domenica 27 marzo 2011

IL PD? PER CORTESIA, ANDIAMO OLTRE...

Avrei pubblicato comunque il pezzo che Michele Diodati mi ha inviato, data la stima per la persona, ma in questo caso, convinto come sono sempre stato che il PD sia stato frutto di una serie da manuale di errori marchiani per chi dovrebbe intendersi di politica, a cominciare dalla tempistica per finire alle scelte programmatiche e personali, lo faccio sottoscrivendolo integralmente. Salvo un piccolissimo dettaglio, che secondo me risolve a monte gli interrogativi posti da Diodati: il partito democratico NON è, e non voleva mai esserlo, un partito di sinistra...

Lettera aperta ai dirigenti del PD sull'identità perduta della Sinistra italiana
di Michele Diodati

In questi giorni Roma, come altre città italiane, è tappezzata di manifesti di Bersani in maniche di camicia sotto la parola "OLTRE", scritta a caratteri cubitali. Poi ci sono vari slogan collegati a quella parola: "Oltre il disprezzo delle regole c'è la Costituzione" oppure "Oltre le divisioni c'è l'Italia unita", e altri ancora.
Il manifesto è stato già ampiamente criticato, su tutti da Oliviero Toscani, che l'ha definito funereo: “Sono pazzi. Hanno fatto una campagna epitaffica, in bianco e nero, tombale: più che Oltre, direi Oltre-tomba. Il Pd così è morto, e Bersani è il Caro Estinto”. A Toscani hanno replicato i due creativi che hanno ideato la campagna pubblicitaria, Aldo Biasi e Salvo Scibilia: ”In questa campagna non fingiamo. Bersani non vuole apparire artefatto. Esalta i suoi pregi e non nasconde le debolezze. Bersani qui è solido, materico, simpatico e soprattutto eroticamente composto”.
Lasciando perdere l'erotismo di Bersani, sicuramente sia Toscani che i due creativi hanno le loro ragioni, ma sono ragioni estetiche, tipiche della comunicazione pubblicitaria. Parlano dei manifesti del PD come di un prodotto commerciale, qualcosa che si deve vendere e per la cui "vendita" si seguono strategie comunicative più o meno valide, più o meno discutibili. Ma questi ultimi manifesti del PD, così come quelli che li hanno preceduti, mi sembra che manchino clamorosamente di un elemento basilare, che non tocca ai pubblicitari né creare né gestire: un'idea politica di sinistra, qualcosa che dica subito, in modo chiaro e immediato a chi li guarda: ecco, questo è un manifesto di sinistra, fatto da un partito di sinistra per gli italiani di sinistra.
Da questi manifesti spuri trasuda invece a mio modesto parere un fatto evidente: la crisi d'identità che colpì il PCI dopo la caduta del muro di Berlino, fotografata ne "La cosa" di Nanni Moretti del 1990, continuata con le varie filiazioni del PCI (PDS, DS, Ulivo, Unione, PD), non è ancora finita.
I manifesti non sono libri. Per loro natura devono essere sintetici: in un simbolo, un'immagine, uno slogan devono riuscire a racchiudere la comunicazione essenziale che permette al cittadino elettore di riconoscere chiaramente il messaggio politico del partito, comprenderlo intellettualmente, decidere se vi si riconosce oppure no. Ma l'identità di sinistra manca completamente nei manifesti del PD. Tutti quelli che ho visto negli ultimi anni erano focalizzati su questioni concrete, che avrebbero potuto essere fatte proprie - pari pari - anche da una destra non berlusconiana: uniti si vince sulla disoccupazione e il precariato, difendiamo la Costituzione, superiamo il disprezzo delle regole, restiamo uniti in nome dell'Italia.
Com'è possibile - cari dirigenti del PD - che abbiate smarrito completamente l'identità della Sinistra o, quantomeno, la capacità di renderla pubblica, chiara, visibile, evidente, riconoscibile, attraente? Non vanno bene i simboli che avete scelto: lasciamo querce e ramoscelli d'ulivo nei prati e troviamo qualche elemento umano, che indichi una via sociale e politica di realizzazione. Va bene, falce e martello sono ovviamente superati, ma riconosciamo che avevano una potenza comunicativa e identitaria devastante! E' possibile che non riusciate a trovare un simbolo che sia in grado di interpretare la complessità del presente e che possa diventare il vero erede della falce e del martello? Qualcosa di emotivamente potente, riconoscibile come espressione di un'ideologia di Sinistra e in grado di aggregare la gente e far loro riscoprire la bellezza di un ideale?
E poi gli slogan. E' mai possibile che sui manifesti del PD non compaia più una frase che la destra non potrebbe, volendo, fare propria? Ecco qualche umile proposta per cercare di restituire ai manifesti del PD parole di sinistra:
"Più giustizia sociale e meno privilegi per i politici"
"Redistribuiamo equamente la ricchezza"
"Più soldi alle scuole pubbliche, meno soldi alla Chiesa"
"Meno individualismo e più solidarietà sociale"
"Meno evasori fiscali, più investimenti nella ricerca"
"Studi e alloggi gratuiti per gli studenti meritevoli"
"Cittadinanza italiana per tutti i nati in Italia"
"Non esistono clandestini, ma solo esseri umani"
"Lotta spietata ai conflitti d'interesse"
"Cultura, informazione e pluralismo sono i veri nemici delle mafie
".
Il PD e la sinistra hanno bisogno di darsi con urgenza un'identità chiara, riconoscibile e univoca. Il che richiede coraggio, chiarezza di pensiero e scelte decise. Credo che gli slogan che ho proposto siano un esempio chiaro di ciò che intendo dire. Se qualcuna di quelle frasi campeggiasse dietro Bersani al posto delle anonime scritte che il PD ha scelto per la sua comunicazione senza identità, Bersani stesso mi apparirebbe non più come un impiegato fotografato durante la pausa caffè, ma come qualcuno che si propone di restituire alla Sinistra la sua dimensione ideale: qualcosa che va ben al di là delle mutevoli contingenze del presente. I Berlusconi passano, l'ideale progressista rimane, perché fa parte in modo atemporale della dimensione politica umana. Bisogna solo riscoprirlo e adattarlo al presente, senza paura e senza titubanze, soprattutto senza la pretesa di voler accontentare tutti.

