lunedì 25 novembre 2019

DUE DI PIQUE'

Città del Messico, in 42000 ad un match di tennis, amichevole ma organizzato bene
Può anche essere che uno nasce incendiario e muore pompiere, ma stavolta non parlo perché con l'età sono diventato conservatore. Parlo di tennis, infatti, e parlo da appassionato praticante dello "sport del diavolo", l'unico coi punteggi architettati in modo che non sei mai sicuro di aver vinto se non hai vinto: puoi perdere anche da 6-0 5-0 e match point, è rarissimo ma è successo. Già i ritocchini per "televisivizzarlo" del NextGen quando impattano sul punteggio sono da rigettare con sdegno: i set a 4 e il killer point infatti snaturano questo sport, lo "sdiavolizzano" alquanto, in peggio superati solo dal supertiebreak al posto del terzo set che per fortuna per ora è relegato ai doppi. Ma in fondo quello milanese è un torneo sperimentale, neonato, e queste sono proprio le occasioni in cui testare novità per poterle valutare con calma al fine di con calma portarle al regolamento generale: come è accaduto col timer per servire e io magari auspicherei con il "falco" giudice di linea. Non si può usare lo stesso metodo con uno dei tornei più antichi non solo di questo, ma di tutti gli sport. Eppure con la Coppa Davis è stato fatto di peggio.
Faccio un passo indietro, e mi sforzo, visto che fin qui non l'ho fatto, di usare un linguaggio comprensibile anche dai non tennisti o filotali. E' successo che un giocatore di calcio ancora in attività con una carriera da manager già avviata sia riuscito a raccogliere una massa di soldi enorme attorno al progetto di riformare, anzi rivoluzionare, un trofeo con 119 anni di storia. Coi soldi, si sa, e oggigiorno poi, si può fare tutto, ma qui come altrove "lo sterco del demonio" non può nulla se non lo sai impiegare. E un "pallonaro" è la persona meno adatta, a mettere le mani nel tennis. Sarebbe come se Federer si mettesse in testa di riorganizzare i mondiali di calcio (scommettiamo che se volesse riuscirebbe a raccogliere i soldi necessari all'affare?) e però senza rispettarne lo spirito: che so, stabilendo che vince chi arriva prima a 4 gol con due di vantaggio e quanto dura dura, ma coi rigori sul 4 pari, e che si gioca tutto in tre stadi coi match a seguire, e tutti i giorni (mai capita sta storia che i calciatori se giocano il mercoledi sono stanchi la domenica: a parte i tennisti, che per vincere un torneo giocano almeno un paio d'ore ogni giorno anche a livello amatoriale, basta guardare il mazzo che si fanno in giro per gli USA i cestisti NBA, o i ciclisti nelle corse a tappe, per sbottare che va bene che il calcio non è uno sport, ma almeno i professionisti per quanto li pagano e per come dicono li allenino dovrebbero poter giocare senza problemi minimo due o tre volte a settimana).
Il torneo visto a Madrid, ha ragione Panatta, a livello di organizzazione sembrava il challenger di Tirana, con tutto il rispetto per la capitale dell'Albania: due soli campi e mezzo, orari affastellati, incontri che finiscono all'alba, la possibilità di ritirarsi regalando set e punti agli avversari così dimostrando l'assurdità dei gironi a tre con ripescaggio delle 2 migliori seconde, eccetera eccetera. Insomma, tutto il peggio delle fesserie che fino ad oggi si erano viste solo nel calcio, oltre che negli altri sport di squadra quando cercano di scimmiottarlo. Una cosa ridicola, che porta il nome glorioso di una manifestazione che magari aveva dei problemi, ma piccoli aggiustamenti sarebbero bastati e avanzati a risolverli. Con la ciliegina sulla torta di un sacco di commentatori televisivi, e di protagonisti diretti, che arrampicandosi sugli specchi elogiavano la novità sostenendole l'inevitabilità, lasciando immaginare i diversamente (in assoluto) ma ugualmente (in relativo) lauti compensi elargiti più o meno palesemente, ad accrescere il senso di vomito.
Non so quanti soldi abbia raccolto Piquè per convincere l'ITF a cedergli il pacco e riuscire a realizzare questo obbrobrio garantendosi l'adesione di alcuni dei giocatori più forti (non tutti, il re e il suo delfino erano in giro per il sudamerica a spassasserla incassando borse paperoniche ma in cambio costituendo per il tennis un veicolo di promozione incredibile - basta guardare lo stadio di Città del Messico per credere, ma è stato un trionfo ovunque si sia giocato), né quanti ne abbia incassato di diritti televisivi e pubblicità. Ma chi fa le cose a pene di segugio prima o poi la paga: intanto gli spalti erano da mezzi vuoti a desolati (quando non giocava la Spagna: gli ha detto bene che è arrivata in fondo, insomma), fino a praticamente deserti per gli incontri che finivano di notte (e ti credo: per quanto avesse pagato il biglietto, per quale ragione uno spagnolo doveva svegliarsi rinco il giorno dopo per vedersi tutto il doppio inutile tra due squadre di cui non gli fregava niente?). E poi vediamo passata la novità e il battage relativo quanti soldi raccatta da TV e sponsor negli anni a venire, se non torna sui suoi passi apportando cambiamenti sostanziosi che rifacciano assomigliare la manifestazione a un evento tennistico (massima concessione ammissibile? una final four al posto della vecchia finalissima, e il resto tutto uguale a prima, che era una meraviglia vedere stadi pieni in posti dove non si organizzano tornei ATP, e carneadi che se la giocavano alla pari tre su cinque contro campioni talvolta persino battendoli, spinti dal tifo).
Infatti, quello che dimenticano Piquè e i suoi compari, quando si vantano del relativo successo (ingigantendolo e osando sbeffeggiare gli dei) della loro manifestazione che ha stravolto un mito, è che quel poco di straccio di successo che hanno avuto, l'hanno avuto proprio e solo perché hanno potuto usare il nome "coppa Davis", con tutto quello che evoca nella mente di chi l'ha conosciuta. Se il misfatto avesse la ventura di durare abbastanza da far sbiadire la memoria della vecchia Davis, il fallimento della nuova già oggi latente diverrebbe clamoroso. Meglio mollare subito e tornare al tuo caro pallone, sentiammé, ti conviene.

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