martedì 29 luglio 2014

CONTROVENTO

Se dovessero chiedervi qual'è la più grande invenzione dell'homo sapiens in molti rispondereste la ruota o il fuoco, e forse non avreste torto: dalla prima discendono a cascata una serie infinita di implementazioni della mobilità e della meccanica, dalla seconda conseguenze ancora più a largo spettro a cominciare dalla possibilità di manipolare i metalli per non parlare della possibilità di spostarsi a vivere in regioni fredde.
Se escludessimo la preistoria e vi rifacessimo la domanda limitatamente alla cosiddetta "storia", dagli egizi ad oggi, ecco che la distribuzione delle vostre risposte sarebbe molto più varia: dalla scrittura alla polvere da sparo, dalla macchina a vapore al computer, su Internet ovviamente molti hanno giocato a fare questa domanda, ma è probabile esistano anche studi seri con risposte ugualmente parcellizzate.
Ma se riformuliamo la domanda in modo più preciso, intendendo per invenzione "più grande" quella che ha avuto maggior influenza sul mondo così com'è, a partire da come viene rappresentato nelle mappe, dovete convenire: è la navigazione controvento, o meglio il suo sfruttamento pratico massiccio (perché vattelapesca chi l'ha inventata davvero) da parte di quelle che sarebbero diventate le potenze coloniali. Se ci pensate, senza di essa tutta la storia degli ultimi sei secoli sarebbe molto diversa, in ogni aspetto. Tra l'altro, non ci sarebbero state le precondizioni per quasi tutte le altre invenzioni cui avete pensato prima. E, per dirla con Benigni in Non ci resta che piangere, non ci sarebbero gli USA.
Questo pensiero profondo vi assalirà senz'altro la prossima volta che in spiaggia vi ritroverete circondati, come capita oramai sempre nelle giornate di vento "giusto", da quelli del kitesurf. Io sta cosa l'ho raccontata a un mio collega barese lunedì mattina, e lui mi ha tirato fuori questo esilarante video. Concentratevi: si capisce, e vale la pena: prima vi farete delle grasse risate, e poi ripenserete che quelli che hanno "ruvinat tutt'u munn", e che prima o poi dovranno pagare il conto, siamo proprio noi. Aveva ragione mio nonno...

mercoledì 23 luglio 2014

DA CAPA CAPITA DI CAPIRE

Ho capito che c'è chi ha capito che se vuoi campare di musica non devi vincere i premi di qualità devi sudare sui palchi, che l'era dei dischi è finita ed è stata solo un breve intervallo, e che per riempire le platee devi sempre dare qualcosa di più di quello che uno può avere gratis o quasi scaricandosi il disco dalla Rete, e magari ogni volta qualcosa di diverso.
Ho capito che se fai divertire saltando come pazze migliaia di persone su musiche indiavolate e pompate cui hai messo dei testi invece tristi e/o incazzati e/o di lotta, vuol dire che tu sei paraculo, amabilmente per carità e anche sacrosantamente (perché se non campi di musica devi farlo d'altro e se gli artisti non fossero mai riusciti a inventarsi queste cose avremmo avuto molta meno bellezza nella storia dell'umanità), ma anche che forse qualcosa passa, magari omeopaticamente, e anche che il Leviatano capitalista ha enzimi per digerire e disinnescare il dissenso anche per queste strade.
Ho capito che la legge di Murphy opera anche ai concerti: puoi capitare o sottovento a quello che ne fuma una appressa all'altra, o dietro a quello che si mette sulle spalle il figlio o la fidanzata, o davanti a quello che te le canta tutte nelle orecchie stonato e fuori tempo, o accanto a quelli che bevono urlano chiacchierano insomma fanno tutto tranne che seguirsi il concerto e lasciartelo seguire a te, o anche una combinazione di questi e altri eventi fortemente disturbanti ma mai dico mai circondato da gente che come te vuole solo ascoltare e divertirsi (quindi anche ballare o fare i cori, per carità...).
Ma soprattutto dopo tre ore in piedi nel fango (quindi impossibile sedersi a terra anche solo un pochino), il mal di schiena mi ha fatto capire che non ho più l'età, e il bellissimo concerto di Caparezza (un vero spettacolo iperteatrale, per tutti i sensi, già lo sapevo, ma Michele Salvemini ogni volta riesce a essere originale) è stato l'ultimo di cui compro il biglietto senza che ci sia o la poltrona numerata o almeno gli spalti o i tavolini con le sedie (come a Eutropia, dove abbiamo assistito a una commovente e vabbé anche un po' patetica reunion dei CSI senza Lindo).
Il video appresso lo posto senza nemmeno chiedere se è licenziato, tanto la qualità relativa può al massimo farvi venire voglia di andare al concerto, come vi invito caldamente di fare se il tour passa dalle vostre parti.

