ma intenso. Davanti a una pizza e una birra mi ha parlato di Solco, mi ha raccontato della sua esperienza di anni in Africa e trasmesso tutto il suo entusiasmo. Ricordo di essermi alzata da tavola piacevolmente colpita. Avevo passato una serata come tante eppure quelle parole mi avevano riempito, quei suoi occhi un po' sognanti e concreti stregato. Ho iniziato quindi a finanziare Solco tramite donazioni non potendo essere utile in altro modo (a quel tempo lavoravo a Milano). Poi nel 2008 è arrivata la prima occasione di partecipare a un campo di lavoro. e senza farmi troppe domande sono partita. Un'esperienza incredibile. Quest'estate poi c'era bisogno ancora di tutti noi per caricare il container spedito da Putignano, ultimare i lavori, e inaugurare l'ospedale. Siamo partiti in 21. Volontari di ogni età e di diverse città di Italia. Ma tutti con lo stesso sguardo e la stessa voglia di fare e si scambiare emozioni con un altro popolo e un'altra cultura. Faticosissimo e entusiasmante.  Quello che ci muove e muove ancor di più l'anima storica di Solco è una "genuina e responsabile incoscienza". Ci si è buttati in avventure e progetti sempre più grandi con un pizzico di incoscienza ma grande passione.Anche perché una volta che hai fatto parte di quella realtà, che hai incrociato quegli sguardi, non puoi più far finta di non vedere. 
Ogni anno realizzate un calendario, la cui vendita contribuisce ad introiti che immagino non siano mai abbastanza, anche tenuto conto del 5x1000. Qual'è l'idea di quello del 2011?
Con il 5X1000 ogni anno raccogliamo fino a 35.000 euro. Una bella somma che ha fatto la differenza per la costruzione di questo ospedale e sulla quale facciamo affidamento per continuare a finanziare i nostri progetti (speriamo che il temuto furto tremontiano non vada in porto, NdR). L'associazione viene finanziata in primis dalla vendita di calendari da tavolo e da parete. Sono calendari tematici, ogni anno diversi. Quest’anno festeggiamo la decima edizione con un calendario speciale: “Felici e pazienti. Soprattutto pazienti”. L’idea del calendario 2011 è nata quasi per gioco la scorsa estate durante il campo di lavoro. Tra una pennellata e l’altra, mentre eravamo indaffarati in lavori di muratura, allestimento, giardinaggio e pittura all'interno dell’ospedale, tanti ragazzi e bambini si sono avvicinati per dare una mano, per aiutarci o soltanto per curiosare. Allora perché non coinvolgerli nei lavori o, ancor meglio, nella realizzazione del calendario? E così chiacchierando sotto il cielo stellato di Ingorè, l’idea si è trasformata in 12 scene, una per ogni mese dell’anno. Improvvisandoci scenografi, registi, talent scout, abbiamo iniziato ad allestire un insolito set fotografico con il poco materiale a disposizione, ma con tanta creatività.I bambini di Ingorè, per qualche giorno o anche solo per qualche ora, sono così diventati attori su questo set, indossando le vesti di pazienti e dottori. Di tutte le emozioni vissute in quel periodo è quella che ricordo con più piacere e con un pizzico di commozione. 

