sabato 27 gennaio 2024

LE BUFALE DEL PADRONE 5 - IL GIORNO DELLA MEMORIA

Oggi è il clou della tempesta mediatica, ma sono giorni che non c'è scampo: o spegni la TV, o sei sommerso di servizi telegiornalistici, ospitate, film, fiction e quant'altro che ci raccontano di continuo quanto terribile sia stato l'Olocausto degli ebrei perpetrato dai nazisti brutti e cattivi (in Italia con la collaborazione dei fascisti, ma questo viene ricordato solo talvolta) e quanto bisogni continuare a ricordare "perché la Storia non si ripeta". 

Ecco, a una persona dotata di media intelligenza e però di mente non anestetizzata dalla propaganda il capoverso precedente dovrebbe bastare. Perché se c'è un popolo che dovrebbe evitare ad ogni costo che la Storia si ripeta, è proprio quello che invece fa pagare il proprio diritto a sussistere in territori assegnatigli dalle potenze coloniali alleate (e magari: in territori molto maggiori, "per motivi di sicurezza" giustificati dalle tante "guerre di aggressione" di quelli che li non ce li vogliono) a un altro popolo, che in quei territori nel frattempo ci aveva vissuto per duemila anni. Nessuno ha mai fatto una contabilità precisa dei palestinesi immolati alla causa di Israele, ma se quelli che la rappresaglia di questi mesi, oltre 20mila morti in via di moltiplicazione per "legittima" più che centuplica reazione agli attacchi del 7 ottobre (che lo stesso Mattarella a reti unificate ha la faccia tosta però di equiparare al nazismo), sono un ragionevole parametro, in ottanta anni andiamo su cifre milionarie. Conferendo di diritto la palma di "popolo più antisemita del secondo dopoguerra" proprio agli israeliani (perché, non è mai abbastanza ricordarlo, anche i palestinesi sono "semiti").

Il pensiero unico ha questo, tra i suoi effetti collaterali: che le persone pensanti, anche le migliori e più specchiatamente immacolate, mai e poi mai ascrivibili per la loro storia personale ad esempio al razzismo o al maschilismo, dai e dai sbottano. In questi giorni è successo a Paolo Rossi, che la racconta in modo gustosissimo perché fa quello di mestiere, ma la vicenda è istruttiva, leggete qua. Allo stesso modo, chi di noi è più pacifista, lontano anni luce dal pensiero di giustificare qualsiasi omicidio figurarsi genocidio, e però avendo studiato davvero la Storia sa che di genocidi è piena e qualunque elenco è necessariamente incompleto (dai pellerossa agli indios del sudamerica, dai neri africani agli zingari, dagli armeni ai palestinesi, e si agli ebrei per carità), non può non sviluppare una reazione allergica al tam tam mediatico di questi giorni. E spegnere la TV prima di diventare "antisemita" pure lui...

E ora leggetevi Franco Cardini, che riesce a non farsi girare le palle... E intanto fate partire Faber...

venerdì 19 gennaio 2024

A DOPPIO STANDARD

Tante volte capita di ascoltare al TG una notizia che da per scontato una serie di cose, e noi stessi magari non ci soffermiamo a riflettere se quelle cose sappiamo davvero cosa sono o meno, concentrandoci invece su quello che viene veicolato come messaggio principale. Il più delle volte, questo meccanismo è innocuo, o quantomeno indifferente, ma talvolta viene usato scientemente dal mainstream per la sua ben remunerata attività di propaganda, approfittando della nostra "ignoranza" per far passare a luogo comune concetti che se invece ci riflettessimo sopra li vedremmo in tutto il loro significato. Ad esempio, è così che l'Unione Europea è diventata, nel luogo comune, una sorta di casa comune democratica, quando invece resta una organizzazione intergovernativa dove le istituzioni democratiche hanno un ruolo decisamente marginale e di facciata. Ora, siccome, come si diceva negli anni settanta, la conoscenza è potere, mio cuggino (che è ancora più anziano di me) spesso si prende la briga di attingere alle fonti e divulgare. Stavolta, siccome la notizia è il ricorso alla Corte di giustizia dell'ONU per i crimini di guerra israeliani a Gaza, Pasbas ci spiega cosa sono gli Organi di giustizia internazionali, spulciando per noi nel sito dell'ONU e nella Enciclopedia Britannica.

