mercoledì 30 giugno 2010

ZERO

So di crearmi tanti nemici, ma (contando anche sul fatto di avere pochi lettori) lo dico: non sopporto le canzoni "serie" di Renato Zero, un filone sempre più preponderante nella sua produzione, all'inizio molto più virata sull'ironico. Alcune, delle canzoni serie più vecchie, sono però belle, bisogna ammetterlo: Il cielo per esempio, e Il carrozzone. Proprio quest'ultimo pezzo, che da ragazzi per gioco si cantava - specie il ritornello - con le mani "in tasca", mi suona in testa da quando ho sentito della morte di Pietro Taricone.
Non ho mai visto il Grande Fratello, se mi credete, ma ovviamente alcuni dei personaggi della prima edizione li conosco, per via della enorme eco mediatica allora sollevata. Taricone, in particolare, si era segnalato per il modo evidentemente consapevole con cui impersonava il personaggio assegnatogli (spero non ci sia nessuno che ancora creda alla veridicità di certi show televisivi, almeno nessun adulto), che lasciava da subito intuire che la persona era in quello incontenibile, che "c'era di più". E infatti eccolo che a suo modo tenta subito di svicolare, poi si mette a studiare recitazione, mostrando risultati apprezzabili; ed anche il suo ménage con la bellissima Smutniak (anche lei rivelatasi molto più di sostanza rispetto alle premesse - di solito le modelle fattesi attrici non diventano brave come lei) sembrava, pur dalle miglia a cui mi tengo da quel mondo, non rispettare i codici e i copioni del gossip vippettaro.
Anche quando manteniamo la giusta distanza da essi, però, i personaggi che scegliamo di impersonare dicono qualcosa di quello che siamo davvero: ecco perchè non ci si stupiva a saperlo paracadutista. Uno sport ormai ritenuto così "sicuro" che una giovane coppia con figli piccoli può pensare di affrontarlo senza per questo pensare di rischiare di renderli orfani, ma che mantiene una certa dose di rischio "per natura": se ti lanci nel vuoto la tua salvezza è affidata a uno strumento e a come lo usi. Non voglio entrare nel merito di come lo usasse "il guerriero", lascio le indagini ai giornali e alla magistratura che dai rispettivi punti di vista se ne devono occupare, checchè ne dica qualcuno, voglio semmai utilizzare questa vicenda per una riflessione più generale. Perché evidentemente, se a fare paracadutismo, ma anche parapendio, deltaplano, immersioni, free climbing, o a volare con gli ultraleggeri, sono in tanti, ci deve essere sull'altro piatto della bilancia un qualcosa che pesa di più del suddetto rischio. E tutti noi abbiamo degli amici che fanno uno di questi o altri sport "estremi" a cui potremmo chiedere di spiegarcelo, a quattr'occhi, cos'è sto qualcosa. E forse in tanti abbiamo anche qualcuno che ce l'ha spiegato e adesso non ce lo può ripetere.
Io avevo due amici, così. Due grandi amici, due fratelli.
B. amava qualsiasi cosa corresse veloce, ed è morto tragicamente in moto, forse nemmeno a seguito di una manovra azzardata: semplicemente, se vai in moto, hai ics per cento di probabilità di avere sfortuna, e più ci vai più aumenta la probabilità pratica tua personale (quella teorica restando sempre una media statistica astratta). Questo vale per qualsiasi cosa noi facciamo, anche spicciare casa: gli incidenti domestici sono talmente probabili che le assicurazioni specifiche sono carissime (volare in aereo, al confronto, è sicurissimo, come dimostrano di nuovo le tariffe assicurative). Il mio amico questo tipo di ragionamento, che spinge a vivere comunque (sia pure con tutte le precauzioni del caso) le proprie passioni, lo sintetizzava con una frase semidialettale, come tale straordinariamente efficace: "mangia, che sarai mangiato". Questa e altre sue espressioni sono il suo viatico di "immortalità temporanea", è quello che si intende quando si dice "lo porto dentro di me": a una persona a cui sei stato abbastanza vicino da conoscere il suo "database di risposte" puoi continuare a fargli domande fino a che campi. Per facilitarmi le cose, tengo B. come sfondo del mio PC, ma è l'estrema romanticheria, il resto è vita: io dico sempre che non esiste modo migliore di onorare i morti che fare l'unica cosa che non possono più fare loro, vivere. L'ultima sera che uscii con B. andammo a sentire le cover dei Pink Floyd. La sera stessa che avevo avuto la notizia, c'era un concerto di Roger Waters allo Stadio Olimpico: altri sarebbero rimasti a casa, io sono andato al concerto immaginando di avere quattro orecchie e quattro occhi (che piangevano tutti e quattro, daccordo, ma intanto ero lì).
S. mi diceva spesso "quando moriamo noi, non sarà rimasto più nessuno a saper guidare le macchine", e si riferiva a se stesso a me e a B., con una di quelle frasi che sottintendono "tra cent'anni". Invece a me e ad S. è toccato piangere assieme B., che era più giovane di noi. Non so se fu una decisione consequenziale, forse no, ma S. dopo che B. ci lasciò fu catturato dalla passione del volo. Gli ultraleggeri hanno il livello di tecnologia di una 124 coupè degli anni 70, bisogna avere il "manico", e lui ce ne aveva così tanto che bruciò le tappe della scuola di volo (tanto che dopo solo un anno, quando ebbe l'incidente, era l'accompagnatore sul biposto di un socio più anziano che doveva prendere un brevetto che lui già aveva). In più, per quanta libertà tu possa avere guidando un'auto, ad esempio andando in pista dove non devi rispettare il codice stradale, vuoi mettere una roba dove hai tre dimensioni? Una giornata ho passato al campo volo con lui, un voletto di prova mi ha fatto fare, e mi aveva quasi convinto, contagiato come solo chi ha una passione vera e intima può fare con gli amici. Avessimo vissuto nella stessa città, come un tempo, mi sarei presto iscritto con lui; a Roma invece le distanze rendono tutto più complicato, e non c'era lui a trascinarmi: sono rimasto a terra. L'ultima volta che lo vidi mi strappò di mano un libro di Camilleri e me lo restituì poche ore dopo, avendolo finito. Il libro successivo del prolifico scrittore siciliano mi rapì un giorno di qualche mese dopo allo stesso modo, dovetti finirlo prima di posarlo: esattamente in quel lasso di tempo il suo aereo finiva dentro una nuvola e contro una roccia. Coincidenze, mi dico da allora, roba che chiunque può raccontarne di simili, così come di storie di persone care scomparse prematuramente in modo più o meno assurdo e repentino come quelle che vi ho appena raccontato io.
Ed ecco che da quota zero di un paracadute frenato tardi, di una moto che scivola e di un aereo che cade, da quota zero di uno che finora ha declinato le sue passioni rasoterra, mi si chiarisce scrivendo che non è Il carrozzone la canzone di Renato Zero che mi girava in testa. La morte è una, la vita è una, ed è una malattia mortale nel cento per cento dei casi, non puoi scegliere di non morire puoi però scegliere in una certa misura come vivere. La canzone è La tua idea, quella che comincia con "è meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani".

