domenica 29 dicembre 2019

SIAMO DEI

Prometeo che ruba il fuoco a Giove e ne viene
punito: cattolicuzzi, vi ricorda qualcun altro?
Una delle canzoni più "avanti" di Lucio Dalla, Siamo dei del 1980, era così avanti che presto lo stesso autore, che nascondeva le sue preferenze sessuali meglio della sua religiosità, le restò indietro e smise di eseguirla. In essa due personaggi, entrambi interpretati da Lucio grazie a un lieve ma riconoscibilissimo cambiamento di vocalità, inscenano un battibecco tra Uomo e Dio, con quest'ultimo che alla fine soccombe alla dialettica dissacrante (perlappunto) del primo.
Il brano lo potete sentire in fondo, ma questa non è la decima recensione di radiocontroinformoperdiletto, qui non si parla di musica, è solo il pretesto per introdurre, ad accompagnarvi nel passaggio tra un anno e l'altro (che tutti crediamo fatidico, tutti essendo del tutto irragionevoli) raccomandandovi la lettura di due post altrui che parlano, in modo completamente diverso, entrambi di Dio. Aiutandoci ad esemplificare quella difficile strettoia che resta tra il precipitare verso l'acritica assunzione di verità stabilite da altri, quasi sempre con fini tutt'altro che nobili, e il ricadere nel peccato opposto, l'arroganza di divinità conferita a noi stessi e alle possibilità a noi schiuse dalla tecnologia. Che poi è esattamente quella in cui gli artisti riescono talvolta ad infilarsi e passare in agilità, come appunto Dalla nel brano succitato.
Il primo post è il mirabile Regalo di Natale (con ammennicoli vari...), in cui Carlo Bertani riesce a riassumere in pochi capoversi la storia del cattolicesimo, racchiudendo sia la critica ad una festa posticcia e rubata ad altri culti (quale è quella che abbiamo appena festeggiato, abboffandoci e riempiendo talmente di regali i pargoli da fare loro perdere del tutto la capacità di apprezzarli), sia il rimpianto per quello che comunque a un certo punto era arrivata a significare, lei e tutta la religione di cui era la bandiera. E senza contraddizione, leggere per credere. Perché non c'è contraddizione tra dichiararsi atei e mantenere una propria spiritualità e dimensione religiosa, come pure tra saper discernere nella vicenda di Cristo tra episodi verosimili storicamente e mito e saper riconoscere la validità del messaggio cristiano (e quali e dove siano i suoi veri nemici).
Il secondo è l'agghiacciante Correggendo Dio, con cui Stefano Re ci aggiorna sugli sviluppi della ingegneria genetica applicata su piante, animali e esseri umani, ribadendo l'urgenza di disciplinare, e rigidamente quanto efficacemente, un campo che altrimenti resta sottoposto alle soli leggi del mercato, vale a dire all'arbitrio di "chi può". E, si noti bene, lo fa dichiaratamente da ateo. Il problema sorge sempre dove la tecnica corre troppo più veloce della comprensione teorica. Sappiamo, ad esempio, che esistono tecnologie in grado di influenzare il meteo, e che sono talmente a buon mercato che è praticamente impossibile sapere davvero quanto e da quanto tempo si stiano utilizzando. Ma sappiamo anche che il complesso di variabili in gioco nella circolazione atmosferica è talmente enorme che nemmeno i calcolatori di oggi, milioni di volte più potenti di quelli di decenni fa (e quindi probabilmente nemmeno quelli di domani, altri milioni di volte più potenti), sono in grado di elaborarli in modo da darci previsioni del tempo decenti oltre il brevissimo termine. Di conseguenza, possiamo star certi che anche il governo più illuminato, mosso dal più integerrimo e adamantino degli intenti, se decidesse di attuare interventi per far piovere di più o di meno, non ha la minima idea, e se dice di averla mente, di come andrà a finire nel medio o lungo termine, se ciò alla fine provocherà siccità o alluvioni. Bene, con la genetica la faccenda è ancora molto ma molto più complessa e pericolosa. Un esempio? Chi non sarebbe d'accordo ad eliminare da oggi a domani le zanzare? A che servono quei maledettissimi insetti, se non a toglierci il sonno nelle notti d'estate? Bene, siamo tutti d'accordo, un plauso al genetista che ha trovato il modo di sterilizzarle, via: estinte. Ma magari, nel giro di pochi anni, l'effetto farfalla porta carestie talmente grandi che innestano una serie di conflitti che al confronto quelli di oggi sembrano scaramucce. Esagero? Forse. Ma resto d'accordo con chi sostiene che ci sono cose che non si possono lasciare al mercato.
Buona fine e buon principio a tutti i miei (pochi) restanti lettori.

