domenica 25 novembre 2012

NON MI PERSUADE

Il Maestro Andrea Camilleri mi perdonerà, magari anche considerando che credo di non aver perso nessuno dei suoi libri, ma leggendo notizie come questa o questa l'unico modo per mantenere la calma è ricorrere alla satira. 
....

Sbam!
La porta sbatté contro il muro interno con un frastuono tale che fece sobbalzare il commissario, che così frantumò il cannolo alla ricotta che con una mano stava portando alla bocca, lasciandolo con un po' di crema penzoloni dalle labbra, un po' di briciole in mano, e la maggior parte dell'opera d'arte confezionata da Adelina che lui si era portata in ufficio in caso gli smorcasse il pititto ingloriosamente spalmata sulle carte che Fazio gli aveva portato da firmare.
  • Catarè sul mio onore si trasi n'atra vota accussì ti sparo!
  • Mi scusasse signor Commissario, mi scappò. E' che c'è il signori e guistori che vuole parlare con vossignoria, tutto agitato è!
  • Ho capito, non me lo potivi passari?
  • Nonsi, signor commissario, non potiva.
  • Ih che camurrìa si scassò ancora il centralino?
  • Nonsi, signor commissario, il tilefono funziona, ma il fatto è che il signori e guistori è venuto qui di pirsona pirsonalmente.
Minchia, se Bonetti Alderighi si scomodava per venire al commissariato anziché convocarlo in questura cosa tinta assà doveva essere. Come minimo, una questione di cui dovevano restare all'oscuro Lattes e gli altri collaboratori.
La questione, così come gliel'aveva contata il questore, era la seguente: un noto politico che aveva ricoperto cariche altissime e forse non aveva ancora abbandonato del tutto l'idea di tornare a farlo, era stato oggetto di un tentato ricatto. Il suo segretario particolare, un ragioniere navigatissimo, colui da cui passavano tutte le sue carte e i suoi movimenti di soldi, leciti o meno, era stato rapito per 11 ore da una banda di balordi che asserivano di avere in mano delle carte che gli avrebbero fatto sparagnare un tinchité di milioni in una causa civile, ma di fronte al fermo diniego da parte del politico di scendere a patti con loro i rapitori si erano ritirati di buon ordine, al che il segretario e la moglie erano stati raccolti dalla scorta privata del capo e coccolati per un po', dopodiché avevano sporto regolare denuncia, fornendo dettagli decisivi per la cattura dei furfanti. Montalbano doveva occuparsene, cogliendo peraltro l'occasione per seppellire definitivamente passati dissapori, per chiudere l'inchiesta al più presto ed evitare inutili polveroni in questa fase così delicata della vita politica e civile del nostro Paese.
In pratica, il carissimo signori e guistori voleva una firma insospettabile su una chiusa inchiesta peraltro facile facile. Peccato che mentre il questore parlava l'istinto di sbirro di Salvo Montalbano firriava stanza stanza comu un cani alla catina.
Non di meno fu per quelli di Fazio e Augello, subitamente convocati dal commissario non appena il questore colmo di gratitudine ebbe lasciato il commissariato: troppi erano gli elementi che non quatravano. Intanto il politico in questione era al centro di quella che si è impropriamente chiamata "trattativa Stato/Mafia" come se davvero fossero due entità giuridiche di pari dignità, anzi le malelingue dicevano che senza la mafia non avrebbe fatto nemmeno la carriera imprenditoriale precedente che gli era valsa la fama poi spesa in politica. Poi appunto tutto il suo curriculum era più affine a quello di un dilinquente che a quello di uno statista, con decine di processi in cui era rimasto coinvolto nella maggior parte dei quali l'aveva fatta franca o perché aveva fatto derubricare il reato o per prescrizione ma in alcuni dei quali era stato condannato o era ancora in attesa di esserlo, e con nessuna chiarezza su come minchia avesse fatto tutti quei soldi e molti sospetti di evasione elusione scatole cinesi riciclaggio internazionale. Poi non si capisce perché se devo darti una cosa che ti scagiona rapisco il tuo ragioniere, ma soprattutto perché una volta che l'ho fatto poi me ne vado con la coda tra le gambe, lasciando peraltro tracce sufficienti a farmi pizzicare. Per non parlare dell'enorme lasso di tempo passato tra la fine del sequestro e la denuncia, più che sufficiente a: valutare il materiale e decidere di non comprarlo, o valutarlo comprarlo e insabbiare la cosa, o comunque prepararsi una storiella credibile da affidare alla stampa e alle forze dell'ordine.
Fu Augello che ruppe il silenzio di chiummo che era sceso nella stanza:
  • Salvo, la cosa che più di tutte non quatra sono le carte. Se erano vere, il politico se le sarebbe accattate senza dire ahi né bai, i soldi chiesti dai rapitori erano sempre una piccola frazione di quelli che lui andava a sparagnare se le presentava al processo, e del sequestro non se ne sarebbe saputo nenti. Se erano false, conveniva lo stesso tutto sommato di non dire niente del sequestro, dato che nessuno si era fatto niente, perchè avrebbero aggravato la sua posizione nel processo e le chiacchiere sul sequestro sarebbero state dannose invano. Non è che erano un bluff, non c'erano proprio? questo spiegherebbe l'attesa, e la denuncia partita a bluff scoperto...
  • No, Mimì, non mi persuade. Le carte ci sono e ce le ha il politico, forse la banda non le ha mai avute, sono solo dei povirazzi messi lì a recitare una parte e poi finire in galera dietro lauto compenso. Solo che non sono vere, ma solo verosimili. E non potevano uscire a questo punto del processo senza tradire la loro natura posticcia. A meno che non entrino in scena in un modo che ne avvalori l'autenticità. Non posso giocarmi i cabbasisi, ma se escono fuori vedrete che avevo ragione. Per ora facciamo come vuole il questore, e amuninni a mangiari che Adelina mi fece arancini e cannoli, finemunnilli in tri che se me li mangio da solo non mi basta la passiata al molo per digerirli, e se me li porto a uno a uno qua me li fa rovinare Catarella!

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