Quando uno è qualcuno, invece, uno dei terribili contrappesi della notorietà che deve mettere in conto, a controbilanciare gli enormi vantaggi anche economici che gli vengono dalla stessa, è che tutti vogliono farsi e alla fine in qualche modo si fanno i cacchi suoi. A meno che - e nella storia del vippume contemporaneo i casi sono invero rarissimi - non adotti con fermezza e determinazione una qualche strategia che gli consenta di erigere una sacrosanta barriera tra il sé pubblico e la sua vita privata. Djokovic non è mai stato granché da questo punto di vista, con tutte le attenuanti che si possono concedere a un ragazzo che ha iniziato a giocare letteralmente sotto le (nostre) bombe ed è arrivato a giocarsi il titolo di MVP ogni epoca (avesse vinto a New York qualche mese fa, già lo avrebbe in tasca). Proprio per questa ragione, se volete conoscete tutti i dettagli e i rivoli delle ragioni per cui ha diritto all'esenzione dal vaccino e di quelle per cui forse alla fine non riuscirà a farle valere e giocare il torneo che evidentemente per lui vale come prova di appello per passare alla Storia (ma non è così: un conto è diventare il primatista solitario di titoli slam, un conto vincere il Grande Slam di un anno, cosa fin qui riuscita solo a Rod Laver, e per ben due volte, con in mezzo una lunga squalifica per "professionismo"). Quello che forse sfugge a Nole (che, carenze nella gestione dell'immagine a parte, è sempre il bravissimo ragazzo che quando iniziò a vincere si distingueva nel fare le imitazioni dei suoi colleghi e colleghe in campo e davanti alle telecamere, e che, non dimentichiamolo, ha versato sull'unghia un milione di euro per la gestione dell'emergenza a Bergamo a inizio 2020), è che per quanto lunga possa essere la sua carriera di tennista il resto della sua vita sarà probabilmente più lungo, e non è affatto detto che non possa essere anche di molto più significativo: dipende da lui, da quello che davvero è e vuole essere. Un rosicone che ha bisogno di mezzucci per dimostrare quello che mai tutti all'unanimità gli riconosceranno (ad esempio, per me Federer è inarrivabile, e io non ho visto giocare Laver), o un campione che sa riconoscere le occasioni e le sfrutta per crescere. Ebbene, qui e ora, Nole può andare ad occupare una casella rimasta inopinatamente libera: quella di paladino del libero arbitrio, di alfiere e simbolo del principio per cui ciascun essere umano ha pieno e inscalfibile diritto di fare del proprio corpo quello che decide lui e basta (che il "superiore bene comune" in questi casi è un argomento nazista punto e basta), ruolo per cui uno come lui che ha fatto del proprio corpo un tempio su cui ha eretto una carriera formidabile appare perfettamente tagliato. Non sarebbe il primo né l'ultimo, campione dello sport con una lunga e fortunata vita politica successiva. Ma potrebbe diventare il più grande e importante di tutti, in questa fase storica in cui le peggiori distopie letterarie si stanno avverando una a una. Per cominciare, gli basta usare contro il Nemico le sue stesse armi, dal momento che cavilli a parte obbligare alla vaccinazione uno che ha appena contratto il virus (e per la seconda volta) è talmente assurdo e pericoloso che non è previsto nemmeno nelle norme italiche, le più cervellotiche e illiberali di tutte. Ma vedremo presto, se il ragazzo vuole crescere o meno, e cosa vuole fare da grande: forse quando leggerete sto pezzo lo saprete già.