lunedì 28 giugno 2010

ANDARE A FONDO

Ieri faceva trent'anni dalla tragedia di Ustica. La storia d'Italia è piena di episodi oscuri e stragi impunite, ma il DC9 dell'Itavia affondato al largo dell'isola tirrenica ha forse il primato di depistaggi evidenti. Un "muro di gomma" si è subito alzato a "proteggere la verità dai curiosi", e contro quello fino ad oggi sono andati a sbattere tutti, dal povero Corso Salani del film omonimo (lo compiango perchè è da poco scomparso prematuramente, come si dice), al giudice Priore che accusò di alto tradimento i vertici dell'Aeronautica, che hanno sin dal primo momento sostenuto la tesi dell'attentato (bomba a bordo), che rilancia Giovanardi oggi che l'inchiesta ha dimostrato l'abbattimento dell'aereo da parte di un missile. Conoscevo personalmente uno di questi ufficiali, che solo per un caso non era in servizio la notte del 27 giugno 1980, ed ha per anni sostenuto veementemente presso parenti e amici la tesi della bomba, anche se ad ogni morte sospetta si poteva credere di notare un filo di incrinazione in più nella voce, non ancora un dubbio, ma l'amarezza che ti coglie quando scopri che la sorte ai tuoi danni si fa beffe della statistica, si.
Si, perchè tra le persone che potevano sapere e dire qualcosa di ciò che accadde quella maledetta sera, infatti, si è registrato un numero particolarmente significativo di morti molte delle quali sospette: dodici tra strane impiccagioni, strani incidenti stradali, uno strano incidente aereo (quello famoso delle Frecce Tricolori), un omicidio a scopo di rapina senza rapina. Anche se tutto ciò fosse stato organizzato per coprire chissà cosa, sarebbe strano che a distanza di trent'anni si riuscisse a mantenere la copertura, e infatti col tempo parecchie cose sono state dette, anche da parte di chi in passato si è costruito fama di esternatore mattacchione forse proprio per poter dire quello che gli pare. Così il Corrierone, ai tempi in prima linea sulla vicenda proprio col giornalista impersonato da Salani nel film di Risi, oggi può permettersi di affondare con un pezzo come questo, in cui pare suggerire a chi tra i nostri politici usa intrattenersi sempre più intimamente col colonnello Gheddafi, che da anni allude all'incidente come se ne sapesse un bel po', di approfittare dell'amicizia per chiedere lumi su una vicenda oscura che una volta tanto non lo riguarda, per cui ci farebbe solo bella figura...
Io però preferisco lo stile diretto di Lameduck, che cose del genere le ha scritte sul suo blog giusto tre anni fa.
Tanto non è cambiato niente, nè rispetto a tre nè rispetto a trenta anni fa: si continua a non andare a fondo nella ricerca della verità, e ad andare a fondo nella deiezione dei nostri peggiori difetti, meritatamente guidati dal campione del mondo degli stessi.

sabato 26 giugno 2010

POVERA RAGAZZA

Stamattina ho fatto piangere una ragazzina. No, non sto vantando doti da sciupafemmine: era una telefonata di un call-center e ve la devo raccontare, perché fa scopa con tante pesanti e imprecise robe teoriche di cui sto infarcendo sto blog in questi giorni.
Giorni fa avevo ricevuto, come molti di voi, una incomprensibile offerta commerciale allegata alla bolletta della luce. Ero stato diffidente già all'etichetta del pacchetto di offerte: "mercato libero": sono un veterocomunista, e credo fermamente che tutte le privatizzazioni cui abbiamo assistito negli ultimi venti anni siano state un salasso per i cittadini e un affare soltanto per i soliti pochi noti. Ma un conto sono i monopoli di fatto, come in Italia dovrebbero essere le ferrovie, un conto settori come l'energia dove in effetti una liberalizzazione fatta come si deve avrebbe potuto migliorare parecchio la qualità dei servizi riducendone i costi e impattando positivamente sulla bolletta energetica nazionale tramite la libera autoproduzione e vendita del surplus. Ora, a parte che in Italia ovviamente non è stata fatta bene, perché qui si pensa ancora in termini di centrali nucleari e altri accrocchi antieconomici e pericolosi come la centrale a carbone di Saline Joniche solo perché consentono un buon margine per le tangenti, il problema è che, come tutte le offerte commerciali con dentro il padulo, anche con una laurea non si riesce a capire bene, da quelle carte, in cosa consiste l'offerta. Poco male, c'è il cestino (raccolta differenziata...).
Stamattina però arriva la telefonata. La ragazza cincischia, vuole parlare con l'intestataria del contratto. Dico se è per un offerta commerciale o per qualche problema nei pagamenti dica a me perché le bollette le pago io. E' un offerta commerciale, chissà perché lo supponevo. Dice lei dovrebbe avere ricevuto un'offerta in bolletta. Dico si meno male che ha chiamato non ci ho capito nulla me la spiega lei? Dice si tratta di uno sconto. Penso se è uno sconto fammelo e basta perché non dovrei accettare, ma dico che sconto? Dice uno sconto del cinque per cento. Ho capito, l'aiuto: si però sulle carte si parlava di libero mercato. Esita, sento parlottare. Dice se aderisce alla nostra offerta di libero mercato ha uno sconto del cinque per cento sulla sua bolletta. Penso si ma in cambio di cosa, dico si ma in che consiste l'offerta? Riesita, riparlotta, ripete le parole che gli hanno appena detto di dirmi, facendosi sentire, dice eh ma l'attivazione è gratis. Di cosa? Di libero mercato. Penso digli a questo stronzo che ti sta accanto che già ti pagano poco almeno potrebbero spenderle due lire in formazione prima di metterti operativa - dico mi spiace ma sono contrario ad entrare nel libero mercato (ma non dico almeno non così), salve. Si arrende, saluta, chiude, si capisce che ha il broncio, avrà vent'anni maledizione, magari è al primo giorno, magari ora la cazzìano, potevo prendermi sta cavolo di offerta!
Penso, oramai è tardi per lei: ha attaccato. Penso. Penso:
  • siano stramaledetti nei secoli dei secoli gli economisti i giuslavoristi i politici che hanno ridotto i nostri ragazzi a non sapere nemmeno che avrebbero diritto a un lavoro vero ed equamente retribuito
  • sta ragazzina magari è appena laureata, magari ci credeva mentre studiava, ecco perché piange
  • sta ragazzina se quando chiudeva i libri anziché guardare il grande fratello faceva le letture giuste, lei e i suoi amici oggi anziché affollare i cocktail bar e i social network affollerebbero le strade e le piazze facendosi ammazzare piuttosto che arrendersi al futuro che gli abbiamo preparato
  • sta ragazzina non lo fa perché anche coi 400 euro che gli danno in cambio del suo tempo e del suo amor proprio, tira avanti e si diverte, la sera, che tanto vive dai suoi che hanno stipendio fisso e pensione e ogni tanto sganciano e quando schiattano si piglia la casa
  • si ma se e quando lei avrà dei figli e i suoi saranno sotto terra da tempo i suoi figli non potranno contare sul suo stipendio e quand'anche lei arrivasse mai alla pensione sarebbe troppo bassa e sarebbe troppo tardi per loro, insomma questo è l'ultimo giro in cui il giochetto funziona
  • anche perché la casa, oramai, per campare ha dovuto fare uno di quei giochini con le banche che quando muore se la pigliano, era uno degli strumenti finanziari creativi introdotti da Tremorti, Tramonti o come diavolo si chiamava.
Penso meno male che non ho figli. Penso mo la racconto sul blog, sta storia, anche se non servirà a nulla. I call-center sono il fondo del barile non solo del lavoro ma anche del marketing, e infatti ormai vendono quasi sempre servizi di cui sei costretto ad usufruire se vuoi campare, è per quello che ora hanno privatizzato pure l'acqua (a proposito: firmato per il referendum?), non sanno più che inventarsi. Nella storia, da queste situazioni si esce, forse, solo dopo una catastrofe: l'ultima volta è stata una guerra mondiale, e chi ha ricostruito ha tenuto conto della lezione dei grilli parlanti di prima, dei quali però pochi erano sopravvissuti ai pinocchi.

