Della serie "anche i migliori toppano", dopo gli strabordi sessisti di Massimo Fini e Paolo Barnard puntualmente e magistralmente stoccati da Lame Duck, ecco Marco Della Luna - un altro qui citato spesso - che posta un pezzo discutibile, e infatti discusso pesantemente già sul suo blog stesso. Avendo trovato altre volte le sue analisi molto lucide, io penso che sia meglio una risposta di testa ad una di pancia.
La tesi che il Nord e il Sud siano in realtà due sistemi socioeconomici incompatibili è incontrovertibile, e la teoria secondo cui sarebbe meglio prendere atto del fallimento del progetto unitario e aggregare la sola Padania alla UE mentre il Sud avrebbe una sua moneta (magari statale!) e potrebbe salvarsi il culo a via di svalutazioni competitive, e nel contempo imparare a responsabilizzarsi non avendo più il Nord da mungere, non solo non è nuova (risale alla prima Lega del professor Miglio, almeno) ma è irrimediabilmente sorpassata. Le recenti vicende giudiziarie sono infatti solo la prova ulteriore che l'integrazione tra capitalismo all'italiana (cioè essenzialmente dipendente dai finanziamenti pubblici, come per i grandi lavori o l'immobiliare) e criminalità organizzata è cosa fatta e da tempo, come dimostra - e qui Della Luna passa colpevolmente solo di striscio - anche la stessa discesa in campo del milanesissimo Berlusconi a diciamo così sancire la tregua tra Stato e mafia dopo la stagione delle stragi, di cui domani ricade l'anniversario più significativo. Come Della Luna possa immaginare che sia proprio Silvio a poter gestire la liquidazione dello Stato italiano, addirittura come ultimo gesto che lo farebbe passare alla Storia, risulta davvero un mistero della logica.
Ma l'impossibilità della transizione pacifica auspicata è dimostrabile a partire da altre due caratteristiche del capitalismo nostrano, oggi non a caso in crisi: la sua connotazione tipica virata verso la media e piccola impresa e la domanda interna, e la sua molto particolare "accumulazione originaria" da cui nacque nell'800. Il patto sociale che stanno svuotando e che secondo Della Luna andrebbe brutalmente cancellato, infatti, prevede anche un esercito di pubblici impiegati che magari nel passato lavorava poco (oggi non più, e l'unico privilegio che gli resta è il tempo indeterminato, una cosa che dovrebbe essere diritto di tutti) ma sicuro ha tenuto su la baracca sia dal punto di vista fiscale (i dipendenti in Italia sono gli unici che pagano le tasse, si anche quelli privati, ma solo se regolari - giusto, piccoli imprenditori del triveneto?) che da quello del sostegno della domanda interna. Insomma, se c'è stata una crescita è stato anche perché c'era chi se li comprava, quegli elettrodomestici prodotti nel nord Italia con gli operai del sud Italia prima e con gli extracomunitari dopo. E dunque ha poco senso rigettare l'ipotesi secondo cui la crisi capitalistica internazionale figlia della globalizzazione come causa prima dei nostri problemi di oggi, e il collegamento del solo Nord all'Ue come soluzione: cosa produce, con quali lavoratori, e per quali compratori? Nel 91 aveva senso, forse, oggi è tardi. Nel 91, infatti, gli stessi potentati che introdussero il seme secessione in Italia fecero lo stesso in un Paese con meno storia e una divisione interna qualitativamente maggiore (c'era la religione di mezzo), ma tutti sanno come finì in Jugoslavia...
