venerdì 19 marzo 2010

NOSTRA VITA TUTTA QUA

Oggi niente politica, forse: sono qui a fare due chiacchiere con Rita Caprio, "teatrante per diletto", che sta per portare in scena uno spettacolo dal titolo "Nostra vita tutta qua". Chi mi segue sa che se mi capita di recensire o segnalare un artista è quasi sempre misconosciuto o emergente: sono conscio di rappresentare un ben piccolo megafono,  ma faccio la mia parte memore dei tempi in cui le fortune nascevano col passaparola, hai visto mai torna di moda come il vinile.
Lo spettacolo si svolgerà al teatro "Tracce di sale" a Roma: c'è tutto nella locandina qui a destra, date e numero di telefono per prenotare. Fine dello spot, Rita, parliamo di teatro. Oggi come ieri, è difficile camparci: ad averlo come hobby, come capita a te (e a me col giornalismo), come si concilia col tuo lavoro di tutti i giorni?
L’arte è sempre meno un mestiere. la società attuale non concepisce un certo tipo di teatro come una professione. e allora l’unico modo di poter coltivare questa passione è farlo "a proprie spese", vale a dire autoproducendosi. Il teatro è, tra le altre cose, impegno, disciplina. La passione è un sentimento da dedicargli incondizionatamente. Ogni produzione teatrale di questo tipo è, dal punto di vista economico, assolutamente fallimentare. Io debbo quindi considerarmi baciata dalla sorte, data la fortuna che ho di avere un lavoro stabile, che mi permette di concedermi il lusso di recitare.
Vuoi dire che ormai l’arte è da considerarsi un lusso?
Purtroppo è così. e questa situazione è doppiamente negativa. Perché da un lato scoraggia le buone intenzioni e dall’altro fa dilagare una sorta di intellettualismo presuntuoso ed antipatico. Mi piacerebbe che quello del teatrante fosse un lavoro grandioso nella sua umiltà, così come un qualsiasi altro lavoro artigiano. Senza particolari sacrifici, ma comunque lontano anni luce da perniciosi atteggiamenti snob, diffusissimi in questo ambiente. La mia considerazione non si limita al campo teatrale. anche il cantautorato soffre dello stesso male: basti pensare che un cantautore di eccezionale poeticità e talento come Moltheni nella vita di tutti i giorni fa il pompiere... Purtroppo l’arte che non rientra nei grandi numeri è rimessa alla buona volontà di chi la vuole coltivare e vivere.
La regista di questo spettacolo, Alessandra Arcidiacono, è un raro esempio di donchisciottismo: un’artista tenace che resiste alle avversità economiche riducendo al minimo i bisogni pur di non piegarsi alle leggi della moda e del mercato. Le produzioni che ne vengono fuori sono quindi il frutto di questo coraggio, e questa cosa si sente: è decisamente ravvisabile la forza di questa scelta quasi eroica di non seguire nessuna corrente, solo il proprio sentire, o dissentire. Ecco, il dissenso è il sentimento che ha guidato questo adattamento teatrale, curato dalla regista.
Dissenso inteso come denuncia?
Più che una denuncia è un lamento. Un urlo nel vuoto. Una disincantata presa di coscienza dell’assurdo che abita nel lavoro operaio: la triste situazione di chi, pur versando sudore e sangue, non arriva che a stento a fine mese, e pur di restare all’interno dei complessi ingranaggi del mercato si riduce a macchina da lavoro, trattenendo a fatica rarefatte connotazioni di umanità, perchè quelle condizioni di lavoro disumane sembrano essere l’unica via da percorrere per garantirsi la sussistenza.
Dunque l'idea è che si sia diffusa, o ridiffusa, la tendenza a piegare la testa.
Esattamente. Tempo fa ero in un ufficio postale, le file progredivano con una lentezza esasperante, i pochi sportelli erano abitati da operatori distratti e svogliati. Affianco a me c’era una signora elegante che mi ha guardato triste e, con forte accento sudamericano, mi ha detto: "perché non lottate più? perché vi accontentate? negli anni ’70 ho vissuto a Roma per un periodo. in una situazione come questa ci sarebbe stata una sommossa".
Ho vissuto anch'io una situazione simile, credo capiti a tutti quando si va alle poste di sti tempi. Ma io ho visto di peggio: gli impiegati lasciati alla consegna delle raccomandate solo un paio e dei più sfigati, perchè quelli smart stanno tutti ai servizi "bancari" (le virgolette sono meritatissime), e nonostante sti poveretti da ore non osassero neppure allontanarsi per la pipì una signora non ha fatto che apostrofare loro e arringare gli altri citando il suo eroe Brunetta... Ma generalizzando hai ragione: c’è una diffusa e latente assuefazione, come se nessun diritto valesse la pena di essere difeso con forza.
Questa considerazione va oltre le idee politiche. non c’entra niente con la lotta di classe: in questo spettacolo i capi non sono più umani dei propri dipendenti, e viceversa. Quell’unico serio tentativo di alzare la testa è soffocato ed insabbiato da altre scomposte rivendicazioni vigliacche e mediocri.
Insomma in questo spettacolo si rappresenta il disagio della società di oggi?
Una rappresentazione non descrittiva ma ahimé fedele. Un incubo grottesco e surreale che esprime quello che le coscienze sempre meno riescono a dire.

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