sabato 26 marzo 2011

CI CASCO

il magnifico vecchietto del video di E' già: ditemi,
non viene da abbracciarselo?!
Per il titolo utilizzo Lorenzo quand'era solo Jovanotti e faceva lo scemo. Per il resto non lo nomino nemmeno perché non ha certo bisogno di pubblicità: è uno dei pochi che fa ancora i soldi coi dischi e riempie gli stadi. Anzi, è uno dei pochi che, nonostante faccia ancora i soldi coi dischi e abbia una certa età, sta sempre in tour e riempie gli stadi. Che sia un grande melodymaker che finge di essere un rocker l'ho già detto qui, dove ho postulato inoltre che è l'unico vero erede di Enzo Jannacci di cui potrebbe interpretare quasi tutta la discografia (esclusi i pezzi i in dialetto): tra cent'anni al tributo al cantautore milanese la sua cover sarà tra le migliori come già è stato per quello a Faber, una perfetta Amico fragile che riporto in video alla fine del pezzullo.
Ne parlo adesso per due motivi. Il primo è che è in occasione dell'uscita del suo nuovo album rilascia interviste come questa riportata dal corrierone. Per chi non ha pazienza riporto un brano rubato in parte all'articolo relativo in parte all'omologo di Repubblica:
Troppo facile, quando succede qualcosa di brutto, pensare che è il volere di Dio e che il male è fuori di noi, invece il diavolo è una parte di noi, è il nostro lato oscuro. Non tutto è colpa nostra, ma neppure c'entra Dio [...] La verità è che dobbiamo vivere con la nostra coscienza, e sarà dura. Mi sveglio spesso pieno di pensieri la notte, ma il viaggio lo affronto: spesso abbiamo paura del fantasma della realtà, non della realtà.  [...] Vivere vuol dire avere coraggio. Non si può più pensare che la vita sia garantita. Nemmeno da una legge dello Stato. [L'eutanasia?] Non ne ho ancora abbastanza per spegnere l'interruttore. Se lo farò sarà per difendere la mia dignità di uomo, ho diritto di scegliere io quando porre fine a questa straordinaria esperienza.
Si tratta di una professione di agnosticismo e culto della responsabilità estremamente utile in un Paese come il nostro, a maggior ragione venendo da parte di uno con tanta popolarità: tutti coloro che sono impegnati nella lotta per uno Stato laico devono essergli intimamente grati, specie in un momento storico come questo.
Il secondo è che il soggetto (infatti) ha recentemente dimostrato di essere dotato di una dose di autoironia notevole, girando un video in cui sembra quasi fare il verso a Checco Zalone quando fa il verso a lui, un video soprattutto in cui appare meravigliosamente invecchiato, pochi spettinati capelli, mille miglia lontano dalle icone del suo mondo ma anche da quelle di altri mondi: a 59 anni sembra, a guardare distrattamente, il padre di quel settantacinquenne che si è trapiantato il gatto morto in testa e si intonaca la faccia per affrontare le telecamere e gli specchi della sala del bunga-bunga. A guardare bene però, l'occhio come per i pesci al mercato ittico, quello più vivo è lui, inoltre molto più vivo di tanti di noi (e molto più giovane anche di chi allora ragazzino imbastiva sopra la sua vita spericolata una filastrocca moralistica). Vivo, stupito di essere "ancora qua", e altrettanto felice.
Ci casco, maestro, musica!

