sabato 6 marzo 2010

LA CARNE, LA DONNA E LA PATATA

Lo spot delle patatine con testimonial la pornostar Rocco Siffredi è rimasto pochissimo in circolazione nella versione originale: a me in realtà non sembra offensivo, è solo appena greve, ma le donne in Italia è di ben altro che devono preoccuparsi. Tra l'altro, la censura è venuta dall'anima bacchettona baciapile filovaticana della nostra politica, non da quella femminista femminile democratica purtroppo sempre meno vitale nel Belpaese.
L'accostamento "del tubero" a me è parso buono per commentare assieme due occorrenze della cronaca di questi giorni, e con l'occasione parlare di "piaceri della carne" nel senso letterale del termine e non in quello metaforico più diffuso.
L'8 marzo è la giornata della donna, infatti: una ricorrenza che ha nel suo scopo fondativo sparire, dato che le donne potranno dire di aver raggiunto la parità solo quando non avranno più bisogno di una giornata dedicata. O, come dice Luciana Litizzetto, quando una deficiente avrà un posto di potere. Fino ad allora, non resta che tentare di celebrare la cosa in maniera intelligente (leggetevi a proposito su Kultbazar la polemica sull'evento alla Casa Internazionale delle Donne di Roma), cioè non cavarsela con una mimosa e un augurio generalizzato su facebook insomma. Ricordando, ad esempio, prima di stigmatizzare i musulmani, a quale condizione di subalternità erano avvezze e persino affezionate le nostre nonne, che potevano essere tradite (specie nei bordelli, considerati una roba normale e auspicati oggi da tante persone, anche donne, che non riescono ad uscire dal corto circuito delle soluzioni tanto facili quanto apparenti) ma non tradire, uscivano di rado di casa e col fazzoletto in testa, erano casalinghe e se volevano lavorare era quasi sempre un posto di maestra o di infermiera che lasciavano se restavano incinte (e anche qui nella testa di troppa gente, e nella pratica, c'è da sostituire l'imperfetto col presente), non divorziavano ma magari vivevano col coniuge indegno da separati in casa tutta la vita, abortivano molto più di adesso ma di nascosto e rischiando di morire, eccetera eccetera. Care ragazze, dovete ad Emma Bonino e ad altre come lei se siete state sottratte a questo destino, ricordatevelo a fine mese anche se siete di destra: si, tifo per Emma, anche se come tanti radicali ci sono cose nella sua storia politica che mi hanno convinto poco (uno strano flirt col liberismo, e tratti di strada con Craxi prima e Berlusconi poi), perchè la sua statura politica nel panorama nazionale di questo periodo addirittura rifulge.
L'altro avvenimento è lo sblocco da parte della UE della patata transgenica sul mercato, per ora nell'alimentazione animale. A parte l'ovvia considerazione che poi quegli animali li mangiamo e quindi come si dice a Oxford è un cazz'e tutt'uno, ci pare fin troppo dimostrato da infinite vicende, dall'eternit alla mucca pazza passando per le centrali nucleari e i vaccini-sòla, che anche gli scienziati sono suscettibili al fascino del denaro, e dunque come la democrazia anche la ricerca scientifica perde il suo valore in assenza di buone regole ad imbrigliarla. Nella fattispecie, ne basterebbe una, di regola: "non si può ammettere nulla di cui il promotore non sia in grado di controllare o almeno prevedere le variabili di sviluppo ed eventualmente pagare le conseguenze di un proprio errore e magari ripararle". Le multinazionali promuovono gli OGM perchè sono le sole ad avere la capacità economica di crearli e quella politica di imporli, ma nemmeno loro sono in grado di dire oggi cosa comporterà domani la loro introduzione, e non può bastare nemmeno costringerle ad assumersi ora per allora la responsabilità di eventuali danni, perchè potrebbero non essere riparabili: vanno vietati spietatamente, punto e basta. Gli unici problemi che gli OGM promettono di risolvere, inoltre, sono quelli introdotti esattamente dal modello produttivo imposto dalle multinazionali stesse: si risolverebbero cioè smembrandole, vietando il loro riformarsi, e in sostanza tornando a un'agricoltura locale dalla filiera cortissima. A troppi sfugge, ma la distruzione dell'agricoltura locale da parte delle multinazionali è una delle cause principali delle migrazioni.
Certo, ciò comporterebbe un cambiamento di costumi alimentari da parte di tutti noi, ma mai come in questo caso "tutti" significa "ciascuno". Se ciascuno smettesse di comprare le primizie fuori stagione, ad esempio, dopo un po' ai grandi distributori non converrebbe più importarle. Seguo lo stesso percorso logico di Carlo Bertani, che cito per l'ennesima volta ma non posso farci nulla se ragioniamo sulle stesse cose e lui le scrive meglio di me, e arrivo alla carne: se ciascuno smettesse di mangiarla o almeno la mangiasse con moderazione, non solo staremmo tutti meglio di salute (non abbiamo l'intestino degli animali carnivori, e nessun essere umano da decine di migliaia di anni ha mai mangiato tanta carne quanto gli occidentali nel secondo dopoguerra) ma renderemmo antieconomici gli allevamenti intensivi, nati da pochi decenni prima in America e poi in Europa per soddisfare la crescente domanda di carne a prezzi concorrenziali, veri e propri lager in cui chiunque entrasse non toccherebbe più un cicciolo in vita sua. Non sto propugnando il vegetarianesimo e men che meno il veganesimo (gli integralismi mi sono alieni tutti, nessuno escluso), solo il buon senso: mangiando tutti meno carne non solo fallirebbe McDonald ma daremmo una bella mano all'economia (gli allevamenti all'antica occuperebbero tante persone diffusamente sul territorio, la carne costerebbe cara ma sarebbe più sana e mangiandone meno la spesa procapite resterebbe immutata e le spese sanitarie totali scenderebbero) all'ambiente e anche al terzo mondo (stop alla depredazione dei terreni agricoli altrui per coltivare il cibo per le bestie che mangiamo noi): leggetevi qui Benettazzo per avere un'idea più precisa degli aspetti economici della faccenda.
C'è infine chi collega l'eccessivo consumo di carne con l'aggressività, e con questo artifizio torniamo alle donne e all'8 marzo, spiegando che l'immagine sotto il titolo è tratta da una campagna de l'Unità contro la violenza domestica, piaga sociale autentica - mica come i romeni stupratori tanto cari a certa stampa di regime. Sono sette manifesti, ho scelto quello del "cambiare fidanzato" perchè mi sembra il più femminista, quindi "sul pezzo", eppoi vedo in giro troppe ragazzine che introiettando forse il modello culturale retrogrado imperante (penso a porcherie come le trasmissioni della DeFilippi e le loro deteriori imitazioni, o ai reality) non vedono l'ora di "fidanzarsi" e così sprecare gli anni migliori della loro vita. Ma mi piaceva anche quella in cui lei è incinta e lo slogan recita "non sposare un uomo violento, i bambini imparano in fretta": troppi rapporti durano dopo la fine dell'amore, e anche senza arrivare alla violenza sono un pessimo esempio di "non-amore" per i figli nel cui nome spesso si tengono in piedi ectoplasmi di famiglie "tradizionali" nel senso peggiore del termine.

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