martedì 30 marzo 2010

MY PERSONAL AVENTINO

Circola da un po' di tempo (grazie Manuela) uno scritto di Elsa Morante del 1945 riferito a Mussolini che chi non dovesse essere avvisato riferirebbe a Berlusconi. Calza così tanto che viene il sospetto che il testo che gira sia stato ritoccato o rimaneggiato, così mi sono andato a cercare il testo originale; è anche peggio, leggete un po':
...un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti.
Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo. Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne. Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti questa minoranza come nemici del popolo e della nazione, o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani).
Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto, ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto.
Mussolini, uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo. Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine.
In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso. Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita. Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare. Gli si confà la letteratura amena (...) e la musica patetica (...). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (...) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo.
Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti , i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando. Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.
Ecco, ieri circa la metà del 63% di votanti gli ha confermato la sua fiducia. Un italiano avente diritto di voto su tre. Gli altri due, si sono trovati quasi ovunque di fronte alla scelta di votare un candidato quasi altrettanto poco credibile di quelli del PdL, oppure un candidato migliore con nessuna possibiltà di vincere, oppure di stare a casa. Io l'ho dichiarato prima, che se non fossi stato nel Lazio non avrei votato, a meno che non in Puglia. E infatti le uniche due regioni, escluse le roccaforti inespugnabili, in cui il PD non ha fatto figure di merda sono state proprio quelle in cui il candidato che appoggiava veniva da altre radici politiche, e si era autoimposto per strade diverse: Lazio e Puglia appunto. Il progetto PD è un macroscopico errore storico e politico, cos'altro ci vuole a riconoscerlo? avete perso politiche europee e amministrative, quale altra prova vi serve? E badate bene: la vittoria nelle regioni rosse dimostra esattamente la stessa cosa, li votano per qualunque cosa si muova nella scia storica del PCI, quindi per il PD nonostante quello che è, non per quello che è.
Insomma, o cambiano le cose a sinistra o questa è l'ultima volta che voto anch'io. Un Aventino stavolta degli elettori, dovesse favorire la dittatura berlusconiana come quello dei parlamentari liberali favorì quella mussoliniana, almeno farebbe gettare la maschera al novello duce. Io per me almeno potrò dire di aver votato, l'ultima volta che l'ho fatto, per Emma Bonino presidente e Margherita Hack consigliere. Due donne straordinarie, e tanto basta.

giovedì 25 marzo 2010

TU CHIAMALE SE VUOI...

Elezioni. Sono giorni duri per i deboli di stomaco. Il caudillo ha il fiato corto e, come sempre in questi casi, diventa rabbioso. In piazza gli è andata male, era prevedibile. Oggi nella cassetta delle lettere ho trovato una porcheria che rivaleggia nello schifo col libercolo agiografico che ci ha propinato tempo fa: una lettera "personalmente indirizzata" (Santa Stampa Unione) come nemmeno postalmarket forse usa più, e un opuscolo di propaganda con su una serie di menzogne di facilissima sbugiardatura da parte non dico di un qualsiasi mediocre giornalista, ma anche di un qualsiasi homo sapiens sapiens che usi della propria intelligenza adulta. E' per questo che ha fatto chiudere tutte le trasmissioni giornalistiche del regno (ma stasera per ogni dove c'è raiperunanotte, ovvero annozero via web), e che l'opuscolo ha tante figure e poco testo: ha bisogno del suo elettorato d'emergenza, gente che non pensa, fa fatica a leggere, e ha un'età mentale inferiore agli undici anni o fisica superiore ai settantacinque. Infatti eccolo irrompere nelle sue riserve di caccia, come ad esempio unomattina, che la gente che lavora non vede mai ma i pensionati stanno tutti là, oppure imperversare nei suoi telegiornali come nemmeno Mussolini nei filmati dell'istituto Luce.
Se resterà in sella, dopo le prossime elezioni regionali, lo si dovrà alla totale assenza di un'opposizione con un minimo di credibilità. Anche se, bisogna dire, che quand'anche l'opposizione ci fosse, fosse credibile e forte, e stravincesse le regionali, col cavolo che lui si dimetterebbe come fece D'Alema (unico gesto "alto" di una carriera politica pessima) a suo tempo. Le candidature tutte, infatti, hanno un alto tasso di impresentabilità, senza quasi distinzione tra schieramenti, come ben dimostra il solito Travaglio o con maggiore sintesi, per i frettolosi, questo pezzullo di centomovimenti. Io personalmente vado a votare solo perchè nella mia regione c'è un candidato presidente come Emma Bonino, di cui non sempre ho condiviso le scelte passate ma la cui statura politica e morale non è in discussione, per non parlare del suo ruolo nella storia dei diritti civili in questo Paese. Ma se votassi in Calabria o in Campania, ad esempio, sicuramente starei a casa. Un impeto, questo, che ha un suo fondamento anche teorico.
L'astensione, infatti, è l'ultimo strumento che hanno in mano i cittadini. Se sia il modo di smascherare quel regime che chiamano democrazia, o l'ultima ratio per dare a quest'ultima un valore reale simile a quello nominale, è questione aperta e ben rappresentata da questo botta e risposta tra Mazzucco e un utente del suo forum, che ha postato un "dialogo immaginario fra un elettore ideale e un politico reale" così nichilista da costringere Mazzucco a prendere le distanze con questa bellissima chiosa finale:
La democrazia non è “una cosa per”, ma “una cosa che”. Il “per” ce lo metti tu, a seconda di come la usi. Ma prima devi capire come funziona. La ruota non è stata inventata “per far circolare le automobili”. La ruota è “una cosa che gira”, punto. Se la monti su un’automobile la fa circolare, se invece ci monti dentro tu sei solo un criceto che gira impazzito nel nulla più assoluto.
Resta il fatto che l'astensione questa volta è probabilmente una scelta sensata. A parte il solito argomentatissimo pezzo di Bertani, che mette in mezzo (documentatamente e non qualunquisticamente) pure il costo complessivo di questa classe politica, stavolta mi convince anche il conto della serva, che risolve pure un mistero glorioso a cui molti di noi spesso hanno pensato: come cavolo è che questo governa da quindici anni, e io di berlusconiani convinti ne conosco così pochi? E' presto detto: anche prendendo per buone le percentuali di consenso che spara Lui, esse non si riferiscono alla popolazione nel suo complesso, ma ai votanti. In Italia ancora vota circa l'80 per cento degli aventi diritto, che alle amministrative scende intorno al 75%. Avere il 50% dei voti vuol dire avere il 40% degli aventi diritto al voto, alle amministrative meno. Ora, Pdl più Lega hanno preso poco più del 50% al momento di massima popolarità, quando si trattava di rimpiazzare l'odiato Prodi. Ma i berlusconidi non erano tra loro se non tre su quattro al massimo. Se facciamo una semplice operazione algebrica, nel 2008 in giro c'era forse il 25% di berlusconiani convinti. Oggi se gli va bene saranno il 20%, forse meno. Uno su cinque. Ecco che quadra con la vostra percezione personale, tenuto conto sia delle vostre affinità elettive, del fatto cioè che tendete a circondarvi di gente a voi affine, che della naturale riluttanza dei berlusconiani - come un tempo dei democristiani - ad ammettere pubblicamente il loro "peccato".
Oggi, se i votanti dovessero scendere non dico al livello delle ultime regionali francesi, cioè intorno al 40%, ma anche al 50% o al 60%, avere il 50% di quei voti significherebbe non rappresentare che un quarto, massimo un terzo della popolazione. E questo sia che il naturale maggior astensionismo alle amministrative dei berluscones faccia inaspettatamente vincere il PD, sia che il raschio del fondo del barile operato dal marketing di questi giorni riesca ad evitare al Cavaliere questa onta, non può che essere una buona cosa: chiunque governi, lo farà con la paura strisciante che un nuovo Grillo, che da quello attuale non c'è da aspettarsi nulla di buono purtroppo, spunti a raccogliere tutti quei consensi inespressi... Magari su temi come quelli benissimo delineati qui da Luca Pardi, così alieni da essere al massimo e raramente sfiorati dal programma del "maggior partito di opposizione", ma da non essere prescindibili dal "prossimo giro di giostra", a cui l'Occidente sarà costretto dalla situazione a cui egli stesso ha ridotto il Pianeta.