martedì 15 luglio 2014

FINALE TI MONTO

... e però questo è un gran gol, non c'è che dire...
Per non equivocare sul titolo bisogna immaginarselo pronunciato da Peter Sellers ne Il dottor Stranamore. E lo so che sono passati già alcuni giorni dalla finale del campionato del mondo di calcio, ma questo è solo un blog e per i commenti a caldo c'è la stampa vera, specialistica e non. Il fatto è che mentre tutti satireggiavano facile sul derby dei due Papi, che effettivamente un'appendice a Signori e signori buonanotte potrebbe ispirarla, a me alla vigilia veniva in mente un altro parallelo: lo scontro sul campo di gioco come metafora della partita davvero decisiva per i destini di tutti che si sta giocando da qualche anno sullo scacchiere mondiale, quella tra chi tiene le leve del turbocapitalismo globalizzato a trazione monetaria (e monetarista) e chi ad esso resiste proponendo disperatamente un'economia fondata su un sistema di valori antitetico.
Tedeschi e argentini rappresentano perfettamente i "campioni" dei due schieramenti suddetti, nel bene e nel male: i primi, nella capacità di cogliere l'occasione di organizzarsi per massimizzare i benefici derivanti dalla rendita di posizione internazionale e però nella miopia verso i danni che il rigore procura ad altri e verso le ricadute che presto o tardi colpiranno essi stessi, i secondi, nella magnifica coesione patria con cui hanno affrontato e superato il dramma e però nell'autoindulgenza verso la coazione a ripetere errori connessi ai propri difetti "di carattere". A pensarci bene, ho appena descritto due monetine: la prima con una facciata scritta in scandinavo e l'altra in mitteleuropeo, la seconda con una facciata scritta in spagnolo e l'altra in italiano. Il che ci dice anche che tanto per cambiare i più inguaiati siamo noi.
Di tutto questo i risultati calcistici, se non sono certo conseguenza logica, sono per una volta perfetta metafora: noi è la seconda volta di fila che usciamo al primo turno, e la Germania che (peraltro dopo aver sacrosantamente annichilito gli insopportabilmente piagnoni brasiliani) vince meritatamente la finale. A chi ha ancora a cuore le sorti del pianeta, e magari si è volentieri perso il rito del Mondiale (a parte scampoli di tre o quattro partite finale compresa), non resta invece che augurarsi che l'Argentina vinca la partita che conta, quella contro i vampiri della finanza internazionale, trovando intanto dentro di sé il modo di evitare di ricacciarsi in certi guai. E soprattutto dando un esempio al resto del mondo, che esiste un'alternativa al monetarismo imperante che lo sta distruggendo, e può essere percorsa virtuosamente.