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Gli organi di giustizia internazionali

di Pasbas

La Corte di Giustizia Internazionale (ICJ) è l'organo dell'ONU che ha il compito di dirimere le controversie internazionali tra Stati. Fu preceduta dalla convenzione dell'Aia di inizio '900 e poi dalla Corte Permanente di Giustizia, istituita circa 20 anni dopo dalla Lega delle Nazioni. La attuale ICJ fu invece costituita a S. Francisco nel 1945 nella stessa conferenza che creò l'ONU. Sono membri di ICJ tutti gli stati che partecipano all'ONU, ma potrebbero farne parte anche stati non rappresentati. ICJ è permanentemente in sessione di lavoro ed è formata da 15 giudici internazionali che provengono da tutte le zone del mondo: essi devono giudicare in modo imparziale ma portando all'interno della Corte le loro esperienze e la loro cultura specifica (equilibrio molto complicato da ottenere). I giudici vengono eletti dall'assemblea generale dell'ONU e dal suo Consiglio di Sicurezza e durano in carica 9 anni. ICJ ha sede all'Aia ma può essere convocata in qualsiasi parte del mondo ove necessario; le lingue ufficiali sono francese e inglese. I procedimenti riguardanti controversie possono essere invocati solo da Stati sovrani nei confronti di altri Stati sovrani, lo stato convocato in giudizio può però rifiutare di prendere parte al procedimento. Più di 60 paesi hanno comunque firmato una dichiarazione in cui si impegnano a aderire ad ogni costituzione in giudizio messa in essere da altri stati. Nell'ambito della Corte i casi possono essere risolti in tre modi:

  1. le parti si accordano nel corso delle udienze;
  2. uno Stato si ritira dal giudizio;
  3. la Corte emette un verdetto.

Ogni giudizio viene emesso in accordo con le leggi internazionali accettate dai paesi che si riconoscono nella autorità della Corte. Ogni giudizio della Corte, emesso alla fine del procedimento, non è soggetto ad appello. La Corte ha giurisdizione su problematiche che riguardano confini terrestri e marini, sovranità territoriale, relazioni diplomatiche, diritto di asilo, nazionalità e diritti economici. La Corte è inoltre consulente dell'ONU quando quest'ultimo lo richieda.

La Corte Criminale Internazionale (ICC) si occupa invece di perseguire le persone (non gli Stati) che sono accusate di reati internazionali quali genocidio, crimini di guerra, crimini contro l'umanità. ICC è stata creata con lo Statuto di Roma nel 1998, al momento vi hanno aderito 120 stati e la sua sede è all'Aia. Gli iniziali entusiasmi per la creazione di ICC sono scemati quando si è verificato che la stragrande maggioranza dei procedimenti riguardava il continente africano, creando così un'inaccettabile sproporzione nei giudizi a livello mondiale. Le proteste dei paesi africani sono state incentrate sul sospetto che le cause fossero state intentate da paesi imperialisti e neocolonialisti. Molte procedure preliminari sono state però recentemente avviate per paesi non africani, fra cui la Gran Bretagna per la guerra in Iraq, la Palestina e l'Ucraina. Tra i paesi che non hanno ratificato lo Statuto di Roma ci sono Cina, Russia e USA. L'autorevolezza di questa Corte è messa in seria discussione perché ha vinto solo quattro giudizi da quando è divenuta operativa. Al momento diversi paesi africani hanno manifestato l'intenzione di abbandonare la convenzione e la Russia ha ritirato la sua firma dallo Statuto originale.

