domenica 27 novembre 2022

QUI NON SI MUORE MAI

Chi mi segue sa che non sono un tifoso di calcio, ma di basket, e in particolare di quella Viola Reggio Calabria i cui colori sociali sono tra l'altro una costante nelle palette delle varie grafiche che questo blog ha vestito nel corso degli anni (ma mi sono spinto ben oltre, nella vita, e taccio per pudore).

Il titolo di questo post è il motto di quella squadra, coniato decenni or sono mi pare da un suo storico capitano e playmaker (ma potrei sbagliarmi, sono benvenute precisazioni a commento), che non smette mai di venire dimostrato dalla cronaca, che poi va a rimpinguare la storia. Vado a memoria (omettendo per brevità la maggior parte dei nomi, che vi giuro potrei recitare a rosario). Un ragazzo reggino che gioca a pallacanestro muore giovane, il fratello magistrato per perpetuarne la memoria compra la squadra in cui giocava, la chiama Piero Viola come lui, e la porta nel giro di soli diciassette anni dai cortili in mattonelle rigate delle scuole (anche la mia) ai parquet della serie A, facendo innamorare per sempre migliaia di ragazzi dell'epoca tra cui il sottoscritto.

In città non c'è un palasport adatto, per non perdere il titolo sportivo lo spostano a Catanzaro, tanto che per mesi alla Domenica Sportiva daranno i risultati della "Banca Popolare Catanzaro", ma nel capoluogo la squadra neroarancio non l'hanno mai vista: il giudice Viola è riuscito a erigere in estate un palazzetto prefabbricato omologato per la massima serie (destinato negli anni a seguire a ospitare anche il doppio del pubblico rispetto alla capienza, peraltro), struttura che tra l'altro è ancora li, fondamentale per lo sport di base cittadino.

Quasi subito arriva il salto in serie A1, da dove retrocede subito, in una delle poche stagioni con ben quattro retrocessioni, al quartultimo posto grazie a una pastetta tra Brescia e Varese, che attendevano la fine dell'incontro tra Reggio e Roma per inscenare mentre noi festeggiavamo la salvezza una megarimonta impossibile dei bresciani (peraltro in vantaggio negli scontri diretti per solo un punto, mezzo canestro, dopo aver giocato un bel tratto di partita in sei contro cinque: giuro, c'ero, tra gli altri ad urlare agli arbitri di fermare il gioco). Pochi giorni dopo, la morte torna a giocare il suo ruolo di leitmotiv: il giovane padovano Massimo Mazzetto, protagonista tra l'altro della suddetta vittoria contro il Messaggero e già nel giro della nazionale, scavalcando un muretto per rincasare precipita per qualche metro e muore. La strada oggi porta il suo nome.

Lo stesso il giudice fa crescere la società, per programmarne la crescita e la stabilità, e arrivano gli anni della massima gloria con campioni su campioni (tra cui un Kobe Bryant bambino) a vestire la maglia neroarancio e un impianto incredibile da 9000 posti sempre strapieno di pubblico, ma purtroppo la crisi internazionale dell'estate 1992 arriva proprio a rendere onerosissimi i contratti in dollari di alcuni di questi, e in una realtà economica come quella del meridione d'Italia il salasso è difficile da assorbire. La squadra però è talmente forte che può vincere il campionato, e allora magari attirare un qualche nuovo partner societario dal nord, chissà. Gli infortuni di Garrett e Volkov frenano la corsa peggiorando il piazzamento nella griglia dei playoff, ma rientrano a tempo per giocarli, e superata la Benetton ai quarti le avversarie in semifinale e finale sarebbero state squadre ampiamente surclassate durante l'anno; ma nell'incontro decisivo coi trevigiani la schiacciata vincente di Garrett viene giudicata fuori tempo massimo (era sulla sirena, rivisto milioni di volte: un furto come quello di Milano su Livorno per lo scudetto a qualche anno di distanza) e la Viola viene eliminata. Una sliding door che ci toglie lo scudetto, la partecipazione alla Coppa dei Campioni l'anno dopo e poi chissà che altro, e ci porta invece a un lento scivolamento di risultati fino al fallimento del 1997 (vicenda oscura mai chiarita del tutto, peraltro, e raccontata in un docufilm). Ma nemmeno stavolta si muore: interviene Santo Versace (fratello di Gianni, che da ragazzo ci aveva giocato), e grazie a Bologna che accetta di rinviare un incontro consentendo il riassetto societario la squadra può iniziare un nuovo ciclo.