venerdì 20 dicembre 2019

RADIOCIXD 9: IL RE NON SI DIVERTE

Voi lo sapevate che Vecchioni ha fatto un album progressive? Io si. Ho il vinile. Ma quando è uscito avevo 10 anni: ovviamente è un disco che ho riscoperto dopo, andando a ritroso nella produzione di uno di cui mi ero innamorato passandolo in radio, anche perché erano gli anni della sua vetta artistica (gli LP Elisir, Samarcanda e Calabuig..., di cui probabilmente riparleremo).
Sono arrivato ad amare talmente tanto la poetica del "professore" da averci scritto con la mia Lettera 22 una esegesi, che però non avevo con me un giorno che lo incontrai faccia a faccia in un appartamento (la casa di una mia amica adiacente alla minuscola piazza principale di un paesino vicino Reggio: Cardeto) che lui usò come camerino. Ma sarebbe stato inutile, perché ovviamente non osai nemmeno rivolgergli la parola, figurarsi dargli il mio libello da guardare o anche solo autografare... Era il 1982, era uscito Hollywood Hollywood ma i cantautori già stavano passando di moda, niente spazi grandi o grandissimi come qualche anno prima e poi, perlomeno alcuni di loro, di nuovo oggi.
D'altronde, voi non sapevate nemmeno che Vecchioni i primi soldi li ha fatti scrivendo le canzoni dei Nuovi Angeli... (le conoscete, si: Donna felicità e Singapore su tutte). Insomma, ai tempi della notissima Luci a San Siro, il Nostro sia pur giovanissimo era come si dice conosciuto nell'ambiente. Ma non vendeva i suoi dischi, campava come autore altrui, ma senza neanche lontanamente arricchirsi. Per questo la sua scelta di abbandonare gli stilemi originali e abbracciare quelli nascenti nei fertilissimi anni 70, proprio poco dopo essere addirittura comparso a Sanremo (con un brano che vi suonerà sconosciuto, L'uomo che si gioca il cielo a dadi, seguito da una raccolta con brani degli altri due album precedenti e alcuni inediti, passata liscia pure quella), ha in comune con quella di Lucio Dalla, di cui abbiamo già parlato, solo l'anno in cui si è verificata: il 1973. Da un lato, fu più coraggiosa la scelta di Dalla, perché nella discografia paludata imperante un ruolo se l'era già ritagliato e poteva camparci bene (ma non sarebbe mai diventato il gigante, tra l'altro ricchissimo, che diventò), dall'altro, lo fu quella di Vecchioni, che non poteva contare nemmeno su un effetto traino dalla notorietà che non aveva, e addirittura osò la capatina nel progressive (è così che esagerando un po' ho aperto il post). Forse non fu nemmeno una coincidenza: i due si conoscevano e frequentavano, tramite Guccini e nelle "sue" osterie di fuori porta.
L'anno prima, la già fertilissima scena progressive italiana (gli Area ce li abbiamo avuti solo noi, e i Genesis sono praticamente nati in Italia, per fare solo due esempi) era stata squarciata dalla meteora Alan Sorrenti. I suoi primi due album sono considerati oggetti di culto nel settore, e ne parleremo di certo. Qui lo citiamo perché questo disco di Vecchioni è suonato da tre persone: due venivano dai citati dischi di Sorrenti (e uno di loro due era un certo Toni