lunedì 22 marzo 2010

ACQUA DA TUTTE LE PARTI

Il 22 marzo è la giornata mondiale dell'acqua, un evento che si svolge dal 1992 e che come spesso capita alle "giornate mondiali", una categoria che è seconda per proliferazione solo ai santi cattolici (Woytila da solo ne ha proclamati oltre una volta e mezza quelli proclamati in totale da tutti gli altri papi), ha un suo sito, worldwaterday.
Il problema è dunque ben noto: la scarsità di acqua è già una delle cause prime delle morti infantili, delle guerre, del depauperamento di aree che è a sua volta tra le cause della migrazione; questo perchè tutto è acqua, tutto - anche la carne o l'acciaio - è calcolabile in termini di acqua necessario a produrlo. E quindi sarà l'acqua, piuttosto (nel senso etimologico di "prima") che il petrolio, a causare il collasso sistemico che in tanti ormai vaticinano imminente. In tal senso, la cosa va inquadrata nell'alveo degli interventi più generali per invertire il trend di sfruttamento del pianeta terra, che ha già superato il livello di guardia e si appresta a fare lo stesso col punto di non ritorno, interventi che però tardano ad arrivare e non arriveranno mai fino a che i Paesi che hanno introdotto il Verbo della crescita del PIL non siano i primi ad abbandonarlo. Insomma, se chiediamo ai Paesi emergenti di essere virtuosi con l'ambiente dopo che noi lo abbiamo saccheggiato e senza che noi per primi non diamo un incondizionato esempio, questi ci rispondono con una meritata pernacchia, solo che trattandosi di giganti come India Cina e Brasile la Terra è spacciata. E la scarsita dell'acqua è solo il sintomo primo in termini di tempo e di evidenza.
In Italia però tutto ciò si veste di cronaca: sabato scorso mentre centocinquantamila bimbi (alcuni di loro pare persino prezzolati, ma sono quelli che capisco di più) assistevano a piazza San Giovanni all'ennesimo trabocco di odio (con tanto di traveggole, come il nonno di Così parlò Bellavista: "nu milione!" - grazie Lameduck) del leader del Partito dell'Amore, centocinquantamila adulti sfilavano poco più in là (a gratis) per reclamare la ripubblicizzazione dell'acqua, che i bimbi di cui sopra non sanno essere stata appena privatizzata dai loro amati leader. Se ne accorgeranno ovviamente a prezzi decuplicati (anche se da qualche parte già i prodromi si vedono), in tempo per poter dare la colpa alle sinistre, peraltro in questo caso non del tutto infondatamente: troppo spesso il PD ha atteggiamenti equivoci su queste tematiche, e dire che il caso Vendola in Puglia qualcosa dovrebbe suggerirgli su cosa pensa la sua base elettorale in merito...