Stavolta i campioni ce li andiamo a scovare da giovani, e dalla A2 torniamo rapidamente in A1 a giocarcela per lo scudetto grazie tra gli altri al più grande di tutti: Manuel Ginobili. Visti gli occhi del ragazzo al suo esordio, era facile preconizzare per lui gli anelli NBA che avrebbe vinto (e l'oro olimpico della sua Argentina, con mezza squadra che aveva giocato a Reggio). Contro la Virtus nei playoff, però, si fa male Montecchia, e passano loro. Portandosi via Ginobili, con cui l'anno dopo vinceranno tutto, già però "scelto" da San Antonio. E' un altra sliding door, il campionato successivo è una salvezza risicata, ma la società è sana e l'estate successiva attira un nuovo compratore. Non sapremo mai se la scommessa di Barbaro, che aveva ripreso Recalcati e contrattualizzato l'allora numero uno d'Italia Carlton Myers, talmente certo del suo grosso sponsor che quando questo tardò a pagare si accinse ad anticipare di tasca, sarebbe stata o meno vinta: l'imprenditore venne immediatamente interdetto legalmente su iniziativa dei familiari, e la società fu di nuovo li li per sparire.

Eravamo col lutto nel cuore, quando si materializzò un nuovo compratore, ma senza più i tempi tecnici per allestire una squadra per l'inizio del campionato. La prima si giocava a Roma, e la Viola si presentò a palaTiziano con giocatori letteralmente contrattualizzati a gettone negli autogrill lungo il tragitto. La vidi perdere 114 a 48, ma ero felice. Mentre veniva costruita, la squadra continuava a perdere: 13 volte a fila, mi pare. Ma a fine anno sfiorò i playoff. E l'anno appresso li fece, ancora una volta eliminata in gara 5 dei playoff ai quarti di finale da Treviso, che recuperava con l'aiuto degli arbitri un meno 7 a pochi secondi dalla fine. Altra sliding door, altra spirale negativa che si avviava, culminando nel 2007 in un nuovo fallimento. Dopo 24 anni consecutivi di serie A, non c'è nessuna Viola iscritta in un campionato di basket.

Comprando un titolo di B due anni dopo, la Fenice risorge ancora, e tornata in serie A2 per una serie complessa di combinazioni e ripescaggi, dopo qualche anno di sofferenza riesce addirittura ad allestire una compagine in grado di dominare il campionato e candidarsi ai playoff da favorita. Ma a gennaio si scopre che la fidejussione presentata nel luglio precedente in quanto necessaria per iscriversi al campionato era fasulla, e a nulla vale la denuncia del proprietario nei confronti del fidejussore truffaldino con contestuale peraltro copertura integrale dell'importo in contanti: la federazione rifiuta i soldi, mette sub judice la squadra consentendole di completare il campionato, peraltro dominando in casa e fuori, e poi le commina prima dei playoff esattamente i punti di penalizzazione necessari a mandarla in B. 34. L'avesse penalizzata subito, di un numero di punti ragionevole, persino di 32, la squadra almeno avrebbe potuto evitare la retrocessione a forza di vittorie. E perché avrebbe dovuto farlo? Perché esiste il principio per cui le pene nello sport (e non solo) si comminano in base a norme ("edittali") preesistenti al momento del reato, non in base ad un obiettivo per non poterlo legittimamente perseguire direttamente. E perché in molti altri casi analoghi era stata riconosciuta la buona fede della compagine sportiva, destinataria al massimo di una multa, semmai riservando la squalifica al dirigente colpevole. Ma la Viola deve morire, non è mica Misery. Alla fine, la proprietà molla l'osso, cedendo il titolo a Barcellona Pozzo di Gotto. Sarà la fine?

No: Coppolino, l'acquirente, non potendo per alcuni debiti pendenti della società precedente di quella città fissarvi la sede del titolo acquistato, decide di lasciarlo a Reggio, e vi inizia a costruire una squadra idonea a tornare subito in A2, ricevendo a parole il pieno sostegno delle amministrazioni cittadine (tra l'altro, proprietarie degli impianti, palazzo e centro sportivo con foresteria), mentre altre due società con Viola nel nome tentavano parimenti di muovere i primi passi (con la vecchia Scuola basket Viola, mai ceduta dalla società madre, fanno quattro viole, praticamente un'aiuola). Il personaggio, forse discutibile e infatti discusso, una volta constatata la vanità delle promesse di sostegno, toglieva il disturbo neanche due mesi dopo, rimettendoci di suo e lasciando però il titolo e la squadra allestita nelle mani della città. L'anno trascorreva tra promessi acquirenti e sponsor che comparivano e sparivano, mentre miracolosamente la squadra arrivava alle semifinali dei playoff, prima di chiudere bottega.

Ma durante la stessa estate 2019, la Pallacanestro Viola del Supporter Trust, in parte figlia di una delle tre altre viole dell'estate prima, riparte dalla serie C, la domina fino allo stop da Covid, e a fine anno acquista (ancora) un titolo di B: prima stagione interlocutoria, seconda già playoff, ma sempre soltanto raccogliendo spiccioli tra tifosi sostenitori e piccoli sponsor locali, tanto che di nuovo a fine campionato scorso pare non ci siano risorse per reiscriversi. Anche perché nel frattempo le istituzioni cestistiche hanno una pensata diabolica: mettono le squadre siciliane e l'unica calabrese nel girone non delle regioni confinanti, come era sempre stato per la logica considerazione che nei campionati minori bisogna consentire alle squadre di limitare i costi delle trasferte, ma in quello del lombardo-veneto, decuplicandoli. Chissà, avranno pensato che tanto che devono prendere l'aereo che gli cambia, come se avessero il jet personale e non si dovessero affidare a voli di linea in una città dove i lowcost non sono mai arrivati e nemmeno tratte diverse da Roma e talvolta Milano hanno mai retto più di tanto. O forse avranno pensato che muoiano, sti terroni di mmerda che ancora pretendono di giocare nei campionati nazionali di basket.

