giovedì 29 novembre 2012

TUONI E LAMPI

Giuro non l'ho fatto io il fotomontaggio. Se cerchi "monti stanlio"
appare subito, segno che non devo essere il solo ad averci pensato
Avete presente quelle giornate in cui sembra tutto tranquillo, l'aria mite il cielo quasi terso, e voi sentite un rumore che sembra proprio un tuono, sulle prime pensate che non può essere e gli date una qualsiasi altra spiegazione dimenticandolo, e poi arriva un diluvio incredibile e allora ve ne ricordate e vi dite che si, era proprio un tuono?
Perché Mario Monti è così: un uomo tranquillo mite e dall'aria un po' svagata, sembra proprio Stanlio prima di combinare un guaio, e guardate che Stan Laurel era una vera carogna, uno che calcolava al nanosecondo i tempi comici e teneva sotto tutta la compagnia, tanto che Charlie Chaplin arrivò in America per scappare da lui, volle il caso che poi ebbe successo per primo come Charlot. Insomma, se Monti ha detto che la sanità italiana potrebbe trovarsi nei guai, è perché è ferocemente determinato a mettercela, potete scommetterci: per ora ha solo lanciato una metonimia, così quando il film arriva a quel punto nessuno troverà niente di strano. Col lampo prima, il tuono, dopo, tutti lo riconoscono come tale.
Bisognerebbe avere un posto dove segnarsele, certe cose, sennò poi uno se le scorda, e hai voglia a dire "l'avevo detto io!"... Meno male che hanno inventato i blog, ecco, me la segno in linguaggio anni 70 che tra un po' torna attuale:
dopo avere azzerato il diritto al lavoro strangolato quello allo studio e vanificato quello di voto, i capitalisti si preparano ad attaccare il diritto alla salute, per completare contro le conquiste del proletariato del 900 quella rivincita avviata già negli ultimi due decenni del secolo scorso col nome di monetarismo.
La cosa grave non è questa: i padroni fanno da sempre solo il loro stesso interesse e da sempre hanno dei servi che fanno il gioco sporco perché a loro non gli è mai piaciuto sporcarsi le mani in prima persona. La cosa grave è che non c'è più chi li combatte, a cominciare col chiamarli col loro nome. Ricchi. Padroni. Capitalisti. Gente che ha tutto e che quando ha dovuto ha concesso e quando non bastava si è inventato il consumismo, poi siccome ha capito che quel modello è inestensibile perché il mondo non lo sostiene ha deciso che fuori dal loro stretto giro tutti gli altri devono tornare al livello di sussistenza come prima del socialismo, poi se non basta vedranno come dare una bella malthusiana sfoltita. Lo hanno deciso quarant'anni fa, lo stanno attuando con metodo, ma ripeto la cosa grave non è questa. La cosa grave è che chi dovrebbe combatterli invece fa il loro gioco. Dimentica che sarebbe suo compito dare indirizzi diversi dove tagliare e risparmiare rispetto a quelli proposti dai padroni, tutti troppo vicini al nostro culo. Organizza messe in scena grottesche della democrazia e trova persino milioni che abboccano e pagano pure il biglietto. E intanto ha già deciso che comunque vadano le prossime elezioni la linea di governo sarà la stessa di adesso: completare la rivincita dei padroni, e ridurre tutti gli altri al proletariato, anzi peggio perché manco i figli ci si può più permettere.
Chi mi segue sa con che diffidenza e quali critiche ho affrontato e discusso il fenomeno Grillo. Ma questo è momento di scelte, e magari votare il M5S non sarà risolutivo, ma è l'unica strada che ha qualche minima speranza di esserlo. Per quello che vale, questo è un endorsement ufficiale. Dal PD non c'è da sperare nulla di buono, mi spiace per chi ancora ci crede.

domenica 25 novembre 2012

NON MI PERSUADE

Il Maestro Andrea Camilleri mi perdonerà, magari anche considerando che credo di non aver perso nessuno dei suoi libri, ma leggendo notizie come questa o questa l'unico modo per mantenere la calma è ricorrere alla satira. 
....