giovedì 24 giugno 2010

VENDILA AI POLACCHI, LA TUA CARRETTA, SE SEI CAPACE!

La vicenda di Pomigliano prima di essere commentata deve essere riassunta "per sottrazione". Ridotta all'osso, è: la Fiat e i sindacati "buoni" firmano un accordo che comporta il ritorno dei lavoratori a condizioni pre-Statuto, autentica testa di ponte per l'assalto ai diritti di tutti, ma siccome il sindacato "cattivo" non firma si va a un referendum che è in pratica un ricatto: o la linea padronale vince o il Padrone produrrà le Panda in Polonia; ai ricatti, si sa, la parte debole perde sempre, e il si vince col 62%, allora il Padrone che fa? dice che non è abbastanza, e dichiara che la Panda resta in Polonia, a Pomigliano si farà altro, cosa non si sa, ne discuterà coi soli sindacati firmatari dell'accordo di cui sopra.
I miei amici dicono che sono troppo critico, che non posto mai una buona notizia, ma ecco che anche quando ce l'ho e vorrei postarla arrivano queste novità attorcigliabudella: solo sfogarsi parlandone riduce (parzialmente) il disagio. Eppoi, proprio a proposito di Fiat avevo postato uno dei commenti più ingenuamente ottimistici, ai tempi dell'acquisizione di Chrysler e forse di Opel: è colpa mia se questi in pochi mesi dimostrano che le speranze erano malriposte e avevano ragione gli scettici?
Poi i miei amici dicono che sono troppo teorico, troppo difficile: ma se questi praticamente ti costringono a rispolverare Marx dalla libreria, io che ci posso fare? Devo, insistere, è più forte di me: poi magari non mi legge nessuno, poi magari anche se mi leggessero tutti non mi capirebbe nessuno, poi magari anche se mi capissero tutti non mi seguirebbe nessuno, ma io voglio stare in pace con la mia coscienza. Perchè alle volte se non si hanno presenti gli architravi teorici una situazione non può essere letta correttamente. Mi perdonino i tecnici veri, ma poichè non sempre le teorie passando di moda smettono di avere una validità, io quella marxiana provo a sintetizzarla così: con l'accumulazione originaria (che è sempre violenta) i capitalisti assumono il controllo dei mezzi di produzione, cosicchè chi vuole campare deve vendere loro la propria forza-lavoro in cambio dei mezzi di sussistenza, ma il giochino funziona fintanto che c'è una differenza, il famoso plusvalore, tra il valore di scambio del lavoro che si estrinseca nella retribuzione e il valore d'uso dello stesso che finisce nei prodotti, incapsulato col valore delle materie prime e dei mezzi di produzione moltiplicato dalla produttività, e retribuisce il profitto. In italiano corrente: con la differenza tra quanto rende il tuo lavoro e quanto te lo pagano ci devono pagare la terra i ferri e averci il loro bel guadagno. Decenni di lotte dei nostri padri e dei nostri nonni hanno fatto si che questa differenza venisse in parte utilizzata per migliorare la qualità della vita dei lavoratori stessi, costituendo quel complesso di istituti che possiamo riassumere con l'etichetta stato sociale o welfare, ma che in definitiva è orario di lavoro umano, ferie decenti, possibilità di ammalarsi o fare figli senza perdere il lavoro, eccetera eccetera, fino anche ad una retribuzione sufficiente per entità e presunta stabilità nel tempo a pensare di comprarsi magari a rate gli elettrodomestici o l'auto nuova. Insomma, i capitalisti avevano capito che in fondo conveniva anche a loro, concedere ai lavoratori un po' di più di quanto gli consentiva a stento di sopravvivere, e ciò sembrava smentire definitivamente le teorie marxiane.
Ma questo è stato possibile finchè la Terra (il fattore di produzione principe secondo gli economisti classici, e a ragione, se capiamo che essa comprende tutte le risorse del pianeta) era sufficiente a consentire una crescita reale globale in cui la retribuzione di un fattore potesse crescere anche non a scapito di un altro. Quando è risultato evidente che il modello non avrebbe funzionato più a lungo, il capitalismo, nel frattempo trionfante sul capitalismo di Stato che usurpava il nome di Marx e l'etichetta di comunismo, ha preso tempo per due o tre decenni grazie all'inganno della leva finanziaria, che consentendo di truccare le carte ha illuso per un po' che ci potesse essere crescita ancora, utilizzando il tempo guadagnato per avviare e realizzare il magheggio finale, quello che è stato etichettato magistralmente (la comunicazione è figlia del marketing) come globalizzazione. I gonzi, volendo essere buoni, delle sinistre occidentali ci sono cascati, accettando da un lato la moratoria delle rivendicazioni che ha preso il nome di concertazione, dall'altro la creazione di esercito industriale di riserva tramite le migrazioni, le delocalizzazioni e la flessibilizzazione. Solo gente stupida o instupidita a forza di chiacchiere poteva credere che flessibilizzando il lavoro si sarebbero create le condizioni perchè si lavorasse tutti: questo sarebbe potuto avvenire solo se il sistema entro il quale si operava avesse avuto differenze tra i lavoratori minime, diciamo nell'ordine di qualche decina di punti percentuali; ma con differenze del costo del lavoro nell'ordine di svariate decine di volte, era evidente che il punto di equilibrio stava al di sotto della soglia di sopravvivenza, almeno dalle parti nostre (dato che l'unità di misura della ricchezza non è il denaro, ma il potere d'acquisto...).
E infatti ecco che il buon Marchionne può permettersi di: 1) minacciare una (ulteriore, perchè ne ha già moltissime altre) delocalizzazione se non vince il referendum, 2) vincerlo e 3) attuare lo stesso la minaccia. Come dice qui Grillo,
questo referendum è ignobile dal punto di vista dello Stato italiano; uno Stato vivo, vero, uno Stato che si definisca tale non avrebbe mai permesso di fare un referendum per dire: o lavorate senza diritti o morite di fame,
ma ha ragione anche chi fa notare che gli operai ancora sono dei privilegiati rispetto all'enorme sottoproletariato (ancora Marx: più poveri dei proletari, senza nemmeno la coscienza di classe) che non ha altro orizzonte che non un call-center. Solo che l'argomento viene utilizzato spesso a danno degli operai stessi, o degli statali che si lamentano per il blocco dei contratti, anzichè capovolgere come si dovrebbe il punto di vista: quando nessuno avrà più i soldi per comprare niente, idioti, prima di tutto chiuderanno i call-center, poi tutti gli altri...
Ecco perchè ho titolato il pezzo con una battuta: gira una mail con l'invito a boicottare la Fiat per la vicenda Pomigliano, oltre che per i decenni di soldi dello Stato che in un modo o nell'altro si è presa grazie al ricatto occupazionale e ai buoni uffizi politici. Io ho poco da boicottare: avendo pochi soldi, compro un auto solo quando quella prima è morta o almeno moribonda, ma siccome quindi il vero risparmio è comprarne una che duri tanto, di certo non compro Fiat (l'ultima è stata 23 anni fa...). Ma se davvero gli italiani volessero presentare il conto, a Marchionne, vorrei proprio vedere a chi la vende una utilitaria relativamente scadente e cara come la nuova Panda (che usurpa il nome della vecchia) o una berlina brutta e carissima come la nuova Delta (idem, con l'aggravante che con tutti quei soldi ti compri una macchina vera).
Ma guarda un po', due anni di blog, e mi devo vergognare solo di uno dei pochi post in cui la vedevo rosè. E invece è nera, anzì marrone, la realtà che ci circonda, marrone come quell'altra cosa che inizia con M, e non è Marchionne....