Ma la squadra miracolosamente viene allestita, seppur con ritardo enorme, e anche con elementi di livello (un paio proprio fuori categoria). Naturale che all'inizio perda, contro squadre che si allenano assieme da mesi: una due tre, sei volte. Alla settima, qualcuno comincia a scoraggiarsi, chiedendosi se ancora ha senso il motto di cui al titolo, se così si onora la memoria del mito Viola. Ma chi invece ha buona memoria, al punto ad esempio di essere in grado di scrivere un post come questo di getto senza quasi consultare il web (salvo che per fornirvi qualche link), sapeva che siamo venuti fuori da serie di sconfitte ben maggiori, che prima o poi anche questa sarebbe finita e la fenice risorta ancora. Infatti all'ottava si vince, ironia della sorte aiutati proprio dal fatto (quando si dice le armi a doppio taglio...) che i poveretti ospiti del Lumezzane in volo per Reggio sono stati dirottati a Brindisi e hanno dovuto raggiungere il Pentimele da lì in pullman (se siete del nord, non avete idea della strada), forse, ma non importa. E magari la prossima si perde, ma non importa. Intanto la Viola rivive, anche stavolta: qui, non si muore mai.

lunedì 21 novembre 2022

NOBODY LIKE NOLE

L'anno tennistico è iniziato con Djokovic escluso dall'Australian Open, anzi per qualche giorno persino recluso in un lazzaretto per reprobi, e finisce con Djokovic trionfante al Masters (Nitto ATP finals le chiami chi vuole...) per la sesta volta, eguagliando un altro dei record di Re Federer che sembravano ineguagliabili, e ricevendo peraltro nel contempo la notizia che il ban australiano nei suoi confronti è revocato e a gennaio potrà partecipare allo slam downunder. Tra l'altro, strappa sempre a Federer il record di giocatore più anziano a vincere il torneo dei Maestri, e di ben cinque anni (lo svizzero era ultratrentenne, lui ultratrentacinquenne, mica male).

Tra i commenti televisivi alla straordinaria affermazione, si segnala per idiozia quello di una nostra ex giocatrice di buon livello (che non nomino per non farle un favore) che non si è tenuta dal rimarcare che l'annata del serbo sia stata anche caratterizzata da "scelte discutibili". La scelta di non vaccinarsi, invece, come già scrissi all'epoca, dimostra ulteriormente la statura morale e umana del campione, che anziché adottare qualsiasi mezzuccio che la sua posizione anche economica gli avrebbe agevolmente consentito, ha tenuto con orgoglio pubblicamente e pagandone le conseguenze una linea di principio inoppugnabile (anche a mo' di esempio: doveva essere quella di chiunque, e se lo fosse stato nessun abuso sarebbe stato perpetrato): ciascuno decide sul proprio corpo. Sostenere, infatti, che esista una qualsiasi ragione "sociale" (si, compreso il cosiddetto "bene della collettività": chi ha, infatti, il diritto e il potere di dire qual è?) che giustifichi la violazione di tale diritto umano fondamentale, comporta un vulnus insanabile: giustificata una, sono giustificate tutte, anche ad esempio quelle contro le donne islamiche che spesso proprio agli stessi sedicenti progressisti piace sbandierare, non accorgendosi minimamente della contraddizione (chi le perpetra è sinceramente e dichiaratamente convinto di fare il bene della collettività, salvaguardandone i valori).

Comunque, tornando all'ambito strettamente sportivo, al nostro è stato impedito di partecipare a ben due tornei del grande Slam su 4 (gli US open a settembre, quando oramai si cominciava a smantellare un po' ovunque il teatrino della pandemia...), mentre l'esclusione inopinata illegittima illogica e controproducente degli atleti russi a Wimbledon ha fatto si che per via della sacrosanta ritorsione dell'ATP quel torneo, che lui ha vinto, non desse punti (sacrosanta ma modulata male: bisognava, invece, mantenere agli esclusi i punti dell'anno scorso, o magari metà, e dare agli altri quelli che si meritavano). Nonostante questa penalizzazione pesantissima (non ha potuto giocare nemmeno i tornei satellite, ai due slam, che negli USA danno pure un sacco di punti), Nole ha racimolato abbastanza punti da qualificarsi direttamente, cioè senza ricorrere alla clausola che prevede la partecipazione di chi vinca uno Slam e resti tra i primi venti, al Masters. E una volta li, ha non solo vinto il torneo, ma lo ha fatto vincendo tutti gli incontri, così incassando il bonus monetario abnorme previsto per questa eventualità evidentemente considerata remota dagli organizzatori (oltre 4 milioni e mezzo di euro, minkia!). Per dire, la terza partita del girone, essendo ormai già qualificato da primo alla semifinale, poteva tranquillamente far finta di giocarla e riposarsi, invece l'ha vinta al tiebreak del terzo dopo tre ore e mezzo di battaglia, contro quello che l'anno scorso gli aveva tolto prima il grande Slam poi il numero uno del mondo.