Sbam!
La porta sbatté contro il muro interno con un frastuono tale che fece sobbalzare il commissario, che così frantumò il cannolo alla ricotta che con una mano stava portando alla bocca, lasciandolo con un po' di crema penzoloni dalle labbra, un po' di briciole in mano, e la maggior parte dell'opera d'arte confezionata da Adelina che lui si era portata in ufficio in caso gli smorcasse il pititto ingloriosamente spalmata sulle carte che Fazio gli aveva portato da firmare.
  • Catarè sul mio onore si trasi n'atra vota accussì ti sparo!
  • Mi scusasse signor Commissario, mi scappò. E' che c'è il signori e guistori che vuole parlare con vossignoria, tutto agitato è!
  • Ho capito, non me lo potivi passari?
  • Nonsi, signor commissario, non potiva.
  • Ih che camurrìa si scassò ancora il centralino?
  • Nonsi, signor commissario, il tilefono funziona, ma il fatto è che il signori e guistori è venuto qui di pirsona pirsonalmente.
Minchia, se Bonetti Alderighi si scomodava per venire al commissariato anziché convocarlo in questura cosa tinta assà doveva essere. Come minimo, una questione di cui dovevano restare all'oscuro Lattes e gli altri collaboratori.
La questione, così come gliel'aveva contata il questore, era la seguente: un noto politico che aveva ricoperto cariche altissime e forse non aveva ancora abbandonato del tutto l'idea di tornare a farlo, era stato oggetto di un tentato ricatto. Il suo segretario particolare, un ragioniere navigatissimo, colui da cui passavano tutte le sue carte e i suoi movimenti di soldi, leciti o meno, era stato rapito per 11 ore da una banda di balordi che asserivano di avere in mano delle carte che gli avrebbero fatto sparagnare un tinchité di milioni in una causa civile, ma di fronte al fermo diniego da parte del politico di scendere a patti con loro i rapitori si erano ritirati di buon ordine, al che il segretario e la moglie erano stati raccolti dalla scorta privata del capo e coccolati per un po', dopodiché avevano sporto regolare denuncia, fornendo dettagli decisivi per la cattura dei furfanti. Montalbano doveva occuparsene, cogliendo peraltro l'occasione per seppellire definitivamente passati dissapori, per chiudere l'inchiesta al più presto ed evitare inutili polveroni in questa fase così delicata della vita politica e civile del nostro Paese.
In pratica, il carissimo signori e guistori voleva una firma insospettabile su una chiusa inchiesta peraltro facile facile. Peccato che mentre il questore parlava l'istinto di sbirro di Salvo Montalbano firriava stanza stanza comu un cani alla catina.
Non di meno fu per quelli di Fazio e Augello, subitamente convocati dal commissario non appena il questore colmo di gratitudine ebbe lasciato il commissariato: troppi erano gli elementi che non quatravano. Intanto il politico in questione era al centro di quella che si è impropriamente chiamata "trattativa Stato/Mafia" come se davvero fossero due entità giuridiche di pari dignità, anzi le malelingue dicevano che senza la mafia non avrebbe fatto nemmeno la carriera imprenditoriale precedente che gli era valsa la fama poi spesa in politica. Poi appunto tutto il suo curriculum era più affine a quello di un dilinquente che a quello di uno statista, con decine di processi in cui era rimasto coinvolto nella maggior parte dei quali l'aveva fatta franca o perché aveva fatto derubricare il reato o per prescrizione ma in alcuni dei quali era stato condannato o era ancora in attesa di esserlo, e con nessuna chiarezza su come minchia avesse fatto tutti quei soldi e molti sospetti di evasione elusione scatole cinesi riciclaggio internazionale. Poi non si capisce perché se devo darti una cosa che ti scagiona rapisco il tuo ragioniere, ma soprattutto perché una volta che l'ho fatto poi me ne vado con la coda tra le gambe, lasciando peraltro tracce sufficienti a farmi pizzicare. Per non parlare dell'enorme lasso di tempo passato tra la fine del sequestro e la denuncia, più che sufficiente a: valutare il materiale e decidere di non comprarlo, o valutarlo comprarlo e insabbiare la cosa, o comunque prepararsi una storiella credibile da affidare alla stampa e alle forze dell'ordine.
Fu Augello che ruppe il silenzio di chiummo che era sceso nella stanza:
  • Salvo, la cosa che più di tutte non quatra sono le carte. Se erano vere, il politico se le sarebbe accattate senza dire ahi né bai, i soldi chiesti dai rapitori erano sempre una piccola frazione di quelli che lui andava a sparagnare se le presentava al processo, e del sequestro non se ne sarebbe saputo nenti. Se erano false, conveniva lo stesso tutto sommato di non dire niente del sequestro, dato che nessuno si era fatto niente, perchè avrebbero aggravato la sua posizione nel processo e le chiacchiere sul sequestro sarebbero state dannose invano. Non è che erano un bluff, non c'erano proprio? questo spiegherebbe l'attesa, e la denuncia partita a bluff scoperto...
  • No, Mimì, non mi persuade. Le carte ci sono e ce le ha il politico, forse la banda non le ha mai avute, sono solo dei povirazzi messi lì a recitare una parte e poi finire in galera dietro lauto compenso. Solo che non sono vere, ma solo verosimili. E non potevano uscire a questo punto del processo senza tradire la loro natura posticcia. A meno che non entrino in scena in un modo che ne avvalori l'autenticità. Non posso giocarmi i cabbasisi, ma se escono fuori vedrete che avevo ragione. Per ora facciamo come vuole il questore, e amuninni a mangiari che Adelina mi fece arancini e cannoli, finemunnilli in tri che se me li mangio da solo non mi basta la passiata al molo per digerirli, e se me li porto a uno a uno qua me li fa rovinare Catarella!