p.s. "mentre il giornale era in macchina" l'Italia del calcio è uscita dal mondiale con ignominia, peccato. Cioè, peccato sia successo con quattro anni di ritardo rispetto a quando sarebbe stato utile, sia per il calcio italiano sia per l'Italia in sé. R.i.p.

martedì 22 giugno 2010

IL FATTO QUOTIDIANO

E' in dirittura d'arrivo l'inizio di una nuova avventura editoriale, che seguiremo da vicino in quanto portabandiera del mondo della controinformazione a prescindere dall'essere o meno sempre daccordo con loro. Quelli de Il Fatto quotidiano, Travaglio in testa, fanno giornalismo come dovrebbe essere fatto, e magari ci fosse un Fatto di destra, o meglio, magari l'Italia fosse un paese deberlusconizzato e il Fatto potesse incarnare appieno anche quella parte di cromosomi che gli vengono da Indro Montanelli.
Intanto adesso fanno l'edizione on-line, e meritano tutto il sostegno della blogosfera, cioè di tutti noi che cerchiamo da dilettanti indipendenti di fare eco a quello che non passa nel monoblocco in ghisa che è diventata sempre di più l'informazione di regime.

sabato 19 giugno 2010

ERA MAGO

Non pubblico la mia nuova raccolta di saggi con Einaudi perché in essa critico senza censure né restrizioni di alcun tipo Berlusconi, il quale è il capo del governo ma anche il proprietario della casa editrice, come di tanti altri mezzi di comunicazione in Italia. La verità è che quella che si è creata potrebbe essere definita una situazione pittoresca se il fatto che un politico accumuli tanto potere non facesse temere per la qualità della democrazia.

Josè Saramago, premio Nobel per la letteratura, 1922-2010
Anche se le vicende che hanno visto la sua estromissione da Einaudi per lesa maestà sono quelle che gli hanno conferito la maggiore notorietà recente in Italia, se mi credete non mi sono avvicinato a Saramago per il suo feroce antiberlusconismo (questo testo dal suo blog è da applauso), come a leggere questo blog si potrebbe malignare. Come spesso capita in questi casi, un amico mi ha messo tra le mani Il Vangelo secondo Gesù cristo, dicendomi ironicamente: guarda, qui c'è uno che scrive più difficile di te. Era vero, come pure che non potevo non innamorarmene, e partire - come faccio sempre quando "scopro" uno scrittore, ma anche un musicista - alla ricerca di tutto quanto il resto che ha pubblicato. Stiamo parlando di roba che va dall'eccelso, L'anno della morte di Riccardo Reis (che credo sia il libro che gli è valso il Nobel - o forse fu Storia dell'assedio di Lisbona?), al buono, l'ultimo Caino, senza mai scendere sotto questo livello, almeno stando a quanto ho letto finora.
Dopo, solo dopo, sono scoppiate le polemiche per il diktat che ha subito, per avere avuto il coraggio di dire, lui non italiano molto anziano, cose che se fossimo un Paese con qualche speranza direbbero gli italiani giovani. Ma anche senza entrare nel merito delle cose che ha detto, nel suo blog e nel suo Il quaderno, è gravissimo che in un Paese che si definisce democratico una casa editrice (peraltro storica) non pubblichi un libro (peraltro di un suo scrittore di punta, quindi contro il suo stesso interesse economico) in ossequio al suo signore e padrone, ed è ancora più grave che quel libro fatichi a trovare un editore (alla fine, Bollati Boringhieri) e comunque una distribuzione decente. Il motivo possiamo solo sospettarlo: il Nostro aveva la disgrazia di avere una mente così lucida e rigorosa da essere non solo costretto ad opporsi al nostro ducetto, ma anche fermamente non credente. Un peccato imperdonabile non solo nel novello Stato della Chiesa che è l'Italia, ma anche in Portogallo, la sua patria da cui si allontanò già dai tempi della pubblicazione del suo vangelo, nei primi anni novanta.
E allora salutiamo Josè Saramago, che ci ha lasciati nel giorno 18 del mese di giugno dell'anno del signore 2010, non munito dei conforti religiosi perchè non ne aveva bisogno: sapeva rivolgere verso se stesso la sua spietata lucidità, quindi possiamo scommettere che per quanto si possa è andato in pace.