mercoledì 23 marzo 2011

A SCHIFìO

Sentire miei amici di sinistra schierati a favore dell'intervento "contro il tiranno" Gheddafi è stato davvero troppo: dàlle e dàlle la retorica dell'esportazione della democrazia per via militare ha sfondato anche dalla mia parte, o è questa situazione che è peculiare e a me sfugge? Occorre il "solito" spulcìo in rete "col filtro", che è poi la ragione precisa per cui ho aperto questo blog, anche se mi rendo conto può essere faticoso seguire link e rimandi anziché un percorso lineare dietro un ragionamento semplice; ma è appunto questo il limite più grande della controinformazione web, che ognuno volendo può dare fiato libero alle proprie idee e aggiungersi ad un "rumore" in cui è difficilissimo ancora sentire una frase sensata tutta intera.
Queste allora innanzitutto le voci che ritengo da ascoltare per farsi un'idea meno che superficiale della situazione libica:
  • Vattimo, ovvero il mondo vecchio in guerra contro quello nuovo, ovvero occorrerebbe urgentemente rifondare l'ONU;
  • Lameduck, ovvero perché non partiamo da Ustica e dalla strage di Bologna?
  • Bertani, ovvero allora risaliamo al Kosovo, o meglio a Mattei;
  • Pagliani, ovvero questo intervento mi ricorda qualcosa, e più che il solito voltafaccia italico (sostiene Odifreddi), l'intervento di Mussolini nella seconda guerra mondiale "per avere qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace", che sappiamo com'è finito;
  • Grillo, ovvero siamo in guerra, altroché;
  • Cedolin, ovvero la guerra santa e il rischio di deriva afgana;
  • Latinoamerica express, ovvero ma l'Italia non la ripudiava, la guerra?
  • Cardini, ovvero l'autodeterminazione dei popoli e l'iniziativa umanitaria, due concetti così flessibili che si piegano sempre dalla parte del petrolio;
  • Pepe Escobar, ovvero si tratta di una battaglia della guerra tra potenze uscenti e potenze emergenti (il cosiddetto BRICS), ovvero ci siamo infilati in una situazione che può davvero complicarsi e finire male (a schifìo, si dice dalle mie parti).
Lo schema stringato dei fatti che me ne deriva è dunque il seguente:
  • in Libia c'era il secondo reddito pro-capite dell'Africa e c'è un'immensità di ricchezze nel sottosuolo;
  • non abbiamo nessuna prova del fatto che, come in Tunisia e in Egitto (ammesso che li sia questa la versione acclarata), ci sia stata una vasta insurrezione popolare di affamati di pane e democrazia tendenti a rovesciare un regime;
  • abbiamo fondati sospetti che si tratti invece di una rivolta territoriale con radici storiche remote, nella quale dunque nessun Paese straniero e tantomeno l'Onu aveva alcun diritto di intromettersi;
  • peraltro, non abbiamo nessuna notizia su chi siano questi rivoltosi e quale sia il loro grado di "democrazia potenziale": potrebbero essere seguaci di un vecchio monarca, o integralisti islamici;
  • Gheddafi se è un tiranno adesso lo era anche sei mesi fa, quando veniva ricevuto con tutti gli onori; a me è stato sempre antipatico (come Saddam) ma non è un buon motivo per avallare un attacco militare ed eventualmente una deposizione violenta con tanto di esecuzione sommaria (come per Saddam, una macchia indelebile sulla nostra patente di civiltà).
In ogni caso, delle due l'una: o la situazione libica si configura in una faccenda interna libica, e allora il diritto internazionale ci vieta l'intervento anche se sotto il cappello dell'Onu o della Nato, con buona pace delle farneticazioni presidenziali con tanto di arrampicata sugli specchi, oppure è una controversia internazionale, e allora si torna a bomba sotto il dettato dell'articolo 11 della Costituzione, secondo cui l'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione eccetera. Ripudia. Ripeto, ripudia. Le traballanti eccezioni che ci hanno consentito di violare questo esemplare dettato in Kosovo Afghanistan e due volte in Iraq, l'attacco al Kuwait le presunte stragi di albanesi le torri gemelle e le inesistenti armi chimiche, qui non ci sono nemmeno. Se il genio della lampada mi desse i pieni poteri per fare una cosa sola, una sola, come "dittatore one-shot", io sceglierei di condannare per Alto Tradimento tutti coloro che hanno fatto o avallato le scelte guerrafondaie degli ultimi vent'anni, da D'Alema a Napolitano passando per La Russa e Berlusconi, specie se in posizioni dalle quali la Costituzione avrebbero dovuto difenderla.
E speriamo finisca presto, in un modo o nell'altro, perché se finisce a schifìo stavolta siamo proprio sul fronte, e sono cazzi.

venerdì 18 marzo 2011

IL NOCCIOLO DEL PROBLEMA

Ci sono delle questioni in cui è proprio impossibile riuscire a intortarla a chicchessia, una è la paura della morte propria e dei propri cari, specie figli, magari tra indicibili sofferenze. Però se l'affare è bello cicciotto, tanti ma tanti belli eurini in commesse da poter accontentare tutti i tangentabili e i tangentevoli per decenni, vale la pena almeno tentare: ecco perché la cricca del mattone che è la vera anima del cosiddetto cavaliere e della sua maggioranza a un certo punto si è scatenata in una campagna di stampa concentrica a volerci dimostrare che il nucleare è economico, pulito, redditizio, e quello di terza generazione e mezza pure sicuro. Siccome poi si teme di perdere il referendum intanto promosso e approvato dalla Corte, si decide di fissarlo in data balneare, ché l'accorpamento con le amministrative (che ci farebbe risparmiare 400 milioncini) gli farebbe raggiungere il quorum.
Quando si dice la sfiga, però, ecco che madre natura (non seguo i teorici del complotto, almeno stavolta, perché la statistica bisogna saperla maneggiare e in questo campo non ci sono dati storici sufficienti, e perché tutto sommato non è necessario ipotizzare un intervento a priori nei disastri naturali per postulare l'inaffidabilità di chi comanda il mondo oggigiorno, basta verificarne le colpe a posteriori) ti fa capitare un iradiddio in Giappone proprio adesso, e non ci lamentiamo se ci tocca vedere, anziché un primo ministro che invita alla preghiera mentre 50 autentici eroi tentano di salvare il salvabile, un'intera classe di governo che prima minimizza e poi è alla spicciolata costretta a comici dietrofront man mano che si scopre la reale dimensione della tragedia.
Si accettano scommesse dunque sul quando ma non sul se, il tardivo e truffaldino programma nucleare berlusconiano sarà definitivamente immolato sull'altare del consenso elettorale; nel frattempo siccome non si sa mai ci attrezziamo tutti (TUTTI, VERO?) a portare a braccetto al seggio tutti i nostri amici e parenti il 12 o 13 giugno, a votare SI all'azzeramento definitivo del nucleare in Italia, e con l'occasione altri due SI all'abrogazione del (mica tanto) legittimo impedimento e della privatizzazione dell'acqua. Siccome questi ultimi due quesiti non sono meno importanti del primo, spero proprio che non abbiano la furbizia di vanificare questo per lasciare soli gli altri due, ma il problema si porrà a suo tempo, per ora iniziamo la campagna elettorale referendaria 2011.
L'argomento semplice semplice con cui trascinare la gente alle urne, è dunque questo: come da ultimo dimostra il caso giapponese, non esiste una stima statisticamente attendibile della sicurezza delle centrali nucleari, e d'altro canto non è affatto vero che esse producano energia a costi convenienti. A chi volesse argomenti di dettaglio, propongo come al solito una serie di approfondimenti:
  • Natalini su l'Unità, ovvero l'aritmetica del rischio e della convenienza economica;
  • ASPO, ovvero sullo stesso argomento con la suggestione del "cigno nero";
  • gli archivi di dicembre 1908 del Corrierone (1 e 2), ovvero non è vero che terremoti e maremoti come questo da noi non se ne vedono;
  • IRSN, ovvero l'animazione di come si è spostata la nube di Chernobyl (grazie, Fabrizio);
  • la "solita" incisiva Lameduck, ovvero se non basta quanto dice guardatevi il filmato su Chernobyl che posta alla fine del pezzo;
  • un insolitamente rapido Carlo Bertani, ovvero se sbagliano i giapponesi...;
  • enricoberlinguer.it, ovvero ecco come e perché il nucleare è inutile e costoso;
  • Regioni.it, ovvero la levata di scudi generale contro il blocco degli incentivi alle rinnovabili disposto dal governo per spianare la strada al nucleare (era il giorno prima del sisma, ora Romani ha dichiarato che nessuna centrale sarà installata in Regioni che non la vogliono, secondo voi quante la vorranno?);
  • Jacopo Fo, ovvero alcune cose da sapere sulle alternative al nucleare;
  • Pallante e Bertaglio, ovvero la vera green economy è il futuro;
  • Sansa, ovvero però tutto ciò comporta e porta dritto dritto alla decrescita.
Nel frattempo, è doveroso segnalare che il tentativo di accorpamento alle amministrative per via parlamentare è fallito: per un solo voto, quello di un radicale, si, ma anche per l'assenza colpevole di alcuni deputati della cosiddetta opposizione. E quando mai colgono un'occasione, questi...!