lunedì 19 novembre 2012

I VERI ANTISEMITI

Lo sapevate che Facebook, che quasi sempre brilla per assenza di governance,
stavolta invece ha censurato fino alla sospensione dell'account chi avesse osato
postare le immagini dei bimbi trucidati dai bombardamenti israeliani? Sapevatelo...
Voglio scrivere un post breve, magari pieno di link da seguire perché chi voglia possa approfondire la questione e perché mi piace pensare di avere lettori magari pochi ma attivi, perché in queste ore per quello che succede in Palestina prevale la rabbia e per come ne parlano i nostri mass-media specie televisivi lo schifo e la nausea, e perché troppe volte sono stato analitico (qui citando De Andrè, qui e qui tentando di riportare la cronistoria vera approfittando del cosiddetto giorno della memoria, qui anticipando quattro anni fa quello che potrei dire parola per parola anche oggi) e oggi voglio essere sintetico:
i bombardamenti israeliani su Gaza sono un crimine contro l'umanità ingiustificato da qualsiasi punto di vista, di tale portata che se fossimo davvero un mondo civile e democratico col diritto di andare a imporre la pace e la democrazia per via militare come tante (troppe) volte abbiamo fatto ingiustificatamente oggi dovremmo farlo per una volta giustificatamente occupando militarmente Israele e costringendolo a deporre le armi.
Il fatto che un tale scenario sia fantapolitico, è la dimostrazione lampante del fatto che l'Onu è una presa in giro (le risoluzioni contro lo stato ebraico non si contano, tutte inattuate, e se non vi basta leggete cosa succede per Cuba...) e la pretesa superiorità di noi occidentali in fatto di etica e civiltà una colossale menzogna.
Io ho finito, chi vuole si legga qui:
  • Carlo Bertani che da un po' di cifre dell'imparità della lotta a tentare di squarciare il silenzio in merito della stampa di regime;
  • Anna Lombroso che usa un taglio sentimentale per ricordarci che Israele è uno stato confessionale e fascistoide, e come e perché essersi trasformati in un amen da vittime a carnefici può far dire che in fondo i veri antisemiti oggi sono proprio gli israeliani;
  • Gilad Atzmon che dimostra con logica stringente che l'unica via di riscatto per Israele sarebbe appunto smettere di essere uno Stato ebraico;
  • Lameduck che, rimasta per una volta senza parole, lascia il compito di raccontare la verità a Chomsky in un lungo intervento riportato integralmente e da leggere con estrema attenzione;
e una volta fatto corra a firmare questa petizione - non servirà a niente, ma, magari accompagnato da un po' di attenzione alle etichette al supermercato per boicottare i prodotti israeliani, alleggerisce un pochino la coscienza.
Ah, se serviva una spintarella per votare Grillo alle prossime politiche, eccola qua.

giovedì 15 novembre 2012

SETTANTA MI DA TANTA...

... e poi ci dicono "tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera",
ma è solo un modo per convincerci a restare chiusi dentro casa quando viene la sera
Negli anni 70 tutto era politica, e forse era esagerato. Iniziavo così uno dei paragrafi del post scorso, che prima e dopo seguiva una sua strada, ma l'accenno lasciava dei fili appesi che vanno ripresi, anche vista la cronaca di questi giorni e alcuni commenti in cui mi sono imbattuto. Li prendo uno per uno, sembrano lontanissimi, e invece forse la trama può essere ricostruita, vediamo un po'...

I cantautori dal processo a De Gregori a Battiato assessore
Sono oramai gli unici o quasi in Italia a campare coi dischi, perché quelli che li hanno scoperti da adolescenti ora sono tra i pochi che ancora hanno un lavoro fisso e i soldi per un CD. La miopia dei discografici impedisce loro di vedere che il boom di quegli anni fu dovuto proprio alla libera circolazione del prodotto (lo so, c'ero: per un LP che compravo ce n'erano dieci che mi facevo la cassetta, e così tutti i miei amici, ma il risultato è che tutti sapevano tutto delle novità, grazie a ciò e alle radio allora veramente libere), tanto è vero che un altro piccolo boom ci fu proprio quando i cd si noleggiavano legalmente, vent'anni dopo, poi è solo lotta alla pirateria, vendite a picco, e investimenti solo sul sicuro (talent show, radio massificate) con conseguente appiattimento del prodotto. Risultato, l'ultimo salto in avanti resta quello degli anni 70, una differenza tale col decennio precedente che non si è più vista nemmeno in piccola quota. Prima, amore cuore e arrangiamenti convenzionali, poi, testi sofisticati e/o impegnati e tantitipidipoprock. La musica che cantavi faceva la differenza, con tuo padre, era parte integrante di quella messa in discussione del "sistema" che nessuno metteva in discussione fosse dovuta da parte di un "giovane", anche di quelli che poi il sistema lo avrebbero ricostruito e consolidato. Magari erano proprio quegli integralisti che "sequestrarono" De Gregori al Palalido costringendolo a un dibbbattito in cui lo accusavano di essersi "disimpegnato", quelli che poi "sono entrati in banca", per usare una efficacissima metafora di Venditti per dire integrarsi fino a prendere le leve del potere. Ma non è che la canzone d'autore è morta o forse siamo diventati sordi noi, è che qui come e prima che altrove è stata attuata la trasformazione dell'entità collettiva "pubblico" in una somma di entità individuali di consumatori, prima di commettere una serie di autogol di politica industriale, che da questa intervista a Guccini si evincono benissimo.