mercoledì 16 giugno 2010

CRONACHE MARXIANE

La minaccia è diretta ed esplicita: se Fini osa fare il suo dovere di Presidente della Camera, che gli impone di anteporre la discussione della manovra che è un decreto legge a quella del bavaglio che è un disegno di legge, si va al voto. Cosa che peraltro non è nei poteri del Presidente del Consiglio decidere, essendo tra le prerogative del Capo dello Stato indire nuove elezioni, in caso di dimissioni del capo del governo, e solo dopo aver consultato tutti i capi dei gruppi parlamentari per valutare se esista o meno la possibilità di affidare un mandato almeno esplorativo a un nuovo premier - ma questi sono dettagli, nella visione già perfettamente dittatoriale che ha della politica Silvio I da Arcore, e da sempre.
Il punto è che Berlusconi può agitare lo spauracchio del voto solo per un motivo: sa che se si votasse oggi rivincerebbe, per la totale assenza di una opposizione minimamente credibile, e si toglierebbe di mezzo i finiani. Viene dunque spontaneo chiedersi: perchè? Com'è possibile che con tutto il malessere che c'è in giro - la gente che non arriva a fine mese, i ragazzi quasi tutti senza un lavoro decente, la manovra taglia stipendi e allontana pensioni che arriva nel nome della crisi dopo due anni di negazione sfrontata della crisi all'insegna dell'ottimismo a reti unificate - costui possa permettersi una tale arroganza sul tavolo da poker della politica? Sicuramente la sventatezza politica di Veltroni D'Alema e company ha la sua parte, come pure il controllo della televisione che tanta parte ha nella creazione sia direttamente del consenso politico che del sistema di valori come veicolo indiretto di consenso, ma non basta. Anche perchè anche dove l'anomalia berlusconiana non opera, non è che le contromisure alla crisi siano diverse da quelle proposte da noi, vedi Grecia Spagna e Germania. No, mi pare che occorra uno sforzo collettivo, spremersi le meningi fino a recuperare qualcosa dagli studi di sociologia economica e politica: non mi tiro indietro, faccio la mia (piccolissima) parte sperando di essere parte agente di una riflessione virale che diventi pandemica.
....
Partiamo dai fatti: il potere d'acquisto procapite in Europa è tornato al livello di dieci anni fa, in Italia sotto. A me personalmente sembra sia ancora meno, ma anche limitandosi alle statistiche ufficiali viene da chiedersi: come mai? Il fato è che la media in questi casi è come per i polli di trilussa, risulta uno a testa quando tu ne mangi due e io muoio di fame: la ricchezza, dopo trent'anni di neoliberismo, si è spostata drammaticamente in favore del decile più alto sia a livello mondiale, a danno del terzo e quarto mondo, sia all'interno delle nazioni cosiddette ricche, dove il dieci per cento dei più ricchi è oggi molto più distante dagli altri di quanto non lo fosse negli anni 80. Quindi, ecco che se la media è tornata al livello di dieci anni fa, il potere d'acquisto della fascia centrale della popolazione, anche non volendo parlare dei "nuovi poveri", è sicuramente più basso di allora. In Italia, come bene riporta qui Micromega, il fenomeno presenta una sua peculiarità: grazie all'evasione fiscale diffusa tollerata e anzi moralmente giustificata dalle parole stesse di chi dovrebbe per compito istituzionale combatterla, c'è una fetta di benessere che sfugge alle statistiche, e si rivela nella massa di orrendi SUV che girano per le nostre città: basterebbe mettere per strada la Guardia di Finanza, a fermare e identificare chi ne guida uno, e sottoporlo a verifica fiscale e patrimoniale approfondita, personale e delle società cui eventualmente partecipa, per dare una bella mano alle entrate erariali, credo...
Provocazioni a parte, com'è successo tutto questo? A quali cause dobbiamo risalire, se vogliamo individuare una cura efficace, e non un salasso controproducente come questa manovra, che ruba i soldi dalle tasche dei dipendenti dimenticando che questo non potrà che incidere sulla già depressa domanda interna? (Tra parentesi, un merito indiretto la manovra ce l'ha: svela il bluff del federalismo, perchè se tutti i governatori si lamentano e parlano come Formigoni di federalismo tradito, è evidente che lo stesso ha natura come sospettavamo di mera moltiplicazione dei centri di spesa, e magari davvero l'azione del governo centrale tendesse ad abortirlo nei fatti riportandolo allo status di slogan elettoralistico buono per tutti...)
...
Carlo Marx era un economista classico convinto innanzitutto che il capitalismo fosse superiore ai modi di produzione precedenti, e solo a valle di ciò impegnato a denunciarne le contraddizioni insite. Prima tra tutte, quella tra libertà politica e schiavismo economico: gli schiavi erano proprietà dei loro padroni, come i servi della gleba dei feudatari, ma per ciò stesso era interesse dei loro proprietari preservarne la sussistenza per non rimetterci; gli operai invece vengono messi in condizione dalla rivoluzione industriale di sottoporsi volontariamente a uno schiavismo molto più potente, essendo spinti al sovrasfruttamento dall'impossibilità di sostenersi diversamente e dall'esistenza di quello che Marx chiamava "esercito industriale di riserva", uomini pronti a prendere il loro posto a condizioni peggiori. Fu da queste premesse che nacque il socialismo, e poi il comunismo. E' vero che Marx stesso mostra il suo limite nel dare valore di profezia al suo desiderio, che il proletariato rovesciasse il capitalismo instaurando finalmente il "modo di produzione perfetto", quello in cui non c'era finalmente più lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma è anche vero che lui immaginava che il processo potesse avere luogo solo dove il capitalismo era maturo, mentre invece il comunismo fu attuato in una società per larghi aspetti ancora feudale, dove quindi egli stesso si sarebbe aspettato che lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo si limitasse a cambiare vestito, come infatti è successo. Ma la ragione vera per cui la previsione marxiana non si avverò è di tipo psicosociale, fuori dunque della portata dell'eclettico pensatore tedesco: da un lato il comunismo, come il cristianesimo, sarebbe un ottimo modello socioeconomico se gli uomini fossero di natura buoni ed altruisti, ma non tutti lo sono - dall'altro non solo gli operai leggono i libri di Marx ma anche i capitalisti, che magari li capiscono pure meglio. In altre parole, da un lato la sintassi del Potere era destinata a permanere anche in una società che si autodefinisse di "uguali", nascondendo con questa forma ideologica le disuguaglianze di fatto allo stesso modo con cui la democrazia fa con la propria, di forma ideologica, dall'altro la dialettica tra capitalisti e movimenti socialisti e operaisti era destinata a innescare dinamiche di riforma del capitalismo che avrebbero portato alla sua sopravvivenza e al suo rafforzamento.
Negli anni 30 del secolo scorso, la situazione nei due sistemi contrapposti era la seguente: il comunismo staliniano garantiva a un popolo fin lì di servi condizioni materiali mai viste e una crescita economica mirabolante, il capitalismo occidentale precipitava in una crisi mondiale che uccise o affamò milioni di lavoratori e da cui uscì in due modi così diversi che si fecero guerra, il totalitarismo nazifascista e il keynesianesimo rooseveltiano.
I tre sistemi avevano in comune però molto più di quanto comunemente non si ammetta: in primis, una caterva di delitti più o meno nascosti (si, da entrambe le parti: non credete a chiunque vi dica "noi eravamo i buoni gli assassini erano gli altri"); in ultima analisi, una forte presenza dello Stato in economia.
Tra l'altro, fu esattamente questo e non la lettura del Capitale a portare le masse occidentali verso il socialismo: la constatazione delle migliori condizioni materiali di vita dei loro pari nell'altro regime. E fu esattamente la stessa cosa, in segno opposto, che causò decenni dopo il percorso inverso, prima di qua e dopo di là della cortina di ferro. Cosa era successo nel frattempo?