Tutto questo ci dice che magari non avrà i gesti e il bagaglio tecnico di Federer, e nemmeno le rotazioni letali e il numero di slam di Nadal, ma questo 2022 per come è andato ci dice che molto probabilmente il GOAT, il giocatore più forte di tutti i tempi, tutto sommato è lui. E, visto il suo stato di forma fisica nonostante l'età, magari l'anno prossimo può ottenere risultati tali che questa affermazione, a cui io (federeriano di ferro) oggi arrivo con fatica, diventi oggettivamente incontrovertibile. Così da spostare definitivamente la "s" da dopo a prima del like, facendo si che il tifo contro a cui il "djoker" si è negli anni abituato ("nobody likes Nole", che poi non è proprio così, è solo che tifavano di più gli altri due) diventi finalmente la constatazione che alla fin fine è lui il migliore ("nobody's like Nole"). Non dimenticando, d'altronde, che il ragazzino si allenava sotto le (nostre) bombe, poi anche se non a lungo con un nostro allenatore (lo stesso che ha fatto esplodere Sinner, e che Sinner forse ha fatto male a lasciare...), e parla perfettamente la nostra lingua, quindi forse alle finals anche quest'anno un po' d'Italia c'era...

mercoledì 16 novembre 2022

MELONI ALLA PROVA

Il mio professore di filosofia politica all'università, eoni or sono, diceva che le formule ideologiche del potere sono, proprio in quanto ideologiche, meccanismi per occultare la vera formula del potere, che vede sempre al numeratore i pochi che lo detengono e al denominatore i tanti che lo subiscono. La democrazia mente dicendo che al numeratore c'è il popolo, il comunismo che c'è il proletariato, l'assolutismo che c'è Dio di cui il sovrano è solo legittimo tramite, eccetera eccetera. Ma la menzogna tiene sempre solo perché la maggior parte dei destinatari ci crede. E così i veri detentori possono continuare ad esercitarlo indisturbati. Meglio una tirannia dichiarata, quindi, che una mascherata? si e no. Si, perché un tiranno palese è sempre esposto al legittimo tirannicidio; no, perché nel frattempo si vive tanto peggio quanto più duri sono i metodi con cui riesce a mantenere il potere. Dobbiamo allora preferire la democrazia come male minore, e turarci il naso come si suggeriva agli elettori democristiani? Nemmeno, ma c'è uno stretto passaggio tra questi due estremi: accettarne le regole come quelle di un gioco di ruolo, ma mai dimenticando quelle non scritte, di cui stiamo parlando adesso. Mi dici che "la sovranità appartiene al popolo"? non ti credo, ma visto che lo dici ne approfitto fino al punto in cui sei costretto, pena il disvelamento della tua menzogna ideologica, a lasciare che me ne approfitti.

Chi arriva a questa consapevolezza, in merito alle ideologie, è a buon punto nel non farsi fregare da nessuna di loro, e pazienza se lo è anche nel farsi affibbiare l'etichetta di qualunquista. Il problema è solo che il suo partito è destinato a restare, per ragioni connesse intimamente alla natura umana quindi insradicabili, una piccola minoranza. E questo i potenti lo sanno e se ne approfittano alla grande, continuando a nascondersi dietro i loro vessilli per acquisire il consenso.

Due esempi in cronaca, recente e odierna.

