Ho fatto appena a tempo a lasciare la mia terra natia, un giorno in più ed avrei assistito a una quasi-alluvione. E' piuttosto tipico dalle mie parti che a fine agosto, primi di settembre, arrivi un acquazzone ad apparentemente "spezzare" la stagione. Dico apparentemente perché invece più a nord la stagione viene davvero spezzata, e perché invece da noi poi torna il bello e si fanno i bagni migliori, a settembre tutti, a ottobre tanti regolarmente, a novembre se va bene i più coraggiosi. E' altrettanto tipico, perchè la terra è riarsa i tombini ostruiti le strade tutto sommato non costruite per affrontare pioggie copiose come quelle di posti ben più piovosi eccetera, che questo primo acquazzone crei qualche problema: allagamenti di strade e cantinati, fango, detriti, qualche franetta e buca specie nelle frazioni montane o vicino al mare. Succede anche altrove, e allora dov'è la notizia?
Intanto nella misura del fenomeno, un vero e proprio flash-flood che ha visto in due ore rovesciarsi su alcune zone della città la pioggia che ci cade in quattro mesi. Poi, nelle conseguenze sul territorio, che solo per fortuna non sono state tragiche, come dimostrano ad esempio questo reportage fotografico e questo video. Sotto il primo aspetto, è proprio il termine che ci deve far riflettere: è americano, inventato apposta per questi acquazzoni che fanno danni da alluvione, la cui comparsa negli ultimi decenni (prima c'erano solo i due fenomeni distinti), e con crescente frequenza, prova una volta di più i cambiamenti climatici in atto sbugiardando i negazionisti anche illustri. Il secondo, a quasi un anno dalla tragedia sul versante messinese, ci ricorda brutalmente quali sarebbero le priorità per l'area dello Stretto: riassesto idrogeologico di un territorio violentato, altro che ulteriori violenze sotto forma di ponte e strade e ferrovie d'accesso allo stesso.
Non mi stanco di ripeterlo (e parlo per Reggio solo per averne conoscenza diretta, ma di Messina si può dire lo stesso): la città distrutta dal sisma del 1908 ha retto benissimo a due eventi di oltre 5 gradi Richter (del livello di Friuli, Irpinia o L'Aquila, per intenderci) negli anni 70, perché nei decenni precedenti si era costruito secondo piani datati ma saggi e con criteri antisismici. Oggi, dopo 30 anni di condoni edilizi (per non parlare delle opere pubbliche e delle costruzioni scriteriatamente autorizzate), con le colline che poi sono pendici dell'Aspromonte sfregiate nel profilo da infinite costruzioni abbarbicate sulla sabbia e mai ultimate all'esterno (ma con interni lussuosi, potete giurarci), a fare da contraltare ad analoghi edifici sui greti più o meno irregimentati dei torrenti, non credo che un terremoto di quell'entità si risolverebbe con solo tre morti di paura come a gennaio 1975. E se la pioggia torrenziale decide di continuare per giorni e giorni come ad esempio nel 1953, non so quante di quelle case resisteranno a monte piuttosto che scivolare a valle.
L'ultimo bagno prima di partire l'ho fatto snorkelando tra i resti dei paesi inghiottiti dal maremoto del 1908, l'ultimo sguardo dalla tangenziale è sempre per quello skyline che sembra Beirut dopo il passaggio degli israeliani. Poi quando succedono le cose diciamo che è fatalità. Com'era il proverbio? Chi semina vento...
domenica 5 settembre 2010
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