giovedì 25 novembre 2010

LE NINFEE LO STAGNO E LA STORIA DELLE COSE

Monet, Lo stagno delle ninfee e il ponte giapponese
Cosa c'entrano la scuola, la Norvegia, l'Irlanda, le cose, Vendola e JFK? Due sono stati europei, Kennedy era di origini irlandesi, sia lui che Niki da piccoli andavano a scuola, e poi? Non sforzatevi oltre, perché il filo logico che intendo seguire oggi è già arduo di suo, e questo è uno dei lussi che può permettersi chi controinforma per diletto perché per fortuna la pagnotta se la guadagna altrimenti: guardare il counter per curiosità e non per capire se oggi mangi.
Dato che il consumismo è onnipervasivo, sono sicuro che non tutti i miei comportamenti siano irreprensibili da questo punto di vista, o in altre parole che anche il mio tipo sia un target, per quanto difficile, per i guru del marketing. Ma da ragazzino avevo le toppe ai pantaloni, soltanto un paio di scarpe chiuse da riacquistare a crescita piede o a consunzione, e d'estate un solo paio di sandali, poi un paio di jeans quattrostagioni, un "eskimo innocente" per tutto il liceo, mai una lira in tasca, eccetera; così oggi fatico a buttare un paio di scarpe, e anche per questo non compro mai cose di moda, ma solo quando irrimediabilmente scassate "quelle nere" ne compro un'altro dello stesso colore, possibilmente comode e indistruttibili, e questo esempio vale per la maggior parte delle cose: mi devo fare violenza per gettare un oggetto qualsiasi, ed emergo trionfante dallo sgabuzzino quella volta su un milione che questa mania è servita. Insomma, non ho una discarica in casa solo per via dei numerosissimi traslochi, ciascuno occasione di un provvidenziale reset. Ma uso un trench dell'89, e l'abito che indossai al matrimonio di mia sorella nell'86 è ancora in armadio, hai visto mai dimagrisco.
Ricordo l'austerity del "73 con nostalgia come tutte le cose che si vivono da bambini, o era davvero bello girare a piedi in bici o coi pattini per le città forzatamente senza auto la domenica? Mi faccio domande del genere quando sento parlare i teorici della decrescita, o quando leggo cosa sta succedendo in Grecia o in Eire... Se guardiamo a quanto poco tempo è passato dall'adesione all'area Euro e dall'universale meravigliata considerazione con cui veniva visto il boom della appunto cosiddetta "tigre irlandese", viene da chiedersi però, più seriamente, dove è l'errore e com'è possibile che analisti politici ed economici di professione non l'abbiano previsto. Tanto che a questo punto il dubbio atroce è: se lo avessero previsto, e quindi il disastro cui assistiamo non sia un sottoprodotto imprevisto bensì il vero obiettivo di un'azione mirata?
Andiamo con ordine, sia pure a grana grossissima perchè questo è un post su un blog e non un trattato storico. L'umanità ha vissuto per decine di migliaia di anni sul pianeta di quello che ci trovava sopra: una fase che trova memoria in molte religioni come paradiso perduto. La cosiddetta civiltà inizia con la relativa scarsità, e con essa iniziano alcuni millenni di stanzialismo, patriarcato, guerra, politica. Ma anche se la vita vi resta una dura lotta quotidiana, ancora quel mondo garantisce in qualche modo il sostentamento a tutti i suoi figli, assieme ad una relativamente estrema ricchezza a ristrettissime élite. Le cose cambiano solo quando la tecnologia consente di sfruttare le risorse fossili del pianeta (il carbone prima del petrolio) per creare energia sufficiente a trasformare il modo di ottenere le cose, e con esso le cose stesse e l'organizzazione sociale intorno ad esse. Questa fase dura da meno di tre secoli, un battito di ciglia nella storia dell'uomo. E sta mostrando la corda, per una questione di mera fisica dei sistemi: la terra è un sistema finito, per spazio fisico e risorse, e non è possibile che un modello a sviluppo lineare non incontri i limiti sistemici, più prima che poi. Come nell'indovinello delle ninfee e dello stagno: se raddoppiano ogni giorno, e impiegano dieci giorni a riempirlo tutto, quanti ne impiegano a riempirne metà? Non serve affannarsi in calcoli: nove, e se fossero cento novantanove, i limiti sistemici fanno così, si mostrano in tutta la loro drammaticità sempre all'ultimo momento. Così in questi tre secoli, le teorie sul mondo e la società, in altri termini le idee politiche, si sono polarizzate attorno a due ceppi, divisi a valle ma non a monte, cioè con idee diverse su cosa fare ma la stessa matrice culturale figlia di quella rivoluzione tecnologica: capitalismo e comunismo. Due etichette che potremmo sostituire con mercato e stato, destra e sinistra, taylorismo e marxismo, nazionalismo e socialismo, liberismo e statalismo, monetarismo e keynesismo, a piacere, non cambierebbe niente. La questione è che entrambe le visioni funzionano solo in un mondo che può continuare a crescere sempre, un utopico stagno infinito.