  1. I vassalli del Vero Potere con l'etichetta di sinistra (poi centrosinistra per mietere nel campo dei moderati - condizione cui spinge l'avere qualcosa da perdere - e poi cinquestelle per mietere nel campo degli scontenti del sistema - condizione cui spinge invece non averci niente) ci hanno prima fatto digerire la cessione della sovranità monetaria e quindi economica e poi sottoposto a un regime liberticida (ha messo in discussione, e forse demolito per sempre, principi che risalivano alla Magna Charta) tenendo buoni i propri elettori di riferimento con una serie di concessioni sul piano ideologico: matrimoni per tutti a prescindere dal loro sesso (mentre i lockdown facevano schizzare in alto il numero di separazioni...), accoglienza degli immigrati (salvo girarsi dall'altra parte quando raggiungono il loro posto da schiavi per cui la mafia li ha traghettati), campagne per il linguaggio di genere (ben oltre sia la soglia del ridicolo che la banale considerazione che la lingua non si impone dall'alto, mai, e l'ultimo che ci ha provato era socialista si ma solo da giovane) o contro i femminicidi (che c'erano pure quando non li contavano, e non si fermano certo a chiacchiere). Attenzione: NON sto esprimendo una opinione contraria nel merito alle questioni, sto stigmatizzando il loro utilizzo strumentale, non lo ripeto più.
  2. Si perché allora non si vede perché i vassalli del Vero Potere con l'etichetta di destra (già centrodestra per mietere nel campo dei moderati, oggi invece però serviva di più mietere nel campo degli antisistema dopo il tradimento smaccato dei cinquestelle) non dovrebbero fare lo stesso, a elezioni fresche per giunta. Ecco spiegate le scaramucce con la Francia per la questione immigrati, la stretta contro i rave (cui seguirà quella ai centri sociali), lo sdoganamento di simboli e motti d'antan (meno che per Montesano, che ha in curriculum persino una carriera politica di sinistra ma ora è pure no-vax quindi peggio per lui), eccetera. Ecco, guardare a queste cose è esattemente come lo stolto al dito. Chi volesse guardare alla luna, sfocando il dito in primo piano, troverebbe invece che Meloni è andata a prendere ordini da Bruxelles prima ancora di quanto a suo tempo fece Di Maio, che ancora prima aveva messo alle finanze l'unico leghista eurista (Bagnai tace...), che ancora prima di vincere le elezioni aveva rassicurato sulla Nato e il fronte ucraino, e che mentre riammetteva i medici no-vax e rendeva settimanale il bollettino quotidiano del terrore si rimangiava subito la cancellazione delle illegittime multe agli over 50 non vaccinati (e si accettano scommesse su quello che farà in caso di risalita della curva dei contagi, se cioè rammenterà quanti dei voti li ha presi da chi non ne poteva più del teatrino pandemico di regime o invece agirà in continuità coi predecessori rierigendolo).

Se non è abbastanza chiaro la ridico in piano ed in sintesi: gli ammiccamenti a cose e comportamenti identitari di destra stanno a questo governo come i vessilli e i principi identitari di sinistra stavano a quello di prima. Fuffa agitata davanti al naso degli appartenenti per tenerseli buoni mentre sotto sotto si continua ad obbedire ai diktat dei veri padroni, tenendo linee politiche che dovrebbero inorridire sia chi ama ancora dirsi fascista sia chi pensa a se stesso come una persona di sinistra. Linee politiche assolutiste, antidemocratiche, illiberali, di accentramento del potere (in primis, come sempre, monetario ed economico) nelle mani di pochi e impoverimento ad ogni occasione buona dei sudditi, perché questo è, e si disvela essere ad occhi non velati dall'ideologia, la nefasta Unione europea e la sua arma di distruzione di massa chiamata Euro. Un nuovo totalitarismo di cui la cosiddetta pandemia è stata solo una tappa. Dispiace per chi, me compreso, ha votato a suo tempo cinquestelle nell'illusione che la loro dichiarata avversione a questo, vero, nemico fosse sincera e fattiva, e nuovamente per chi, me escluso, ha votato sto giro Meloni nella stessa identica speranza, che ben presto si rivelerà infondata e anzi ha già cominciato.

domenica 6 novembre 2022

RADIOCIXD 64 - TITANIC

Francesco De Gregori è uno di quegli artisti per cui è difficile individuare uno o due album/capolavoro, avendo invece disseminato canzoni bellissime lungo tutta la sua ormai enorme produzione. Se però mi mettete spalle al muro col solito giochino dell'isola deserta, forse dovendo portarmecene solo uno sceglierei questo Titanic del 1982, e non solo perché si tratta di un semi-concept destinato a rimanere attuale per sempre (ci sarà sempre una società che si sente inaffondabile e poi invece affonda mentre i musicisti continuano a suonare, toccherà anche a quella che soppianterà l'Occidente di cui parla il Nostro), ma anche per il livello medio elevatissimo dei singoli brani, anche oltre quei due o tre capolavori che conoscono tutti, anche quelli che quarant'anni fa non erano manco nati.

Profetico come molti veri artisti sono, il "Principe" se ne uscì con questo disco agli albori dell'epoca in cui la sua metafora di fondo si sarebbe realizzata, quegli sciagurati anni 80 che in Italia sarebbero coincisi con il craxismo (ai tempi non si poteva sapere che poi avremmo avuto qualcosa da rimpiangere, ebbene si,  anche in quello...) e l'incubazione del berlusconismo, dopo ben tre anni dalla trionfale tournée con Dalla con cui aveva ritrovato la voglia di cantare dopo che i settantasettini gliel'avevano levata altri due anni prima. Insomma, quando si cominciava a temere una nuova eclissi, eccolo qui a risplendere come il sole.

