Meno grave eticamente, ma non priva di sgradevoli risvolti pratici, è una dimensione che si è aggiunta alle tante cose da pensare a proposito della nostra dipartita: grattatina d'ordinanza esperita, un tempo verso la cinquantina si passava dal notaio e si discuteva con lui il destino del nostro lascito materiale, invece oggi fatto quello resta ancora tutta l'immateriale identità informatica, che in qualcuno può raggiungere mille estrinsecazioni. Io e Lenin chiederemmo "che fare?". Fortuna che abbiamo Gemma Serena...
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A molti sarà capitato, almeno una volta, di chiedersi come disporre dei propri beni, se se ne hanno, prima di quella cosa che non nomino per scaramanzia. L’appartamento ai nipoti, i risparmi ai figli, libri dischi cd e dvd agli amici e alle amiche, la casetta in paese ai fratelli e alle sorelle. Bisogna scriverlo, però. Preferibilmente davanti a un notaio, tanto per evitare che in seguito mettano in dubbio le nostre facoltà intellettive.
Certo, andare dal notaio è impegnativo. Intanto, bisogna fissare un incontro e si sa che sono pieni di richieste. Poi, una volta ottenuto l’appuntamento, prendere l’auto, attraversare la città e col caldo che fa… E se dopo aver parlato per più di un’ora col notaio, sulla via del ritorno, ci accorgessimo di aver dimenticato qualcosa? Non necessariamente una cosa importante, una proprietà o un gioiello di famiglia. Magari la password del nostro computer, il nostro blog, la pagina del social network. Eh, già, perché nell’era di Internet, fra le possibili cose da lasciare in eredità ci sono anche i nostri archivi digitali, le password dei nostri profili, dei servizi on line che usiamo abitualmente, delle caselle di posta elettronica, che altrimenti rimarrebbero inaccessibili.
La soluzione è un altro segno dei tempi e di quanto il web abbia rivoluzionato le nostre vite: si chiama testamento digitale, sta a password contatti e documenti conservati nell’universo virtuale come il testamento classico alle sostanze materiali, e riguarda pure i nostri sentimenti, i nostri pensieri più profondi e intimi, le nostre memorie.
E’ sufficiente comprarsi uno spazio su un sito specializzato (ad esempio, mywebwill o mylastmemory) e caricare un filmato, oppure solo un file word in cui riveliamo numeri di conti, codici di accesso, password. E magari qualche segretuccio tenuto nascosto quando eravamo in vita: un po' di gossip post mortem, grottesco e intrigante. Altro che pettegolezzi da ombrellone.
Sembra un gioco, ma non lo è. E inoltre, per il testatore, rispetto al colloquio col notaio, potrebbe avere meno implicazioni emotive, e soprattutto si rivela essere molto più economico. Con meno di cinquanta euro, infatti, ci si assicura l’eternità: un abbonamento senza scadenza, a vita (o dovremmo dire "a morte"?). Basta andare sul sito dedicato, iscriversi fornendo i propri dati e, dopo aver effettuato il pagamento con carta di credito, inserire il proprio testamento che verrà memorizzato in forma criptata per garantirne la sicurezza fino all’apertura. A questo punto, c’è da scegliere il fortunato destinatario - oppure, con una piccola maggiorazione sul prezzo dell’abbonamento, anche più di uno - a cui verrà inviata, dopo la nostra scomparsa, la stampa del testamento digitale. Su carta pregiata, perché non si dica che non abbiamo pensato proprio a tutto.
Ma come faranno quelli del sito a sapere che abbiamo abbandonato questa valle di lacrime? E’ necessaria solo un po’ di collaborazione: ci chiedono di eseguire un accesso alla nostra pagina personale almeno una volta l’anno. Se non ci colleghiamo, passati dieci mesi dalla nostra ultima visita all’account, ci invieranno un primo avviso via mail all’indirizzo indicato e un secondo avviso a distanza di un mese dal primo. Se ancora ci ostiniamo a non dare segni di vita, cominceranno a inviarci un avviso alla settimana per le successive quattro settimane. Noi niente? Loro passano al piano B: invieranno un sms al numero di cellulare che abbiamo lasciato al momento dell’iscrizione. Se dopo tutto questo noi, per cause indipendenti dalla nostra volontà, non ci saremo fatti vivi, allora vorrà proprio dire che siamo morti. Si avvia, dunque, la stampa del testamento e il successivo invio a partire dalla data da noi scelta (qualche settimana, un mese, sei mesi, un anno dopo che abbiamo tirato le cuoia).
Ma supponiamo ora, per ipotesi, che all’incirca un anno prima, subito dopo aver caricato il nostro testamento digitale e a seguito di una grossa vincita alla lotteria o di una folgorante crisi esistenziale, avessimo deciso di partire per fare il giro del mondo in bicicletta o in barca a vela. O, semplicemente, di prendere un aereo dopo l’altro per visitare regioni remote della Terra. E supponiamo che in questo giro, passati nel frattempo i dieci mesi dal nostro ultimo accesso al sito del testamento, non avessimo avuto la possibilità di connetterci a Internet o avessimo perduto il cellulare, caduto in mare o lasciato distrattamente da qualche parte dove non c’era nemmeno il segnale. Non ci sarebbe stato avviso capace di raggiungerci, tanto che, senza cenni chiari della nostra esistenza in vita, è partita la stampa delle nostre memorie e l’invio all’indirizzo indicato.
Il congiunto, da noi scelto fra quelli col cuore più resistente, si vede arrivare la pergamena con il codice di accesso al nostro testamento digitale. Si piazza davanti al computer, segue la procedura che solo allora renderà attive le pagine web con le nostre disposizioni e, finalmente, vede il nostro faccione (lo schermo ingrassa, si sa) che gli parla dall'aldilà e gli rinnova le attestazioni di stima e di benevolenza. Siccome nessuno lo aveva avvisato della nostra uscita di scena, fa un po' di fatica a capire il senso di quel che accade ma, finalmente, realizza che non siamo più di questo mondo e si abbandona al dolore per la nostra perdita. Chissà se tutte quelle password che gli abbiamo lasciato in eredità insieme al nostro affetto incondizionato lo consoleranno più in fretta… Magari ci mette un po', ma riesce a farsi una ragione del nostro decesso prematuro occupando il tempo dell'elaborazione del lutto in un andirivieni di accessi alle nostre caselle e-mail, curiosando nei nostri archivi digitali. Un giorno, però, si riaccende il nostro nome sul display del suo telefonino: siamo proprio noi! Vorremmo ci venisse a prendere all'aeroporto, che il nostro giro del mondo è finito e abbiamo tanta voglia di passare una serata in sua compagnia. Segue il silenzio rivelatore di un nostro grave errore di valutazione: il cuore del congiunto prescelto non era poi così forte.
Eh si: meglio scherzare su quella cosa antipatica che inizia per emme e che finora ho evitato di nominare per risparmiare a ciascuno i gesti scaramantici recuperati dal repertorio personale delle superstizioni.
Dico però, e lo dico seriamente a costo di sembrare retorica e banale, che l’ideale sarebbe riuscire a dire in tempo quel che si pensa e quel che si sente alle persone che ci sono davvero care. Che se passiamo la vita a proteggere tutto con le password per impedire proprio a loro di scrutare ciò che riteniamo privato, che senso ha rivelarlo dopo quando la nostra assenza avrà trasformato i segreti in misteri?
Gemma Serena
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