venerdì 19 marzo 2010

NOSTRA VITA TUTTA QUA

Oggi niente politica, forse: sono qui a fare due chiacchiere con Rita Caprio, "teatrante per diletto", che sta per portare in scena uno spettacolo dal titolo "Nostra vita tutta qua". Chi mi segue sa che se mi capita di recensire o segnalare un artista è quasi sempre misconosciuto o emergente: sono conscio di rappresentare un ben piccolo megafono,  ma faccio la mia parte memore dei tempi in cui le fortune nascevano col passaparola, hai visto mai torna di moda come il vinile.
Lo spettacolo si svolgerà al teatro "Tracce di sale" a Roma: c'è tutto nella locandina qui a destra, date e numero di telefono per prenotare. Fine dello spot, Rita, parliamo di teatro. Oggi come ieri, è difficile camparci: ad averlo come hobby, come capita a te (e a me col giornalismo), come si concilia col tuo lavoro di tutti i giorni?
L’arte è sempre meno un mestiere. la società attuale non concepisce un certo tipo di teatro come una professione. e allora l’unico modo di poter coltivare questa passione è farlo "a proprie spese", vale a dire autoproducendosi. Il teatro è, tra le altre cose, impegno, disciplina. La passione è un sentimento da dedicargli incondizionatamente. Ogni produzione teatrale di questo tipo è, dal punto di vista economico, assolutamente fallimentare. Io debbo quindi considerarmi baciata dalla sorte, data la fortuna che ho di avere un lavoro stabile, che mi permette di concedermi il lusso di recitare.
Vuoi dire che ormai l’arte è da considerarsi un lusso?
Purtroppo è così. e questa situazione è doppiamente negativa. Perché da un lato scoraggia le buone intenzioni e dall’altro fa dilagare una sorta di intellettualismo presuntuoso ed antipatico. Mi piacerebbe che quello del teatrante fosse un lavoro grandioso nella sua umiltà, così come un qualsiasi altro lavoro artigiano. Senza particolari sacrifici, ma comunque lontano anni luce da perniciosi atteggiamenti snob, diffusissimi in questo ambiente. La mia considerazione non si limita al campo teatrale. anche il cantautorato soffre dello stesso male: basti pensare che un cantautore di eccezionale poeticità e talento come Moltheni nella vita di tutti i giorni fa il pompiere... Purtroppo l’arte che non rientra nei grandi numeri è rimessa alla buona volontà di chi la vuole coltivare e vivere.
La regista di questo spettacolo, Alessandra Arcidiacono, è un raro esempio di donchisciottismo: un’artista tenace che resiste alle avversità economiche riducendo al minimo i bisogni pur di non piegarsi alle leggi della moda e del mercato. Le produzioni che ne vengono fuori sono quindi il frutto di questo coraggio, e questa cosa si sente: è decisamente ravvisabile la forza di questa scelta quasi eroica di non seguire nessuna corrente, solo il proprio sentire, o dissentire. Ecco, il dissenso è il sentimento che ha guidato questo adattamento teatrale, curato dalla regista.
Dissenso inteso come denuncia?
Più che una denuncia è un lamento. Un urlo nel vuoto. Una disincantata presa di coscienza dell’assurdo che abita nel lavoro operaio: la triste situazione di chi, pur versando sudore e sangue, non arriva che a stento a fine mese, e pur di restare all’interno dei complessi ingranaggi del mercato si riduce a macchina da lavoro, trattenendo a fatica rarefatte connotazioni di umanità, perchè quelle condizioni di lavoro disumane sembrano essere l’unica via da percorrere per garantirsi la sussistenza.
Dunque l'idea è che si sia diffusa, o ridiffusa, la tendenza a piegare la testa.
Esattamente. Tempo fa ero in un ufficio postale, le file progredivano con una lentezza esasperante, i pochi sportelli erano abitati da operatori distratti e svogliati. Affianco a me c’era una signora elegante che mi ha guardato triste e, con forte accento sudamericano, mi ha detto: "perché non lottate più? perché vi accontentate? negli anni ’70 ho vissuto a Roma per un periodo. in una situazione come questa ci sarebbe stata una sommossa".
Ho vissuto anch'io una situazione simile, credo capiti a tutti quando si va alle poste di sti tempi. Ma io ho visto di peggio: gli impiegati lasciati alla consegna delle raccomandate solo un paio e dei più sfigati, perchè quelli smart stanno tutti ai servizi "bancari" (le virgolette sono meritatissime), e nonostante sti poveretti da ore non osassero neppure allontanarsi per la pipì una signora non ha fatto che apostrofare loro e arringare gli altri citando il suo eroe Brunetta... Ma generalizzando hai ragione: c’è una diffusa e latente assuefazione, come se nessun diritto valesse la pena di essere difeso con forza.
Questa considerazione va oltre le idee politiche. non c’entra niente con la lotta di classe: in questo spettacolo i capi non sono più umani dei propri dipendenti, e viceversa. Quell’unico serio tentativo di alzare la testa è soffocato ed insabbiato da altre scomposte rivendicazioni vigliacche e mediocri.
Insomma in questo spettacolo si rappresenta il disagio della società di oggi?
Una rappresentazione non descrittiva ma ahimé fedele. Un incubo grottesco e surreale che esprime quello che le coscienze sempre meno riescono a dire.

mercoledì 17 marzo 2010

SCUOLA E RIPRODUZIONE...

