martedì 18 luglio 2017

CULU CHINU

Per comprendere come funziona l'inconsapevole propagazione della narrazione che ha svuotato di senso la democrazia, basta un giro su qualunque social network. E' pieno di persone degne, alcune addirittura amici fidati, che però senza pensarci troppo "condividono", cioè contribuiscono a far rimbalzare talvolta iperbolicamente, quello che ai padroni del vapore conviene faccia eco. Si fanno, così, untori inconsapevoli di falsa coscienza, correi colposi del delitto di civilticidio. Devono saperlo, è doveroso dirglielo, tentare almeno di fargli capire che sbagliano, poi continuassero pure se gli pare, tu almeno il tuo dovere l'hai fatto.
Occorre un esempio - che poi è stato proprio lo spunto di questo post. Ma prima, occorre un cappello apparentemente personale.
Avete presenti quelle frasi che vi dicono da bambini e vi restano dentro tutta la vita? Una di queste, a noi nipotini, la diceva nonno Luigi, quando facevamo capricci col cibo o non avevamo voglia di qualcosa che magari lui ce l'avesse avuta da bambino. Esclamava "u culu chinu!", il culo pieno, col tono che sottolineava l'intento esplicativo: non foste sazi, grazie a noi, di tutte le cose fondamentali, col cavolo che vi permettereste di fare gli schizzinosi con quelle voluttuarie! Stiamo parlando, in termini assoluti, di un tenore di vita che oggi starebbe molto al di sotto della soglia di povertà, ma per queste cose, presumo lo sappiate, valgono solo i termini relativi: per lui, erano lussi.
Riflettere su episodi come questo dovrebbe aiutarci a riconsiderare il concetto di "superfluo", anche volendo capovolgerne la logica: è il "culo pieno", se vogliamo, a consentire agli esseri umani ogni elevazione, comprese tutte quelle che oggi consideriamo facciano di noi persone socialmente apprezzabili (coltivare amicizie, tenersi in forma, fare sport, leggere libri, andare al cinema, fare beneficenza, avere empatia verso gli ultimi, eccetera). Senza culu chinu queste caratteristiche non si acquisiscono, o, se le si hanno, magari non subito, magari non tutte, si perdono.
Fine del cappello, veniamo all'esempio.
Su facebook un amico A (uno vero) ha postato una vecchia foto in cui una tipa in costume da bagno intero è in posa voluttuosa davanti al muso di un'auto, didascalia "Donna iraniana prima della rivoluzione islamica, 1960", sottintendendo il messaggio "lo vedi che prima che arrivassero gli islamici brutti e cattivi anche l'Iran era un Paese dove la donna si andava liberando, eccetera eccetera?". A commento, altri hanno esplicitato lo stesso messaggio. La narrazione è così condivisa da essere luogo comune, come tante altre del genere. Quando è così, essa viene "data per scontata", non si viene neanche sfiorati dal dubbio che in realtà le cose possano essere andate diversamente. E spesso non si hanno strumenti per saperlo, perché la stessa narrazione impronta sia i libri che l'informazione del mainstream, dove viene trattata come un dato di fatto a valle del quale, semmai, si fanno delle valutazioni.
Se sei diffidente, puoi ricadere nell'errore speculare: dare credito a narrazioni opposte solo in quanto tali, avendo oggettivamente gli stessi strumenti per validarle quanti ne hai per validare quella ufficiale, ma propendendo per le altre solo per via del "pregiudizio di menzogna" che nel tempo ti si è consolidato verso le verità prefabbricate. A me può capitare, ad esempio. Ma in questo caso no.
In questo caso ho la fortuna di avere un amico B (che A peraltro conosce) che non solo è iraniano, ma è anche stato torturato dal regime degli ayatollah, per cui avrebbe tutte le ragioni per aderire alla tesi sottesa dal post. Se la verità non fosse altrove. Dov'è, me lo racconta da trent'anni, da quando l'ho conosciuto e subissato di domande, io giovane italiota impregnato dalla narrazione del "nuovo medio evo in cui Khomeini aveva precipitato la società iraniana".
La dico in estrema sintesi. Gli scià di Persia tra otto e novecento non erano troppo diversi dai sovrani assoluti europei della stessa epoca, e infatti a un certo punto anche loro sono stati diciamo così costretti ad accettare il ridimensionamento a "monarchia costituzionale" se volevano restare in sella. Al culmine di questo processo troviamo, nel secondo dopoguerra, un primo ministro che da un lato costringe lo scià, già Reza Pahlavi, a un ruolo ornamentale Elisabetta's style, e dall'altro mira a redistribuire almeno in parte ai suoi concittadini la fortuna di essere seduti su un mare di petrolio, attraverso la nazionalizzazione di quell'industria. A danno delle multinazionali del petrolio in piena espansione. Mossadeq, in altri termini, voleva quello che un certo Mattei voleva per l'Italia. Avendo più ciccia di lui nel piatto, e alla fin fine più fortuna di lui: deposto da un colpo di Stato a guida CIA e MI5 (pensate, lo dice persino Wikipedia, altro che controinformazione! - accetto