Esposito, uno che prima di entrare nella band di Pino Daniele lo potevi incontrare per strada che suonava stoviglie e altre percussioni improbabili), mentre il terzo era Massimo Luca, uno a cui poi capiterà di scrivere Goldrake, ma qui sembra Hendrix. Si perché fin da questo album si nota una tendenza di Michelangelo Romano, il produttore che accompagnerà Vecchioni in tutta la sua fase di affermazione definitiva: quella di associare a ogni uscita uno o più brani arrangiati con uno stile decisamente riconoscibile, e sempre diverso. Così, abbiamo il Vecchioni sorrentiano, hendrixiano, younghiano, pinkfloydiano, branduardiano, eccetera.
Inutile dire che anche questo LP vendette pochissimo, e non andarono troppo meglio i due successivi (quello del 76 è un vero capolavoro): per vedere Vecchioni sfondare, dovremo aspettare Samarcanda. Per campare, intanto, il Professore scrive la soundtrack di Barbapapà (e in qualche brano ci canta pure: fate mente locale, è quello che recita i nomi dei personaggi...). Come al solito, vi propongo il link da youtube con tutte le tracce, e vi invito ad ascoltarle con davanti le mie note brano per brano:
  • Intervallo I - Breve introduzione alla tematica del disco - "con la cultura non si mangia ma talvolta ci si muore", che riprenderà molte volte in futuro
  • Teatro - Sviluppo della tematica con brano rozzo ma piuttosto riuscito, in cui splende l'arrangiamento scarno e ruvido
  • Intervallo II - Riproposizione della strofa del primo brano con una seconda a seguire; in mezzo, una lunga schitarrata hendrixiana di Massimo Luca
  • Il re non si diverte - Tema classico (le citazioni letterarie stanno a Vecchioni come le buche alle strade di Roma) sviluppato in "nove minuti nove" con la musica che cambia con le situazioni: è il brano più prog, e il più bello
  • Giuda (se non hai capito...) - Sposa la tesi già dei vangeli apocrifi, e dell'allora fresco Jesus Christ Superstar, secondo cui dalla premessa logica dell'onnipotenza e onniscienza di Dio non può non dedursi che la vera vittima dei vangeli è il povero iscariota ("e ti serviva un uomo da usare e buttar via appeso ai nostri buoni così sia") - Da notare il duello di bonghi finale tra Esposito e chissachì
  • Messina - Per uno di Reggio Calabria lo stupore di vedere una canzone intitolata alla città dirimpetto fu tanto, ma niente paura: viene citata come metafora di "sentirsi fuori luogo" - Anni dopo scoprirò che anni prima Modugno aveva intitolato una canzone proprio a Reggio Calabria, dal cui ascolto sia la mia città che proprio Messina ne escono decisamente meglio
  • Ninna nanna - Altro tema ricorrente in Vecchioni: il rapporto con la madre - Il capolavoro, Madre appunto, arriverà qualche anno dopo
  • Sabato stelle - Si chiude con la ripresa in soggettiva de I pazzi sono fuori dell'anno prima: il dialogo con una ragazza ricoverata in manicomio (si, c'erano ancora) - L'arrangiamento di questo brano come dei due precedenti è meno anticonvenzionale dei primi 4, come se già ci stessimo avviando alla cifra stilistica del Vecchioni successivo.

