mercoledì 13 luglio 2016

UN DISASTRO FIRMATO

Se li lasciamo fare, non si fermeranno finché i "treni
dei poveri" non saranno così anche in Italia, vedrete...
Adesso è facile stigmatizzare l'abbandono totale delle ferrovie periferiche in favore della TAV, come fanno peraltro solo i migliori (i peggiori sono quelli che se la prendono col "fattore umano"). Averlo fatto da anni, invece, ti iscrive di diritto al novero dei purtroppo buoni profeti. Quando manca un quadro normativo e istituzionale che impedisca che la politica diventi o resti solo un modo più spiccio e redditizio di altri di fare fortuna, è ovvio che si scelga sempre di finanziare l'opera faraonica piuttosto che impiegare gli stessi soldi in decine o centinaia o migliaia di opere più piccole e molto più utili alla collettività, perché invece la prima dà visibilità a chi la vara, e per natura consente un margine (già iniziale, e poi levitante in corso d'opera) tale da favorire l'arricchimento indebito dei promotori e dei realizzatori (e non intendo le maestranze...). Ma, per stare sul pezzo, potenziare enormemente la dorsale Roma-Milano e grandemente quelle ad essa strettamente collegate (verso sud solo fino a Salerno, e a nord la Torino-Venezia), e abbandonare o quasi tutte le altre direttrici, per non parlare delle reti locali specie meridionali, significa per un Paese quello che significherebbe per un corpo umano ricostruire in adamantio l'aorta e le altre arterie principali, e lasciare andare in malora il resto del sistema circolatorio: perdere l'uso degli arti a cominciare dalle dita, avere la pelle deturpata dovunque, e prima subire amputazioni progressive poi morire.
Se mai ci sarà un'Italia post era liberistica, quindi se mai ci disfarremo del PD e degli zombie della destra berlusconiana, un nuovo governo del Paese che voglia ricostruirlo dovrà necessariamente partire da qui: grazie anche a leggi draconiane contro la corruzione, e a un supporto incondizionato alla magistratura (in controtendenza a tutte le riforme fatte e annunciate negli ultimi 20 anni), potrà e dovrà usare la recuperata sovranità monetaria per varare un piano di lavori pubblici di medio/piccolo taglio, tra cui non potrà non fare la parte del leone la ricreazione di un sistema capillare di trasporti ferroviari statali sicuri e sovrabbondanti. Treni magari vuoti, che girino in perdita, ma assicurino a tutti, con la stessa certezza che al mattino sorge il sole, che ogni fazzoletto di territorio è collegato a tutti gli altri da mezzi moderni sicuri e dignitosi. Farlo, costerebbe per tutta Italia quanto un solo tratto di inutile TAV. Esattamente come, con gli stessi soldi buttati nella metro C, a Roma si poteva finanziare un piano di trasporti globale che avrebbe risolto definitivamente i problemi di collegamento delle periferie (non sto esagerando: due chilometri sotto il Colosseo costano circa quanto duecento di metro leggera periferica). E dare per sempre ai pendolari di tutta Italia treni comodi puliti e sicuri, meno che fare risparmiare altra mezz'ora agli odiosi manager che infestano coi telefonini la tratta appenninica. Sapevàtelo.
Il fatto che nella fattispecie i soldi per il raddoppio della tratta della tragedia c'erano già, e solo le pastoie della politica (locale e non) li hanno rallentati al punto che quando mai sarà realizzato la cosa suonerà come una beffa, specie ai cari delle vittime, non toglie anzi conferma a maggior ragione che il vero problema è proprio la classe politica, non i soldi. Che l'UE qui aveva stanziato, ma anche quando per anni dice che non ci sono, poi quando interessa a lei, per esempio per salvare il culo (e il portafoglio, lì vicino) ai banchieri, li trova sempre.
Ora è il momento di piangere i morti e domani di accertare le responsabilità, ci dicono oggi affrettandosi a presenziare all'evento mediatico. Ovvio. Ma non dimentichiamo di chi è la responsabilità profonda, e da dopodomani non manchiamo di riversare verso costoro l'odio più profondo, le maledizioni più ancestrali, il rancore più meritato, intanto che ce li togliamo dalle palle per sempre portando al governo chi si propone di invertire la rotta. Poi, se questi non manterranno le promesse, toccherà a loro. Intanto, facciamo piazza pulita di chi non si fermerà prima che il modello indiano di trasporto per la plebe si applichi in toto anche da noi. E non allargo il discorso, che si applicherebbe a tutto, solo perché oggi, purtroppo, si parla soltanto di treni.

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