mercoledì 10 novembre 2010

DA ZERO

Dopo il crollo di Pompei che forse costerà la poltrona al ministro-poeta Bondi, il responsabile dei Beni culturali che con un lapsus si è dichiarato non responsabile, Repubblica ha lanciato una "sfida" ai propri lettori: documentare fotograficamente i monumenti - naturali o di fattura umana che siano - che sono a rischio per incuria abbandono o peggio aggressione nell'Italia del 2010. Ho cominciato a sfogliare qualche foto ma non ho potuto esimermi di sfogliare l'intera raccolta (12 gallerie da 25 foto ad ora, centinaia di segnalazioni, chissà a quanto arriveremo), tanta era la rabbia e lo sconforto che montavano immagine dopo immagine. Fatelo anche voi, e poi ne parliamo.
...
Fatto? e dunque...
Ogni tanto dimentichiamo che in uno sputo di terra come il nostro Paese, che non fosse per la forma originale che si staglia nel mare nemmeno si vedrebbe nel mappamondo, ci sono chi dice i due terzi chi i tre quarti, comunque sicuro la maggioranza assoluta dei beni culturali esistenti sul pianeta. Lo dico meglio: forse il 75%, probabilmente il 66%, sicuramente almeno il 51% della bellezza concreta durevole che la cultura umana ha saputo produrre in tutta la sua storia si trova concentrata nello zeroqualcosapercento della superficie che ha calpestato. E' esagerato affermare, allora, che un qualunque popolo meno sciagurato di noi, non dico gli svedesi o i giapponesi, avesse una frazione di una tale fortuna, la sfrutterebbe al punto di camparne quasi esclusivamente?
Lo avessero i tedeschi, la metà dei loro giovani studierebbero all'università materie che hanno a che fare con un tale patrimonio, certi dello sbocco occupazionale relativo. E la spesa pubblica sarebbe concentrata al suo recupero, mantenimento, restauro e sfruttamento turistico, per la cui via ci sarebbe una grossa fetta del ritorno economico, e il resto recuperato fiscalmente (i redditi diretti degli occupati nel settore direttamente e tramite il turismo, più quelli di un gigantesco indotto, più quelli innescati dai consumi di questi percettori, producono gettito). Con un forte rilancio della microproduzione elettrica nelle energie rinnovabili, che si pagherebbe da solo con gli stessi meccanismi, potrebbe già oggi bastare a risolvere molti dei nostri problemi. Ma la miopia di tutta la nostra classe dirigente, espressione della miopia acuta di troppi di noi, ci impedisce di imboccare questa strada oggi: basti pensare che su questi temi il programma del principale partito di opposizione e quello del principale partito di governo alle scorse elezioni erano praticamente sovrapponibili. Ma storicamente noi italiani diamo il meglio nelle situazioni di emergenza, come si vede anche nella più efficace metafora del nostro animo profondo e unica passione condivisa trasversalmente a tutti i livelli, il calcio. Per cui, anche volendo dare per scontato che un default economico mondiale sia alle porte, e che la decrescita si imporrà per natura non avendo saputo nessuno indurla per governarla, ci sarebbe quasi da essere ottimisti: in un mondo costretto a ripartire da zero, noi ripartiremmo da quel 51-forse-75. E in un'economia nuovamente ancorata al lavoro anziché alla moneta, saremmo potenzialmente tra i più ricchi.
Ma se io adesso uso il condizionale e non il futuro, purtroppo non è perché io nutra soverchie speranze che il default non si verifichi, tutt'altro: sono certo dell'an anche se non del quandum (dico bene, avvocà?). E' perchè zitti zitti gli scagnozzi del "Presidente del consiglio più grande degli ultimi 150 anni" hanno approvato nel frattempo una robina passata inosservata anche per via dell'etichetta magistralmente scelta, che contiene la parola magica bipartisan del ventennio in corso (federalismo) accoppiata all'innocuo aggettivo "demaniale": se va in porto, quando arriva il default la maggior parte dei beni culturali e ambientali di maggiore valenza economica saranno stati svenduti da tempo ai soliti noti. Ecco un'altra delle funzioni del controllo completo dell'informazione generalista: tenere la gente occupata dal chiacchiericcio attorno a porcherie più appariscenti che dannose per poter fare quelle vere senza che nessuno se ne accorga. Così, al prossimo "dopoguerra", senza nemmeno uno straccio di piano Marshall, non potremo nemmeno ricominciare da tre (quarti dei beni culturali mondiali).

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