sabato 14 dicembre 2019

GOD SAVE THE QUEEN

Il primo strappo è prossimo. Ora speriamo che si dilanii...
Degli inglesi ho sempre invidiato poche cose (del resto il cibo è pessimo, il clima pure, l'aspetto fisico c'è molto di meglio, eccetera), ma una di queste è l'inno nazionale: diciamolo francamente, la nostra marcetta non aiuta certo gli atleti a mettersi sugli attenti seri pensando all'amore per la Patria, gli abbiamo fatto la testa tanta per convincerli ma di certo nessuno di loro pensa al testo mentre lo canta, altrimenti gli scoppierebbe da ridere. L'elmo di Scipio, stringiamoci a coorte siam pronti alla morte... ("aaaa cchi?" direbbe Totò "sarai te pronto alla morte, io sono giovane voglio campare ancora quei sessanta settant'anni..."), schiava di Roma, e cito solo brani dell'unica strofa che conosciamo tutti e infatti la ricantiamo al posto del seguito che nessuno conosce. Volete mettere l'inno della Gran Bretagna? Con quello si, che trovi la forza di resistere ai tentativi di invasione di Hitler, altro che della replica moderna dell'espansionismo tedesco che per fotterci hanno chiamato Unione Europea. Pensateci, ai partigiani che cantano l'inno di Mameli invece che Bandiera rossa...: col cavolo, che ci vanno sui monti!
Tra l'altro, ai britannici quando hanno un re maschio gli basta cambiare Queen con King, non ne soffre nemmeno la metrica figurarsi il senso, che è che la sovranità di un popolo è l'unica cosa che ne salva l'identità, e il destino quando occorre. Se poi il simbolo è in carne ed ossa, e viene mantenuto al centro di un teatrino piuttosto caro, significa solo che è reputato molto importante; e poi non è che il nostro teatrino costi meno (in fondo Mattarella vive in un palazzo reale, spesso ce ne dimentichiamo), è solo meno efficace, come scherzando e ridendo ci dimostra persino Cetto Laqualunque in questi giorni al cinema.
Tant'è, ma a prescindere del tipo di rappresentazione ideologica che scegli per incarnarla, e della sua maggiore o minore efficacia, la sovranità di un popolo è quello che gli consente di esercitare, se davvero ce l'ha, la sua prerogativa democratica di scegliere i politici che lo devono governare in base alle politiche che dichiarano di voler applicare, tra cui le più importanti, e di gran lunga perché senza di esse tutte le altre si riducono a presa per i fondelli, sono quelle economiche e finanziarie. L'UE stringi stringi questo è: una serie di trattati sovranazionali architettati con l'unico scopo di disinnescare le prerogative democratiche dei popoli degli Stati che sciaguratamente vi hanno aderito.
Mio papà mi ha insegnato, quando andavo crescendo e volevo andare in discoteca (ai miei tempi, era di pomeriggio...), che quando entro in un locale qualsiasi la prima cosa che devo controllare è dove sono le uscite. Con un occhio, magari senza pensarci, ma farlo. Abbiamo sentito in questi anni fin troppi fatti di cronaca in cui averlo fatto ha aiutato molti, accanto al sempre predominante "fattore C". Ebbene, fosse anche questo il solo motivo, che i trattati a cui si andava aderendo non prevedevano una via d'uscita codificata, la semplice prudenza avrebbe dovuto consigliarci di non entrarci.
Ma pazienza, ci hanno allettato, ci hanno promesso prosperità, ci hanno detto che eravamo troppo piccoli per difenderci da soli nel mondo globalizzato ma invece l'Unione avrebbe potuto salvare il nostro modello di vita e i nostri valori, e gli abbiamo creduto. Ma oggi? Oggi abbiamo visto ad una ad una tutte le promesse sgretolarsi come un intonaco messo male mettendo a nudo le architravi di un sistema costruito a solo vantaggio di una parte degli aderenti e a danno di altri tra cui noi. Abbiamo visto che se proviamo ad eleggere chi ci promette se non di uscire dalla trappola almeno di inceppare i meccanismi che fanno figli e figliastri, fanno di tutto ma proprio di tutto (leggi elettorali, denigrazione mediatica, serpi in