...IN UNA RICERCA SUI VALORI A REGGIO CALABRIA. Si chiamava così, ho appena controllato, la mia tesi di laurea in Sociologia delle Comunicazioni, anno accademico 1984/85, Università degli Studi di Messina. Mi è tornata in mente dopo tutto questo tempo quando ho visto questo articolo su Repubblica. L'ho scorsa rapidamente, è dattiloscritta e i grafici sono disegnati a mano, come a mano erano fatti tutti i calcoli statistici, una montagna di fogli alta così: Bill Gates ai tempi era ancora solo uno studente geniale e l'unico "computer" richiedeva una fila di mesi all'università. Ebbene, a rileggerla c'è da rabbrividire: se qualcosa è cambiato, è in peggio. Don Milani è vissuto invano.
Uno dei principali compiti dell'istruzione pubblica era proprio quello di rango costituzionale di "rimuovere gli ostacoli" all'uguaglianza delle opportunità (il famoso articolo 3). Da quando io giovanissimo giravo per le scuole reggine con un questionario che accertasse quanto importasse a quei ragazzi di capire com'era la società in cui vivevano per cercare di migliorarla, e scoprivo che paradossalmente i soli che ne avevano qualche voglia erano proprio quelli che non ne avevano interesse, il figlio di medico che sarebbe diventato medico eccetera, sono stati fatti pochi passi avanti e parecchi indietro. Il principale dei quali, previsto nel piano di Gelli, nasceva proprio in quegli anni con i network televisivi commerciali di uno sconosciuto self-made-man della provincia milanese. Che era mica tanto self-made, si sarebbe scoperto dopo, e ancora oggi troppi lo ignorano. La televisione ha infatti affiancato la scuola come strumento di riproduzione sociale e piano piano le ha tolto lo scettro di strumento principe. Poi è successo di peggio: poichè negli anni la classe docente bene o male si è rinnovata, e dentro ci sono finiti (più o meno precari) anche tanti individui di buona volontà e i cui studi si trovavano a valle della situazione dei tempi della mia tesi, la scuola pubblica, sia pure a macchia di leopardo, sia pure con infiniti problemi, ha tentato di dismettere la funzione riproduttiva in favore di un ruolo nella formazione di coscienze individuali autonome. E mano mano che questo succedeva, da un lato la scuola pubblica stessa veniva sempre più (e per colpa e per dolo, tra riformismi velleitari ed effimeri e favoreggiamenti - incostituzionali - alle scuole private massimamente cattoliche) svuotata di risorse economiche strutturali e umane (da ultimo dalla Gelmini), dall'altro la televisione acquistava potere nella determinazione della scala dei valori degli individui sottoponendoli fin da piccoli a un bombardamento emotivo possente e incessante. Il risultato in termini di riproduzione sociale è esponenziale rispetto a quanto prima si otteneva con la sola scuola: generazioni intere di elettori crescono nel totale disprezzo della politica (che per altre strade si fa sì che sia peraltro largamente meritato) e nell'adesione passiva ai sistemi valoriali voluti da chi tiene le redini. Basta guardare una qualsiasi delle trasmissioni che vanno per la maggiore, dai reality ai talent-show, dai quiz per cerebrolesi infarciti di vallette seminude alle trasmissioni calcistiche, per toccare con mano quanto, nell'universo culturale in esse dato per acquisito, e quindi percepito come tale dal giovane spettatore, tutti i valori conquistati da decenni di lotte per i diritti dei lavoratori delle donne e dei cittadini in genere siano azzerati, in favore di un modello retrogrado che da essi prescinde. Gli esempi sono infiniti, ne prendo solo due macroscopici: il concetto di "amore" pseudoromantico prefemminista neofamilista, e l'immagine della donna.
Tutto ciò ha conseguenze molto più gravi di quanto si immagini. A chi vuole averne un'idea precisa rimando come spesso mi capita a un bellissimo pezzo di Carlo Bertani, ma io la mia la dico così: chi oggi sta sulla cinquantina ha avuto nonni quasi sempre poco scolarizzati e lavoratori della terra o delle fabbriche o comunque duri che però pur avendo attraversato due guerre si attendevano che i loro figli arrivassero a una posizione sociale più elevata della loro, e genitori diplomati o raramente laureati che infatti poterono fare carriera in un posto fisso magari pubblico continuando ad attendersi dai loro figli che arrivassero a una posizione sociale più elevata della loro; così noi quarantenni e cinquantenni siamo in parecchi laureati, qualcuno con reddito fisso qualcuno già no, ma chi ha un figlio spera soltanto che possa avere un lavoro sicuro purchessia. In altre parole, la mobilità sociale verticale per merito è una realtà storica effimera collegata al grado effettivo di democratizzazione di una società: in Italia è infatti cresciuta per pochi decenni, precipitando negli ultimi 20 anni. Il problema è che proprio la pervasiva organizzazione familistica italiana ha fin'ora tappato i buchi di una progettualità sociale colabrodo: se ad esempio le generazioni precedenti alla mia hanno potuto comprarsi casa con i propri redditi e risparmi, la mia e ancora di più quella subito dopo hanno potuto farlo solo se aiutati dai genitori, i ragazzi di oggi riescono a sopravvivere - anche quando lavorano - grazie al sostegno, economico e di welfare, dei loro genitori, ma già la mia generazione per non parlare di quelle successive non sarà in grado di fornire questo stesso sostegno ai figli. La mia pensione basterà a stento per il mio sostentamento, forse; di sicuro chi ha oggi meno di 35 anni probabilmente non avrà una pensione degna di questo nome, se ne avrà una. E non ci sarà nessuno stato sociale a sostenere così tante persone con reddito insufficiente. Queste previsioni apocalittiche verranno smentite solo a patto di cambiare radicalmente politica, a proposito ad esempio di welfare decrescita immigrazione, ma non c'è oggi nemmeno all'orizzonte una forza politica in grado di rappresentare significativamente una simile istanza, e anzi - visto il livello di riproduzione sociale di cui parlavamo - non ha sufficiente peso nemmeno l'istanza stessa.
Sabato scorso, a Reggio Calabria, la manifestazione contro la mafia è andata praticamente deserta, e quasi nessun reggino era tra i pochi presenti, giunti dal resto della Calabria o dall'altra sponda dello stretto. Ah già, c'era la partita della Reggina, che poi ha riperso in casa e sta miseramente finendo in serie C, categoria peraltro più confacente a quella qui appartiene la città, a dispetto dell'etichetta di "metropolitana" che gli hanno attaccato sopra con la saliva per raccattare un altro po' di soldi da spartirsi. Stiamo parlando di una città che 40 anni fa è stata in grado di sollevarsi all'unisono contro il sopruso, anche se poi quella lotta è stata strumentalizzata da una parte, per colpevole distrazione dell'altra, oggi sodale coi ladri che una volta si vantava di combattere. Che tristezza, vado a rileggermi la tesi di laurea: quei ragazzi che intervistai allora oggi sono quarantenni, magari ci capisco qualcosa...

venerdì 12 marzo 2010

LETTO A TANTE PIAZZE

Anche se monarchico e dichiaratamente schierato per un populista come l'armatore Achille Lauro, uno - per dire - di cui si diceva si comprasse i voti con banconote tagliate a metà da "completare" dopo l'elezione, il principe della risata si è segnalato per alcune audaci (per la censura di allora) incursioni nella satira politica. Memorabile, in Fifa e arena, la scena in cui vede Isa Barzizza nuda attraverso un acquario, ma poichè uno dei suoi ospiti si intromette puntualmente tra lui e le parti cruciali della bellissima (era talmente bella che è bella ancora oggi a 81 anni!), dà al pesce letteralmente del "democristiano"...
In Letto a tre piazze, invece, Totò reduce dalla Russia trova la moglie Amalia risposata con Peppino, e in attesa di un accordo - così impossibile che la donna contesa finirà tra le braccia del laido avvocato Aroldo Tieri - i due mariti dormono nello stesso letto. Senonchè Totò fatica a prendere sonno, e passeggiando vestito sul letto si rende conto del motivo: sostituisce il quadro della madonna con uno di Stalin, gli fa il saluto col pugno, e si mette a dormire.