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU (UN Security Council) ha il compito di interporsi tra le parti in conflitto e imporre e mantenere la pace tra entità in guerra. Dal 1980 in poi sono state molte le operazioni portate a termine, le ultime importanti sono quelle dei Balcani, Haiti, Sierra Leone e Somalia. Altre importanti missioni hanno riguardato Bosnia, Siria, Darfur. Tra le nazioni con diritto di veto ci sono USA, Cina e Russia e questo causa molte volte l'impossibilità del Consiglio a deliberare su situazioni che riguardano direttamente o indirettamente questi Paesi.

Tornando alla Corte di Giustizia (ICJ) per entrare nello specifico del suo modus operandi, è interessante menzionare la procedura aperta dal Sudafrica contro Israele, accusato di genocidio nei confronti del popolo palestinese. In una intervista della tv libanese LBC all'avvocato specialista di diritto internazionale W. A. Schabas, l'intervistato spiega che la Corte ha ascoltato l'accusa e la difesa in due sedute separate e si è poi riservata di emettere un verdetto di eventuale “plausibilità” del capo d'accusa (in alcune settimane di lavoro). Il primo scoglio è rappresentato dalla corretta definizione di "genocidio" in termini di diritto internazionale. Nel 1948 la Convenzione sul Genocidio ha definito tale crimine in questi termini: il G. implica la distruzione fisica di un popolo evidentemente comprovabile, fisicamente visibile, e intenzionale. I punti portati a suffragio della tesi di genocidio dal Sudafrica sono molti, dice il legale; tra questi c'è l'accusa mossa ad Israele di volere non semplicemente perseguire Hamas ma piuttosto eliminare il popolo palestinese, uccidendo i civili, facendoli morire di fame, di stenti e di malattie, rendendo inabitabile il loro territorio e costringendoli ad abbandonare per sempre la loro terra. Quello in corso di giudizio comunque, spiega, è solo un atto preliminare che, se valutato positivamente, comporterebbe la ingiunzione nei confronti di Israele di blocco immediato delle operazioni militari a Gaza e il via all'ingresso di aiuti umanitari proporzionati alla drammatica situazione dei civili. Questa deliberazione dovrebbe essere emessa, come già detto, in qualche settimana di lavoro. Ma il giudizio finale di colpevolezza necessiterà di 3 o 4 anni di attività giudiziaria. Il Sudafrica, secondo quanto riportato nell'intervista, ha raccolto le prove documentali da servizi specifici dei media, documenti dell'ONU e altre fonti, ma non le ha ancora depositate presso la Corte. Schabas, seguendo il dibattimento, riporta che Israele ha incentrato le sue risposte alle accuse concentrandosi sulla descrizione dettagliata dell'attacco del 7 ottobre, sull'assunto che IDF è attenta a minimizzare le perdite tra i civili, che non c'è alcuna intenzione da parte di IDF di eliminare il popolo palestinese ed infine che nel governo non c'è alcuna volontà di annientamento. Va precisato, riporta l'avvocato Schabas, che un comportamento colpevolmente sconsiderato nei confronti di un popolo non necessariamente configura il crimine di genocidio, per arrivare a questo vanno verificate le condizioni prima riportate. In questa fase comunque la Corte non deve giudicare se di genocidio si tratti ma solo se le accuse del Sudafrica abbiano fondamento e siano quindi ammissibili. Se questo accadrà la Corte emettera una ingiunzione di fermo immediato dei combattimenti nei confronti di Israele (in 2 o 3 settimane). Schabas sostiene a questo punto che se l'ingiunzione sarà troppo severa nei confronti di Israele, il suo governo molto probabilmente la rigetterà. Va detto però, aggiunge, che il mondo anglofono è molto rispettoso delle decisioni di ICJ e quindi un rifiuto di Israele di accettare una ingiunzione di fermo immediato delle azioni militari a Gaza potrebbe creare qualche crepa nel sostegno incondizionato fornito da parte di quelle nazioni. Sono ormai 75 anni, prosegue il legale, che l'ONU emette raccomandazioni sulla questione palestinese che non vengono applicate perché si tratta di una problematica complessa e difficile da dirimere. Lo stesso Schabas riporta il caso da lui trattato dell'accusa del Gambia di genocidio nei confronti del Miamar: l'ingiunzione di congelamento della situazione, emanata da ICJ sulla base della plausibilità del caso presentato dal Gambia, ha avuto successo, e il Miamar ha interrotto le operazioni militari. Vista la situazione reale a Gaza lo stesso dovrebbe succedere a Israele ma (un grosso "ma") Israele al contrario del Miamar può contare su alleati molto potenti tra i paesi anglofoni: USA, GB, Canada etc.; essendo l'ambiente fortemente politicizzato è probabile, spiega Schabas, che si usi in questo caso il classico doppio standard di giudizio, cioè se sei dal lato giusto del mondo hai comunque i potenti e la ragione dalla tua parte (commento del legale, anglofono lui stesso).