mercoledì 16 marzo 2011

MA IL 17 MARZO PROPRIO NO

Si avvisano i lettori che non abbiamo
sfregiato il logo ufficiale terrorizzati
dalle avvertenze pubblicate sul sito
contro gli utilizzi impropri dello stesso.
Per non sapere né leggere né scrivere,
non mettiamo nemmeno il link.
Torno a parlare di Unità d'Italia solo in quanto mosso dall'attualità: ho appena saputo infatti che per fare la festa il 17 marzo in pratica mi hanno rubato un giorno di ferie, come a tutti i lavoratori dipendenti italiani. E' una cosa così assurda che quando me l'hanno detto non ci credevo, eppure è proprio così. Come al solito, il governo fa benissimo quello che è la sua ragione sociale, fare gli affaracci del premier, e in tutto il resto brilla per disaccordo disinteresse o dilettantismo: la sua anima vetero-destrorsa reclamava la festa nazionale, quella confindustrial-leghista nascondeva l'antipatriottismo dietro le esigenze produttive (come se un giorno in più di fermo avesse qualche ricaduta reale su un sistema asfittico per ben altre ragioni), e l'uovo di Colombo è stato come sempre orientare il padulo verso Pantalone.
Per noi meridionali il tutto ha un sapore ancora più beffardo: sono vent'anni che assistiamo agli sproloqui di gente che senza la colonizzazione del Sud, con l'esproprio prima del tesoro erariale poi del tessuto produttivo infine della forza lavoro e con la realizzazione sperequata a loro favore delle infrastrutture, avrebbe ben poca ricchezza da difendere, gente che si permette di discutere le statue di Garibaldi mentre dovrebbe ricoprirle d'oro! Sono discorsi che qui ho già fatto e ospitato e che si sentono sempre di più in giro, tematiche che trovano sempre più spazio nella grande editoria (Il sangue del sud di Giordano Bruno Guerri, che sto leggendo, è un libro Mondadori) e addirittura costituiscono letture consigliate da chi non te l'aspetti: ce n'è abbastanza perché il "bravo controinformatore" (sul tema leggetevi qui Carlo Bertani) si attivi per consigliare una serie di spunti di approfondimento e fornire un set di chiavi di lettura, optional come sempre la propria opinione personale.
  • 17marzo.com, ovvero la via positiva e propositiva alle celebrazioni dell'Unità, ovvero quella che NON è seguita ufficialmente.
  • Laterza, ovvero la retorica risorgimentale diversamente declinata ma comunque ancora troppo ma troppo presente.
  • Strill, ovvero qualcuno al Sud comincia ad accorgersi che il federalismo fiscale è un cavallo di Troia per la secessione (il federalismo municipale usurpa sia il sostantivo che l'attributo, essendo invece "solo" la soluzione finale del processo di privatizzazione della cosa pubblica avviato dal centrosinistra negli anni novanta, la fine di ogni speranza di avere una base da cui ripartire dopo il default a meno di un azzeramento fortemente traumatico), un passepartout ideologico buono per tutti PD compreso, cui solo menti lucide e rigorose come Sartori guardano con oggettività.
  • Tremonti, ovvero il campione del mondo di inversione a U a chiacchiere (memorabile una serie di articoli sul Corriere contro i condoni fiscali pochi mesi prima di andare al governo e battere il record ogni tempo del loro varo), ovvero al Sud serve l'intervento statale.
  • Beni comuni, ovvero il futuro mostra quello che è stato tolto nel passato, ai contadini meridionali per ultimi (a quelli inglesi per primi: rileggere Marx please) proprio con l'Unità d'Italia.
  • Della Luna (con cui pur avevo già polemizzato - per carità senza pretese di paritarietà), ovvero l'esproprio di sovranità prossimo venturo alla maniera jugoslava.
  • Blondet, ovvero come sono andate davvero le cose nel cosiddetto Risorgimento.
  • Pino Aprile, ovvero menomale che finalmente si torna a parlare di Sud, ovvero la verità storica sui terroni raccontata con durezza ed equilibrio senza trippa per dietrologi.
  • Borsellino, ovvero quando e come il Partito del Sud a guida mafiosa fu momentaneamente accantonato per seguire il progetto Forza Italia, e quindi come e perché si potrebbero spiegare le pubblicazioni mondadoriane e i consigli di lettura odierni.
  • Truman Burbank, ovvero la coscienza meridionale artatamente formata per preparare la dissoluzione dell'oramai inutile Italia unita (pezzo assolutamente da leggere per completezza del racconto storico e lucidità nell'analisi dietrologica).
Letto tutto quanto questo, anche solo per elencazione, si può prendere partito a ragion veduta. Questo è il mio, in una serie di punti per maggior chiarezza:
  • l'Unità d'Italia è stato un processo di stampo coloniale, eterodiretto ed eterofinanziato, attuato grazie a un mix di fortuna ed efferatezza a danno esclusivo dei meridionali (ricchi esclusi);
  • prima della sua attuazione, il Piemonte era uno staterello pieno di debiti, e il Regno delle due Sicilie la terza potenza industriale europea, con un tesoro erariale ingente, e un livello di povertà delle proprie classi subalterne non maggiore che nel resto d'Italia ma qui compensato dalla permanenza di istituti di salvaguardia preindustriali;
  • i cosiddetti plebisciti sono stati una truffa, la nomina il 17 marzo 1861 di Vittorio Emanuele a Re d'Italia una usurpazione;
  • la cosiddetta questione meridionale nasce a questo punto e non prima: l'abolizione degli usi civici, la promessa mancata delle terre ai contadini, la leva obbligatoria, la dittatura militare instaurata con la legge Pica in reazione a un fenomeno di resistenza civile etichettato ingiustamente come brigantaggio, la distruzione del nascente tessuto industriale, la tassa sul macinato e le altre imposte, la costruzione di strade industrie e altre infrastrutture da quel momento in poi concentrata solo al centro/nord, eccetera eccetera, hanno creato quel gap che si comincerà a chiamare questione meridionale pochi decenni dopo come se fosse esistito da sempre, gap che si aggraverà per via della conseguente massiccia emigrazione di gente a cui non era rimasta altra alternativa;