In tante piazze si rivede domani il popolo Viola, la più importante delle quali per una volta è Reggio Calabria, dove si tiene il No mafia day. A Roma l'incontro è a piazza Navona come sabato scorso, ma ci sono stato e sono andato via depresso: eravamo poche migliaia e quasi tutti anzianotti. E' ovvio che exploit come quello del primo No Berlusconi day di San Giovanni sono difficili da ripetere, ma forse allora c'è da rivedere la strategia, o magari da procurarsene una. In ogni caso, credo che nello stesso tempo sia dovere di ciascuno di noi "uomini di buona volontà" continuare a sostenere le iniziative di questo spaccato di società civile che resiste e quando possibile parteciparvi direttamente, anche se si è convinti che potrebbe essere poco utile per un paese malato terminale.
Leggetevi a proposito questa spietata diagnosi di Badiale e Bontempelli: è purtroppo alquanto condivisibile, il berlusconismo nasce trent'anni fa (e non con la discesa in campo del 93) in un Paese fertile per questo genere di cose, e non se ne esce con questa opposizione. Il default pare sempre più probabile e anzi nel contempo si profila come l'unica speranza, e continuare a vedersi pensare scrivere elaborare è utile adesso ma indispensabile in prospettiva, per essere pronti quando avviene. Anche a non volere ritirare fuori Marx come in questo bel pezzullo, non sarebbe male lasciarsi andare a un pugnetto liberatorio, o prendersela con l'anima profonda bigotta e disonesta della nostra patria sempre democristiana e mafiosa. Magari in piazza sabato pomeriggio.

martedì 9 marzo 2010

NETTUNO MI PUO' GIUDICARE

Il lettore che passi il mouse nell'angolo in alto a destra di questa pagina troverà una sorpresa, un banner "a vela" con dentro un forcone e la scritta di dove porta: "Net1News, entra nella prima net news di informazione libera".
Non ho mai fatto parte di nessuna parrocchia nè in senso metaforico nè tantomeno letterale: ad esempio, non ho mai avuto la tessera di un partito pur essendo come chiunque può vedere decisamente schierato politicamente. Ma il progetto, che ho scoperto tramite un sito tra quelli che consiglio e che leggo tutti i giorni, che trovate nella colonna di destra, cioè LiberaReggio, mi convince: ci sono automatismi che creano una struttura meritocratica dei contenuti dei siti e dei blog ammessi alla piattaforma, ma questa è frutto anche di un lavoro redazionale umano di valutazione dei siti e categorizzazione dei contenuti.
Mi hanno ammesso "con riserva": dicono che questo è un po' troppo blog e un po' troppo poco "giornale", ed hanno ragione, non solo dal punto di vista giuridico. Ma anch'io ci entro "con riserva", non solo per i motivi ideologici di cui sopra, anche perchè nella "ragione sociale" di questo blog la controinformazione e il diletto hanno lo stesso peso, e non posso e non voglio avere altri fini che non fare da eco alla controinformazione che giudico meritevole, fare da bussola a chi abbia sete di sapere quello che i massmedia non dicono ma si orienti con difficoltà nella Rete, e magari metterci ogni tanto qualcosa di mio. E infatti su controinformoperdiletto non trovate nessun banner pubblicitario, nemmeno quelli di google che anche se rendono poco non ci si mette davvero nulla ad inserirli. Certo, mi fa piacere se mi si legge un po' di più, e mi fa piacere far leggere un po' di più i siti che lo meritano. Tra cui, questa nuova piattaforma.
Se il nostro sarà un rapporto durevole, vedremo. Che l'iniziativa sia lodevole e meritevole di attenzione, lo abbiamo già visto.