mercoledì 9 luglio 2014

DI PROCESSI PROCESSIONI PERVERSIONI E PROMESSE

A proposito di processioni, sapevate che Reggio Calabria è stata,
giusto 45 anni fa, l'unica città dell'Occidente postbellico a vedere
sfilare i carri armati in assetto di guerra sulle sue strade? 
Nel 1970 avevo sette anni, ma ricordo benissimo - ovviamente con la lente deformante della percezione di un bambino di quell'età - la rivolta di Reggio e tutta una serie di episodi ad essa connessi. Uno di questi è legato alle feste patronali, che a Reggio però non sono dedicate al Santo Patrono (San Giorgio) ma come in tanti altri centri del Sud ad una di quelle troppe trasfigurazioni cristiane di divinità matriarcali ancestrali che chiamiamo Madonne; la nostra si chiama Madonna della Consolazione e si sostanzia in un quadro ovviamente miracoloso tenuto da novembre a settembre in un'apposita basilica nella periferia della città che già sale verso l'Aspromonte, e da lì portato giù al Duomo in centro e due mesi dopo su indietro - ovviamente a spalla, e la "vara" è pesantissima - in processioni seguitissime, la settembrina legata a un tot di giorni di celebrazioni che prendono appunto il nome di Fest'i Maronna. Ebbene, a festimaronna 1970 la "vara" col quadro, che normalmente passando davanti al palazzo comunale veniva ruotata dai portatori verso la facciata a mo' di "conferma pubblica d'intesa" del potere religioso con quello laico, tirò dritto, per sancire ostentatamente il distacco tra la cittadinanza e i traditori della politica.
Tutto questo per dire che il percorso di una processione è cosa talmente consolidata nel tempo che se il Sindaco di Oppido Mamertina ha potuto dire che la statua si è sempre girata verso quella via importante come per risarcirne gli abitanti dell'esclusione dal percorso, senza che tutti i cittadini da sette anni in su potessero sputtanarlo. Quindi tenderei a credergli, e non so nemmeno di che partito sia e se sia vicino o meno alla ndrangheta come tanti suoi colleghi. Se non fosse che il video addotto a prova mostra chiaramente una sosta di cinque secondi (vabbé sei o sette: da 1:30 a 1:37 - e qui c'è una versione lunga che potete anche avere la pazienza di vedere tutta ma sarà invano), effettuata come fosse un intoppo normale date le circostanza (e infatti i Carabinieri - che secondo le cronache hanno invece abbandonato la processione in segno di protesta - ma anche gli altri partecipanti, e a sto punto chissà il vecchio boss da casa, sembrano non notarla), senza nemmeno girare la vara, per cui o il sindaco ha peccato di eccesso di difesa ammettendo una cosa non vera o ha equivocato quale fosse il gesto incriminato, o il video non riprende il pezzo giusto, o peggio non sono precise le cronache. Non lo so e non m'importa: ce n'è abbastanza per giudicare tutto il successivo bailamme un accento mediatico inserito su due filoni narrativi: quanto è buono Papa Francesco che sti cattivoni li ha persino scomunicati, e quanto è bravo i ffigliolo Renzi che con lui si che si lotta contro la mafia. Con questo non voglio certo negare i collegamenti tra una certa forma di religiosità e la criminalità organizzata, che sono profondi quanto sono affrettate le prese di distanza e complessi fino a penetrare nei riti di affiliazione, ma solo mettere "la giusta distanza" tra questa realtà storico-culturale e la cronaca manipolata ad usum caesari. Come quando bisogna far vincere le elezioni a un partito che propugna la lotta agli immigrati e ogni giorno esce in cronaca una piccola violenza urbana commessa da uno di loro, o anche solo come quando c'è l'aviaria e i tiggì fanno a gara a mostrare uccelli morti (in realtà in percentuale non diversa a quando l'aviaria non c'era).
Gli stessi che fanno il coro d'indignazione contro la processione di Oppido, però, quando Grillo denuncia gli interessi delle mafie sui fondi europei raramente ricordano quanto fondate siano le sue osservazioni, e quanto negativo sia per l'Italia il bilancio di tutta la faccenda, tra quote che versiamo per alimentare i fondi e incapacità di spendere quelli poi destinati a noi se non per progetti troppo spesso fasulli e/o improduttivi in termini di ricadute positive sul sistema-Paese. Ma se invochiamo di nuovo l'esperienza personale, non c'è bisogno di nessuna statistica per sapere come funziona tutto l'affare: tutti noi meridionali abbiamo sentore più o meno diretto di qualcuno nel giro del parentado e/o delle conoscenze che ha fatto gli impicci coi fondi UE, siamo sinceri. Si tratta di un circuito perverso, che nei decenni ha disincentivato anzichenò lo sviluppo produttivo e favorito i furbi a discapito degli onesti. Con gli stessi soldi, tanto per restare alle proposte grilline, ci si poteva permettere alla grande il reddito di cittadinanza... ma già, una cosa che va a tutti indiscriminatamente non può essere usata per il voto di scambio....
Intanto a Reggio, come spesso capita, una buona notizia ne contiene alcune meno buone. Il candidato sindaco per il centrosinistra è Giuseppe Falcomatà, uno che ha dalla sua la freschezza e il cognome, suo padre essendo stato il mai troppo rimpianto autore della "primavera reggina". Ma intanto essere "figlio d'arte" è da un lato una facilitazione che rappresenta uno dei vizi peggiori dell'italianità e dall'altro un handicap per chi voglia riuscire a dimostrare di essere all'altezza, e poi soprattutto il clima interno al PD in cui - attorno alle solite, mai abbastanza deprecate primarie (una macchietta della democrazia messa in scena mentre si distrugge la democrazia vera) - è maturata la candidatura, assieme alla definitiva liquidazione della sinistra-sinistra per via caso-Spinelli, finiranno per convincere anche i più recalcitranti che l'unico modo per poter continuare a portare avanti idee di sinistra è votare 5stelle. Per cui questa candidatura nel modo in cui è arrivata può far si che Reggio addirittura segua il percorso-Livorno, o più probabilmente che resti al centrodestra. Se poi il giovane Falcomatà vincesse, starà a lui dimostrare, peraltro nello scarsissimo margine che il Fiscal compact consente agli enti locali in salute figurati a Reggio, che il suo partito è ancora in grado di fare politiche di sinistra in periferia, mentre al centro oramai è un partito di destra anche piuttosto autoritaria. Il che, ammesso che lo voglia fare, lo condannerebbe presto o a un redde rationem coi renziani, o alla patente di foglia di fico per mezzo del santino di Italo. Delle belle forche caudine, non c'è che dire, ma d'altronde la carriera politica offre delle prospettive ormai difficilmente rintracciabili altrimenti. Ci fosse il sorteggio al posto delle elezioni, o fossero legge le regole grilline di selezione della classe politica, sarebbero 5 o 10 anni al massimo di sofferenza, invece così magari gli tocca occuparsene per tutta la vita. Non so se si capisce, ma tutto questo capoverso è un modo contorto di fargli dei veri auguri, ché ne ha tanto bisogno...