seno, eccetera) per vanificare le nostre scelte democratiche (e si, magari c'erano pure difetti d'origine nel progetto grillino, ma era l'unico che c'era in campo no-euro, e ora ci è rimasto solo Salvini, forse) per neutralizzare la nostra volontà e sfiancarci. E soprattutto, abbiamo visto cosa succede a chi, avendo individuato finalmente con chiarezza i propri interessi e avendo votato democraticamente in tal senso, decide liberamente di uscire dall'Unione Europea, senza nemmeno trovarsi come noi al denominatore del rapporto di potere al suo interno, anche perché non aveva accettato le catene più grosse, quelle dell'unione monetaria. Succede che sono anni che li deridiamo perché a voler uscire si dimostrano stupidi, tentiamo di dividerli facendo leva sui loro nazionalismi interni e blaterando che sarebbero i vecchi babbioni che vogliono uscire rubando un futuro radioso ai loro giovani, li imbrachiamo in trattative estenuanti derivanti dalla succitata mancanza di regole prefissate per l'uscita, li sfidiamo a rivotare convinti che nel frattempo si sono "rinsaviti", ed ecco che una cosa decisa da un popolo nel 2016 si realizza solo nel 2020 (e facciamo gli scongiuri, "non dire gatto se non ce l'hai nel sacco": Trapattoni rules).
Ma, e qui c'è il lato positivo della faccenda, la lezione che dovremmo trarne, alla fine la Brexit si realizza perché gli inglesi, e Mussolini lo sapeva per questo tentava di sfotterli con la Perfida Albione, sono un popolo vero, e un popolo vero più cerchi di costringerlo a fare una cosa più anche solo per tigna fa il contrario (la sinistra anche li la votano oramai solo quelli coi soldi e la casa in centro). La loro sovranità è incomprimibile, è Dio che la salva, se lo ripetono ogni volta. E ce lo sbattono in faccia.
I nostri commentatori che prevedevano sciagure sono già serviti, se leggete come i famigerati mercati hanno reagito al plebiscito pro-tories e pro-exit. E non hanno visto ancora niente, perché senza legacci uno Stato sovrano può fare quel che vuole, e si: anche sbagliare, perché un popolo in democrazia ha anche il diritto di sbagliare. Ebbene, visto quello che ha potuto fare e che risultati ne avrà la Gran Bretagna, immaginate che noi potremmo scioglierci da legacci ben più stretti, ed avremmo ben più slancio da prendere. Non dimenticate (voi che avete l'età), e sappiate (voi che non ce l'avete), che prima che ci fregassero col monetarismo e l'Euro (leggete l'ultimo rapporto Censis e inorridite, please) gli inglesi li avevamo superati e i tedeschi li avevamo nel mirino. Non dico che possiamo puntare a tornare ad essere la quarta economia del pianeta, perché nel frattempo sono emersi altri attori, ma possiamo e dobbiamo giocare la nostra partita con le mani libere, le leve dell'economia e della moneta in mano a un governo eletto liberamente da noi perché faccia quello che vogliamo noi, e non perché ci convinca che nel nostro bene dobbiamo fare quello che decidono le banche altrui e nell'interesse altrui, come è da quasi 30 anni ormai.
Pochi giorni fa è stato il 50simo anniversario della madre di tutte le stragi, quella di piazza Fontana. Una bomba in una banca. Nello stesso giorno, bombe in altre banche, alcune con feriti altre fermate in tempo. Poco prima, un governo Moro aveva varato gli ultimi "biglietti di Stato a corso legale" d'Italia, le cinquecento lire, con la collaborazione proprio di quelle banche li, pare. Forse è una ricostruzione a posteriori, forse una coincidenza. Ma con quel boom finiva il Boom e iniziavano la strategia della tensione e gli anni di piombo, la separazione tra Tesoro e Banca d'Italia, il craxismo, e infine tangentopoli e le stragi cosiddette di mafia. Un lungo filo rosso con cui ci hanno indotto a rinunciare ai sogni con la paura. Un filo di cui Maastricht e l'eurozona sono il nodo e il fiocco, il MES la coccarda. Bisogna trovare il coraggio di tagliarlo. Gli inglesi hanno tracciato la via.

