Ginevra ha una voce con una sua consistenza fisica, nel senso che ti sembra di poterla toccare, solida: morbida come un panno, capace di scendere e avvolgerti, ma anche dura come il metallo, quando sale dove non ti aspetti. Oro e terra, sale e neve, se la conoscete mi avete capito, se no correte a sentirla. La breve parabola artistica dei CSI deve il suo fulgore assoluto anche all'alchimia innestata dal contrasto della voce incantante di Ginevra con quella meravigliosamente irritante di Giovanni Lindo Ferretti, ad esempio in Bolormaa, e gli stessi PGR quando andò via lei non erano più la stessa cosa. Ma era chiaro che il fulgore di Ginevra non poteva restare intrappolato, che lei non fosse un pianeta per quanto importante ma una stella di prima grandezza. Il suo progetto solista rimase per un po' nella traccia delle esperienze precedenti, per carità con dischi bellissimi, e concerti meravigliosi per quanto semideserti come quello a Messina in cui c'eravamo io il mio amico Massimo e forse altri dieci matti. Ma già allora si intuiva, dalle intepretazioni di pezzi "altri" come Ederlezi o la sontuosa Khorakhanè di De Andrè e Fossati, che altro che traccia, questa deve spaziare, cantare quello che vuole, fuori da qualsiasi schema.
Già in un tour come Stazioni lunari lo scarto si avvertiva, ed ecco che oggi Ginevra ha un repertorio che spazia dalle cose migliori dei suoi esordi alla canzone tradizionale popolare di tutto il mediterraneo, passando per un paio di classici di Modugno (Malarazza, Amara terra mia) che interpreta come nessun altro. Se fossimo un Paese serio, Ginevra sarebbe la Mina di oggi e condurrebbe il suo Studio Uno in prima serata il sabato sera, ma siamo in Italia e tenetevi Amici e X-Factor, che la gente che vale suda sui palchi cantando dal vivo.
Non so come e a chi sia venuta l'idea, ma siccome abbiamo parlato di Ginevra come di una stella, e siccome tra le canzoni popolari recuperate ce ne sono molte della tradizione toscana, forse pensare a Margherita Hack era consequenziale. In ogni caso l'ottantottenne astrofisica, che ha una biografia che il fatto che non è senatore a vita dimostra la deriva che abbiamo imboccato, è un personaggio di una vitalità spaventosa. Ogni paio di pezzi della band, che segue tenendo il tempo con le mani, interviene con un'affabulazione che t'incanta come una nonna davanti al camino, e te l'abbracceresti mentre pensi "cavolo, perchè non è lei, Presidente della Repubblica, maledizione! col cavolo che avrebbe fatto passare anche una sola porcheria al 'diversamente alto'...". Parla di quando eravamo noi gli emigrati e di come trattiamo gli immigrati, degli operai di una volta e di adesso, degli integralisti religiosi e di quelli atei e di come l'unica soluzione sarebbe confinare la religione alla sfera di sua competenza - quella intima di ciascuno di noi, dei giovani ricercatori costretti a lavorare all'estero e di come la ricerca pura - che in Italia viene affossata sempre di più - sia in realtà responsabile di quasi tutte le scoperte pratiche che hanno cambiato la nostra vita quotidiana, il tutto con un meraviglioso accento toscano che non ha perso nonostante abbia lasciato Firenze molti decenni or sono. Durante Malarazza, questa meravigliosa preghiera ancestrale, al ritornello "tu ti lamenti, ma che ti lamenti? pigghia nu bastuni e tira fora li denti!", balza in piedi e agita il suo bastone da vecchiarella, e con lei balza in piedi tutto il pubblico in un'ovazione catartica, perchè ci hanno tolto anche il coraggio di ribellarci, togliendo il senso alla ribellione stessa. E infatti lei poi dice che il nostro bastone è il voto, tu pensi al Partito Democratico, ed entri in depressione...
Ci pensa Magnelli, a ritirarci su: dice più o meno "non facciamo bis, chiudiamo sempre questi concerti con una canzone scritta ai tempi dei PGR che dedichiamo a Margherita". E attacca Come bambino, che davvero sembra sia stata scritta per questa donna che ci insegna come si dovrebbe amare la vita:
Come bambino, credo alla verità del cuore.
come bambino, godo, soffro l'amore,
tendo la fionda ai lampioni che s'oppongono alla luna,
miro ai prepotenti e ai coglioni,
tiro alle ombre che intralciano la fortuna.
Come bambino, vedo la politica un gioco da poco
(si gioca per amore), obbligato,
da tenere sotto controllo come il fuoco.
Sto sdraiato nei campi nelle ore più belle
a pancia in su o giù a rimirar le stelle.
Mi commuovono i vecchi, muove qualcosa dentro.
Cammino volentieri contromano e controvento,
tengo le mani in tasca, gli occhi bassi,
scatto alla meraviglia, i passi che seguono i passi.
Come bambino, mi piace costruire, studiare, lavorare
un giorno dopo l'altro: ho molto da imparare.
Come bambino: non come giovanotto che gioca i giochini,
passa il suo tempo a spasso, spera nel lotto.
Come bambino, so sentirmi offeso, ma
tiro avanti senza dargli peso,
non sempre so dire chi, perchè:
ma cosa pretendete da un bimbo come me?
Miro ai lampioni che s'oppongono alla luna,
miro ai prepotenti, miro ai coglioni,
miro all'ombra che intralcia la fortuna.
Sto sdraiato nei campi nelle ore più belle
a pancia in su o giù a rimirar le stelle.
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