martedì 8 luglio 2014

ANNO SETTE, NUMERO UNO

Le pubblicazioni su questo blog sono iniziate il 13 luglio 2008, e da allora sono miracolosamente continuate più o meno costantemente, anche purtroppo (o per fortuna) per modestia del numero di lettori. Con pari costanza, ad ogni compleanno del blog (quest'anno il sesto, mia nonna direbbe che è entrato nel settimo anno di età), rinnovo la grafica, approfittando delle tante opzioni offerte da Blogger.
Quest'anno però anticipo l'appuntamento di qualche giorno, perché c'è un altro numero uno da festeggiare: si chiama Roger Federer, e da oggi lo vedrete per un anno circa sullo sfondo, per chi lo riconosce. E' una foto, che ripropongo qui affianco, scattata di pirsona pirsonalmente al Foro Italico 2013, allenamento sul centrale beccato fortuitamente il giorno delle qualificazioni, il mio preferito per andarci (si vedono tante partite, di gente comunque forte, a poco prezzo). La dedica perché sabato scorso il tipo ha allungato la lista delle sue imprese... con una sconfitta, ma dell'ennesima finale di uno slam, raggiunta ormai 33enne, nella quale è riuscito a portare al quinto in rimonta il ben più giovane numero 1 al mondo. Se avesse vinto non ci sarebbe forse stato più nessuno a osare di negare la sua grandezza assoluta ogni tempo, ma anche così non lo so... A fine gara ha dato appuntamento a tutti all'anno prossimo, stesso posto stessa occasione. Non so se ci riuscirà, sarebbe miracoloso, ma intanto ve lo guardate per dodici mesi ogni volta che cliccate su queste pagine.