Il piano di Gelli per l'instupidimento delle masse e il berlusconismo
Quegli stessi ragazzi che capivano di musica e testi, e parlandone e scambiandoseli come sottoprodotto creavano un mercato che ancora cresce, capivano o almeno tentavano di capire di politica e società, e parlandone e magari anche dicendo scemenze e litigando come sottoprodotto creavano un elettorato consapevole, difficile da ingannare. I più furbi e arrivisti tra loro fecero carriera politica, spesso attraversandone tutto l'arco da sinistra a destra, ma è alla presenza di tutti gli altri che si devono tutti i progressi che ci sono stati nel rapporto tra Stato/PA e cittadini specie negli anni 90, e se guardiamo alle due epoche come confrontando due istantanee non sono pochi. Ovvio che tutto ciò è pericoloso per chi ha intenzione di gestire il potere senza democrazia, o al massimo usandola come efficace paravento. Quando furono scoperti nel sottofondo della sua valigetta i piani di Gelli e della sua loggia P2, in pochi avvertirono quale era la parte più pericolosa, o non si sarebbe potuta avverare: era quella in cui si teorizzava la presa di controllo della televisione allo scopo di ridurre progressivamente la consapevolezza politica dei cittadini, al punto di trasformarli in consumatori di tutto, dalla merci allo sport alla cultura stessa, passando per la politica.  La trasformazione culturale delle persone venne prima della famosa discesa in campo, ed il fatto che il tizio abbia governato praticamente solo per salvarsi il culo è un danno enorme, praticamente sufficiente a spiegare perché oggi hanno avuto la scusa di chiamare i tecnici, ma non è il maggiore: questo è di nuovo la trasformazione culturale di cui sopra, che oggi garantisce che morto politicamente uno la ggente se ne cerchi un altro, magari formalmente di un'altra parte politica. Le primarie del PD sono un esempio: poche le differenze di sostanza tra i cinque, nessuna quando si va sugli argomenti che interessano il vero Potere - Monti non sarà un criminale, ma nessuno ne discute seriamente la linea politica. Ecco che allora Grillo forse è indispensabile: raccoglie berlusconianamente i consensi di un elettorato trasformato dal berlusconismo, e però costringe chi vuol fare politica attraverso il suo movimento a comportamenti eticamente compatibili con una ritrasformazione dell'elettorato in senso diffusamente partecipativo.

Il movimento 5 stelle e la legge elettorale
Il consenso raccolto in questi mesi da Grillo è imputabile, però, oltre che al suo modo di operare efficace su quelli che siamo diventati, anche al fatto che è rimasto praticamente solo all'opposizione. Questa crescita così rapida però comporta dei problemi, come dimostra la giravolta cui è stato costretto sulla questione voto di preferenza e legge elettorale: dopo anni di lotta per abolire il porcellum e reintrodurre le preferenze, con tanto di raccolta riuscitissima di firme per una proposta di legge vergognosamente mai discussa dalle Camere, si trova oggi a doverlo difendere, perché questi si sono decisi finalmente a cambiarlo ora che si sono accorti che poteva consegnare la premiership proprio al comico genovese. Presi col sorcio in bocca, si stanno affannando a cercare un compromesso che la faccia meno sporca ma persista nell'obiettivo di lasciare l'Italia ingovernabile e quindi in mano a un Monti bis, ma a questo punto l'unica cosa sensata, quindi quella che non faranno, sarebbe semplicemente abrogare la Calderoli e andare a votare col mattarellum: sbagliata la lotta per la reintroduzione delle preferenze, che chi ha la mia età ricorda benissimo cosa significavano per il clientelismo e la selezione pessima della classe politica, bisogna puntare senza esitazioni a un maggioritario uninominale a doppio turno di collegio, unica soluzione che dia governabilità senza regali ingiustificati a coalizioni o partiti e insieme ridìa la possibilità di scelta al cittadino senza reintrodurre il voto di scambio al dettaglio e mantenga la dialettica tra i partiti però limitandola ai 15 giorni tra i due turni e non riportandola al mercato delle vacche di pentapartitica memoria. Se Grillo vuole reggere alla crisi di crescita prossima ventura, deve ascoltare questo consiglio insieme ad altri di amici più importanti con cui fa scopa: questi di Travaglio per quanto riguarda i comportamenti, questi di Chiesa per quanto riguarda le alleanze.

La partecipazione politica e il modello PCI
Comunque vada a finire la sua avventura politica, il maggior merito del grillismo è però proprio quello di aver riportato in voga la partecipazione politica diffusa. Io personalmente sarei addirittura per il sorteggio dei 500 membri di una Camera unica in un serbatoio di elettorato passivo cui accedono tutti i maggiorenni escluse poche precise categorie (disabilità mentale certificata, condanna anche solo in primo grado, due mandati già effettuati, cose così insomma), cui si potrebbe pescare col filtro della residenza anche per i consigli comunali e metropolitani, mentre le regioni le abolirei tout-court e le province le lascerei tutte ma ai Prefetti in quanto enti amministrativi e non politici. Ma anche volendo mantenere il voto, che rispetto alle elezioni a sorte peggiora in ogni caso significativamente la composizione statistica della platea degli eletti (privilegiando gli arrivisti e i disonesti), i criteri di selezione della classe politica che verrebbero fuori estendendo ex-jure quelli stabiliti da Grillo per i suoi (antidemocraticamente, per chi usa le parole in senso strumentale, mentre quella buffonata delle primarie sarebbero democratiche) sarebbero decisivamente salutari per il nostro Paese: senza la rieleggibilità dopo il secondo mandato la politica non potrebbe più essere un mestiere per la vita, senza contributi elettorali da dilapidare e con un tetto ai compensi per l'attività (ma si badi bene, da NON eliminare o rendere insignificanti, pena ridurre la politica a un affare per ricchi anche in diritto oltre che di fatto) non potrebbe più essere un terno al lotto, con lo stop alla prima condanna (o anche incriminazione perché no) non potrebbe più essere un sistema per sottrarsi alla giustizia, con l'embargo ai talk-show non potrebbe più essere uno spettacolo per decebrati o una via per la fama, eccetera eccetera. E soprattutto, così facendo diverrebbe quasi (con il sorteggio togli il quasi) una possibilità concreta per ogni cittadino di dover fare politica attiva per un breve periodo una volta o l'altra nella vita, ri-inducendo pian piano tutti a porsi il problema di farsi trovare pronti al servizio, una volta tolta di mezzo l'idea che sarebbe solo il mezzo più rapido per arricchirsi, magari facendo leva su doti tutt'altro che pertinenti com'è nella seconda repubblica.
Un modello del genere è anche nella mente di gente come Jacopo Fo, che vorrebbe riprodurre in chiave contemporanea la rete olistica del vecchio Pci, o nei progetti concreti di Occupy Wall Street, ma in Italia bene o male lo stanno attuando solo quelli del Movimento 5 stelle, ed è questa la loro più grande dote.
Le proteste di piazza se fatte male sono persino controproducenti, anche perché dall'altra parte seguono ancora gli insegnamenti di vecchi maestri della strategia della tensione e incentivano le peggiori derive per avere la scusa di farti male e metterti fuori gioco (come fu per i no-global con Genova), inutile giocare a capovolgere PPP. Le prime voci fuori dal coro del monopensiero monetarista cominciano a farsi sentire, tocca farsi trovare pronti per quando lambiranno l'Europa, altrimenti sarà inutile. Ricordatelo, ragazzi, loro vi hanno voluto ignoranti, la prima arma invece è sapere le cose.