  • tutto questo e non le solite fregnacce zuppe di retorica risorgimentale dovrebbero raccontare i professori nelle scuole (il mio al liceo per fortuna lo faceva, buonanima) e le celebrazioni televisive compresi i siparietti comici dei divi bolliti a cavallo: solo cosi, affrontando e sviscerando il problema una volta per tutte, si possono creare le condizioni per un autentico rilancio dell'unità nazionale;
  • solo a patto di una presa di coscienza matura e collettiva si può evitare che prenda piede un progetto strisciante di creare, tramite una presa di coscienza avvelenata e revanchista, un contraltare alle stronzate leghiste fatto di stronzate meridionaliste, di preparazione ad una secessione mascherata da federalismo che era già nero su bianco nelle carte di Gianfranco Miglio, l'ideologo che muoveva i fili del Bossi alle prime armi;
  • di conseguenza, non è affatto contraddittorio mettere in discussione, e chiedere una discussione pubblica e aperta, un mea culpa collettivo tipo quello che a un certo punto ostentarono gli statunitensi nei confronti dei pellerossa e poi dei neri, e chiedere che questo venga archiviato nella Storia, usato per riscrivere i libri di scuola e la politica economica e sociale ma per nient'altro, sulla base della semplice considerazione che sono passati 150 anni e sono successe tante altre cose;
  • alcune delle cose successe sono sinceri tentativi di riparare al male fatto al Sud, altre solo palliativi incolpevoli, altre carità pelosa con effetto boomerang, nessuna ha risolto il problema perchè il problema non si è mai voluto risolvere, perchè le due velocità all'interno del Paese sono state un suo punto di forza fino a che si potevano fare svalutazioni competitive e una politica economica e finanziaria autonoma, ed è esattamente questo il motivo per cui quando si è cominciato a parlare di area Euro è esplosa la Lega e il suo progetto di limitarne al nord industrializzato l'ingresso, progetto mai del tutto abbandonato e che tornerà prepotente alla prossima crisi finanziario-monetaria, ci potete giurare;
  • ma io volevo ampliare il quadro e parlare delle cose successe in Italia al di là della questione meridionale in senso stretto, e qui per quanto allunghiamo l'elenco esso sarà necessariamente incompleto, quindi accontentiamoci di un tratteggio approssimativo: l'emigrazione di milioni di meridionali prevalentemente in america, la prima guerra mondiale vinta (ma il mio professore del liceo diceva "pareggiata") col contributo essenziale del sangue meridionale, il ventennio fascista e le tragiche tardive ed efferate esperienze coloniali in Libia e Africa orientale, lo sbarco americano al sud organizzato da Lucky Luciano e dalla mafia così che poi non ci si chieda come mai questa avrà nei decenni successivi tutto il potere che ha avuto, la seconda guerra mondiale persa con l'onore nazionale riscattato dalla Resistenza senza la quale nessuno ci avrebbe tolto un destino peggiore della Germania, la ricostruzione del secondo dopoguerra conseguita in gran parte sul sudore e le schiene di milioni di meridionali oggi spesso padri di trote leghiste senza memoria, l'esempio di uomini del Sud come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (ma anche molti loro successori come Nicola Gratteri, calabrese) che hanno pagato con la vita l'adesione intima ai principi di democrazia libertà e giustizia di uno Stato di diritto pur essendo nati e cresciuti in un ambiente che ti imbeve di cultura mafiosa prima che tu venga (eventualmente) impanato di cultura democratica.
In questo elenco ci sono abbondanti spunti per trovare quello che una Nazione deve avere e l'Italia non ha: un mito fondativo. Come ben dice Guerri nel libro succitato, non si è fatta l'Italia come unione degli Stati italiani ma come ampliamento colonialista del Piemonte, non si sono fatti gli italiani come nel famoso motto di D'Azeglio perché quello che si voleva erano solo più sudditi, si è supplito a queste mancanze di base con un patriottismo posticcio indottrinato pesantemente con la prima scolarizzazione di massa (rileggere Cuore di DeAmicis con questo filtro, please) che è poi quello che ha portato al fascismo, quello a cui certa destra è rimasta legata (e dunque non c'è da stupirsi se non gli ha impedito il lungo rapporto con l'eversione leghista), quello che ha portato alla scelta di questa data infausta, la data in cui un re di una dinastia scredidata dalla Storia (per aver affidato il governo a un dittatore, ed al redde rationem essere scappata coi soldi ) ha usurpato il trono a un suo cugino con tanta più dignità da combattere a fianco ai suoi a Gaeta e una volta perso lasciare l'oro al suo posto, quello che pervade la retorica delle celebrazioni di questi giorni, quello che permane nell'animo di certa sinistra fino ad ispirare l'esegesi di un famoso comico in un famoso festival di un famoso inno che è in realtà una canzonetta di musica ridicola e testo penoso.
Dopo esserci fatto rubare Verdi dai verdi, così ignoranti da aver adottato come inno del partito della secessione un pezzo concepito per una patria bella e perduta che è proprio quella che loro vogliono dividere, non ci resta che scegliere il nuovo inno nazionale, a sostituire quello che Rino Gaetano descrive (nella meravigliosa Sfiorivano le viole) come un pezzo tutt'ora in voga scritto da Michele Novaro che incontra Mameli, tra l'immenso panorama del nostro cantautorato degli anni settanta. Il 17 marzo mi hanno costretto a fare festa, ma per me la festa dell'Unità d'Italia è il 25 aprile, o semmai il 2 giugno. E l'inno nazionale è questo qui:

Viva l'Italia, l'Italia liberata, 
l'Italia del valzer, l'Italia del caffè,
l'Italia derubata e colpita al cuore, 
viva l'Italia, l'Italia che non muore. 
Viva l'Italia, presa a tradimento, 
l'Italia assassinata dai giornali e dal cemento, 
l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, 
viva l'Italia, l'Italia che non ha paura. 
Viva l'Italia, l'Italia che è in mezzo al mare, 
l'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare, 
l'Italia metà giardino e metà galera, 
viva l'Italia, l'Italia tutta intera. 
Viva l'Italia, l'Italia che lavora, 
l'Italia che si dispera, l'Italia che si innamora, 
l'Italia metà dovere e metà fortuna, 
viva l'Italia, l'Italia sulla luna. 
Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre, 
l'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre, 
l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste, 
viva l'Italia, l'Italia che resiste. 

lunedì 14 marzo 2011

IL MOTEL DI LOLITA

Della serie "riceviamo e volentieri pubblichiamo", un invito a teatro per le prossime serate.
Il Motel è un inferno cialtrone, nel quale i dannati rivivono la parodia delle proprie colpe,  imprigionati in un eterno ruolo. E’ qui dentro però, che  hanno la possibilità di scardinare il proprio finale per provare a vivere oltre la parola fine, dentro le dinamiche di una vita futura, che loro non hanno avuto modo di condividere.
Così ritornano protagonisti di un loro personale futuro, portandosi però appresso tutto il fardello dell’inadeguatezza della loro esistenza.
Di fatto i personaggi ritornano a vivere la speranza dell’egoismo e riaffiora così quella legge della sopraffazione, dell’inganno, che già li aveva governati in vita.
Tema trasversale della piece è la responsabilità del mondo dei “grandi” verso le generazioni future. Il Motel diventa simbolo dell’anonimia delle passioni, chiuse in un mondo che non riesce a volgere il proprio sguardo al di fuori del proprio cortile.
IL MOTEL DI LOLITA
di Claudio Romanelli e Guido Rossi
Regia di Massimo Cardinali
dal 15 marzo al  20 marzo 2011
ore 21,00 - domenica ore 19,00
Teatro Sala Uno
Piazza di Porta San Giovanni 10
Roma
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per info e prenotazioni
Associazione Culturale Controchiave
Via Libetta 1/a  - 06 45506613
Via Gaspare Gozzi 153 - 06 5432212

giovedì 10 marzo 2011

SANA E ROBUSTA

Mentre preparo il "pezzone" per (anzi contro) il 17 marzo, mi coglie l'obbligo di darvi un appuntamento. A tutti, perché come si evince dalla mappa le manifestazioni in difesa della nostra Costituzione si svolgeranno in tutta Italia e anche oltre, sabato 12 marzo prossimo. Chi vuole entrare nel merito ha di che spulciare, nel web; io mi limito a rinviarvi all'Unità per aver conto di alcune delle iniziative in programma, all'appello di Alternativa per un efficace riassunto delle offese da cui bisogna difendere la nostra Carta, e al sito ufficiale dell'evento per tutte le info e gli aggiornamenti di dettaglio.
Approfitto dell'occasione, tra parentesi, per mostrarvi un facile esempio del perché e percome Beppe Grillo sia da seguire con attenzione ma in tutti i sensi: "attentamente" perché dice tante cose giuste e "stando attenti" a non seguirlo acriticamente perché dice anche tante cavolate, forse perché il ruolo che si è ritagliato gli impone di dire qualcosa "contro" tutti i giorni senza pagare lo scotto di una scelta di campo decisa (politica o palcoscenico). E certo che la Costituzione non è intoccabile, caro Beppe: peraltro, essa stessa indica le modalità - giustamente rigide - con cui è possibile emendarla. Ma se lo dici proprio adesso, peraltro proponendo riforme che non hanno nessuna possibilità pratica di essere attuate in questo quadro politico e pertanto non vale la pena nemmeno mettersi a valutarle nel merito (e si che ci sarebbe da discutere, ad esempio, sui referendum e la visione di volontà popolare che rischiano di sottintendere se non limitati appunto come i padri costituenti a suo tempo fortunatamente fecero), dicevo se lo dici proprio adesso che altre riforme con ben altra probabilità di passare e di tutt'altro segno in ottica di democrazia delle istituzioni, come fa a non passarti nemmeno per l'anticamera del cervelletto che rischi di fare il gioco del Nemico? Occhio che svarioni come questo intaccano persino l'alibi "sono solo un comico che fa politica perché i politici fanno i comici"...
Chiusa la "parente", proprio in questi giorni la maggioranza ha varato la proposta di riforma costituzionale della giustizia, copiata pari pari dalle carte della loggia P2 di Gelli: confrontare i due schemi per credere. Il Guardasigilli Alfano è uscito soddisfatto da un incontro in cui ha illustrato il progetto al Presidente della Repubblica ricevendo utili indicazioni migliorative; la cosa è decisamente e gravemente incostituzionale, anche se ormai è diventata prassi: il Capo dello Stato NON può avere abboccamenti col Governo e suggerire alcunché nel merito dei suoi provvedimenti, può solo rifiutarsi di firmarli quando belli e finiti gli vengono sottoposti. Evidentemente si tratta del modo in cui Napolitano ha deciso di passare alla Storia, inutile dire che io avrei preferito, se proprio avesse voluto arrischiarsi in un comportamento borderline che ne eternasse le gesta, che approfittasse dell'occasione per chiamare a colloquio privato il Presidente del Consiglio, in stanza insonorizzata per potergli urlare addosso quello che si merita, uscirne con le sue dimissioni firmate in mano, affidare il mandato a una qualunque figura di garanzia per la riforma della legge elettorale, e dopo un paio di mesi sciogliere le Camere. Ma già, se avesse voluto sarebbe stato molto più facile quando il Cavaliere era in minoranza in entrambi i rami del parlamento, e il sosia di Vittorio Emanuele (poi uno dice Lombroso...) ha genialmente deciso di fissare la discussione della fiducia a un mesetto dopo, giusto il tempo necessario a comprarsi qualche parlamentare... Scusate, è colpa mia: ho in mente Sandro Pertini, e beati voi giovani che non lo avete conosciuto.
La riforma non dovrebbe farcela a passare - troppo lungo e complesso l'iter per lo stato di salute di questa maggioranza - ma se ce la fa vedremo accusati dai PM solo quelli che fa comodo vengano accusati, ed ecco risolto a monte il problema del legittimo impedimento. Non dovrebbe farcela, ma intanto la Costituzione è sotto attacco, chi dovrebbe difenderla non lo fa e allora tocca a noi, discuteremo per migliorarla ad attacco finito e assedio tolto, per ora scendiamo in piazza, porca miseria!