Che il capitalismo introiettò la lezione marxiana a modo suo: iniettandosi dosi omeopatiche crescenti di socialismo. Il fenomeno iniziò consapevolmente, ad opera di un economista anglosassone: John Maynard Keynes, le cui teorie portarono l'america prima e il resto dell'occidente poi fuori dalla crisi, con l'aiuto di una guerra mondiale. Keynes in pratica si accorse di una cosa semplice semplice: non era affatto detto che l'equilibrio che il sistema economico capitalista avrebbe sicuramente raggiunto se lasciato a se stesso necessariamente dovesse contemplare la sopravvivenza fisica di tutti gli agenti umani al suo interno. La sua lezione improntò le politiche economiche capitaliste per decenni, e il processo dialettico tra capitalisti e lavoratori non fu lineare nè senza scontri o vittime, ma di fatto il proletariato degli anni 60 in occidente non aveva quasi più nulla di quello studiato da Marx: orari di lavoro umani, ferie pagate, previdenza e assistenza per tutti, retribuzioni sufficienti a godersi il tempo libero e innescare una domanda interna che faceva da volano al capitalismo stesso, eccetera eccetera. Il welfare, in una parola. Il diritto a un lavoro dignitoso e sufficiente al sostentamento di corpo e anima, e ad una progettualità per se e i propri figli, sancito talvolta nelle costituzioni (come dalla nostra all'articolo 1) e in ogni caso nei fatti.
La crisi petrolifera degli anni 70 mostrò per la prima volta dov'era il limite del capitalismo, ma era troppo presto per capirlo: forse ce ne stiamo cominciando ad accorgere adesso, che un modello che resta in equilibrio solo a patto di crescere non può funzionare in un sistema a risorse limitate come il nostro pianeta. Di fatto, innescò una stagione di conflittualità in occidente che ebbe termine solo quando il sistema economico del socialismo reale, già minato - ripeto - dal mero confronto tra le condizioni materiali di vita ad esempio di qua e di là del Muro di Berlino, una volta stremato dalla corsa agli armamenti  crollò, ingenerando ovunque l'errata convinzione che il capitalismo fosse vincente per sua natura, fosse la "fine della Storia", come si disse. Invece, il capitalismo aveva dato il meglio di se proprio nella misurazione dialettica col socialismo: finito quest'ultimo, sarebbe tornato presto ai propri stilemi naturali, finendo nuovamente per dare ragione al suo maggior critico.
Ed ecco, inaugurata dal binomio Thatcher/Reagan, la nuova stagione dell'ultraliberismo, cui dobbiamo la crisi attuale. Il tentativo di riforma del socialismo reale da parte di Gorbaciov fu aiutato a fallire manovrando ad arte la leva finanziaria: l'accumulazione originaria del capitale, altra categoria marxiana sempre valida, era agevolata dalla struttura industriale e mineraria comunista, ed ecco che i più furbi tra i funzionari di partito del regime precedente passano rapidamente a guidare il regime successivo, transitando per una fase dal confine labile con la criminalità, per usare un eufemismo. E in Cina fu lo stesso regime comunista a guidare la transizione al capitalismo, soffocando nel sangue di piazza Tien-an-men i sogni di chi ingenuamente credeva che ciò automaticamente comportasse la democratizzazione e la libera circolazione di idee. La verità è che il capitalismo lasciato a se stesso se ne frega altamente della forma ideologica del potere politico che serve a mantenerlo: questo diceva lo stesso Marx quando osservava che il colonialismo dimostrava che il capitale mostrava in madrepatria la sua faccia pulita ma non si preoccupava di mostrare quella vera altrove. Per cui, quando ci parlano dell'antidemocraticità di Castro o Ahmadinejad, e delle purghe staliniane, o dell'olocausto, mentre giustamente esecriamo non dimentichiamo per cortesia nemmeno gli indios decimati dai conquistadores, la tratta degli schiavi africani, i milioni di pellerosse sterminati nella conquista del west, giù fino al "genostillicidio" palestinese e alle vittime civili delle vili campagne di guerra per il petrolio in Afghanistan ed Iraq.
La globalizzazione, ovverossia il proseguimento del colonialismo con altra etichetta reso possibile dalla scomparsa del blocco comunista, non è altro che la forma del capitalismo trionfante su scala mondiale, quindi ad essa si applicano le leggi dell'economia, quindi quasi tutti gli sfaceli che ha combinato e combinerà erano e sono perfettamente prevedibili con le categorie marxiane. Se l'Europa a 10 avesse, come prometteva, utilizzato l'unione monetaria come testa di ponte per l'unione politica, passando per quella economica e fiscale, poteva costituire nell'universo globalizzato una stella con una massa critica sufficiente ad attrarre pianeti nel suo sistema ed esercitare un'influenza sulle altre stelle. Portarla a 25 mantenendo l'unione a solo livello di mercato e (neanche sempre) monetario non poteva che sottoporla come una fascia di pianetini all'influenza gravitazionale di entità più grosse e concrete: l'esplosione della UE è ciò cui assisteremo nei prossimi mesi se non vengono prese contromisure di segno opposto a quelle di sudditanza al "sole" FMI che stiamo vedendo nel caso Grecia.
Ma io dico: come potevamo pensare di entrare in concorrenza con realtà in cui il lavoro viene retribuito una frazione che da noi senza che si innescasse una dinamica di livellamento del costo del lavoro (i salari, ma anche previdenza assistenza e quant'altro) necessariamente verso il basso, vista anche l'entità delle economie in gioco? Se l'elettorato europeo fosse composto di gente davvero pensante, avrebbe votato (se ne avesse avuto la possibilità, perchè bisogna vedere se davvero non è tutto un teatrino, anche sta storia delle libere elezioni...) per chi avesse promesso che qualunque cosa sarebbe diventata l'Unione Europea, l'unico punto fermo sarebbero state le conquiste socioeconomiche dei propri lavoratori, il frutto cioè di quella fertile dialettica capitalismo/socialismo di cui parlavamo. Se mantenere quel punto significava non ampliarsi, non ci si ampliava, se significava protezionismo verso l'esterno, protezionismo doveva essere, fino a che i lavoratori cinesi non avessero raggiunto condizioni paragonabili ai lavoratori europei non si sarebbe dovuto consentire l'ingresso di prodotti cinesi, e in nessun caso doveva essere consentito a imprenditori UE di delocalizzare le proprie imprese: tenendo duro prima o poi sarebbe successo come è successo per i paesi di oltre cortina, il contagio avrebbe spinto ad un equilibrio verso l'alto (come dimostra il fatto che nonostante l'assenza di una strategia occidentale in tal senso, qualcosa anche tra i lavoratori cinesi comincia a muoversi lo stesso: è una questione di fisica dei sistemi, e ignorarla è un delitto). Continuando così, invece, non resta che rassegnarsi: la discesa delle nostre condizioni materiali non si fermerà prima del livellamento in basso all'interno del mercato unico mondiale del lavoro. Abbiamo cominciato con leggi per flessibilizzare, e ci hanno raccontato che così si restava competitivi, ma era una balla (come è una balla sta storia di Pomigliano): si sarà competitivi solo quando la nostra condizione sarà di paraschiavitù come quella dei salariati di tutto il mondo. E la strada verso quel punto di equilibrio, come diceva Marx, sarà costellata di vittime, e neanche è detto che, come intuì Keynes, il nuovo equilibrio necessariamente contemplerà la sopravvivenza di tutti.
Perchè allora non ci ribelliamo? Perchè ci manca, e ci manca anche perchè ce l'hanno gradatamente tolta, quella che Marx chiamava "coscienza di classe". Siamo tutti nella stessa barca, ma crediamo di no. E questo vale a tutti i livelli: ce la prendiamo col cinese che ha messo su il negozietto accanto al nostro anzichè con chi ha deciso e attuato questa globalizzazione, etichettiamo come federalismo un miope egoismo di bassa lega illudendoci di poter salvare il nostro culo mentre quello dei terroni affonda, e anche tra terroni terremotati e sfruttati piuttosto che marciare tutti assieme verso le residenze dei nostri sciacalli e mangiarceli vivi preferiamo vivacchiare sperando di riuscire a riscattare il nostro destino individuale fottendocene altamente di quello dei nostri sodali. D'altronde, come biasimarci? Presi uno a uno, ciascuno di noi, per ribellarsi, ha troppo da perdere. Ancora.
Le (poche) speranze che ci restano passano per una strettoia: che in molti cominciamo a capire che non occorre essere Chavez per combattere l'imperialismo monetarista che ci strangola. Leggete con attenzione questa "lettera degli economisti", docenti e ricercatori di Università o di Enti di ricerca nazionali ed esteri non certo pericolosi sovversivi: non parlano ancora di decrescita, che è l'unica salvezza per il pianeta, ma applicare quanto scrivono sarebbe un buon passo in avanti per la salvezza di questo Paese: diffondiamola, condividiamola.