lunedì 9 dicembre 2019

MES...TAIAPIJAPERCULO?

Quelli che di solito rompono i cosiddetti con la metafora dello Stato-come-una-famiglia, che come più volte abbiamo riportato non ne esistono di più sbagliate, oggi che questa sarebbe utile a spiegare a mia zia con la terza elementare il famigerato MES, citato ad ogni telegiornale col nome orwelliano di "salva-Stati", si guardano bene dal ricicciarla. E allora lo faccio io.
Immaginate che arriva un funzionario della vostra banca (ma se preferite una metafora assicurativa, è qui), uno di cui vi fidate, a casa vostra per proporvi questa cosa qua: siccome la tua famiglia come tutte potrebbe avere un periodo in cui gli gira male, aderisci oggi al "fondo-salva-famiglie", mi dai tutti i tuoi risparmi, anzi siccome ho determinato io le quote e tu non hai risparmi ma debiti prendi altri soldi in prestito per saldarmi la tua quota, ma da quando aderisci alla prima difficoltà interviene il fondo e ti salva! Come dici? ti dà i soldi che ti servono? no, te li presta a interesse. Si, anche se in parte erano già tuoi e per darglieli li avevi presi a prestito a interesse, aggravando la tua situazione e anticipando il momento in cui ti sei trovato nei guai. Ah, e te li presta solo se tu togli la paghetta ai figli, la palestra e l'estetista alla moglie e ti vendi la racchetta che tanto niente più spese pazze tipo un'oretta di tennis ogni tanto. Ora, la domanda è: a questo bancario, quanto impieghereste a prenderlo a calci in culo e cacciarlo di casa?
Ecco, lo stesso tempo dovreste impiegare a maledire fino alla settima generazione ciascuno di quei politici che sta tentando ogni giorno in ogni modo di convincervi che l'Italia deve aderire al MES per il suo bene, e di quei giornalisti che gli reggono il gioco. E se no, vi siete meritati l'ennesima inculata che questa Unione Europea ha apparecchiato per voi: un altra mandata alla chiave di quella gabbia che con gli Stati sovrani ha di fatto buttato nella mondezza della Storia il concetto stesso di democrazia sostanziale.
Questa folgorante vignetta io l'ho trovata in questo post di Fulvio Grimaldi
Detto che finalmente se ne accorge anche qualcuno a sinistra, resta da osservare con enorme tristezza la parabola in picchiata di quel moVimento che era parso a molti, come a me, poter incarnare la speranza di difendere i principi della nostra Costituzione dall'assalto della globalizzazione e del suo sicario Eurozona. Oggi, Salvini a parte con la sua purtroppo bassa credibilità (ha imbarcato Borghi e Bagnai, si, ma non ha sbarcato Giorgetti e tutti quelli che votarono il pareggio di bilancio in Costituzione e tutte le altre porcherie), stanno nascendo alcuni soggetti politici che aspirano a intercettare il vuoto lasciato dall'implosione dei cinquestelle (spiace non riuscire nemmeno più, come fa Grimaldi, a considerarli il male minore: è perché sono alleati col maggiore), ma fino a che non raggiungono una massa critica capace di incidere (cosa che i grillini grazie a Grillo fecero in un amen) non si può andare oltre all'osservarli con simpatia (ad esempio, di VoxItalia ho già parlato, ora arriva lo statuto di Liberiamo l'Italia). No: le Sardine non sono tra questi, tanto è spudorato il loro derivare dall'establishment e puntare a favorirlo raccattando e neutralizzando la voglia di protesta dei tanti ragazzi che non sanno neanche individuare i propri stessi interessi.
Ora, basta nostalgia, se non vi sono bastate le semplificazioni a capire che razza di fregatura che ci stanno propinando, e perché sarebbe meglio una crisi di governo al buio della prosecuzione di questo inguacchio, proviamo con la logica. Leggiamo, ad esempio, questo articolo descrittivo di uno di quei siti che siccome ti vendono comparazioni in pratica facendo da intermediari evoluti, evitano come la peste di prendere posizioni politiche che possano alienargli parte della clientela: eppure, appena finite di leggerlo, vedrete, cominciate a camminare col culo alle pareti. E se non credete a me o al vostro istinto, forse vi servirà sapere che non è una boutade di Salvini o una trovata della Meloni, ma ci sono fior di economisti a dichiarare più o meno che l'Italia dovrebbe resistere a questo ulteriore sopruso come Asterix ai romani.