La Geo-politica innanzitutto
E' la cronaca di questi giorni a darci lo spunto per una chiusura delle fila. Se Grillo non vuole dilapidare quanto ottenuto fino adesso, se vuole davvero avere una possibilità di incidere sul futuro di questo Paese, è il momento che faccia i nomi. Il programma ce l'ha, ma a parte il suo faccione e la chioma del suo amico, si sa poco di chi altri sarebbe in una sua ipotetica squadra di governo. Io vedrei bene Ministro dei Lavori pubblici e dell'Ambiente Mario Tozzi, ma è solo un esempio suggerito dall'aver visto per l'ennesima volta in pochi anni la Natura essere trasformata in un killer dall'incuria e dall'incoscienza con cui abbiamo gestito il nostro territorio. Un programma eccezionale di recupero idrogeologico, edilizio, agricolo, e di microproduzione energetica, un piano di piccole e medie opere pubbliche che keynesianamente si ripagano da sole, e riducono il rapporto debito/PIL mentre danno da mangiare a tanta gente e aggiustano l'Italia: questo ci serve, questa deve essere la parola d'ordine con cui vincere le prossime elezioni. Quando questa cosa funzionerà, e non funzionerà (niente lo farà) senza una lotta alla corruzione senza quartiere, gli speculatori capiranno, l'Europa capirà: il sospetto è che mercati finanziari e UE siano già oggi solo una foglia di fico per gente dalle cattive intenzioni e da nessuna idea (oltre a quella di arricchire i pochi a danno di tutti gli altri). Chissà se da questa nuova "fabbrica Italia" non nascerà di nuovo anche buona musica...

 

giovedì 8 novembre 2012

LA MORTE (DELLA POLITICA)