domenica 13 giugno 2010

AUGURI PROFESSORE

C'è pure su Facebook ma non credo sia lui, almeno nella maggior parte dei casi personaggi di questa levatura o hanno qualcuno che gli tiene il profilo sui social oppure qualcuno che ne ha aperto uno a loro nome abusivamente. Oppure si, oppure nella tranquillità dell'appennino toscoemiliano il Nostro, che si vanta di non aver mai preso la patente per l'auto, si diverte a smanettare sulla Rete in prima persona?
Nel dubbio, io gli auguri glieli faccio qui, in questo piccolo spazio che leggono i miei amici e alcuni dei loro amici grazie a un minimo di passaparola. Faccio gli auguri di buon settantesimo compleanno al grande Francesco Guccini, che so impegnato in un nuovo libro e un nuovo disco, e poi un nuovo tour, porca paletta!
Una semplice ricerca su questo sito dimostrerebbe che è uno dei miei maitre à penser, ma non è esattamente così: semplicemente, il suo modo di scrivere parole e musica è entrato dentro, a me e a milioni di altre persone, fin da quella che si chiamava età della formazione, e quindi capita spesso che di fronte a una situazione difficile da spiegare o comunque che dia da pensare arrivi in testa quella tale canzone di Guccini ad aiutarti.
Hai una separazione in corso, o ce l'hanno persone a te vicine? ecco che risuona Scirocco, ma io sapevo come ti sentivi spaccato tra lei e quell'altra che non sapevi lasciare. Un incidente ti ha portato via una persona cui volevi bene? Canzone per un'amica, lunga e diritta correva la strada. Ti è passata accanto un'occasione che non hai saputo cogliere? Autogrill, ed io sentivo un'infelicità vicina. L'elenco sarebbe lunghissimo, mi fermo qui.
Auguri, Francesco, giovane vecchio da cinquant'anni, che ti apostrofo come quel pensionato che davvero salutavi in via Fabbri, buongiorno professore come sta la sua signora, e da cinquant'anni guidi per noi una cosa viva lanciata contro l'ingiustizia. Quasi quasi ora ti chiedo l'amicizia....

venerdì 11 giugno 2010

VIVA VERDI

Ieri l'Italia ha compiuto un altro passo verso la dittatura formale: al Senato è stato approvato il ddl sulle intercettazioni, che adesso torna alla Camera per l'approvazione definitiva. Quando sarà Legge, avremo di fatto l'impossibilità di utilizzare le intercettazioni da parte di magistrati e inquirenti, e la censura mediatica nei confronti di quel poco che comunque si riuscirà a fare contro criminali mafiosi e corrotti. Questa è la realtà dei fatti e chiunque ti dice il contrario ti sta prendendo per il culo, caro il mio lettore eventualmente anche se improbabilmente elettore berlusconiano: a meno che tu non sia intimamente antidemocratico e filomafioso, nel qual caso la cosa ti va bene, sappi che hai la tua quota di responsabilità nella fine della democrazia in Italia, e spera che non siano i tuoi figli a doverne pagare il conto e a maledire la tua generazione come capitò a quella responsabile dell'ascesa di fascismo e nazismo. Per gli increduli, ecco una cronaca d'epoca sul bavaglio fascista alla stampa: ora, trovate le sette piccole differenze dalla situazione attuale, se siete capaci....
A margine, alcune notazioni positive e/o negative:
  • il PD ha avuto uno scatto d'orgoglio, uscendo dall'aula - sarebbe stato meglio avesse dato battaglia con l'IdV, meglio ancora se tutti avessero fatto resistenza fisica ai commessi per non farsi espellere dall'aula: ancora non possono entrarci le forze dell'ordine, mi pare, e quindi avrebbero avuto gli onori della cronaca con eco mondiale e forse un domani il plauso della Storia, ma insomma sono usciti dall'aula e meglio questo che niente...
  • la fronda finiana ha gettato la maschera: non era vero che avevano a cuore la democrazia e la legalità, volevano solo un filo di visibilità, l'hanno avuta, e adesso ancora una volta abbozzano e votano disciplinati le volontà del padrone perchè se una loro insistenza dovesse causare un ritorno alle urne temono di sparire e quindi stop bella vita...
  • reporters sans frontieres si offre di pubblicare le cose che in Italia non si potranno pubblicare, farà cioè al mondo per l'Italia lo stesso servizio che oggi fa per la Corea del Nord o l'Iran, tanto per intenderci...

Io non so che fare. Chiaro che non si accorgerebbe nessuno se questa voce smettesse di parlare, o argomentasse solo di tennis musica e altre frivolezze, ma è la somma che fa il totale, le millanta voci apertesi negli ultimi anni a costituire l'ultimo spazio di libertà, che spegnendosi tutte assieme lascerebbero un silenzio assordante. Per cui, esclusi quei pochi grossi siti di controinformazione che hanno le risorse economiche ma non solo per una strategia di difesa aperta (sia sul lato informatico che su quello giuridico e finanziario), a noi non resta che cambiare discorso. Insomma, saremo costretti a dirci le cose in codice per non finire rovinati o in galera, esattamente come nelle migliori tirannie di tutti i tempi.
Di recente ho ospitato (e linkato a) commenti critici sull'Unità d'Italia, che in gran parte condivido: è stata un'operazione di stampo coloniale, finanziata con soldi inglesi, che ha consentito a un piccolo staterello monarchico superindebitato di impadronirsi tra l'altro di uno Stato secolare ben più solido finanziariamente economicamente e industrialmente, incassandone il tesoro, assoggettandone i sudditi e uccidendone migliaia tra i più riottosi, e cambiando per sempre il corso storico di quei territori e della loro popolazione (mai emigrata prima, ad esempio, e dalle condizioni materiali non dissimili dai pari censo del nord...). Ma il tutto è potuto avvenire anche perchè c'era un minoritario ma non esiguo movimento di idee unitarie con solide basi teoriche culturali, di stampo autenticamente (loro si) federalista, e nel lombardo veneto sotto il dominio austroungarico anche motivazioni politiche concrete. Proprio qui, quelli che a Vienna chiamavano "terroristi" e "fiancheggiatori", e a noi a scuola hanno insegnato di chiamare rispettivamente "patrioti" e "nascente popolo italiano", andavano a vedere le opere unioniste sotto metafora di un grande musicista e poi inneggiavano a lui sui muri alludendo all'Italia savoiarda: viva VERDI, Vittorio Emanuele Re D'Italia.
Siccome io non sopporto il melodramma, però, vado direttamente alla metafora al quadrato: Rino Gaetano, nel 74, e la sua, di Aida...
Lei sfogliava
i suoi ricordi,
le sue istantanee,
i suoi tabù,
le sue madonne,
i suoi rosari,
e mille mari
- eia alalà,
i suoi vestiti
di lino e seta,
le calze a rete
- Marlene e Charlot,
e dopo giugno
il gran conflitto
e poi l'Egitto
e un'altra età:
marce svastiche
e federali,
sotto i fanali
l'oscurità,
e poi il ritorno
in un paese diviso,
più nero nel viso,
più rosso d'amore:
Aida,
come sei bella!
Aida,
le tue battaglie
i compromessi
la povertà
i salari bassi
la fame bussa
il terrore russo
Cristo e Stalin
Aida
la costituente
la democrazia
e chi ce l'ha
e poi trent'anni
di safari
fra antilopi e giaguari
sciacalli e lapin
Aida
come sei bella
La terza strofa Rino non può scriverla, tocca a noi, Antiberlusconiani Italiani Democratici Associati: AIDA, come sei bella...