scommesse su quando, non su se, l'autoattentato delle Torri gemelle verrà finalmente presentato come tale...), morirà al confino qualche anno dopo, anziché subito in un "incidente" aereo. Con il suo esautoramento, Pahlevi ebbe mani libere per fare del suo Paese un protettorato angloamericano con ponti d'oro ai petrolieri, tanto benessere a pochi, tanto fumo negli occhi a livello di costume, e tanta povertà diffusa. E se non fosse stato così, nessun religioso avrebbe potuto portare tanta acqua al suo mulino nei decenni a venire, fino alla rivoluzione islamica. B sostiene inoltre che anche quest'ultima poté avere luogo solo perché utile agli, e quindi magari agevolata dagli, americani. Ma non occorre seguirlo fin qui, per decidere, la prossima volta, di non indulgere alla diffusione acritica di narrazioni fasulle.
Generalizzando, non è come vanno vestite le donne che fa la differenza. I costumi, da bagno o meno, sono solo un fattore esteriore, che, se non gli corrisponde un progresso interiore, consiste solo in una presa in giro. Ma dirò di più: la stessa cosa vale per tutto ciò che potremmo definire con l'etichetta di "diritti civili", mettendoci dentro la parità tra i sessi, il diritto allo studio, l'egualitarismo, l'antirazzismo e l'accoglienza del diverso, l'individualismo, il divorzio e in genere la progettazione non lineare della vita sentimentale e familiare, il sesso consapevole e l'accettazione sociale di ogni preferenza in materia, insomma tutto quanto quello siamo stati abituati a concepire come il corpus della nostra civiltà, e proteggiamo in ogni modo (linguisticamente con quel processo che definiamo "politically correct": assolutamente da leggere questo post di Lameduck che giustamente ne fa brandelli), ebbene, fino a che c'è la salvaguardia sostanziale dei diritti materiali è un loro naturale corollario che li porta a compimento dandogli senso, ma quando i diritti materiali sono di fatto abbandonati (come nell'Iran degli scià, si, ma come nell'Italia di oggi, e non dico "nell'UE" perché ciò non si verifica affatto dappertutto nella UE: è esattamente su questo terreno che si dimostra quanto il termine Unione sia menzognero, visto quanti figli e figliastri ci sono) resta solo la presa per il culo. Di cui la gente prima non si accorge (o meglio, se ne comincia ad accorgere la parte con meno reddito), poi comincia ad avere sorda consapevolezza, e alla fine si ritrova ad affidarsi mani e piedi a chiunque prometta credibilmente di accontentarla quanto più possibile sul piano materiale, anche se ciò comporta l'adesione a un piano ideologico che noi definiremmo dittatoriale o oscurantista. Succede. Spesso. Ovunque. Nella parabola fascista in Italia e nazista in Germania, ad esempio, oltre che in quella islamista in Iran, e poi altrove con declinazioni ancora più estreme. Conta prima la struttura, e poi la sovrastruttura, diceva un tizio con la barba che non era gesucristo, ma pure quest'ultimo sapeva che non poteva parlare a una folla affamata se prima non moltiplicava i pani e i pesci.
Per tutto quanto questo, cari amici, ricordiamo: tutto il sistema di valori che noi reputiamo "superiore" e definente la nostra "civiltà" non è altro che figlio del benessere che gli USA ci hanno regalato perché non diventassimo comunisti. Ma forse dovremmo dire prestato, giacché da quando non c'è più l'URSS l'ultimo ce lo stanno togliendo pezzo dopo pezzo, l'altro sta svanendo un po' per volta, a cominciare dai meno fortunati e dalle cose più rinunciabili. Quelli che protestano contro gli immigrati assegnati alla tal struttura del loro paesino non sono razzisti, sono poveracci che stanno cominciando a comprendere tramite il buco del culo, in modo del tutto inconsapevole al cervello, qual'è il disegno globalista che li ha messi nel mirino usando altri più poveracci di loro come armi. E una narrazione fasulla, farcita di parole false, come scudo.
Un progetto politico realmente progressista, quindi, dovrebbe avere come obiettivo, antitetico a quelli che stanno attuando il progetto opposto (arricchire i pochi) sotto le bandiere progressiste, di "riempire le pance" dei molti, nel nostro Paese intanto e magari anche nel resto del pianeta. Usi e costumi, a pance piene, in qualche modo (e qualunque va bene: uno vale l'altro) si eleverebbero. E non ci sarebbe più terreno fertile per nessun "terrorismo" e nessun "oscurantismo fondamentalista". Ne consegue che il primo obiettivo di ogni buon progressista dovrebbe essere contribuire in ogni modo alla sconfitta e alla sparizione del PD, dell'Euro e del progetto politico loro padre, quello mondialista governato dalle multinazionali. Ad aiutarli a diffondere le loro storielle, buone per vincere medaglie in piscina come qualche tempo fa l'handicap visivo per vincere Sanremo, ci pensano già quelli (stra)pagati appositamente.

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