Fate un esperimento. No, ve lo faccio dire direttamente da dove ho preso lo spunto, il sito storiadellamusica, e precisamente questa recensione di Pier Paolo Farina:
Stiamo parlando di Selling England by the pound, un gioiello fin dalla copertina, sia per la grafica sia per la pregevole traduzione dei testi in italiano che conteneva (e siccome vi voglio bene, ve l'ho cercata e trovata, eccola): come per altri vinili, guardarla e maneggiarla era un piacere, leggerla un valore aggiunto all'ascolto che ne favoriva il moltiplicarsi e l'approfondimento. Ma quest'opera è di valore così elevato che non è necessario appellarsi alla (qui frequente) evocazione del mito del vinile per renderla appieno (tra l'altro, qui siamo ai primi anni 70, ero un bambino, i Genesis li ho scoperti in radio con gli album della prima era dopo-Gabriel, per me questo è stata già una scoperta archeologica...): basta l'ascolto "contemporaneo", a rendersene conto. Eccovi allora il consueto link a youtube per l'intero album, e di seguito la (corta, vista anche la durata dei brani, e sintetica, perché l'ascolto rende inutile ogni parola) consueta tracklist commentata:Ho sperimentato più volte, con immenso piacere, l’effetto che il primo ascolto di quest'album può creare ad un quindicenne a digiuno di buona musica. Non capita a tutti, certamente, ma vedere ogni tanto una giovine mandibola bloccarsi e gli occhi farsi vitrei, come davanti ad un nuovo mondo che si sta dischiudendo, è sempre consolante. Uno su mille ce la fa.Fatelo, perché a parole non c'è modo di spiegarlo, quanto è distante il livello qualitativo della produzione musicale di una certa epoca da quello attuale; invece con l'ascolto di uno dei vertici assoluti, questo mitico album dei Genesis (quelli "veri", che chi ha meno di 50 anni più probabilmente ha conosciuto direttamente quelli "finti" - e già qui su un forum di seguaci mi troverei osannato da metà e fischiato dall'altra metà) che entra sempre nella cinquina finale, di chi lo conosce, nel solito giochino di quale disco di porti nella classica isola deserta. E spesso vince.
- Dancing with the Moonlit Knight - Attacca con la sola voce, e ti colpisce al cuore. Anche dopo 40 anni di ascolti, ovunque ti capita di sentire questo incipit, ti fermi, molli tutto, e non te ne vai prima che passino gli oltre 8 minuti che dura (ma nelle radio di oggi, non capiterà mai).
- I Know What I Like (In Your Wardrobe) - Il primo pezzo pop dei Genesis, il primo a farli conoscere al grande pubblico e mettergli in tasca qualche lira. Ma la distanza dal pop come lo conoscete oggi è abissale.
- Firth of Fifth - L'attacco in pianoforte è da allora il banco di prova di chiunque si accosti allo strumento, musica classica a parte. E' così difficile da fare bene che dopo una defaillance il suo stesso estensore non lo ha più eseguito in pubblico, così sollevando anche le mille cover e tribute band che anch'esse propongono la versione "tagliata" nascondendo l'inadeguatezza del proprio tastierista dietro la scusa che hanno scelto la versione live corrente. Io l'ho sentito fare perfettamente da Sergio Cammariere, per dire. Il brano, oltre 9 minuti e mezzo, ha l'andamento "circolare" di molta produzione progressive e jazz: il tema iniziale viene abbandonato e la musica prende strade imprevedibili, ma a un certo punto torna e tu capisci come anche tutta la roba in mezzo in realtà si era allontanata solo apparentemente.
- More Fool Me - Prova generale del passaggio di consegne tra Gabriel e Collins, canta quest'ultimo perché al primo non piaceva. Ma è sempre molto meglio della deriva pop a cui porterà la band l'ineffabile Phil negli anni a venire...
- The Battle of Epping Forest - Suite pretestuosa e complessa, faticosa da seguire, nei suoi quasi dodici minuti. Ma forse il giudizio sarebbe migliore se solo non fosse "circondata" da altre suite che sono veri capolavori assoluti.
- After the Ordeal - Intermezzo strumentale che, per i motivi appena detti, pare minore. Magari la trovassimo in un qualunque disco del 2019...
- The Cinema Show - Un capolavoro assoluto, senza le vette di Firth of Fifth, forse, ma in grado di tenerti inchiodato per oltre undici minuti senza cadere mai d'intensità.
- Aisle of Plenty - Chiude il tutto con una ripresa, breve e sommessa, del tema iniziale. A conferma della circolarità "progressive" dell'intero album. Da ascoltare quindi per intero, come una lunga unica suite esso stesso.
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