mercoledì 4 dicembre 2019

RADIOCIXD 8: LOVE OVER GOLD

Cinque pezzi cinque. E' il quarto album, e per un gruppo dove c'è un leader assoluto chi ne capisce sa che ognuno può essere l'ultimo. Specie se tra gli altri c'è chi non gli riconosce la leadership. Infatti i Dire Straits dureranno ancora pochi anni, fatto salvo una reunion di un decennio dopo (che una reunion non si nega a nessuno e i soldi piacciono a tutti), e avevano iniziato a morire già durante la realizzazione del mitico Making movies (che sicuramente prima o poi troverete recensito in questa rubrica), quando David Knopfler, fratello del dio-della-chitarra Mark, lasciò la band per intraprendere una carriera solista che finirà prestissimo, per quello che se ne sa (quindi si).

Quando uscì questo Love over gold io avevo vent'anni. Lo so, non ho meriti in questo, ma non è la stessa cosa se quando hai vent'anni esce il quarto album dei Dire Straits oppure il secondo di Sferaebbasta. L'album precedente, il succitato Making movies, lo avevo in radio, dove mettevo su un piatto il 33 giri sull'altro il 45 per mixando allungare all'infinito l'assolo di coda di Tunnel of love, e i due ancora precedenti me li andai a comprare usati al mercatino di Portobello a Londra, assieme alla colonna sonora di Local hero. Invece questo mi pare di ricordare che fu il mio amico (nonché anch'egli per breve tempo dj) Saverio a comprarlo appena uscito, e subito me lo prestò per registrarmelo (la cosa si usava, ma magari non così subito), quindi corsi a casa prima ancora di averlo mai ascoltato altrove. E' una emozione che vi ho già forse raccontato a proposito di altri dischi, e per altri ancora lo farò. Ma qui stiamo parlando di uno degli attacchi più strepitosi dell'intera storia del rock.
Non te lo scordi più, perché è a tradimento: le prime note sono dolci, accoglienti, sembra introducano un brano romantico, ma poi... Poi, entra uno strappo di chitarra elettrica che ti eviscera come un pescatore un'alice, istantaneamente e con indifferenza passando avanti, specialmente se come al solito hai messo lo stereo al massimo e ti sei seduto di fronte alle casse a tre uscite sapientemente orientate, nel buio della tua cameretta. Ma anche se lo sentite come si usa oggi, in bassa qualità e a basso volume, potete capire: è di un tipo mai sentito, come molti dei passaggi di questo straordinario musicista. E non si può descrivere. Ecco quindi come al solito il link al full album su youtube (ma attenzione che stranamente le canzoni vi sono presentate in ordine inverso, dovete sentirle da sotto in su), e poi la tracklist commentata ad accompagnare l'ascolto:
  1. Telegraph Road - Non è una canzone, è un romanzo. Racconta la fondazione di una città (once upon a time in the west?), il suo sviluppo, la sua decadenza. Ma parla di tutte le civiltà, quindi anche della nostra, da un punto di vista così privato da risultare palpabile, così che il testo finisce per essere molto più politico di tanti altri che forse ne avevano più intenzione. Il tutto, sottolineato da un accompagnamento sempre cangiante, sempre perfettamente adeguato al testo, con assoli a volte strazianti e a volte travolgenti, come quello finale in cui chitarra piano e batteria si accavallano in un modo che non puoi stare fermo nemmeno legato. Uno di sola chitarra avrebbe portato i fan a pensare: "si, ma quello di Tunnel of love...". Questo no. Il brano dura quasi tutta una facciata del vinile, ma il tempo ti vola. E poi la rimetti dacapo. Provare per credere. Io la so tutta a memoria, e intendo non solo il testo, direi ogni singolo suono. Poteste aprirmi la testa, ne avreste la prova.
  2. Private Investigations - Sfiniti dall'ascolto ripetuto del primo brano, niente altro avrebbe potuto indurci ad andare avanti. Se non quello che arriva: un capolavoro di pochi minuti, lento lento, in cui una chitarra diversa, forse country, metallica, accompagna un testo introspettivo di livello assoluto. Le schitarrate strappaviscere ci sono pure qui, arrivano alla fine quando non te le aspetti più. Tranquilli, non è spoiler: vi sorprenderanno lo stesso.
  3. Industrial Disease - Un brano minore, di quelli che avercene oggi qualcuno capace di scriverli, ma in questo disco quasi sparisce, compresso tra capolavori.
  4. Love over Gold - Un'altra eroina, dopo le tante dell'album precedente. La title track è breve breve, ma giganteggia tra le altre due del lato B. Verso del secolo: "le cose che possiedi possono... scivolarti tra le dita come polvere...". Ma nella mia testa basta pensarla e mi suona tutta, anche questa.
  5. It Never Rains - Vale quanto detto per Industrial disease, ma quello è un rock troppo eighties, questo almeno suona più knopfleriano, compreso l'assolo finale che sfuma. E subito ti riviene voglia di ripartire con Telegraph road...