venerdì 4 luglio 2014

MINCHIA SIGNOR FALETTI

"...ed il gioco si porta via rotolando la vita mia..."
La maggior parte lo ricorderà per Vito Catozzo: DriveIn faceva parecchi milioni di spettatori a puntata, e il suo personaggio era peraltro tra i pochi che si elevavano dal livello macchietta e andavano oltre il tormentone.
Moltissimi si rammenteranno che andò a Sanremo, con una canzone che magari non era La guerra di Piero, ma insomma portare un carabiniere che parla così al Festivalone ci vuole un bel coraggio, e forse era quello che serviva per "scatozzarsi", bravo Faletti pensammo in tanti.
Molti ancora lo amavano scopertosi scrittore, e quasi subito di best seller di genere, una cosa che in Italia prima manco tanto si usava: gialli venduti a milioni di copie che io non ho letto per una forma di snobismo che mi affligge e io chiamo sana diffidenza, che mi ha portato a scoprire persino Il nome della rosa soltanto vent'anni dopo il suo successo, e ora giuro che rimedio e almeno Io uccido me lo procuro.
Insomma era poliedrico, lo hanno detto tutti e si evince da Wikipedia.
Ma non so quanti sanno che oltre a Minchia signor Tenente Giorgio Faletti da Asti ha scritto tante altre belle canzoni, e addirittura un album a quattro mani con Angelo Branduardi, Il dito e la luna, che io ho in CD perché quando si potevano noleggiare e così man mano scendevano di prezzo ne compravo ancora molti. Le canzoni sono tutte belle, i testi di Giorgio splendidi, ma già la tracklist, scorrendola, sembra una sorta di testamento anticipato (il disco uscì nel 98) - inizia con Il giocatore di biliardo (il video è qui sotto, va visto assolutamente e le parole ascoltate con attenzione, le ultime sono in didascalia della copertina qui sopra) e finisce con un omaggio a Neruda (Confesso che ho vissuto), passando per perle come L'uso dell'amore e titoli come La comica finale e L'ultimo giorno del circo - ben più delle "ultime frasi" riportate in tutti i coccodrilli (la più bella delle quali la ricorda Il fatto quotidiano: "qui giace Giorgio Faletti, morto a diciassette anni"). Perché quelli che nella vita giocano sempre, non invecchiano mai.

giovedì 3 luglio 2014

LOGICO

Non voglio cercare link di approfondimento, stavolta. Chi ne ha voglia faccia da solo, io vado a memoria. Ero bambino ai tempi dell'attentato di Monaco 1972, il fatto che i palestinesi fossero terroristi era considerato pacifico dai mass media e così mi arrivava e davo per scontato. Dovevo scoprire decenni dopo, studiando, che l'etichetta "terrorista" è la più strumentale di tutte e che praticamente tutti i nemici politici pericolosi di qualunque regime se la sono trovata prima o poi appiccicata sopra, riuscendo a levarsela solo in caso di successo e viceversa mantenendola per l'eternità, per cui tutti i padri di Israele erano stati a lungo schedati come terroristi dagli inglesi quando ancora non avevano deciso di accondiscendere alla creazione di quell'avamposto dell'Occidente nel campo nemico che era e resta Istraele, e la differenza tra Mazzini e Curcio era solo nelle diverse fortune delle rispettive speranze; nei monti tra Trento e Bolzano, ho conosciuto di persona vecchi nostalgici austroungarici che chiamavano terrorista Cesare Battisti.
Quando esplose la prima Intifada, però, plaudìi mentalmente alla scelta palestinese di lasciare le armi per i sassi, convinto che togliendo agli invasori gli alibi li avrebbero gandhianamente (ma non troppo) sconfitti. La strategia portò all'accreditamento politico di Arafat e agli accordi di Oslo, ma è proprio come finì quella stagione di speranze che istruisce sugli accadimenti in cronaca: entrambi i Nobel fecero presto una brutta fine, e se l'avvelenamento di Arafat è ancora materia di cosiddetti complottisti, l'assassinio di Rabin lascia meno dubbi sulla sua natura di inside job.
Da quella volta, ogni volta che i palestinesi si sono dimostrati più ragionevoli chi aveva interesse a che tornassero "fondamentalisti" perché non fosse messo in dubbio il suo diritto a schiacciarli è sempre riuscito ad angariarli e/o provocarli fino alla reazione, o a imputargli azioni nefande, con tempestività sospette. Ecco che basta un po' di memoria per non cascarci neanche un attimo, alla notizia dei tre adolescenti rapiti e (poi si saprà subito) uccisi: inside job. Non che sia necessario: la triste contabilità dei morti resta sempre così tanto enormemente a sfavore dei palestinesi che non c'è dubbio, a chi non sia o scarsamente pensante o in mala fede, su chi sia l'oppressore e chi l'oppresso in quel teatro. Ma ricorrere alla contabilità dei morti è una cosa inumana, e avere cento volte più vittime del tuo nemico non ti giustifica nel rapire e uccidere anche uno solo dei suoi figli, così come però avere sei milioni di morti in una fase storica non ti giustifica a causarne centomila mille o anche uno solo nella fase successiva, in cui sei passato dal denominatore al numeratore della storia. Quindi i conti non contano, anche e soprattutto quando ci danno ragione: lasciamoli da parte, e usiamo la logica. E' stato inside job, è logico. La pace da quelle parti non ci deve arrivare, evidentemente...

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