Intanto, osserviamo per l'ennesima volta (quasi con ammirazione per la faccia di tolla) il comportamento a due pesi e due misure del mainstream: mentre si mettono a cavillare sulla vicenda di uno sportivo di vertice, che ha il naturale diritto di decidere su se stesso potenziato al massimo dal suo stesso rapporto con il corpo e la sua salute, glissano alla grande sulle vicende di altri notabili, seppure non del livello di numero uno al mondo comunque abbastanza in vista da potersi invocare per loro lo stesso diritto alla diminutio della privacy che si pretende per lui. Non è dunque irriguardoso per il politico di vertice, già giornalista di vertice con tanto di patente da progressista bruciata sull'altare dell'eurismo, scandalizzarsi se viene liquidata la notizia della morte con "complicanze immunitarie polmonari" o espressioni simili. Ve la dico più esplicita: delle due l'una, o - come io credo sia giusto - restiamo fuori dai dettagli di tutti per rispetto di tutti, o facciamo che per le persone in vista purtroppo si entra nei dettagli per tutti. Sarò inopportuno, ma Andreotti docet: se la morte di Sassoli non c'entrasse niente col covid, si sarebbero affrettati a dirlo con una formula inequivocabile. Se usano espressioni che prestano il fianco ad equivoci, per poi glissare evitando gli approfondimenti, è naturale dedurne che o il covid prende anche i trivaccinati e in caso li ammazza pure, fregandosene delle statistichesse recitate ad minchiam a reti unificate, o peggio ancora è il vaccino che doveva essere evitato come la peste da chi poteva avere complicanze immunitarie. Lo abbiamo già rilevato: le cronache locali sono piene ogni giorno di morti inspiegabili. Come sempre? Forse. Ma cento morti al giorno in media per ragioni volendo riconducibili all'influenza, pure ci sono state se non sempre ricorrentemente, a saper leggere le serie storiche, e senza i tamponi a drogare le statistiche: lo andiamo ripetendo, sempre più pochi e sempre meno ascoltati, da due anni. Non insistiamo. Ma allora pretendiamo che per ciascuna morte inspiegabile si faccia almeno la domanda: quando si era vaccinato? O almeno, lasciando in pace la gente comune (a parte aiutarla in caso di danni non letali ma rilevanti), pretendiamolo almeno per i VIP.A proposito di VIP, uno dei virologi più pompati mediaticamente in questi anni si è beccato il covid bello serio nonostante tre dosi, e si è salvato perché, beato lui, ha avuto immediatamente accesso a quei protocolli di cura alternativa a lungo vietati, e ancora oggi difficili da raggiungere, per i comuni mortali. Si, è vero che oramai è risaputo che la cosa migliore è attaccare con antibiotico e cortisone prima di avere sintomi significativi, ma te li deve prescrivere il medico di famiglia, e sti pooracci vengono monitorati e recalcitrano, tocca essere fortunati e anche sapersi muovere (vi segnalo una iniziativa utile praticamente, a proposito). Ora, ben felice che la vicenda di Galli si sia chiusa diversamente che per Sassoli (o per mia madre nel 2019, morta di complicanze polmonari di una influenza per mancanza di posti in terapia intensiva), ma mi sarebbe piaciuto che nel mainstream qualcuno lo avesse notato, che la sua vicenda dimostra una volta di più che i vaccini non servono a un cazzo e che invece servono cure empiriche tempestive ed efficaci. O perlomeno che avesse dubitato. Ma dubitare non si può. e questo mi fornisce lo spunto per la chiusa.