lunedì 8 marzo 2010

CRIMINI E COMPLOTTI

Su Contrappunti si è rifatto vivo Gino Nobili, spiegando la sua prolungata assenza con una sorta di dovere civico al disinteresse verso una scena politica desolante. Il pezzo parla delle favole che ci raccontano, e a cui non dobbiamo più credere se vogliamo diventare grandi, e porta ad esempio il pluriincensato e appena trombato agli Oscar Avatar, l'11 settembre, e - udite udite - l'attentato al premier del dicembre scorso.
Il direttore responsabile della rivista che lo ha pubblicato, che attenzione non è un blog ma un giornale on-line, comprensibilmente quindi ha preso le distanze nell'usuale "cappello" editoriale. Che però contiene un paio di passaggi che mi danno l'occasione di entrare nel merito di concetti come complottismo o complottista, di cui volevo parlare da tempo.
Ecco il primo: "non siamo mai stati dei fan del complottismo, pensiamo, ingenuamente, che la prima repubblica sia caduta per autoconsunzione mista a eccessi di corruzione (qualcosa, insomma, tipo quello che sta succedendo adesso) e non perché i magistrati di Mani Pulite hanno complottato insieme al PCI per abbatterla. Allo stesso modo – altrettanto ingenuamente - non abbiamo creduto alla favola della strage delle Torri Gemelle autoorganizzata da Bush, né crediamo all'autoattentato tramite statuetta autoorganizzato dal nostro Premier". La tesi che sottende è: "ci sono delle versioni ufficiali, e ci sono delle teorie alternative che dicono che invece c'è stato un complotto, rispettivamente dei giudici e del PCI, di Bush, di Berlusconi, noi a queste teorie complottiste non ci crediamo, magari ingenuamente". Il punto è: è giusto definire complottiste le teorie di chi tenta di smascherare il complotto, o non sarebbe piuttosto il caso di definire tali le manovre di chi complotta per mostrare ad altri una cosa diversa dalla verità? Cioè: tu mi offri una teoria di quello che è successo che fa acqua da tutte le parti, e il complottista sarei io che non ci credo? Rispondimi nel merito, vediamo chi aveva ragione, e poi sapremo chi era il complottista. Invece, quelle poche volte che viene chiamata in tv gente serissima come ad esempio Giulietto Chiesa, autore di un film visto in tutto il mondo come Zero che dimostra inoppugnabilmente che la teoria ufficiale dell'11 settembre è falsa (non avendo ovviamente i mezzi per proporne una alternativa, ma che c'entra? non sta mica a lui! mi hai detto il falso, ti ho smascherato, ora sta a te dirmi la verità!), viene messa sul seggiolone del complottista, assieme a quei poveri pazzi che parlano della fine del mondo nel 2012 o degli extraterrestri. Invece, la Storia è piena di pretesti fabbricati ad arte per muovere guerra, giù fino ad Hitler coi Sudeti e la favola made in USA dei giapponesi irriducibili addotta per poter sganciare le bombe atomiche e così impaurire i sovietici e far capire al resto del mondo chi comanda sulla pelle di centinaia di migliaia di civili. Sono cose che vengono fuori, eventualmente, dopo decenni o secoli; nel frattempo: chi di voi ha sentito discutere sul serio, nel merito, i tre esempi di complotto di cui parla Contrappunti in una trasmissione della TV generalista? Niente, ma con una differenza fondamentale: dell'11 settembre e dell'attentato a Berlusconi passa per scontata la versione ufficiale, di Mani Pulite sempre più invece la versione "complottista", in accordo esclusivo a ciò che fa comodo al padrone del vapore.
Il secondo passaggio per brevità lo parafrasiamo (chi vuole controlli): l'autoattentato avrebbe richiesto troppi complici, solo un idiota si metterebbe sotto schiaffo di tanta gente. Errore di merito: è sempre possibile organizzare un complotto coinvolgendo in modo consapevole pochissime persone. Il capo della scorta (gli altri gli obbediscono), il primario (amico fidato, gli altri fanno quello che lui dice), un operatore (che sposterà la ripresa al momento giusto, basta vietare le riprese a tutti e poi lasciarlo passare, se poi qualcuno ripiglia col telefonino nel parapiglia la qualità delle immagini non sarà sufficiente). Errore di sottovalutazione: non conosciamo ancora la capacità di ricatto del soggetto, c'è un processo in cui un pentito sostiene il suo coinvolgimento con i vertici della mafia - e una sentenza di primo grado che condanna per lo stesso reato il suo braccio destro, ma è possibile che il capo della sua scorta la conosca. Errore logico: chi ha studiato comunicazione, e qui siamo di fronte a un Maestro Naturale, sa che il suo potenziale uditorio avrà sempre un gruppo di irriducibili a favore e uno di irriducibili contro, e non ci perde tempo, si concentra sulla massa dei confusi disinformati apatici e gli fornisce una storia ben confezionata cui credere, tanto in democrazia conta la maggioranza dei voti. Per quelli che sono contro ma ancora ragionano, ecco pronto l'argomento logico cui abboccare: "ma vuoi che una cosa del genere me la sia organizzata da me, sarei un idiota, no?!" Più che logico, iperlogico: io allora resto ai fatti; non vedo il momento in cui ti hanno colpito, non vedo sangue sulla camicia, la tua scorta non ti porta subito via correndo, ti vedo affacciarti dalla macchina due minuti dopo col sangue già fermo, giorni dopo gira una foto in cui qualcuno ti spruzza qualcosa in faccia, poi ti vedo coi cerotti nei posti sbagliati, quindi ti vedo miracolosamente guarito in tempi record, per me è matematico che quello che mi hai raccontato è come minimo esagerato. Dimmi la verità. Su, a papà: i denti non erano rotti, il setto nasale nemmeno, sulla guancia era un graffietto, lo ammetti? Ti credo. Mantieni la linea (negare, negare anche l'evidenza!), come ogni puttaniere che si rispetti di fronte alla moglie che lo becca col rossetto sulla camicia? allora piuttosto credo a chi dice che hai organizzato tutto tu, frega niente se non è logico.
Nel frattempo, la discesa verso gli inferi della dittatura conclamata ha percorso un altro gradino. Non mi stancherò mai di ripeterlo: la democrazia non è dove si vota più o meno liberamente, è dove ci sono regole del gioco certe ed eque. Da noi, una legge del 57 riteneva ineleggibile chi fosse titolare di concessioni pubbliche, ed è stata violata. Una che vietasse a chiunque di controllare più di una rete televisiva (o magari il 10% del calderone tv web giornali) non è stata mai fatta. Il risultato è che dal 1994 abbiamo uno che controlla quasi tutti mass media, direttamente (i suoi) o indirettamente (come capo del Governo, i nostri). Una roba del genere è in grado, se teniamo conto che è iniziata quando lui non era ancora in politica, ma c'era il suo compare ladro patentato oggi riabilitato, di cambiare la testa della gente, magari non di tutta ma in democrazia basta la maggioranza dei votanti. Stiamo parlando di un quarto di secolo abbondante di manipolazione a senso unico: qualcosa da cui non si guarisce se non con un periodo altrettanto lungo di rieducazione alla libertà di giudizio il cui avvio però non è ancora nemmeno all'orizzonte. La democrazia è già di fatto vanificata da tanto, ma da un po' di tempo, siccome tutti i dittatori sono condannati dalla natura stessa del regime a incrementare il loro potere per non perderlo, viene attaccata anche nel diritto. E il Capo dello Stato, firmando un decreto che cambia le regole del gioco in corso di partita a favore della squadra del padrone del pallone, se ne è reso complice.
Questo sì che è un crimine: l'uccisione della democrazia e dello Stato di diritto. Questo sì che è un complotto: la macchinazione pluridecennale per allontanare gli elettori dalla consapevolezza dei propri stessi interessi, dalla politica in quando interesse ad occuparsi della Cosa comune, fino a togliergli da sotto il culo perfino l'appoggio di una democrazia formale dopo averla svuotata della propria sostanza. E a chi come Indro Montanelli denunciava chiaramente questo disegno eversivo già nel 1993, anche a sinistra veniva spesso riservata la stessa obiezione di incredulità dedotta logicamente: "ma ti pare che...?! ma dai...".
Ecco perchè io rifiuto l'etichetta di complottista, anzi la sua stessa utilità in quanto tale. E' ugualmente sbagliato sia credere a tutte le versioni ufficiali che credere a tutte quelle alternative, e parimenti usare argomenti ultralogici aprioristici: l'unica via restando il paziente lavoro logico di esame di ogni singolo caso. Che in una vera democrazia, peraltro, avverrebbe in prima serata televisiva con un autentico contraddittorio. In quel contesto, se me lo dimostri, credo pure alle riunioni carbonare dei giudici di Mani Pulite daccordo col PCI per rovesciare la Prima Repubblica, o all'evento previsto dai Maya che cancellerà la vita sulla terra nel 2012.