Certo, la dialettica tra queste due pulsioni della modernità non è priva di cause e di conseguenze. Le contraddizioni insite nel capitalismo, infatti, hanno provocato problemi a fiotti che mai avrebbero trovato una soluzione, per via del naturale egoismo umano, se dall'altra parte non ci fosse stata una tensione ideale e pratica: questo meccanismo può essere facilmente utilizzato per leggere tutta la storia moderna, dallo svuotamento traumatico delle campagne per costruire il sottoproletariato urbano alle lotte per il salario e l'orario di lavoro limitato, dal colonialismo con annesse guerre mondiali per il controllo delle risorse alla costruzione del welfare state per la loro parziale redistribuzione, tutto può essere letto come risultato del tira e molla di questa lotta. Fino a quando, morto il socialismo reale, il capitalismo ha potuto credere di essere l'unico sistema possibile, l'unico giusto: allora, libero di scatenare tutto il suo potenziale distruttivo, tramite neoliberismo prima e neocolonialismo mascherato da globalizzazione dopo, ha portato in soli vent'anni il mondo sulle soglie della catastrofe.
Figlio di questo delirio di onnipotenza, è in atto un piano consapevole, favorito dalle tendenze "naturali" del mercato, di riduzione progressiva dell'area del benessere a una élite sempre più ristretta: l'obiettivo è un mondo che garantisca a queste estrema ricchezza stavolta assoluta e del tutto incurante del sostentamento anche minimo di tutti gli altri, cosa credete che siano, se no, le continue riforme delle pensioni, lo scippo delle liquidazioni, il collasso della sanità pubblica, l'attacco all'istruzione pubblica, le privatizzazioni di tutto (perfino l'acqua), la precarizzazione del lavoro, l'approccio poliziesco all'immigrazione finalizzato alla schiavitù, eccetera? Questi studiano, le sanno le cose, e mentre la decrescita "felice" è un tema da carbonari del web, mentre il resto dei sudditi è stato dealfabetizzato per via televisiva e viene tenuto buono con la paura e la propaganda (scena madre, l'11 settembre 2001: la verità si saprà forse tra qualche decennio, come nel caso Kennedy), lo scenario di riferimento dei piani delle élite economiche mondiali è (esattamente come nella metafora di 2012 di Emmerich), dato che le risorse del pianeta non consentiranno affatto il mantenimento del tenore di vita occidentale nè a miliardi nè a centinaia di milioni nè nemmeno a decine di milioni di persone, il livellamento in basso del tenore di vita per tutta l'umanità per poterne mantenere uno elevatissimo in pochi. La decrescita felice, insomma, c'è già qualcuno che la persegue da decenni: felice per una cerchia ristretta e infelicissima per tutti gli altri.
L'unica nostra possibilità di scampare a questo destino è acquistarne consapevolezza presto, e trasformare la cosa in azione politica prima che si formalizzi, e prima o dopo succederà, l'abbandono anche formale della democrazia come forma di governo, come tappa finale di un rimaneggiamento sostanziale che abbiamo sotto gli occhi da tempo. Liberarsi del regime berlusconiano è solo il primo passo, e ha ragione Flores d'Arcais ("da Fini a Vendola") bisogna percorrerlo anche con compagni di strada scomodi. Ricostruire un pensiero "di sinistra" è il secondo, e niente ha a che vedere - come bene dice Carlo Bertani - con le manovrine di vecchie facce e vecchi simboli in corso. Altrimenti passeremo dalla padella Berlusconi alla brace Montezemolo, schiavi di un potere economico-bancario-finanziario che non ci lascerà scampo. E in questo pensiero devono esserci idee nettamente diverse da quelle attualmente universalmente condivise su moneta (ecco cosa c'entra la Norvegialeggiamo questo rapporto e passiamo parola), debito pubblico e privato, istruzione e ricerca pubbliche, crescita e sviluppo (dePILandoci) e rapporto con le cose. Cominciando - come sempre bisogna fare - da se stessi, col recuperare la relazione con gli oggetti che era considerata normale fino a 30 anni fa, e fu tragicamente abbandonata in Italia proprio con la Milano da bere del compare dell'imbonitore che impazza da sedici anni, facendoci scordare la storia delle cose.

Nessun commento:

In evidenza

DEFICIENZA, NATURALE

Dell'argomento AI ne abbiamo già parlato come di uno di quei pericoli gravissimi verso i quali sarebbe opportuno porre argini non appen...

I più cliccati dell'anno