sabato 4 dicembre 2010

RAGAZZI DI VITA PROSSIMA VENTURA

Pasolini a un corteo negli anni 70.
Oggi sarebbe molto meno perplesso.
Il mondo che hanno in mente quelli che davvero lo governano prevede un livellamento del livello di vita della quasi totalità della popolazione mondiale, in basso, per consentire a una ristrettissima élite di conservare e magari incrementare il proprio. Poco importa se questo sia un piano pensato a tavolino da un Grande Vecchio o più, oppure semplicemente un effetto "naturale" del sistema capitalistico rimasto senza freni dalla fine del socialismo reale: di fatto, la globalizzazione ha unificato i mercati di capitale merci e (di conseguenza) lavoro, trasformando il mondo in un unico grande sistema. Per usare una "sottile" metafora: è possibile mantenere a temperature diverse l'acqua di diversi recipienti, quando la mischi la velocità in cui la temperatura di tutte le sue molecole sarà la stessa dipende esclusivamente dalla grandezza e dalla forma del recipiente. Per capire il funzionamento del mondo di oggi i modelli suggeriti dall'economia, tutti concepiti all'interno di sistemi limitati, non funzionano, meglio sarebbe adottare quelli della meteorologia: gli oceani, l'atmosfera, ecco buone metafore del sistema economico globalizzato.
In questo mare magno, ragionare di classi sociali nei termini classici è pesantemente fuorviante: è questo il principale argomento contro il permanere delle categorie politiche tradizionali, non il venir meno della necessità di una dialettica tra una "destra" e una "sinistra" a prescindere se si voglia o meno chiamarle così. L'attuazione del piano suddetto si è infatti concretizzata in una serie di cesure "temporali", a partire dai primi anni 90, operate laddove si incontrava il limite dei diritti acquisiti: c'è il prima e il dopo la riforma delle pensioni del 92 e ogni altra successiva fino al furto delle liquidazioni, il prima e il dopo la legge Biagi e la legge Treu, il prima e il dopo le privatizzazioni e la dismissione di pezzi sempre più grandi di demanio. Ad esempio, magari era eccessivo, ma quando sono entrato nel pubblico impiego io i miei colleghi con 19 anni 6 mesi e un giorno di servizio potevano andare in pensione, ricevere una buonuscita con cui potevano comprare un appartamentino o rilevare un ristorantino, e una pensione pari circa a mezzo stipendio con cui vivacchiare o su cui contare come base per quando ci sono pochi clienti - magari era eccessivo, ma intanto alcuni lo facevano, e altri giovani venivano chiamati a prendere il loro posto; ora siamo all'eccesso opposto, e i giovani un lavoro stabile non sanno nemmeno cosa sia, e negli uffici pubblici siamo quasi tutti anziani.
Generalizzando, o meglio uscendo dall'esempio spicciolo, confrontiamo due fotografie: una con le aspettative di un ragazzo occidentale degli anni 90/duemila, l'altra con quelle di un suo coetaneo degli anni 60/70. Il confronto è drammatico. Da un lato uno che aveva quasi la certezza di studiare molto più a lungo dei suoi genitori, ottenere un lavoro migliore e meglio remunerato, sia esso privato che pubblico (nel qual caso la retribuzione inferiore era compensata dal lavorare meno e da una serie di fringe benefits come la casa a prezzo convenzionale), viaggiare e divertirsi molto più dei suoi cari vecchi ignoranti vecchi. Dall'altro uno che se non ci fosse il reddito, talora pensionistico, dei suoi dotti vecchi, oggi starebbe sotto i classici ponti, visto che al massimo rimedia lavoretti contratti a termine e simili nonostante una laurea, e anzi se non fosse per i vecchi di cui sopra non si sarebbe nemmeno potuto permettere di studiare. Senza contare che non potrà certo offrire supporto analogo ai suoi, di figli, quando invecchierà a sua volta senza nemmeno uno straccio di pensione.
Insomma, siamo la prima generazione occidentale dopo secoli a consegnare ai propri figli un mondo peggiore di quello ricevuto, con aspettative nere per il prossimo futuro (anche non volendo credere del tutto a questa profezia di Grillo) e ancora peggiori per quello remoto. Questa è la semplice verità che viene ricoperta di un sacco di discorsi rispetto ad essa superficiali per nasconderla. Ma è talmente eclatante che sta cominciando a fare breccia anche sotto diversi strati di falsa coscienza: sotto il rincoglionimento televisivo, sotto l'identità da target di marketing dedicato, sotto l'indotto schifo per la politica, e perchè no sotto la beata superficialità che caratterizza ogni generazione di ragazzi, questi hanno cominciato a capire che il proletariato di oggi sono loro. Sono pochi, male organizzati, senza guida ideologica, ma hanno dalla loro una ragione sacrosanta, e tanti anni di meno. Guardate questa ventunenne cosa scrive a Il Fatto, ad esempio. Ecco perché, forse, continuano a protestare anche dopo che la cosiddetta riforma Gelmini (a proposito, ho scoperto qual'è la sua vera anima, altro che lotta ai baroni: va inscritta nel solco del federalismo, e ha come vero scopo e unico apprezzabile effetto un ulteriore depauperamento del demanio pubblico) è stata rinviata a dopo il 14 dicembre, che è come dire che forse non se farà niente: fanno corpo. Vedremo se è vero, o era solo un mio wishful thinking, da come si comporteranno nei confronti di altre questioni che saranno cruciali nel loro futuro, a cominciare ad esempio dall'acqua pubblica. Magari stare assieme li aiuterà a capire quali sono i loro veri nemici: se restano nelle grinfie dell'imbonimento mediatico prima o poi li convincono che sono gli extracomunitari che gli rubano il lavoro, magari dopo averli ridotti ad accettare anche i lavori che oggi solo questi disgraziati, vittime del neocolonialismo, sono disposti a fare.
Ragazzi, solo voi potete, oggi, impedire che si avveri la profezia di una delle menti più lucide abbia mai vissuto in questo Paese, Pier Paolo Pasolini, ucciso 35 anni fa in circostanze mai chiarite: ve la faccio prima leggere e poi sentire cantata da Alice che è ancora più bella. Impedirla o prepararvi a viverci dentro. Si chiama La recessione.
Rivedremo calzoni coi rattoppi, rossi tramonti sui borghi vuoti di macchine, pieni di povera gente che sarà tornata da Torino o dalla Germania. I vecchi saranno padroni dei loro muretti come poltrone di senatori e i bambini sapranno che la minestra è poca e che cosa significa un pezzo di pane. E la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremmo i grilli o i tuoni e forse qualche giovane tra quei pochi tornati al nido tirerà fuori un mandolino. L'aria saprà di stracci bagnati, tutto sarà lontano, treni e corriere passeranno ogni tanto come in un sogno. E città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi con i vestiti grigi e dentro gli occhi una domanda che non è di soldi ma è solo d'amore, soltanto d'amore. Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde nella curva di un fiume nel cuore di un vecchio bosco di querce crolleranno un poco per sera, muretto per muretto, lamiera per lamiera. E gli antichi palazzi saranno come montagne di pietra, soli e chiusi com'erano una volta. E la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremmo i grilli o i tuoni. L'aria saprà di stracci bagnati, tutto sarà lontano, treni e corriere passeranno ogni tanto come in un sogno. E i banditi avranno il viso di una volta con i capelli corti sul collo e gli occhi di loro madre pieni del nero delle notti di luna e saranno armati solo di un coltello. Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra leggero come una farfalla e ricorderà ciò che è stato il silenzio, il mondo, e ciò che sarà.

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