Io credo che si dovrebbe affrontare seriamente, in sede internazionale, la questione della funzione, utilità ed efficacia di questi (ed altri) organismi mondiali, per capire se hanno ancora validità nel contesto multipolare e globalizzato attuale e se non sarebbe il caso di pensare ad un loro allineamento ai tempi attraverso riforme mirate.

sabato 13 gennaio 2024

LE BUFALE DEL PADRONE 4 - LE GUERRE "GIUSTE"

Immagine tratta da Combat-COC.org, cliccandoci sopra si ingrandisce
L'argomento principe che i fautori della UE oppongono ai pochi che si rendono conto di quanto questa "organizzazione intergovernativa" (che altro non è e probabilmente e sperabilmente non sarà mai) sia nefasta, è che i "padri dell'Europa" dopo la seconda guerra mondiale si posero l'obiettivo di realizzare un qualcosa che evitasse al vecchio continente di continuare nella serie di guerre lunga secoli che lo aveva caratterizzato fin li, con cotanto tragico epilogo.

Se anche si vuole concedere a Spinelli e soci tale nobile intento, però, si dovrebbe subito dopo rilevare che quelli che si incaricarono di attuarlo sbagliarono completamente l'impostazione, decidendo di edificare la casa comune degli europei su fondamenta economiche prima che politiche e sociali, in una sorta di gigantesco equivoco del postulato marxiano su struttura e sovrastruttura. Marx, infatti, osservava come si comportano "in natura" le società umane, con l'economia a fare da primo motore a cose che pretendono di esserlo e invece ci vanno solo a rimorchio, ma la sua lezione era semmai che era appunto compito della politica di spendere tutte le enormi energie necessarie ad imbrigliare questo potere naturale. Partire dalla unione economica prima e monetaria poi, pensando che quella politica e quella sociale e valoriale sarebbero venute dopo, ha conferito alle istituzioni economiche, monetarie in primis, un potere abnorme, sottratto inoltre, per come è bilanciato l'ordinamento dell'UE, a qualsivoglia controllo democratico. Consentendo di fatto la prosecuzione delle guerre intestine in Europa, solo senza armi fisiche, e in pratica consegnando ad alcuni Stati europei il manico del coltello con la cui lama hanno sbudellato altri, tra cui l'Italia. Applicando peraltro, soltanto in modo inconsueto, il famoso assioma di Von Clausevitz.

