lunedì 11 gennaio 2016

GOODBYE MISTER LAWRENCE

David Bowie era uno di quegli artisti con una discografia così vasta e varia, per voler restare nella musica altrimenti dovrei dire con un curriculum così lungo e articolato, da rendere impossibile a chiunque di seguirlo in tutto, e da rendere statisticamente impossibile il mantenimento della qualità sui livelli (nel suo caso stratosferici, peraltro) delle tante vette raggiunte. A chiunque, compreso se stesso, che, come si legge virgolettato in fondo a questo articolo (che fa anche toccare con mano il fatto che nonostante il male lo stesse consumando lui non solo realizzasse cose nuove e ne progettasse di altre, ma facesse in modo che se ne parlasse con l'accento di proiezione al futuro che ha caratterizzato tutta la sua carriera), rinnegava il passato e viveva per il futuro.
Chissà quanto della sua regia c'è dietro l'uscita del suo ultimo album il giorno prima della morte, e la scrittura nei mesi precedenti di un pezzo come Lazarus, per cui ha avuto il coraggio di girare un video come questo, da vedere fino all'ultimo fotogramma.



Oggi sul web e nei social trovate la qualunque del Duca bianco, per cui il vostro blogger sente di poter aggiungere qualcosa solo pescando sul personale.
Ho fatto 20 anni nei primissimi anni 80, ero più dell'era Let's dance che di quella Ziggy stardust, ma la mia generazione era divisa tra quelli proiettati nell'edonismo riflussista e quelli come me troppo presto nostalgici dell'era dell'impegno obbligatorio che avevano solo sfiorato. Così, accadde che un titolista che meriterebbe il premio di peggiore della storia del cinema, pur se in un Paese dove è sempre stata una bella lotta a chi traduce peggio, pensò di appioppare a un film rarefatto e poetico (di un regista che era stato capace di trarre da un crudo fatto di cronaca il commovente ed epocale L'impero dei sensi) che narrava di prigionia e amore e valori e morte, dal titolo originale (Merry Christmas Mister Lawrence) facilmente traducibile da un bimbo dell'asilo, il titolo "italiano" Furyo, forse per puntare a riempire le sale di quelli che l'anno prima avevano visto Rambo. Con un certo successo, visto che a me, che ci ero andato avendo letto cos'era e avendo già passato in radio la meravigliosa (e da allora arcinota a chiunque) colonna sonora del coprotagonista Sakamoto, è capitato di vederlo in un cinema pieno di beceri "giovani d'oggi", sempre più delusi del film quale si rivelava essere, quindi sempre più vocianti e caciaroni, e vi lascio immaginare cosa hanno potuto dire e fare quando hanno capito che l'aguzzino si era innamorato del prigioniero...
Che muore sepolto vivo nella sabbia, con una farfalla che si posa sul suo volto come su un fiore, nella scena con cui vi saluto e assieme salutiamo David Robert Jones.

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