Sono arrivato ad amare talmente tanto la poetica del "professore" da averci scritto con la mia Lettera 22 una esegesi, che però non avevo con me un giorno che lo incontrai faccia a faccia in un appartamento (la casa di una mia amica adiacente alla minuscola piazza principale di un paesino vicino Reggio: Cardeto) che lui usò come camerino. Ma sarebbe stato inutile, perché ovviamente non osai nemmeno rivolgergli la parola, figurarsi dargli il mio libello da guardare o anche solo autografare... Era il 1982, era uscito Hollywood Hollywood ma i cantautori già stavano passando di moda, niente spazi grandi o grandissimi come qualche anno prima e poi, perlomeno alcuni di loro, di nuovo oggi.
D'altronde, voi non sapevate nemmeno che Vecchioni i primi soldi li ha fatti scrivendo le canzoni dei Nuovi Angeli... (le conoscete, si: Donna felicità e Singapore su tutte). Insomma, ai tempi della notissima Luci a San Siro, il Nostro sia pur giovanissimo era come si dice conosciuto nell'ambiente. Ma non vendeva i suoi dischi, campava come autore altrui, ma senza neanche lontanamente arricchirsi. Per questo la sua scelta di abbandonare gli stilemi originali e abbracciare quelli nascenti nei fertilissimi anni 70, proprio poco dopo essere addirittura comparso a Sanremo (con un brano che vi suonerà sconosciuto, L'uomo che si gioca il cielo a dadi, seguito da una raccolta con brani degli altri due album precedenti e alcuni inediti, passata liscia pure quella), ha in comune con quella di Lucio Dalla, di cui abbiamo già parlato, solo l'anno in cui si è verificata: il 1973. Da un lato, fu più coraggiosa la scelta di Dalla, perché nella discografia paludata imperante un ruolo se l'era già ritagliato e poteva camparci bene (ma non sarebbe mai diventato il gigante, tra l'altro ricchissimo, che diventò), dall'altro, lo fu quella di Vecchioni, che non poteva contare nemmeno su un effetto traino dalla notorietà che non aveva, e addirittura osò la capatina nel progressive (è così che esagerando un po' ho aperto il post). Forse non fu nemmeno una coincidenza: i due si conoscevano e frequentavano, tramite Guccini e nelle "sue" osterie di fuori porta.
L'anno prima, la già fertilissima scena progressive italiana (gli Area ce li abbiamo avuti solo noi, e i Genesis sono praticamente nati in Italia, per fare solo due esempi) era stata squarciata dalla meteora Alan Sorrenti. I suoi primi due album sono considerati oggetti di culto nel settore, e ne parleremo di certo. Qui lo citiamo perché questo disco di Vecchioni è suonato da tre persone: due venivano dai citati dischi di Sorrenti (e uno di loro due era un certo Toni Esposito, uno che prima di entrare nella band di Pino Daniele lo potevi incontrare per strada che suonava stoviglie e altre percussioni improbabili), mentre il terzo era Massimo Luca, uno a cui poi capiterà di scrivere Goldrake, ma qui sembra Hendrix. Si perché fin da questo album si nota una tendenza di Michelangelo Romano, il produttore che accompagnerà Vecchioni in tutta la sua fase di affermazione definitiva: quella di associare a ogni uscita uno o più brani arrangiati con uno stile decisamente riconoscibile, e sempre diverso. Così, abbiamo il Vecchioni sorrentiano, hendrixiano, younghiano, pinkfloydiano, branduardiano, eccetera.
Inutile dire che anche questo LP vendette pochissimo, e non andarono troppo meglio i due successivi (quello del 76 è un vero capolavoro): per vedere Vecchioni sfondare, dovremo aspettare Samarcanda. Per campare, intanto, il Professore scrive la soundtrack di Barbapapà (e in qualche brano ci canta pure: fate mente locale, è quello che recita i nomi dei personaggi...). Come al solito, vi propongo il link da youtube con tutte le tracce, e vi invito ad ascoltarle con davanti le mie note brano per brano:
- Intervallo I - Breve introduzione alla tematica del disco - "con la cultura non si mangia ma talvolta ci si muore", che riprenderà molte volte in futuro
- Teatro - Sviluppo della tematica con brano rozzo ma piuttosto riuscito, in cui splende l'arrangiamento scarno e ruvido
- Intervallo II - Riproposizione della strofa del primo brano con una seconda a seguire; in mezzo, una lunga schitarrata hendrixiana di Massimo Luca
- Il re non si diverte - Tema classico (le citazioni letterarie stanno a Vecchioni come le buche alle strade di Roma) sviluppato in "nove minuti nove" con la musica che cambia con le situazioni: è il brano più prog, e il più bello
- Giuda (se non hai capito...) - Sposa la tesi già dei vangeli apocrifi, e dell'allora fresco Jesus Christ Superstar, secondo cui dalla premessa logica dell'onnipotenza e onniscienza di Dio non può non dedursi che la vera vittima dei vangeli è il povero iscariota ("e ti serviva un uomo da usare e buttar via appeso ai nostri buoni così sia") - Da notare il duello di bonghi finale tra Esposito e chissachì
- Messina - Per uno di Reggio Calabria lo stupore di vedere una canzone intitolata alla città dirimpetto fu tanto, ma niente paura: viene citata come metafora di "sentirsi fuori luogo" - Anni dopo scoprirò che anni prima Modugno aveva intitolato una canzone proprio a Reggio Calabria, dal cui ascolto sia la mia città che proprio Messina ne escono decisamente meglio
- Ninna nanna - Altro tema ricorrente in Vecchioni: il rapporto con la madre - Il capolavoro, Madre appunto, arriverà qualche anno dopo
- Sabato stelle - Si chiude con la ripresa in soggettiva de I pazzi sono fuori dell'anno prima: il dialogo con una ragazza ricoverata in manicomio (si, c'erano ancora) - L'arrangiamento di questo brano come dei due precedenti è meno anticonvenzionale dei primi 4, come se già ci stessimo avviando alla cifra stilistica del Vecchioni successivo.
Nessun commento:
Posta un commento