sabato 6 marzo 2010

LA CARNE, LA DONNA E LA PATATA

Lo spot delle patatine con testimonial la pornostar Rocco Siffredi è rimasto pochissimo in circolazione nella versione originale: a me in realtà non sembra offensivo, è solo appena greve, ma le donne in Italia è di ben altro che devono preoccuparsi. Tra l'altro, la censura è venuta dall'anima bacchettona baciapile filovaticana della nostra politica, non da quella femminista femminile democratica purtroppo sempre meno vitale nel Belpaese.
L'accostamento "del tubero" a me è parso buono per commentare assieme due occorrenze della cronaca di questi giorni, e con l'occasione parlare di "piaceri della carne" nel senso letterale del termine e non in quello metaforico più diffuso.
L'8 marzo è la giornata della donna, infatti: una ricorrenza che ha nel suo scopo fondativo sparire, dato che le donne potranno dire di aver raggiunto la parità solo quando non avranno più bisogno di una giornata dedicata. O, come dice Luciana Litizzetto, quando una deficiente avrà un posto di potere. Fino ad allora, non resta che tentare di celebrare la cosa in maniera intelligente (leggetevi a proposito su Kultbazar la polemica sull'evento alla Casa Internazionale delle Donne di Roma), cioè non cavarsela con una mimosa e un augurio generalizzato su facebook insomma. Ricordando, ad esempio, prima di stigmatizzare i musulmani, a quale condizione di subalternità erano avvezze e persino affezionate le nostre nonne, che potevano essere tradite (specie nei bordelli, considerati una roba normale e auspicati oggi da tante persone, anche donne, che non riescono ad uscire dal corto circuito delle soluzioni tanto facili quanto apparenti) ma non tradire, uscivano di rado di casa e col fazzoletto in testa, erano casalinghe e se volevano lavorare era quasi sempre un posto di maestra o di infermiera che lasciavano se restavano incinte (e anche qui nella testa di troppa gente, e nella pratica, c'è da sostituire l'imperfetto col presente), non divorziavano ma magari vivevano col coniuge indegno da separati in casa tutta la vita, abortivano molto più di adesso ma di nascosto e rischiando di morire, eccetera eccetera. Care ragazze, dovete ad Emma Bonino e ad altre come lei se siete state sottratte a questo destino, ricordatevelo a fine mese anche se siete di destra: si, tifo per Emma, anche se come tanti radicali ci sono cose nella sua storia politica che mi hanno convinto poco (uno strano flirt col liberismo, e tratti di strada con Craxi prima e Berlusconi poi), perchè la sua statura politica nel panorama nazionale di questo periodo addirittura rifulge.
L'altro avvenimento è lo sblocco da parte della UE della patata transgenica sul mercato, per ora nell'alimentazione animale. A parte l'ovvia considerazione che poi quegli animali li mangiamo e quindi come si dice a Oxford è un cazz'e tutt'uno, ci pare fin troppo dimostrato da infinite vicende, dall'eternit alla mucca pazza passando per le centrali nucleari e i vaccini-sòla, che anche gli scienziati sono suscettibili al fascino del denaro, e dunque come la democrazia anche la ricerca scientifica perde il suo valore in assenza di buone regole ad imbrigliarla. Nella fattispecie, ne basterebbe una, di regola: "non si può ammettere nulla di cui il promotore non sia in grado di controllare o almeno prevedere le variabili di sviluppo ed eventualmente pagare le conseguenze di un proprio errore e magari ripararle". Le multinazionali promuovono gli OGM perchè sono le sole ad avere la capacità economica di crearli e quella politica di imporli, ma nemmeno loro sono in grado di dire oggi cosa comporterà domani la loro introduzione, e non può bastare nemmeno costringerle ad assumersi ora per allora la responsabilità di eventuali danni, perchè potrebbero non essere riparabili: vanno vietati spietatamente, punto e basta. Gli unici problemi che gli OGM promettono di risolvere, inoltre, sono quelli introdotti esattamente dal modello produttivo imposto dalle multinazionali stesse: si risolverebbero cioè smembrandole, vietando il loro riformarsi, e in sostanza tornando a un'agricoltura locale dalla filiera cortissima. A troppi sfugge, ma la distruzione dell'agricoltura locale da parte delle multinazionali è una delle cause principali delle migrazioni.
Certo, ciò comporterebbe un cambiamento di costumi alimentari da parte di tutti noi, ma mai come in questo caso "tutti" significa "ciascuno". Se ciascuno smettesse di comprare le primizie fuori stagione, ad esempio, dopo un po' ai grandi distributori non converrebbe più importarle. Seguo lo stesso percorso logico di Carlo Bertani, che cito per l'ennesima volta ma non posso farci nulla se ragioniamo sulle stesse cose e lui le scrive meglio di me, e arrivo alla carne: se ciascuno smettesse di mangiarla o almeno la mangiasse con moderazione, non solo staremmo tutti meglio di salute (non abbiamo l'intestino degli animali carnivori, e nessun essere umano da decine di migliaia di anni ha mai mangiato tanta carne quanto gli occidentali nel secondo dopoguerra) ma renderemmo antieconomici gli allevamenti intensivi, nati da pochi decenni prima in America e poi in Europa per soddisfare la crescente domanda di carne a prezzi concorrenziali, veri e propri lager in cui chiunque entrasse non toccherebbe più un cicciolo in vita sua. Non sto propugnando il vegetarianesimo e men che meno il veganesimo (gli integralismi mi sono alieni tutti, nessuno escluso), solo il buon senso: mangiando tutti meno carne non solo fallirebbe McDonald ma daremmo una bella mano all'economia (gli allevamenti all'antica occuperebbero tante persone diffusamente sul territorio, la carne costerebbe cara ma sarebbe più sana e mangiandone meno la spesa procapite resterebbe immutata e le spese sanitarie totali scenderebbero) all'ambiente e anche al terzo mondo (stop alla depredazione dei terreni agricoli altrui per coltivare il cibo per le bestie che mangiamo noi): leggetevi qui Benettazzo per avere un'idea più precisa degli aspetti economici della faccenda.
C'è infine chi collega l'eccessivo consumo di carne con l'aggressività, e con questo artifizio torniamo alle donne e all'8 marzo, spiegando che l'immagine sotto il titolo è tratta da una campagna de l'Unità contro la violenza domestica, piaga sociale autentica - mica come i romeni stupratori tanto cari a certa stampa di regime. Sono sette manifesti, ho scelto quello del "cambiare fidanzato" perchè mi sembra il più femminista, quindi "sul pezzo", eppoi vedo in giro troppe ragazzine che introiettando forse il modello culturale retrogrado imperante (penso a porcherie come le trasmissioni della DeFilippi e le loro deteriori imitazioni, o ai reality) non vedono l'ora di "fidanzarsi" e così sprecare gli anni migliori della loro vita. Ma mi piaceva anche quella in cui lei è incinta e lo slogan recita "non sposare un uomo violento, i bambini imparano in fretta": troppi rapporti durano dopo la fine dell'amore, e anche senza arrivare alla violenza sono un pessimo esempio di "non-amore" per i figli nel cui nome spesso si tengono in piedi ectoplasmi di famiglie "tradizionali" nel senso peggiore del termine.