Per le tracce ho trovato un video unico, che vi embeddo in fondo così lo potete far partire per ascoltare l'album completo (peraltro, dura meno di 40 minuti: eravamo ai tempi del vinile...), che però in commento riportava anche il minuto d'inizio dei vari brani, così nella tracklist commentata accanto al titolo trovate un link per ascoltare in popup il singolo brano:

  1. Belli capelli (00:00) - Eppure questo album così "impegnato" (come si diceva una volta) inizia con una canzone d'amore. Anche se capace, come altre sue, di vette come quella della strofa conclusiva, con la sua rima tra vino e mattino.
  2. Caterina (03:29) - Ai tempi per amarla mi era bastato il verso "e la vita Caterina lo sai non è comoda per nessuno", e credevo che con le sue cinquecento catenelle citasse Reginella di Vecchioni, poi ho scoperto che era dedicata a una folksinger, Caterina Bueno, e ho cercato le sue canzoni popolari (alcune riprese poi anche da Ginevra Di Marco e Nada, per dire).
  3. La leva calcistica della classe '68 (07:32) - E questa è la prima hit intergenerazionale, forse per via della metafora calcistica. Se pensiamo che Nino, ammesso che sia davvero riuscito a fare il calciatore, al massimo avrà giocato ad Italia 90 ed oggi farebbe l'allenatore, e manco dei più giovani, abbiamo la misura dell'età di questa canzone, che ad ascoltarla senza sapere il titolo sembra invece scritta ieri.
  4. L'abbigliamento di un fuochista (11:48) - La trilogia del Titanic inizia con questo magnifico (e quasi altrettanto noto del precedente) pezzo di stampo folk (infatti ci canta anche Giovanna Marini, con cui Francesco qualche anno dopo farà addirittura un album con tanto di annessa tournée, a dimostrare che la dedica a Caterina non era una cosa a se stante), in cui il Nostro con pochi colpi di pennello ci racconta la povertà, l'emigrazione e la speranza, mentre la tragedia resta fuori (però la sappiamo noi, come nella migliore letteratura).
  5. Titanic (16:07) - Secondo brano della trilogia, rappresenta un mirabile affresco della popolazione di varia estrazione che stipava il transatlantico, con un efficacia che nemmeno Cameron riuscirà ad avvicinare. 
  6. I muscoli del capitano (20:26) - Ma l'apoteosi si tocca col brano conclusivo, anche se è il meno noto dei tre. Strumentalmente coverizza proprio la Bueno di un altro naufragio, prima di evocare la marcia inarrestabile della nave verso la fine. Ma è il testo a sfiorare il capolavoro, con echi di futurismo ad evocare quel movimento che faceva da contorno a quella fede nel progresso e nella tecnica che presto si sarebbe andata a infrangere contro le due guerre mondiali e tra di loro la grande depressione e i fascismi. 
  7. Centocinquanta stelle (24:29) - Erano gli anni dell'escalation degli euromissili, e tutti noi vivevamo nel timore che davvero a qualcuno scappasse di pigiare un bottone e ciao. Di opere letterarie, visive e musicali sul tema ce n'è a bizzeffe, De Gregori ci mette la sua, non a caso in questo album e in questo punto, partendo dall'ultima novità di cui si parlava sui media, la bomba al neutrone, che pare potesse uccidere le persone lasciando intatte le cose (gli scoiattoli, non so...). Speriamo davvero non torni d'attualità questa tematica, siamo lì lì...
  8. Rollo & His Jets (27:52) - Intermezzo rocchettaro legato apparentemente legato al concept soltanto col verso "le nere vele di una nave a vapore da consegnare alla posterità", che poi è una citazione per via metaforica (quali vele se no?) del mito di Egeo, suicida nel mare che prenderà il suo nome perché il figlio Teseo dopo aver ucciso il minotauro era troppo impegnato a scaricare Arianna (in Nasso, da cui l'espressione "piantare in asso") per ricordarsi di cambiare le vele. Poi uno ci pensa un attimo, ed ecco che la rock band evoca l'orchestra che continuava a suonare mentre...
  9. San Lorenzo (30:21) - La chiusura è riservata a un pezzo meraviglioso, che riparla di bombe ma non di quelle ipotetiche che verranno ma di quelle grevi e reali che il 19 luglio del 43 rasero praticamente al suolo il quartiere attorno allo scalo merci più importante di Roma: in tempi in cui quasi tutto arrivava via treno, era un obiettivo militarmente logico, se volevi minare la resistenza del nemico. Ma gli americani, si sa, quando c'è da bombardare non stanno mica li a fare i micragnosi, così oltre allo scalo distrussero tutti i quartieri civili limitrofi facendo migliaia di vittime. Quando i "danni collaterali" li fanno gli altri, invece, la velina dice di raccontarli uno a uno, come potete riscontrare seguendo qualsiasi TG sulla guerra in Ucraina. Agli occhi di chi vuole vedere le cose come stanno, anzi, l'attenzione che stanno mettendo i russi a limitare ogni danno non indispensabile a un popolo fratello è talmente alta che forse da sola (no, assieme agli improvvidi aiuti occidentali) spiega la durata del conflitto: gli americani al loro posto avrebbero risolto tutto con qualche bombardamento a tappeto (se non volete arrivare a Hiroshima chiedete a Dresda, che Roma in confronto è stato uno scherzetto) o al napalm (ma i film che raccontano la verità arriveranno non in tempo reale come per il Vietnam, ma decenni dopo come per il genocidio dei pellerossa o il caso Kennedy). Ecco, non so se era intenzione di De Gregori, ma a me ascoltare questa canzone mi fa questo effetto: a ripensare come gli angloamericani ci hanno "liberati", per poi toglierci la libertà in cambio di qualche decennio di crescita economica, mi metto a cantare "cadevano le bombe come neve il diciannove luglio a San Lorenzo", oppure Uh mammà di Mimmo Cavallo...

martedì 1 novembre 2022

NOLEGGIAMI QUESTO, 'TACCI TUA!

