Non ho figli, non guardo la televisione e non credo in Dio, tutti sentieri che gli uomini calpestano per rendere la loro vita più semplice. I figli aiutano a rimandare l'angoscioso dovere di affrontare sè stessi, compito a cui in seguito provvedono i nipoti. La televisione distrae dalla massacrante necessità di fare progetti a partire dal nulla delle nostre frivole esistenze e, ingannando gli occhi, solleva la mente dalla grande opera del senso. E infine Dio mitiga i nostri timori di mammiferi e l'insopportabile prospettiva che i nostri piaceri un giorno abbiano fine. Quindi io, senza futuro nè prole, senza pixel per stordire la cosmica consapevolezza dell'assurdo, certa, invece, della fine e della previsione del vuoto, credo di poter affermare che non ho scelto la via della semplicità.
C'è un aggettivo al femminile che mi tradisce, altrimenti avrei potuto intortarvi che questa cosa l'ho scritta io, tanto corrisponde al mio pensiero. Invece è un brano riportato da pagina 170/171 de "l'eleganza del riccio": come sempre capita in questi casi - non è la prima volta che mi accade, e non credo nemmeno di essere originale - ho sussultato. E ho deciso che amavo quel libro affrontato per caso dopo averlo snobbato come sempre faccio con tutti i bestseller: non ho ancora letto un giallo di Faletti nè la trilogia di Millennium, e Il nome della rosa l'ho letto tipo venti anni dopo, anche se poi ho pagato pegno affrontando di seguito, sulla stessa spiaggia nella stessa estate, Il pendolo di Foucault.
Adesso ho saputo che esce il film, a gennaio, e ho già iniziato ad aspettarlo.
So bene che potrebbe non importarvene nulla, ma un blog è anche questo, no? Ci fosse un altro snob tra i lettori, adesso si andrebbe a procurare il libro in questione, e io gli avrei fatto un regalo...
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