martedì 2 marzo 2010

E L'ORIZZONTE SEMBRA PERVERSO

Questo titolo è un verso di una bellissima vecchia canzone di Guccini, Argentina, in cui l'artista appenninico rivede nel paese sudamericano di quegli anni 80 l'Italia degli anni 50. A Buenos Aires c'era la dittatura militare e la guerra contro l'Inghilterra per il controllo delle isole Falkland-Malvinas (che ispirò persino Roger Waters per un pezzullo di The final cut dei Pink floyd), stava emergendo Maradona e sarebbe arrivato un embrione di democrazia a "Cavallo" di una feroce liberalizzazione a guida dollaro-Fmi che si sarebbe risolta con la bancarotta e il default del Paese se quella gente là, tra cui tanti italiani di seconda e terza generazione, non avesse dimostrato spirito patrio e risolutezza, a danni dei tanti polli anche italiani caduti preda dei falchi della finanza tramite il miraggio del guadagno facile.
Oggi a un passo dal default c'è la Grecia, l'Islanda è già fallita, e l'Italia a detta di molti osservatori è dietro la porta e aspetta l'"avanti il prossimo". L'imbonimento cui siamo sottoposti da quasi trent'anni, prodromico del e continuativo nel regime degli ultimi quindici, ci impedisce di vedere come stanno le cose, cosicchè ci accorgeremo di non avere più nemmeno gli spiccioli solo quando metteremo le mani nelle tasche scoprendole bucate, e Tremonti con le forbici ancora in mano sarà lontano all'orizzonte preceduto dai suoi mandanti. Non c'è nessuna speranza, temo, che un qualche spirito nazionale ci eviti tutto ciò, forse verrà fuori dopo il disastro, in questo siamo specialisti, ma non credo prima. Siamo contenti di essere guidati da un corruttore patentato, padrone di tutta l'informazione tanto da riuscire a spacciare la prescrizione per assoluzione. Mentre in Argentina varano una legge di regolamentazione della comunicazione che stronca i monopoli privati (erano due: per noi è invidiabile persino la loro situazione ante-riforma!) e sancisce che un terzo delle frequenze siano attribuiti a enti no-profit. Avete capito bene: il 33% dei canali deve passare in mano a soggetti del privato sociale senza scopo di lucro. Voglio un Guccini argentino che descriva l'Italia di oggi, per cortesia.
A proposito di orizzonti, ho aggiunto nella banda di destra un blog femminilmente cazzuto (ma si può dire?), di una certa Lame Duck, una tipa che, per dire, mette nel suo stato di Facebook "venti anni senza Pertini e sentirli tutti". Io mi ci sono perso dentro, al suo sito: vi consiglio di farlo anche voi. La testata è L'orizzonte degli eventi, appunto, che in fisica è il raggio di azione di un buco nero, il confine della curvatura spaziotemporale oltre il quale nemmeno la luce riesce più ad uscire. Ottima scelta per questa Italia, sorella, se mi permetti di chiamarti così.
Altre sorelle di resistenza civile e morale hanno lanciato sul web un'appello alla ribellione avverso il modello culturale retrogrado che rappresenta forse il portato peggiore dell'Italia berlusconiana, quello secondo il quale il corpo femminile altro non è che merce di scambio sia per gli uomini, intrallazzisti/politici/televisivi che siano (spesso tutte e tre le cose assieme), che per le donne stesse, per fare carriera nello spettacolo o nella politica che oramai è la stessa cosa. Non potendo aderire personalmente per mere questioni anagrafiche, invito tutte le mie (poche) lettrici a farlo, qui. Bisogna tentarle tutte, per sottrarsi a questo perverso orizzonte di rovina verso cui questo regime ci sta trascinando.

COME PER MAGIA

Il 2 marzo pomeriggio, se sei a Roma e puoi raggiungere via Basento, vicino all'incrocio tra via Po e la Salaria, al civico 52/e c'è una libreria: "Il filo", si chiama.
Una libreria è sempre un posto magico, come può dimostrarti - se ancora non lo hai capito - la lettura de Il nome della rosa di Umberto Eco o de L'ombra del vento di Zafon, ma assistere a un reading, magari accompagnato con un po' di musica e ironia, come spesso ad esempio succede il martedì sera alla Libreria Gabi di via Gabi 30 a Re di Roma, o alla presentazione di un'opera prima o meno non importa di uno scrittore magari sconosciuto, è una magia nella magia.
Se poi lo scrittore in questione è un prestigiatore, tanto che la prefazione del suo libro (leggetela qui) è di Toni Binarelli, siamo già alla magia al cubo.
Il libro si chiama Kappadicuori, lo scrittore-prestigiatore Max Barile, l'orario le 17.30: facci un salto. La magia c'è, il trucco pure, manchi solo tu...

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