martedì 8 marzo 2011

M'ARZO

Il migliore augurio possibile alle donne, sentito anche stamattina appena sveglio dal tipo belloccio e bravissimo che fa le previsioni del tempo a La7, è che non ci sia più bisogno di una giornata della donna.
Amare le donne significa una marea di cose, di cui non voglio parlare per non atteggiarmi ad esperto, ma da mia nonna la cuoca a mia figlia che arriva passando per molte altre in molti modi diversi, perché l'amore ha tante forme a cui diamo tanti nomi diffrerenti come gli eschimesi al ghiaccio, l'unica cosa che mi sento di dire è cosa NON è. Non è aver reimposto un modello retrivo di femminilità, non è approfittarne per lenire pagando la propria solitudine e la propria paura di invecchiare e morire. Non è considerare la famiglia, o la coppia, l'organismo da salvare a costo di ferire se stessi o l'altro, a volte a costo di considerare morto quello tanto vale uccido pure te.
Gli auguri a tutte le donne, e a tutti gli uomini che le amano davvero, li faccio quindi spingendovi a spulciare dentro un blog interessantissimo fin dal nome: femminicidio. E poi con un video amatoriale sulle note di Fossati, una canzone di stagione che però ha il testo che in qualche modo ci azzecca, tanto che lo riporto:
La pioggia di marzo
(di Antonio Carlos Jobim, testo italiano di Ivano Fossati)
E mah è forse è quando tu voli rimbalzo dell'eco è stare da soli
è conchiglia di vetro, è la luna e il falò
è il sonno e la morte è credere no
margherita di campo è la riva lontana
è la riva lontana è, ahi! è la fata Morgana
è folata di vento onda dell'altalena un mistero profondo
una piccola pena
tramontana dai monti domenica sera è il contro è il pro
è voglia di primavera
è la pioggia che scende è vigilia di fiera è l'acqua di marzo
che c'era o non c'era
è si è no è il mondo com'era è Madamadorè burrasca passeggera
è una rondine al nord la cicogna e la gru, un torrente una fonte
una briciola in più
è il fondo del pozzo è la nave che parte un viso col broncio
perché stava in disparte
è spero è credo è una conta è un racconto una goccia che stilla
un incanto un incontro
è l'ombra di un gesto, è qualcosa che brilla il mattino che è qui
la sveglia che trilla
è la legna sul fuoco, il pane, la biada, la caraffa di vino
il viavai della strada
è un progetto di casa è lo scialle di lana, un incanto cantato
è un'andana è un'altana
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è mah è forse è quando tu voli rimbalzo dell'eco
è stare da soli
è conchiglia di vetro, è la luna e il falò
è il sonno e la morte è credere no
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te