Lasciate ogni speranza, o voi che uscite...

Il giorno dei morti (e non Halloween, ma la festa ancestrale festeggiata ovunque, a Reggio ad esempio coi morticeddhi, biscotti di zucchero e cannella a forma di ossa di morto) è perfetto per un post con un titolo così, in romanesco, alla "quanno ce vò ce vò", con gestaccio implicito.

Si tratta, come diceva Totò, di un esipodio personale, ma che riguarda tutti e potrebbe essere accaduto o accadere a tutti. Non vi dirò il nome della compagnia perché non voglio fargli pubblicità gratuita ("parlate male di me, ma parlatene", diceva Lui) e perché temo che non sia molto diverso con qualsiasi altra. Una delle frottole più di moda è che la mobilità privata, la proprietà di un'automobile per intenderci, è fuori moda, contro l'ambiente, fornisce patente di egoismo e inciviltà, e tutto sommato manco conviene più, viste le comodissime ed ecofriendly alternative. Se avete anche voi la ventura di vivere in una grande città, o anche solo se vi ci siete recati per vacanza, avete visto anche voi torme di bici a pedalata assistita e soprattutto di monopattini elettrici sfrecciare silenziosi nel totale dispregio di ogni regola di logica elementare, prima ancora che di codice stradale: se ti sfragni con uno di quei cosi, infatti, ti giochi la faccia, se ti dice culo, se no la pelle. Ma per non passare da passatista, sopporto cristianamente, benedicendo tra me e me di avere ancora la fortuna di potermi permettere una vecchia macchina a gpl e sperando che non riescano a inventarsi qualcosa per farmela togliere prima degli ottant'anni, o comunque prima che io mi rincoglionisca del tutto. 

Vi racconto però la mia disavventura personale con una bici elettrica, cui ho avuto la bella idea di ricorrere pensando "perché no? magari faccio prima che con l'autobus". Dovete sapere che a Roma (ma se ci vivete lo sapete già) spostarsi coi mezzi pubblici è un mezzo inferno nella direttrice periferia-centro o viceversa, mezzo perché magari scomodi e stretti ma vi muovete in tempi tutto sommato accettabili (sempre peggio che con la macchina, ma con questa al centro non ci potete passare, e comunque dovete parcheggiarla...), ma è letteralmente impossibile tra periferie limitrofe, a meno di non accettare l'idea che è meglio far finta che siano diametralmente opposte e passare per il centro. Una volta guardavate la cartina e pensavate "cavolo, sta qua, con la macchina ci impiegherei cinque minuti, passerà un autobus prima o poi che mi porti dalla prenestina alla tiburtina!...", prima di bestemmiare per mezz'ora fermi alla fermata; oggi avete le app che ve lo dicono prima, che c'è quel tale autobus che passa tra tredici minuti (che diventano venti) poi vi lascia alla metro fate un tratto e con un pezzetto a piedi tra quaranta minuti siete arrivati, che poi è quanto ci impieghereste a farvi tutto a piedi, ma la macchina l'avete appena lasciata dal meccanico - è vecchia, non è strano - e mentre andate alla fermata eccola la, la bici elettrica!

Insomma, con tutta questa gente che le noleggia non può essere così difficile, e magari tra un quarto d'ora sto a casa che anche in smartworking l'orario di lavoro lo devo fare, dai. Installare l'app è un attimo, un po' più macchinoso fornire i dati della carta di credito, peraltro con quel minimo di friccico al culo che a noi anziani ancora ci viene sempre in questi casi (e si, anche noi compriamo cose online, e abbiamo studiato i numeri primi e sappiamo cosa significa "crittografia end-to-end", ma tant'è, la diffidenza non è mai troppa diceva mio nonno e i nonni hanno sempre ragione), ma... fatto: aggiusto il sellino, inforco la sella, e via anch'io verso il futuro!!!