Si tratta dello stesso paradigma, in minore, di quanto è capitato al mondo da quando un filosofo proclamò la "fine della Storia" per via del crollo di URSS e Patto di Varsavia, e tutti ripetevano a pappagallo la versione mainstream per cui chiusa la guerra fredda si apriva per il mondo un nuovo lungo periodo di pace. Solo un visionario come De Andrè, di cui ricorre in questi giorni il venticinquennale dalla scomparsa, ebbe il coraggio di dire la verità, che sul muro di Berlino ballava la polka la scimmia del quarto Reich e bastava andargli sotto per vederle il culo. Infatti, per non avere l'Impero Americano più un contrappeso, anziché un'era di pace abbiamo visto il via libera a quella che persino un Papa peraltro assai contraddittorio ebbe a chiamare "guerra mondiale a pezzi". Due o tre di questi pezzi sono in cronaca, anche se con un ben diverso trattamento: gli ucraini per dieci anni angariano le enclave russe, e quando i russi intervengono in loro difesa, peraltro mantenendo la loro iniziativa bellica ben lontana dal potenziale distruttivo che sarebbero stati in grado di esprimere (anche perché sempre di un popolo fratello si tratta...), sono loro gli aggressori e i distruttori; i palestinesi osano un'azione "terroristica" contro chi li opprime da decenni, esecrabile come tutte le azioni di guerra ma dai risultati relativamente limitati in termine di vittime e di ostaggi, e quando gli israeliani intervengono massacrando civili a migliaia (dovremmo aver superato quota ventimila, una rappresaglia di sproporzione ben peggiore di quella dei nazisti ad esempio alle Fosse Ardeatine) la loro reazione viene reputata quasi unanimemente legittima. Ma se torniamo al 1990, e cerchiamo di compilare un elenco anche solo a memoria, e benché il risultato non possa che essere molto parziale le cose si fanno davvero raccapriccianti.

Tentiamo, sottolineando anche come ogni volta, ogni cazzo di volta, chi vuole una guerra parli di "guerra giusta" o peggio ancora di "missione di pace", con quella inversione linguistica che per primo denunciò George Orwell: dalla prima guerra del Golfo (1990/1991) alla disgregazione della Jugoslavia (1991 e seguenti), dall'appoggio all'indipendenza del Kosovo con bombardamenti Nato su Belgrado (1998) alla invasione dell'Afghanistan per "rappresaglia" all'autoattentato dell'11 settembre (2001 e seguenti), dalla seconda guerra del Golfo con cattura ed esecuzione di Saddam col pretesto rilevatosi falso delle armi chimiche (2003) alle cosiddette "primavere arabe" con culmine nella cattura ed esecuzione di Gheddafi (2011), dalle cosiddette "primavere arancioni" in Europa dell'Est con culmine nel colpo di Stato in Ucraina del 2014 vera origine del conflitto in corso ai mille conflitti minori (ma non per crudeltà e assurdità) in Africa e Asia, non c'è un solo episodio in cui il "padrone" non ci abbia sommerso di bufale, bugie belle e buone che sono state prese per verità fino a passare a luogo comune dalla maggior parte dell'opinione pubblica. Per questo non riesco a condividere questo amaro sforzo di ottimismo di Fulvio Grimaldi ancora a proposito della Palestina. Viviamo in tempi di neolingua, nella distopia orwelliana in cui si può "esportare la democrazia" a suon di bombe, contare i morti con metro diverso a seconda di chi sono, partire "per portare la pace" armati di tutto punto e poi percepire come ingiusti attentati le sanguinose rare reazioni delle Resistenze locali. E a chi osa tentare di raccontare le cose diversamente, appiccicare il bollino di "complottista" e isolarlo se piccolo, neutralizzarlo se grosso, imprigionarlo o eliminarlo se davvero pericoloso per l'establishment. Vero, Julien?