In una famosa serata sotto le insegne unite di Samarcanda e del
Maurizio Costanzo Show, un giovane Michele Santoro regge il
microfono a un giovane Totò Cuffaro, perché si sentano meglio i
suoi strali contro l'allibito Giovanni Falcone. Per i forti di cuore c'è
anche il video, di questo exploit che sarebbe valso a "vasa vasa"
la carriera politica che ha avuto... Almeno lui adesso è in galera...
Confesso: non ho mai visto un talk-show, al massimo ci sono passato facendo zapping ma la mia resistenza media è di pochi secondi, la massima di 5 minuti. Proprio mai: non dico Porta a Porta o quelli Mediaset che manco so come si sono via via chiamati, dico nemmeno Ballarò, e soprattutto dico nemmeno Costanzo Lerner o Santoro, nemmeno ai loro primi enormi successi. Anzi, quando a sinistra era un coro di lodi per Samarcanda, io non riuscivo a vincere invece il disagio verso un format che dava troppo spazio agli urli della gggente e troppo poco al ragionamento, ne avvertivo insomma la pericolosità diretta e indiretta, attraverso gli indubbi seguaci che il suo successo avrebbe creato (previsione poi puntualmente avveratasi).
Scoprire oggi di non essere stato solo in questo sentimento non può che far piacere, ma è un piacere dolceamaro, perché invece sappiamo dove volano le mosche e nel frattempo l'intera informazione politica televisiva ha preso quel taglio, che evidentemente piace ma i cui effetti sulla democrazia, sia diretti per via del crollo dell'indice di discussione e di comprensione dei problemi reali (si urlano slogan, si recita un gioco delle parti, mai si discute razionalmente di un argomento presentandone le visioni contrapposte), sia indiretti per via della cattiva selezione della classe politica che ne deriva (non bastassero gli altri pessimi canali di selezione già esistenti), sono pessimi. Leonardo ricorda che vengono da questo humus la Lega tutta e la Polverini, io aggiungo almeno Cuffaro e Sgarbi (ma con un po' di mente locale chissà quanti sono...), e concordo che letto così il diktat di Grillo agli esponenti del M5S può essere discusso nei modi (e per la loro eleganza non per la loro efficacia) ma ha il suo senso: quello che Grillo propone (a prescindere poi se sia vero o invece sia solo uno spot per vendere il marchio, questo lo vedremo presto) è un nuovo modo di fare politica, che poi forse è anche molto vecchio, che nei talk-show non si può attuare, punto e basta.
Negli anni 70 tutto era politica, e forse era esagerato. Ma ho continuato sempre a pensare, anche quando era passato di moda (e con ciò mi sono sentito "vecchio" a poco più di vent'anni, a pensare ai decerebrati che avevano pochi anni in meno e molti accessori firmati addosso in più come ai "giovani d'oggi"), che avere un'idea fondata sulle cose che riguardavano la gestione della poleis fosse diritto/dovere di ciascun cittadino, altrimenti la democrazia sarebbe stata non solo priva di senso, ma anche un'arma pericolosissima per tiranni di vario genere. L'aspetto migliore dei grillini, ok oscurato dalla personalità del loro leader (che però è la leva indispensabile per scardinare un mercato come quello politico odierno per come è diventato), è proprio questo, e magari riuscisse a fare breccia a sinistra e perché no anche a destra fosse solo per imitazione: che sono ragazzi che si pongono il problema di cosa servirebbe per far star meglio tutti questione per questione, e mi spiace ma il limite di 2 legislature, il divieto di candidarsi anche solo dopo una condanna di 1° grado, il rifiuto dei rimborsi elettorali e il tetto agli emolumenti, sono tutte misure indispensabili per far si che questi ragazzi non comincino a pensare alla politica come un mestiere, uno strumento per crearsi rendite di posizione per se e i propri discendenti, senza nemmeno parlare di altre utilità meno legali.
Al PD avrebbero dovuto leggerseli, il programma di Grillo e le regole per chi vuole fare politica attraverso il suo movimento, e scopiazzare senza pudore tutti i punti che dovrebbero appartenere alla cultura di sinistra di questo Paese, politici ed etici, anzi non è esagerato azzardare che un Berlinguer oggi non avrebbe esitato a farlo, così lungimirante com'era sulla questione morale e così amato dai giovani e mirante alla loro partecipazione e inclusione. Siccome non solo non lo hanno fatto, ma anzi continuano a proporre buffonate come le primarie tra un berlusconi in minore e uno che si è legato in un abbraccio mortale a Monti, o la nomina ad assessore alla cultura di gente famosa per i suoi strali artistici contro la corruzione (e contro "gli addetti alla cultura") dopo aver "vinto" le elezioni solo grazie all'alleanza con un partito che ha governato in acclarata contiguità al potere mafioso per anni (costola di uno che lo aveva fatto per decenni), allora mi sa oramai che non resta che sperare davvero in un ticket Grillo premier Di Pietro presidente, che magari combini pure un po' di guai ma almeno dia la scossa ad un Paese altrimenti morto.
Quest'ultimo scenario, peraltro, è talmente possibile che i cadaveri ambulanti che dominano la scena politica, e in particolare uno dei loro esponenti più rappresentativi in tal senso, stanno in tutti i modi cercando di accordarsi per riformare la legge elettorale in modo da impedire il suo avverarsi. Bisogna ammettere che peggiorare il porcellum non è facile, ma questi ci stanno provando, e (a meno che sussulti di pudore come questo di Vizzini non abbiano la meglio) avendo l'esperienza che hanno potrebbero persino riuscirci: lo schifo che hanno in mente, infatti, reinserirà un po' le preferenze per dire che hanno risolto una delle criticità della legge vigente, ma mantenendo una quota di nominati sufficiente a imbarcare tutti quelli che devono avere il seggio di diritto, e spostando la soglia di premio a un livello che resti fuori dalla portata di Grillo o del solo PD ma magari dentro alla portata di un inguacchio PD-UdC come quello siciliano, tanto se non scatta si mette in scena il mercato delle vacche di pentapartitica memoria, oppure ci si riaffida ai tecnici (cosa che forse è il vero scopo ultimo di tutta l'operazione). 
Insomma, la colonna sonora di questo pezzo non sarà Aria di rivoluzione di Franco Battiato, ma proprio Samarcanda di Roberto Vecchioni, perché racconta di un soldato che credendo di fuggire dalla morte finisce per fuggire verso di lei, come si spera stia facendo questa classe politica.

mercoledì 7 novembre 2012

FOUR MORE YEARS?