Parto da vicino Villa Gordiani, attraverso la Prenestina, e proprio sulla Serenissima (che ha il guardrail a separare le carreggiate, ciascuna con tre corsie per senso di marcia: dettaglio importante per il seguito), proprio mentre comincio a godermi il viaggio senza fatica e a pregustare l'arrivo in tempi paragonabili all'auto privata, prima di poter pensare "hai visto che avevi torto, retrogrado che non sei altro?!", l'accrocco si spegne. In salita. Avrò fatto in tutto trecento metri, mica sarà che ho preso un veicolo scarico? e che sfiga, mi sa di si, va beh, pazienza, qui c'è la fermata dell'autobus, pago la corsa lascio la bici e consulto l'app per i tempi d'attesa. Peccato che il problema non era la carica, era che uscendo dalla zona di copertura del servizio il veicolo si spegne, si, ma quel che è peggio è che non ti consente di chiudere la corsa e pagare. Intanto, il "tassametro" gira, e se cedessi all'impulso di disintegrare l'accrocco a calci e morsi l'app comunque mi prosciugherebbe il plafond mensile della carta, forse. Tornare indietro per riguadagnare la zona in cui almeno posso chiudere la corsa? E come, contromano in una specie di autostrada urbana, che col guardrail raggiungere l'altro senso di marcia è impossibile? Inforco la bici, e con enorme fatica (non ha le marce e con quella batteria pesa più di un Boxer, quindi molto più di un Ciao - questo ammiccamento vintage per capirlo dovete avere cinquant'anni minimo, o cercare sul web aggiungendo Piaggio) faccio la salita sperando di poter inforcare al più presto, e magari senza venire impietosamente arrotato, un varco nello spartitraffico per fare inversione di marcia; poi ho un'illuminazione: la zona di servizio forse è frastagliata, magari si allarga vicino alla metro, e la stazione di Pietralata sarà un chilometro avanti, oramai che mi trovo, che sarà mai...

Tutto sudato, e meno male che non piove, arrivo vicino alla metro B e - cavolo, avevo ragione! - il motore riparte. Dai che magari arrivo a casa, penso, ma non faccio nemmeno in tempo a finire di formulare mentalmente la frase che si rispegne. Stavolta almeno c'è un marciapiede bello largo alla mia destra, torno indietro su quello, e appena si riaccende parcheggio, e per uscire da quell'incubo rientro nell'app. Mi rompe ancora un po' il cazzo dicendomi che non posso lasciare il veicolo in quella posizione (chissà, forse arriva a percepire la distanza dagli edifici ma non la larghezza del marciapiede), ma insomma spostandolo un po' verso il muro, 35 minuti dopo averla aperta, la corsa la chiudo. Poi compro un biglietto, prendo la metro, e torno a casa. A piedi, sarei arrivato prima, meno stanco, meno sudato e molto meno incazzato: mi toccherà pure allungare la giornata lavorativa in uscita, ma pazienza, mi è capitato per motivi peggiori.

Ma la storia non è finita. L'app del noleggio non mi dice affatto quanto ho pagato, ma tanto ho l'app della banca e presto lo saprò, e comunque che vuoi che sia una mezzoretta di noleggio... Minchia!: 5 euro e 42 centesimi, cui per calcolare il costo totale dell'operazione occorre aggiungere 1,50 di biglietto e fa quasi 7 euro. Contro 1.50 se avessi aspettato direttamente l'autobus, o 10 centesimi circa se avessi avuto la mia macchina. E abito lungo la linea B della metro, non a Torbella o a Cordiale: chissà quando le magnifiche sorti et progressive della mobilità 2.0 saranno disponibili anche per chi vive laggiù... Per ora sono offlimits anche per chi vive in semiperiferia, quindi riservate a chi si muove in centro o zone limitrofe, e a prezzi che a farlo tutti i giorni giusto chi è talmente benestante da vivere li se li può permettere, avendo inoltre il gusto di potersi atteggiare a ecologista difensore dell'ambiente. Il proletario ancora è costretto ad andare a gasolio, che in certe periferie romane l'isolato appresso è a un chilometro figurati quelli dopo, e allora che lo pagasse caro, sto privilegio, passatista che non è altro...

L'episodio raccontato può far sorridere, ma non è che un tassello del mosaico che hanno progettato per noi, anzi (gli ultimi a ricordare un mondo diverso spariremo dalla circolazione in un paio di decenni: nulla...) per le generazioni future. Niente auto di proprietà solo noleggi di vario tipo, niente casa di proprietà solo affitti temporanei e se sei solo condivisi, niente soldi in tasca solo una o più carte anzi nemmeno solo lo smartphone, niente lavoro fisso solo tanti piccoli segmenti di similschiavitù variamente inframmezzati da periodi di disoccupazione se va bene a sussidio (niente malattia nè ferie pagate peraltro), niente pensione che poi lavorare fino a vecchi è pure meglio ci si mantiene attivi, niente scuola pubblica tanto chi vuole sapere qualcosa gli basta googleare e i ricchi già non ci andavano più. Tutto questo, lo dico a chi ci dovesse trovare del positivo (è una malattia di moda, il pensopositivismo), rende il singolo "spegnibile" in un click e ogni resistenza inutile (come i Borg di Star trek) e anzi impossibile da praticare, E il peggio è che il piano è tutto alla luce del sole, altro che complottismo: infatti, te lo prospettano già in ogni dove, ovviamente tradotto in modo da sembrare magnifico, come in ogni ideologia che si rispetti. Li mortacci loro.

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