lunedì 8 gennaio 2024

LE BUFALE DEL PADRONE 3 - I MIGRANTI

Ellis Island, la Lampedusa dei nostri avi.
La retorica dell'accoglienza, come tutte le retoriche, consente di dividere chi la utilizza in due categorie: quelli che lo fanno strumentalmente ai propri fini, e la propagandano con ogni mezzo per diffonderla, e quelli che con la miglior buona fede la fanno propria del tutto inconsapevoli di quei fini, di cui però così si trovano ad essere complici. Ovviamente, la seconda categoria è enormemente più numerosa della prima, ed ovviamente non è in discussione la bontà dei sentimenti di solidarietà, la necessarietà del salvataggio di ogni singola vita, e nemmeno la considerazione umana delle ragioni a migrare, peraltro a rischio della pelle, di ogni singolo individuo, dettata o meno che sia dall'empatia. Quello che mi preme è solo sottolineare che senza comprendere quei fini, e combatterli in ogni modo, ogni battaglia sul fronte dell'accoglienza è destinata a far parte di una guerra persa.

Utilizzo per spiegarmi un esempio tratto proprio da quella stessa retorica: l'argomento "fino a ieri i migranti eravamo noi". Gli USA o l'Argentina dei primi del Novecento, ma anche la Germania o il Belgio del dopoguerra, chiedevano esplicitamente all'Italia di fornire manodopera (di bassissimo livello), come anche il Nord del triangolo industriale alle Regioni del sud Italia. C'era insomma una specifica domanda, motivata da esigenze di crescita industriale che necessitavano di forza lavoro a basso prezzo. Nonostante sapesse ciò, chi partiva andava incontro ad accoglienza diciamo così discutibile, povertà, lavoro durissimo, e razzismo. Anche chi parte oggi, nonostante le apparenze, non parte al buio, ma le esigenze cui risponde sono così inconfessabili che il sistema appalta il loro soddisfacimento alla criminalità organizzata, e questa per propagarle e poi agire si avvale di referenti della stessa pasta dall'altra parte del mare. Stante tutto ciò, come può non essere un incubo finire, se si sopravvive, in un centro di accoglienza come i nostri?

Ci vorrebbe il coraggio politico di imporre in UE un cambiamento di paradigma di 180 gradi: avere lo stomaco di ammettere il nesso (ad esempio) tra cercare di risparmiare al mercato e avere bisogno di quasi-schiavi nella filiera, raccogliere le esigenze, organizzare partenze comode e legali per soddisfarle in via diretta per tutta l'Europa (senza bisogno di quella testa di ponte naturale che è la nostra penisola protesa nel Mediterraneo), e dopo ci si potrebbe limitare ad affrontare il mix di problemi che comunque ci sarebbe. Se nonostante questo ci fosse ancora qualcuno che si avventura su un barcone verso Lampedusa, lo si salvi, rifocilli, faccia riposare, e riaccompagni indietro, a disincentivare eventuali resistenze del racket a mollare l'affare.

Per intenderci, funzionerebbe come la legalizzazione delle droghe: checché se ne possa pensare, diminuirebbe i consumatori, perché togliere la redditività all'affare lo toglierebbe alle mafie, che hanno tutto l'interesse a che il mercato cresca e fanno di tutto per farlo crescere. Ma perché allora i governi non lo fanno, non legalizzano le droghe o il flusso dei migranti? Forse perché i centri di potere che li esprimono hanno le radici ben piantate in quella criminalità che si alimenta dell'illegalità? Leggetevi Cardini, che la racconta meglio di me...

Ecco che la retorica dell'accoglienza a qualsiasi costo sennò sei inumano, è di fatto alleata della retorica dell'aiutiamoli a casa loro, o del ci rubano il lavoro (ecco perché quando ho trattato quel tema ho usato categorie di pensiero marxiane). Solo un piano razionale e coerente che consenta a chi non vuole di non emigrare, perché lavora e mangia anche dove è nato e ama restare, e a chi vuole di emigrare comodamente e senza rischiare la vita, si distacca da questa dialettica. Certo, per poterlo attuare anzi solo pensare occorrerebbe mandare all'aria l'UE e la sua politica monetaria costituzionalmente restrittiva, ma questo è un altro discorso, un'altra "bufala del Padrone" di cui parleremo.

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