Era un po' di tempo che avevo chiesto a un vecchio amico di contribuire ogni tanto a questo blog, è quindi una singolare coincidenza che questo post, uno sguardo da dentro il mondo degli arbitri di calcio titolato facendo l'occhiolino alla cronaca politica internazionale, mi arriva proprio il giorno dopo che ho pubblicato un raro pezzo sul calcio con dentro un aneddoto sull'arbitro cornuto a prescindere. La cosa aumenta il piacere di ospitare su questo spazio web Polifemo, uno che ci vede da un occhio solo. Che in un mondo di ciechi....
.........
Il prossimo 10 novembre l’Associazione Italiana Arbitri eleggerà – o rieleggerà – il proprio Presidente. Il processo, che ricorda molto nel meccanismo elettivo quello americano, si compirà in un grande albergo romano secondo principi di evidente fair-play ma che nella realtà ha visto il ricorso a molti colpi bassi tra i due contendenti. Per chi non lo sapesse, tutto il mondo dello sport rinnova i propri vertici al termine del quadriennio olimpico.
Già ma chi sono i due che si contendono la poltrona più alta della struttura arbitrale?
Si tratta del Presidente uscente, Marcello Nicchi, e del suo antagonista, Robert Antony Boggi.
Nicchi, aretino, dirigente bancario, è stato un arbitro internazionale e, una volta smessa la divisa, componente della Can (cioè la commissione che designa gli arbitri e gli assistenti in Serie A e B) nonché osservatore Uefa.
Il salernitano Boggi, invece, è stato un ottimo arbitro – anch’esso internazionale – nella sua vita “attiva” e ugualmente impiegato come dirigente nei quadri tecnici (Can C) dell’Aia. Ha un figlio che al momento si sta facendo onore come arbitro in Serie D. Boggi, inoltre, è passato la storia alla storia per essersi dimesso da un incarico tecnico per protesta contro l’allora nascente professionismo arbitrale.
La lotta tra i due candidati ha visto l’affermarsi di un clima non proprio britannico, specie per ciò che attiene alla procedura di accesso alla corsa presidenziale. Ciascun candidato, infatti, deve raccogliere un numero minimo di firme tra i grandi elettori che partecipano, appunto, all’Election Day. Tali grandi elettori altro non sono che tutti i presidenti di Sezione e i delegati eletti dalle varie Sezioni Aia presenti sul territorio nazionale. Dunque realtà completamente diverse tra loro, ognuna con criticità e aspetti positivi propri che rendono dunque complesso il compito di una piena rappresentanza da parte dei candidati.
Marcello Nicchi, in virtù della posizione di Presidente, è stato accusato da Boggi di azioni di disturbo circa la raccolta delle firme per la presentazione della sua candidatura. Una situazione piuttosto imbarazzante che ha visto il coinvolgimento dell’onnipresente procuratore federale Palazzi il quale, per non sapere leggere o scrivere, sta attendendo gli sviluppi finali della kermesse elettorale per poter, poi, procedere.
Ma cosa significa diventare Presidente di una associazione così tecnica come l’Aia? Beh, all’uomo della strada, tanto caro alla cultura anglosassone, può importare poco ma nella realtà il vertice arbitrale può influenzare molto nel mondo del calcio. Prendiamo, per esempio, alcuni spunti dal programma politico dello sfidante Boggi. Tra le tante “offerte” (consultabili a questo indirizzo):
  • garantire la presenza negli organi di controllo alla minoranza che esce sconfitta dalle elezioni (al momento chi perde viene “congelato”, anche tecnicamente, per quattro anni);
  • inserire 24 Presidenti di Sezione nel Comitato Nazionale (in pratica una sorta di Consiglio di ministri però con più potere decisionale, anche di natura tecnica) nell'arco del quadriennio;
  • rilevare, per mezzo di una indagine mirata, i motivi perché in certe aree nazionale le vocazioni arbitrali sono particolarmente carenti (ci sono regioni che non offrono alcun arbitro, assistente oppure osservatore di rilievo nazionale da decenni…);
  • riorganizzazione della CAN A e della CAN B
  • concedere agli organi di disciplina domestica Aia indipendenza assoluta, anche per mezzo di sistemi elettivi;
  • ripristinare l'uniformità tecnica e didattica tra tutti i livelli dell’Associazione, così da veder corrispondere (a parità di fattispecie tecnica/disciplinare maturata sul terreno di gioco) sempre la medesima risposta da parte dei giudici di gara.
D’altro canto, a Marcello Nicchi va dato il merito di aver rinnovato diversi aspetti organizzativi e anche tecnici dell’Associazione non solamente nei fatti ma anche nella mentalità. Il suo è stato un mandato di impostazione che meriterebbe un quadriennio di definizione di alcuni obiettivi rimasti ancora “lettera morta”. Per esempio, i rimborsi spese. L’aspetto economico è alquanto singolare nell’Aia. Se, infatti, ai massimi livelli di Serie A e B a tutti – arbitri, assistenti e designatori – vengono riconosciute ritorni economici interessanti, verso il basso gli euro si “rarefanno” fino ad arrivare alla completa gratuita dell’opera prestata nelle Sezioni e a rimborsi spese per gara che vedono i tabellari chilometrici fermi agli ’90 del secolo scorso!
Quindi il compito dello sfidante Boggi – aldilà del retropensiero di molti osservatori interessati e opposti – sarà quello di cavalcare il malcontento di una certa parte dell’Assemblea elettiva.
A rileggerci per le valutazioni degli esiti finali.
Polifemo

