domenica 4 febbraio 2024

RADIOCIXD 69 - PERICOLO GIALLO

La settimana di Sanremo impone di parlare di musica, rispolverando una rubrica, Radiocontroinformoperdiletto, giunta al sessantanovesimo post ma ferma da un po' di tempo, per ragioni implicite nella sua natura. Consta infatti di recensioni dal taglio decisamente personale di dischi per me storici, con rarissime eccezioni di playlist o di dischi in uscita, per cui gli è che semplicemente a un certo punto ho finito la lista, o quasi, e vi ho parlato di altro.

In questi giorni però sarete, saremo, bombardati dall'argomento, ed essendo difficile sottrarsi ci entro dentro a modo mio, a gamba tesa, recensendo un album di Giorgio Canali & Rossofuoco. Il ragazzo è noto ai cultori del genere per aver militato nei primi Litfiba poi nel percorso CCCP-CSI-PGR, esauritosi il quale ha però continuato nel solco con un suo gruppo. Scelgo lui, oltre che perché l'album è uno dei migliori dischi italiani del 2023, uno dei pochi buoni, anche perché mi consente di fare un discorso generale, agganciandomi, come al mio solito fuori tempo, alla tematica "quanto sono rock i Maneskin" che proprio da Sanremo iniziarono il loro decollo.

Anche a me ha fatto piacere sulle prime, infatti, che a vincere il festivalone fossero stati dei ragazzi che venivano dalla strada e la cui musica "suonava" rock. Ma, citando proprio Giovanni Lindo Ferretti, bisogna sempre ricordarsi di distinguere tra "forma e sostanza", anche nell'appiccicare etichette che possono sembrare scontate. Ci giocava Celentano, peraltro uno dei primi a portare in Italia il rock, in uno dei suoi celebri show tv, con le etichette di "rock" e "lento" attribuite alla qualunque. Ma anche se non si poteva essere d'accordo nel dettaglio con le sue scelte, sull'idea non c'è da scherzare: si può "arrangiare" rock un qualcosa che di anima rock non è, e può avere anima rock anche qualcosa che suona melodico e triste. Quasi tutto Luigi Tenco, per esempio, e per lo spirito della sua produzione non per la morte da rockstar.

Per chiarire meglio, occorre guardare da qualche passo indietro. Gli USA per soppiantare la madrepatria nel ruolo di imperatore del pianeta hanno messo sul piatto qualche milione di morti tra i loro ragazzi di due generazioni distinte, in due guerre mondiali. Nasce così la prima generazione "ribelle" verso i padri, e con essa il rock'n'roll. Così sbarazziamo subito il campo da un altro equivoco: la spensieratezza dei testi, la voglia di divertirsi, nel contesto giusto è "rock" tanto quanto l'impegno e la cultura del "messaggio" nei testi quando il contesto è un altro. Elvis ancora ci va, a fare il soldato, e ci fa pure i film sopra. Ma poi arriva il Vietnam, e la musica cambia, in senso proprio e in senso lato.

Per un paio di decenni, il rock in questa accezione, vestito da enne genere musicali diversi (dal blues all'hard, dal funky alla canzone d'autore, dal progressive al punk, ma l'elenco è onnicomprensivo e include anche tutti i mix possibili), domina. Finché le logiche insite del capitalismo, che è bene ricordarlo sono sistemiche (funzionano da sole, non serve postulare grandi manovratori occulti), non sono riuscite a inglobare anche "i giovani d'oggi" in una categoria di marketing: l'abbigliamento, col passaggio negli anni 80 dal casuale al casual, è un paradigma estensibile a tutti gli altri campi.

Negli anni 90 c'è stato l'ultimo tentativo di controcultura dal basso, i ragazzi delle ultime generazioni semplicemente hanno rinunciato, forse sordamente consapevoli di essere pochi e deboli, forse troppo bene imbrigliati nel loro ruolo di target da un mercato che con l'avvento di social e smartphone li arruola fin da piccoli. Fatto sta che si bevono le narrazioni ufficiali come acqua, e niente fanno per strappare alla musica il ruolo di entertainment che gli è stato affidato. Entertainment è il termine anglofono per industria dell'intrattenimento, del divertimento, ed è di una precisione terrificante, evocando gli stupri di gruppo o peggio gli allevamenti intensivi di animali che crescono fruttano e muoiono senza nemmeno sospettare che esista almeno in teoria una vita da liberi. E purtroppo tutto ciò nella loro musica traspare, e non solo in quella dei tanti giovani che ormai da anni passano da Sanremo o da altri format televisivi imperanti (non a caso ricorrentemente osmotici gli uni con l'altro), mentre "quando c'era il rock" andare a Sanremo era quasi considerata una "resa", e anzi pure guardarlo.

Per queste e altre ragioni, nella settimana del festival io vi propongo l'ascolto, e l'ascolto integrale (qui la tracklist completa) come si usava ai tempi del vinile, di un album di un ragazzo di 65 anni, lui si rock e lui si giovane. Come dimostra il testo di Inutile e irrilevante o quello di C'era ancora il sole, come racconta bene questa recensione che ho trovato, e come potrete facilmente constatare ascoltando con attenzione (se la ascolti distrattamente è la musica che ascolta te...) il tube del full album qui appresso. Magari ci fosse in giro un ragazzo che canta roba così, o anche solo uno che ascoltando questo "vecchio di merda" (come Canali si autodefinisce e forse ormai dovrei anch'io) gli fa un click la testa e gli viene voglia di "contagiare" i suoi amici. Perché triste è il tempo in cui gli antisistema sono sessantenni e non ventenni.

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