Gira da un po' sui social, purtroppo condiviso da persone che stimavo, un post che nella sua versione lunga vi metto in foto, ma in molte altre versioni corte si può stringere fino a "se non sei medico, non puoi parlare". Si tratta di un ragionamento veramente vomitevole da ogni punto di vista, oltre che vistosamente fallace. Ne parliamo non perché io abbia la benché minima speranza di redimere nessuno, ma per fornire a chi voglia argomenti per difendersi, ovviamente se ritiene che ne valga la pena, e ovviamente auspicando nel contempo il reciproco, che qui nessuno è maestro a nessuno. Due sono i profili per cui il costrutto logico si rivela miserrimo:- se fosse valido, varrebbe anche in altre "relazioni". Vero è che un conto è che è il medico a dirmi di prendermi un'aspirina e un conto è che me lo dice il mio amico meccanico, come è vero che per l'arredamento un conto è il consiglio di un architetto e un conto quello della suocera, eccetera, ma è anche vero che alla fine il corpo è mio e casa è mia, e in ultima analisi sono io l'unico che deve decidere nel merito. Tanto è vero che l'imposizione di un qualsiasi TSO presuppone il riconoscimento di una almeno temporanea incapacità di intendere e volere, e sarà istruttivo vedere come riusciranno a tradurre l'obbligo vaccinale prossimo venturo in modifiche testuali al consenso informato sufficienti a impedire che chi venga punturato a forza si rifiuti almeno di firmare alcunché. Ora, gli amici prigionieri della fallacia logica in questione potrebbero obiettarmi che io non sono avvocato, ma la risposta è sempre quella: sono io che firmo o non firmo. Sono io che decido, presunta competenza o meno, o sennò ha ragione chi parla di totalitarismo e dittatura, e un solenne vaffanculo - finalmente! - a chi osa ancora metterlo in discussione;
- se anche fossimo di fronte a una evidenza lapalissiana che i presunti determinata del medico (o di qualunque altro scienziato, non lo ripeto più) siano corretti, e con tutti i vaccinati contagiati anche seriamente di questi giorni chi continua a sostenerlo è un povero deficiente, non bisogna mai dimenticare che la storia della medicina è piena zeppa di determinazioni parse incontestabili a lungo a tutti e poi clamorosamente abbandonate al discredito generale come barbare e assurde. Giusto un paio di esempi, per i più zucconi: i salassi con le sanguisughe, o le lobotomie. Pratiche al loro tempo date per scontate e indiscutibili, che oggi ci fanno inorridire per le implicazioni, e sorridere amaramente per l'ingenuità. Se non vi basta, pensate a questo: tutte le più grandi scoperte scientifiche della storia all'inizio si sono dovute scontrare con un establishment accademico che le considerava (citofonare Einstein) bizzarre eresie. Tanto che se volete capire se state parlando con uno scienziato vero o con un cazzone ciarlatano, chiedetegli semplicemente: credi che la tua teoria sarà mai confutata radicalmente? Se risponde che è impossibile, è uno che finge di essere scienziato ma in realtà gioca allo sciamano con la tribù. Lo scienziato vero sa invece che la scienza o è confutabile o non è scienza. Per cui, le continue e peraltro contraddittorie cavolate che sono due anni che ci propinano come La Scienza altro non sono che L'Ascienza. Resterò senza amici, ma chi continua a blaterare di questi vaccini come verità scientifiche e tacciare di ascientificità o di acompetenza chiunque osi avere dubbi, dimenticando che la scienza è esattamente la casa del dubbio laddove la casa della verità si chiama fede (e la fede è libera, o bisogna credere per forza?), non gode più del minimo sindacale della mia stima. Sticazzi, mi dirà, e pace.
Se fossimo invece di fronte a una evidenza lapalissiana che questo sfruttamento abilissimo e manipolatorio dell'influenza per cambiare i paradigmi all'umanità sia stata e sia davvero una pandemia, ebbene lo stesso non ci sarebbe alcun bisogno di imporre alcunché, vaccini o teorie o terrorismo statistico che sia. Basterebbe che davvero la consistenza del rischio, mai in realtà allontanatasi da ordini di grandezza minimi quando non infinitesimali (per i bambini, questo è), fosse oggettivamente grave, diciamo dell'uno per cento nel rapporto tra decessi e contagi, per spazzar via ogni perplessità: se fosse gravissima, diciamo del dieci per cento (ancora inferiore alla spagnola o alla peste, per dire), non ci sarebbe questione e anzi ci sarebbero sommosse per accedere a ogni possibile cura, anche vaccini fasulli. In altre parole, è proprio la complessità e la durezza dell'apparato messo su a giustificare provvedimenti su provvedimenti (che non dimentichiamolo, sono andati dalla rovina economica di interi settori alla subordinazione a provvedimenti amministrativi di diritti naturali dell'uomo, fino a giungere al rimodellamento in caste della cittadinanza democratica) a dimostrare logicamente la loro infondatezza scientifica e statistica. Il ghigno di Draghi a reti unificate è autoesplicativo sia della propria malafede, sia dell'idiozia col botto di chi ancora gli crede o magari lo stima addirittura. Buon 2022 agli amici superstiti.
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