giovedì 3 marzo 2011

DONNE VISTE DA DONNE

Domenica 6 marzo alle 18e30 appuntamento al Caffè Letterario di Via Ostiense 95 a Roma per l'inaugurazione di una mostra fotografica che intriga fin dal titolo, che infatti rubo per questo pezzo, e dal nome dell'associazione culturale che l'ha organizzata: Femminile Plurale. Nell'intervistare Serena Gentili, una delle fondatrici, comincio proprio dal gioco di parole che mi scappa di bocca: come mai per l'associazione un nome così singolare?
L'associazione Femminile Plurale nasce da una serata tra amiche, che condividono per cultura e formazione il desiderio di promuovere lo spirito di genere, il desiderio di sostenere le donne che vivono condizioni di sfavore morale o materiale, ma anche la speranza di favorire una maggiore integrazione sociale e di garantire pari opportunità per tutte.
Per andare sul concreto, l'associazione si propone di svolgere azioni di sensibilizzazione della cittadinanza e proposte di sviluppo, di sostenere esperienze culturali locali, di promuovere e diffondere la lettura, la fotografia e le arti espressive in genere, di organizzare mostre, eventi, spettacoli, manifestazioni musicali, teatrali, eccetera, o anche convegni, conferenze, dibattiti, seminari e ogni altra attività formativa e di riqualificazione professionale in genere. Infine, ci proponiamo di attivare uno sportello di primo orientamento, con professionisti specializzati, con lo scopo di garantire supporto di natura legale, medica e psicologica alle donne in difficoltà.
In particolare, in cosa consiste l'iniziativa che inaugurate domenica, e quanto dura?
Si tratta di una mostra fotografica, il cui tema è "la donna vista con la sensibilità di una donna", dedicata appunto a quelle donne che,pur ovviamente avendo nella loro vita quotidiana professioni impegni e preoccupazioni diverse, sono unite dalla fotografia come passione o come mezzo occasionale per esprimere se stesse.
Le aspiranti partecipanti avevano tempo fino al 15 febbraio per farci pervenire le loro foto: ne sono arrivate tantissime, tra cui per regolamento ne sono state scelte 23 come le coppie cromosomiche umane (la ventitreesima coppia è quella che a un certo punto talvolta "muta" per fare i maschietti, altrimenti saremmo tutte femmine! - NdR) per l'esposizione, che ricordo dura dal 6 al 16 marzo prossimi. E' anche un modo diverso dal solito di festeggiare la giornata internazionale della donna. Ah, lasciami ricordare che l'evento si svolge con la collaborazione di Arteoltre, Fotografia Comune e dello stesso Caffè Letterario, e con il patrocinio della Provincia e del Comune di Roma.
Andiamo sul pratico: quanto si paga per visitare la mostra, con che orari vi si accede, e cosa vince chi vince.
Nel pieno rispetto dei principi associativi, la partecipazione alla mostra è assolutamente gratuita, l'ingresso non presuppone nemmeno la classica tesserina di iscrizione all'associazione; insomma l'accesso all'esposizione è libero e gratuito, ed è possibile tutti i giorni dalle 10 del mattino alle2 di notte. Non avete scuse, dovete venirci a trovare!
Per quanto riguarda i premi, l'autrice della fotografia ritenuta maggiormente originale ed espressiva, a giudizio insindacabile di una "giuria di qualità", avrà la possibilità di partecipare ad un corso di Street Photography. Ma dallo scadere del termine ultimo per l'invio degli scatti, le fotografie sono pubblicate sulla nostra pagina Facebook, perchè anche il pubblico possa votare quella che preferisce. 
Giuria di qualità, voti del pubblico... caspita, quasi come Sanremo!... Scherzi a parte, per il futuro cosa avete in cantiere?
Le idee sono tante, e le stiamo ancora valutando. Tra le altre c'è un concorso letterario, sempre dedicato alle donne... Ma altre proposte ci verranno sicuramente suggerite dai tanti che ci seguono assiduamente su Facebook, un luogo dove confronti discussioni e segnalazioni sono sempre fertili e serrati.

martedì 1 marzo 2011

VECCHIO MONDO NUOVO

in questa edizione entrambi i titoli:
assolutamente da leggere!
Può, e a mio avviso dovrebbe, esserci una legislazione che impedisca ai candidati politici di spendere oltre una determinata somma per le campagne elettorali e proibisca il ricorso alla propaganda di tipo antirazionale, che vanifica l'intero processo democratico. (...) Una siffatta legislazione preventiva può fare del bene ma (...) non può giovare a lungo. (...) Le costituzioni non si abrogheranno e le buone leggi resteranno nel codice, ma tali forme liberali serviranno solo a mascherare ed abbellire una sostanza profondamente illiberale. (...) E' probabile che nei paesi democratici noi assisteremo al rovescio del processo che fece dell'Inghilterra una democrazia serbando intatte le forme esteriori della monarchia. (...) Crescendo l'efficacia dei mezzi per la manipolazione dei cervelli, le democrazie muteranno natura; le antiche, ormai strane, forme rimarranno: elezioni, parlamenti, Corti supreme eccetera. Ma la sostanza dietro di esse sarà un nuovo totalitarismo non violento. Tutti i nomi tradizionali, tutti i vecchi slogan resteranno. (...) Radio e giornali continueranno a parlare di democrazia e libertà, ma quelle due parole non avranno più senso. Intanto l'oligarchia al potere, con la sua addestratissima élite di soldati poliziotti fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello, manderà avanti lo spettacolo a suo piacere.
...
Le frasi qui sopra non sono state riportate da un sito di controinformazione odierno, ma da un libro del 1958: "Ritorno al mondo nuovo" di Aldous Huxley. Lo scrittore britannico, amico personale di George Orwell, ne fu "avversario di profezia", e col suo "Il mondo nuovo" (imprescindibile libro del 1932) alla fine vinse: è il suo incubo che stiamo vivendo e non quello di "1984", anche se la partita non è ancora chiusa. Del fatto era consapevole lo stesso Huxley quando appunto scrisse il saggio che stiamo citando (che fra le altre cose anticipa di decenni i temi della decrescita).
Se ancora vivesse, e ne potesse pubblicare una riedizione aggiornata, Huxley oggi potrebbe considerare l'Italia il laboratorio dove la realizzazione della sua distopia (l'utopia del male) ha fatto i maggiori progressi. E ciò nonostante che i piani fossero stati scoperti per tempo (vi dice qualcosa la sigla P2?): controllo dei mezzi di comunicazione televisione in primis, allontanamento per schifo e/o divertimento delle masse dalla partecipazione politica, riduzione della democrazia a vuoto simulacro, inversione del significato stesso di parole come "libertà", ridotte a slogan di parte da presupposto condiviso che erano e dovevano restare. Solo così, fra l'altro, si può spiegare come mai un soggetto che in qualsiasi altro Paese sedicente democratico al mondo sarebbe in galera, o almeno lontano mille miglia dall'agone politico, da noi ancora può vantare una certa tenuta nei sondaggi e una certa probabilità di rivincere in caso di elezioni.
Certo, se poi guardiamo all'alternativa (anche quella di medio termine: morti politicamente i vecchi, in pole per la successione c'è un soggettino che di ritorno dal pellegrinaggio ad Arcore se ne esce con proposte geniali come questa...) c'è da temere davvero che questo sia un tunnel lunghissimo la cui fine, per citare Guccini, noi non vedremo mai.

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