mercoledì 9 giugno 2010

LA LEONESSA MANGIA LA TERRA

Ho aspettato che la celebrassero tutti, prima di parlarne: un blog non ha mai e non può avere ambizioni di cronaca e attualità. Pochi giorni prima che Francesca Schiavone vincesse a Parigi, avevo aggiunto la pagina "Scendoareteperdiletto", e mi piace la coincidenza, non solo per questioni scaramantiche: tutti i commentatori, a cominciare dalla Mauresmo in diretta, passando per Sua Maestà Martina Navratilova, non hanno potuto non sottolineare gli aspetti squisitamente tecnici della vittoria della bresciana. Tanto che la sintesi più frequentata è stata dire che "ha vinto il tennis" oltre che la nostra ragazza, in virtù del fatto che in un mondo di giovani energumene Francesca è una quasi trentenne capace di giocare il rovescio a una mano, variare i colpi, attaccare con intelligenza e chiudere di tocco, oltre che restare sempre concentrata e fantasiosa. Insomma, incarnare lo spirito del tennis: "una partita a scacchi giocata in velocità".
Per i dettagli tecnici leggetevi Ubaldo Scannagatta, a caldo e a freddo. A me piace sottolineare il parallelo con la vicenda della spagnola Martinez Sanchez a Roma il mese scorso, anche lei trionfatrice matura senza un grande palmares alle spalle e giocando di intelligenza fantasia talento e determinazione. Con la speranza che però il parallelo finisca qui, dato che l'iberica è subito rientrata nei ranghi, e la Schiavo possa combinare qualcosa di buono anche a Wimbledon. Di modo da restare abbastanza in vetrina da costituire quel volano perchè si avvicinino a questo sport tante ragazzine e tanti ragazzini, come ai tempi dell'ultimo trionfatore italiano a Parigi, Adriano Panatta.

domenica 6 giugno 2010

PRAGA CUORE D'EUROPA

Ebbene si, sono in vacanza. Avendo disponibilità per una cosa da pooracci, e disdegnando una soluzione tipo Sharma, l'unica era optare per pochi giorni in un posto con una moneta più debole dell'euro... Ballottaggio Praga/Istambul, vince la prima per comodità.
Il sole è spuntato dopo i primi due giorni piovosi e grigi, situazione a cui quest'anno però a Roma ci si era abituati, per cui si gira uguale e si vede abbastanza.
Prima impressione: Assisi. Stesso restauro eccessivo e pacchiano, no qui più pacchiano, stessa folla in processione tra gli stessi negozietti, che vendono le stesse cose fabbricate negli stessi posti, e forse hanno pure gli stessi proprietari.
Ma avendo il tempo per un approccio un filino meno superficiale, acquistiamo un biglietto per dieci musei, che specialmente quando piove non c'è di meglio.
Il primo di strada è la torre della basilica di San Nicola, appena fuori ponte Carlo. Adoro salire sulle torri, ma questa offre molto di più di un semplice panorama: sotto il tetto, sopra la campana, c'era una stazione di osservazione dei servizi segreti comunisti. e il capitalismo trionfante oggi ne ha fatto un museo a pagamento! Ma è una cosa fighissima, vedere i potenti mezzi tecnologici degli anni 60 e 70 esposti nell'ambiente perfettamente conservato in cui gli agenti svolgevano il loro compito, annotando intanto su calendari ritagliati dai giornali i risultati delle partite dei mondiali del 70 e del 74...
Gli stanzini hanno in bella vista anche il vecchio mobilio, radio tv telefoni che oggi si dicono vintage, e una completa dotazione delle apparecchiature che servivano per osservare spiare eccetera: l'effetto sarebbe di tenerezza, se non si sapesse cosa ha comportato quel regime specialmente in quel paese.
La risata spezza tensione arriva quando vado a firmare il registro del museo: la pagina aperta recita "Ciccio e Rosario from Reggio Calabria, mizzicaaaa" a cui non ho resistito di rispondere "minchiaaa puru jeu", anch'io, guarda le coincidenze.
...
Ma dopo avere visto tutto quello che si può (sei giorni per Praga sono pure troppi...), su cui sorvolo perchè non direi nulla di originale, tocca al museo del comunismo riportarti nella dimensione straniante per cui tu cammini per quelle strade chiassose e colorate cercando di immaginarti quando erano grige e silenziose, ma occasionalmente animate di altro tipo di chiasso e colorate del rosso del sangue. E il flashback temporale immaginario arriva a sovrapporsi, e ne è aiutato, da un flashback spaziale reale: Praga e Reggio Calabria, pur nella enorme differenza di dimensione delle tragedie, hanno visto entrambe, forse uniche in europa dalla fine della seconda guerra mondiale, i carri armati per le strade non per una sfilata, e io ero piccolo ma ne ho un ricordo vivido personale.
Non resisto: a una simpaticissima signora che ci guida tra gli ambienti del palazzo municipale chiedo, perchè dall'età apparente penso mi possa rispondere, cosa ne pensa della nuova praga e come era quella vecchia. E' impaurita, dico che non voglio un giudizio politico, ma architettonico, che è di sua competenza. Risponde più o meno così: ai tempi del comunismo era tutto brutto, ma oggi tutto quello che vedi è dei russi ricchi, e i ricchi spesso non hanno la cultura per sapere cosa è bello e cosa no.
Strano destino, quello di Praga: invasa dai nazisti poi dai sovietici, quando è finalmente libera si ritrova praticamente di proprietà di tedeschi e russi. Sarà una metafora?

In evidenza

DEFICIENZA, NATURALE

Dell'argomento AI ne abbiamo già parlato come di uno di quei pericoli gravissimi verso i quali sarebbe opportuno porre argini non appen...

I più cliccati dell'anno