Il Paese di Tito, grazie a un socialismo talmente diverso da quello sovietico da essere inviso in primis proprio ai russi, aveva un'industria relativamente fiorente, concentrata per esigenze di programmazione, essenzialmente logistiche, negli Stati del Nord. Ovvio che quando questi proclamarono l'indipendenza, riconosciuta nottetempo da Germania e Vaticano e prestissimo da tutti gli altri Paesi occidentali, tenendosi il "tesoro", i Serbi non potevano restare a guardare. Da noi, Della Luna fa malissimo a dimenticarlo, l'accumulazione originaria ci fu e fu esattamente una spoliazione scientifica di tipo colonialista del sud da parte del nord: a metà ottocento, la differenza tra i contadini padani e quelli borbonici a livello di tenore di vita era impercepibile, Lombardia e triveneto erano sotto un impero straniero, il Piemonte era pieno di debiti, e il Regno delle due sicilie aveva le casse ricchissime e il primato nazionale per sviluppo industriale e infrastrutture. Garibaldi illudeva i contadini che avrebbero avuto le terre, quelli si univano a lui e scacciavano i soldati borbonici, poi arrivavano i piemontesi e se i contadini tentavano di prendersi quanto promesso gli sparavano addosso, col beneplacito dei gattopardi. I contadini meridionali ebbero il peggio del feudalesimo precedente e il peggio del mondo nuovo: tasse mai viste, coscrizione biennale obbligatoria (mai vista pure quella) letale per i campi, e chi si ribellava era etichettato come brigante e sterminato spesso con la famiglia. Comparve così l'emigrazione, che all'inizio colpì anche vaste aree agricole del nordest, verso il sudamerica soprattutto, e con essa la fine del futuro per il sud Italia, mentre via via che l'accumulazione originaria dava i suoi frutti il nord si industrializzò e cominciò ad attrarre manodopera dal sud...
L'ho fatta semplice per ovvi motivi di spazio, ma basta per dimostrare che il teorema secondo cui il nord sarebbe civile e sviluppato per motivi di etica personale dei suoi cittadini (tra l'altro ormai di origine meridionale: largamente, se ci si ferma alla prima o alla seconda generazione, maggioritariamente se si va oltre) è terribilmente falso, mentre viceversa è vero che l'etica di un popolo viene pesantemente influenzata dagli avvenimenti storici che subisce.
Il nord si è sviluppato sul sangue del sud, e paga in parte il suo tributo, anche per motivi di convenienza (la suddetta domanda interna), coi trasferimenti di cui i leghisti e Della Luna si lamentano. Certo che la situazione così com'è è insostenibile, ma altrettanto certo che il federalismo fiscale aggraverà le cose, e la secessione le renderebbe drammatiche, consegnando il sud mani e piedi alla criminalità organizzata, e forse spingendoci tutti verso una guerra civile. Si lo so che "gli italiani brava gente vogliono stare lontani dai guai, e tutti i meridionali che stanno al nord da generazioni, e le famiglie miste, eccetera", ma la storia dice che qui vicino si sono scannati anche tra parenti, e che l'ultima guerra civile italiana non ha settant'anni, e gli strascichi sono ancora tra noi e straparlano di Salò: basta che le condizioni materiali scendano sotto il limite del tollerabile, e vedrete.
No, l'unica soluzione è ormai unitaria, ed è esattamente nel recuperare proprio la tanto vituperata distinzione tra destra e sinistra, che è stata la prima vittima di uno che è sceso in politica solo per i propri intrallazzi, a destra dichiaratamente solo perché a sinistra i posti erano tutti occupati. E' grazie alla sua azione politica, di elogio dell'evasione, incoraggiamento all'abuso edilizio e non, confini sfumati con la criminalità, eccetera eccetera, che l'anima "meridionale" (per intendersi, è utile adoperare i luoghi comuni) sta infettando l'anima "settentrionale" di questo Paese, ed è solo liberandosi di lui che, forse, si può invertire il processo. E dico "forse" perché purtroppo invece mi sembra abbastanza dimostrato che esiste invece un'anima "italica" maggioritaria ovunque che cerca il "padre" cui delegare gli affari anche a costo di consentirgli di praticare il malaffare, e se è così come morto un craxi se n'è fatto un altro, morto un cesare cominceremo a cercare un nerone. E allora meriteremo davvero di finire nella spazzatura della Storia, dannati per l'eternità, tutti assieme: nord e sud.
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