martedì 6 novembre 2012

NESSUNO ALLO STADIO

I 70 anni di Sandro Mazzola mi danno l'occasione di riparlare di uno sport che non seguo dall'81, con la coda del mundial dell'82. Non vedo più neanche la nazionale, ho visto perché costretto dagli amici la finale vinta contro la Francia ma non sono andato con loro ai caroselli (nell'82 con la combriccola di allora ci buttammo di corsa in mare tenendoci per mano, vestiti, eravamo giovani...) e il giorno dopo con tutta Roma al Circo Massimo io e pochi appassionati gongolavamo a villa Ada per i virtuosismi di Keith Emerson, e non ho visto le quattro pappine che ci ha rifilato la Spagna agli ultimi europei...
Ma da bambino ci andavo allo stadio, eccome: mio padre seguiva la Reggina da sempre, e come è facile intuire io ero un maschietto di meno di dieci anni gongolante quando si incamminava a braccetto con papà verso i tornelli, passando gli sguardi bonari degli addetti al controllo biglietti che ad occhio lo stimavano meno di quel tot di altezza oltre la quale dovevi pagare il ridotto. I primi ricordi certi sono di quando la squadra, dopo i suoi primi nove anni di serie B, retrocesse al termine del campionato 1973/74: un rigore sbagliato da tale Bonfanti e una fuga in solitario di tale Merighi in contropiede per arrivare sfiancato e mangiarsi il gol in una partita che pareggiammo in casa e vinta ci avrebbe salvato, e poi una vaga storia di impicci con in mezzo Foggia Perugia e Sampdoria che ci condannò. Mio padre che, quando tutti chiedevano a quelli con le radioline "chi faci 'u Milan?" o la Juve o l'Inter,  rilanciava con un ironico "chi faci 'u Canicattì?" (qualche anno dopo, con la squadra in C2, si sarebbe trattenuto la battuta in gola perché l'ironia non sarebbe stata colta: sarebbe stata letta come una legittima richiesta di informazioni su una squadra avversaria). I pacchi di sale gettati in campo dagli spalti contro il malocchio. E un tipo che aveva come riservato da una convenzione universalmente condivisa il punto delle gradinate dove la balaustra faceva angolo: alto robusto e baffuto, veniva allo stadio con l'ombrello con qualsiasi clima, appoggiava la panza sulla ringhiera, e al fischio iniziale urlava atteso da tutti "arbitru curnutu, a tìa e a cu non t'u dici" a cui il coro generale rispondeva ovviamente "curnuuuutu" ed era quello il vero segnale di avvio. Dicevo che l'ultimo campionato che seguii fu appunto quello dell'81: la Reggina con Franco Scoglio in panchina era tipo seconda o terza in classifica a fine girone di andata, quando il Professore fu esonerato e la squadra in mano al suo vice Sbano retrocesse dalla C1. Dopo tantissimi anni, tornai allo stadio per una circostanza non piacevole: mio padre fu ricoverato e mi "inviò" col suo abbonamento in curva ad assistere a un noioso pareggio; la Reggina allenata da Bolchi in quel 1999 andò in serie A pareggiando le ultime tre partite in casa e vincendo le ultime tre in trasferta, la terza a Torino. Quel giorno mio padre era in rianimazione, dopo una vita di tifo i festeggiamenti per strada li sentiva solo come eco lontanissima. Ma momentaneamente si riprese, e io che ai tempi vivevo in trentino gli feci ancora da "inviato al ritiro", della prima Reggina da serie A, in Val Gardena. Morì l'8 agosto, e il 29 dello stesso mese festeggiai il mio compleanno con l'esordio in massima serie della sua squadra del cuore. Che nemmeno rispose, a una lettera di noi figli con cui chiedevamo un breve saluto "a Pepè" dallo speaker prima del match.
Trent'anni prima, papà aveva lavorato a Milano, proprio nel periodo in cui i bambini si scelgono la squadra del cuore. Ci giocava un certo Gianni Rivera, che ancora segnava tanto (Vincenzina e la fabbrica Jannacci la scrisse qualche anno dopo...) e faceva segnare ancora di più: chi ha visto i suoi lanci millimetrici sulla testa di Pierino Prati, ad esempio, non li ha più dimenticati. Divenni milanista, un'altra cosa che mi avrebbe tolto dopo Silvio Berlusconi: fui tra i pochi che pensò subito che il suo modo di intendere il calcio era foriero di rovina, e non solo per il calcio stesso, e rinnegai i rossoneri praticamente in contemporanea al loro benservito a Rivera. Per questo, forse, nel '99 non mi persi l'occasione di andare da Trento a Milano a vedere Milan-Reggina 2-2, con i biglietti della curva rossonera, ed esultare al gol amaranto vedendo con sorpresa tutto lo stadio, anche quelli in sciarpa rossonera accanto a noi, esultare con noi: Milano sarà anche vicino l'Europa, ma è anche forse la città più grande della Calabria per numero di residenti. Nella Reggina di allora giocava in prestito dall'Inter un certo Pirlo, e sentire oggi Mazzola in un'intervista televisiva rispondere "Pirlo, se giocasse qualche metro più avanti" alla domanda su chi dei giocatori odierni somigliasse a Rivera, dopo aver accostato a se stesso Totti, in qualche modo chiude il cerchio attorno a questo atipico post intimistico-calciofilo.
Si perché come spesso capita in questi casi, ad odiare il calcio per quello che è diventato sono proprio i veri amanti dello stesso. Questo sport deve il suo successo mondiale al fatto che si può giocare senza un soldo (e chi ha la mia età l'ha vista quando non praticata la pallastrada prima che ne scrivesse meravigliosamente Benni, e per fortuna nel mondo si gioca ancora anche se da noi nelle vie prevalgono le auto e nei cortili i regolamenti condominiali antinfanzia in sinergia col calo delle nascite e la crescita della paura), e che lo può giocare chiunque, anche uno leggerino come Mazzola, anche uno dalle spalle piccole come Rivera, anche un piccoletto come Messi, anche uno tendente al tracagnotto come Maradona, anche uno con le ginocchia di vetro come Baggio. O meglio, lo poteva. Perché, caro Mazzola, se Totti non fosse stato robusto il doppio di te non avrebbe fatto la carriera che ha fatto, nel calcio odierno. Un calcio che dal "sacchismo" in poi si è consentito diventasse esclusiva dei palestrati, degli scorretti, dei dopati, che vengono selezionati fin da piccoli tra i più potenti e furbi, e chissenefrega se non hanno i piedi buoni.
La verità è che oggi tu e Rivera in una qualsiasi scuola calcio sareste invitati a cambiare aria, altro che titolari minorenni in serie A o in nazionale. Tanto a quelli che tengono su la baracca comprando abbonamenti alla TV satellitare, evidentemente, poco importa se quello che vedono è il vero calcio o meno, forse non l'hanno mai visto, e quello che conta è avere qualcosa da guardare nello schermo per scordarsi della vita intanto che passa. E fa niente se magari non va più nessuno allo stadio...




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