domenica 1 dicembre 2019

SMISURATE LE PAROLE

"La verità è odio verso chi odia la verità": togliere la libertà di
odiare è togliere l'ultima arma possibile a chi è stato maltrattato
Mi hanno invitato su Facebook, a un gruppo contro l'odio (si chiama proprio "basta odio"). E' stato un "amico da facebook", un cristiano con cui forse qualche volta ho giocato da bambino per strada nel quartiere, e che non so per quali vie mi ci trovi in contatto via social, non avendoci scambiato una parola almeno da 40 anni. Magari però è una brava persona, anzi ne sono certo, ed è questo il peggio. Il fatto è che l'odio è un sentimento, e io trovo abbastanza terrorizzante il fatto che di recente si sia addirittura deciso di legiferarci sopra: sarà che ho letto Orwell, ma davvero, non per finta citando la vulgata che parlasse in funzione anticomunista. Mi spiace declinare l'invito, ma io sono a favore, dell'odio come di qualsiasi altro sentimento sincero.
Perché? Come perché? Ma ditemi voi, se ad esempio il mio popolo viene sottomesso, sfruttato, schiavizzato e maltrattato, non avendo né la forza né la capacità o i mezzi per reagire, ma porcogiuda almeno il cazzo di diritto di odiare chi ci sottomette sfrutta schiavizza maltratta ce lo volete lasciare, o no? Avrei anche il diritto di ribellarmi, eventualmente, e se serve con la violenza, in tal caso. Per cui cambio esempio, facciamo che una intera classe di politici abbia svenduto il mio Paese al Nemico, o perlomeno che io creda liberamente (o volete togliermi anche la libertà di pensiero?) che questo sia esattamente il modo migliore per sintetizzare la parabola dell'eurozona (o se preferite, quella delle privatizzazioni, ad essa prodromica). Se io decidessi di tramutare il mio odio in azione, sarebbe perfettamente giusto, oltre che legittimo, che chi è preposto alla pubblica sicurezza cercasse di fermarmi, e chi all'azione penale mi processi e punisca a secondo di quale azione io sia poi riuscito ad intraprendere, e delle conseguenze che ha avuto. Ma io sono pacifico, voglio solo odiarli. E poter dichiarare liberamente il mio odio, magari esprimendo (beninteso, senza offendere o calunniare nessuno, che ricadremmo nel penale) le mie ragioni e le mie opinioni. Perché no? Perché "basta"?
Perché con la scusa di fermare l'odio, questi hanno messo nel mirino l'essenza stessa della democrazia. Siamo tutti sui social, chi più chi meno: basta settarli per intercettare delle "parole chiave" per fare fuori ogni forma di dissenso, ogni lettura della realtà differente da quella ritenuta ammissibile da chi detiene il potere. E il bello è che, grazie a questa sapiente operazione linguistica, in prima fila tra i censori oggi troviamo proprio coloro che ieri sbraitavano al conflitto di interessi di Berlusconi e alle varie leggi bavaglio che aveva tentato di approvare. Miracoli della neolingua: Orwell, appunto. Ma più fanno così, più mi viene da odiarli, e da dirmi sovranista anche se il termine è ormai usato con accezione spregiativa anche da chi prima se ne fregiava.
Che c'entra il sovranismo? Eccovi serviti: per demonizzare chi liberamente ritiene, magari sbagliando ma avendone pieno diritto, che gli Stati sovrani liberali siano stati nell'intera storia dell'umanità l'unico ente entro il quale la democrazia sostanziale si è un minimo attuata praticamente (non dimenticando che nelle poleis dell'antica Grecia ne erano esclusi le donne e gli schiavi, quindi tre quarti della popolazione), hanno scomodato persino la Treccani. Leggete, è un test: se non inorridite, siete anche voi persi alla causa. Pronti per essere messi in scatola come le "sardine", movimento concepito per intercettare e disinnescare gli ultimi afflati movimentistici eventualmente sopravviventi in quei giovani a cui hanno tolto tutto, speranza compresa, e ora gli tolgono anche le possibilità di ribellione, incanalandole in canali eterodiretti che fanno da valvole di sfogo. Come il neoambientalismo fanatico che si va affermando come una religione fin dalle scuole elementari: ve lo dico per esperienza quasi diretta.
La stessa sintassi vale per il consumo: ai cittadini tolgono sempre più capacità di spendere? La sostituiscono con l'illusione che comprando on-line a prezzi stracciati vengano compensati, magari nel quadro di iniziative come il black friday, che grazie alla neolingua da giorno singolo e sporadico è divenuto periodo ricorrente e più o meno lungo dove si gratta il fondo del barile di una domanda interna ridotta al lumicino (inoltre riversando gli utili quasi sempre in multinazionali apolidi e quasi esentasse), in violazione peraltro delle normative che volevano i saldi confinati in periodi precisi dell'anno.
Idem per la beneficenza collegata alle malattie, alla denutrizione, o agli eventi climatici o naturali in genere: per soppiantare il progressivo svuotamento delle istituzioni pubbliche della capacità di investire in deficit in qualunque campo, si solletica la umana pietà dei cittadini perché chi se lo possa ancora permettere in pratica si autotassi. Io uso questa tecnica, se volete imitarmi è gratis: chiunque blateri di ambiente, alluvioni, ponti che crollano, immigrati da salvare, malattie incurabili o piaghe sociali (e ce ne sono millanta ogni giorno) se subito dopo non aggiunge che lo Stato italiano dovrebbe recuperare la piena sovranità monetaria per investire nel risanamento del territorio, nel rifacimento delle infrastrutture dei trasporti magari con la loro rimodulazione in favore del marittimo, nell'accoglienza mirata, nella sanità pubblica statale (abolendo le asl, assieme alle regioni), eccetera, io lo mando immediatamente mentalmente affanculo, e se è in TV giro canale. Li odio, si li odio, e ne vado fiero. Poi, se ho due spicci che mi avanzano, decido io se e come darli in beneficenza, tra coloro che non mi hanno solleticato il velopendulo con pubblicità strappalacrime o serate con gli ospiti col numero appiccicato al petto.
Fate come me, smisurate le parole. Non possono chiuderci tutti i blog e i profili, sennò chiudono bottega loro.

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