Perciò quando ascolto (basta accendere la TV, ce n'è in qualsiasi programma) i commenti irridenti al personaggio Trump, che magari se li merita tutti, mi viene lo schifo. Perché nessuno ricorda che sta li perché è stato più che regolarmente eletto e tenta di fare le cose per cui è stato eletto, ha un mandato e lo rispetta, tra le goffaggini sue naturali e gli stop&go che a volte la politica richiede. Chi avesse davvero a cuore la democrazia, parola che riempie la bocca ma troppo spesso senza senso, dovrebbe sapere che la cosa peggiore che possa fare Trump è più legittima della cosa migliore che possa fare la VonDerLeyen: più esplicita non la riesco a dire.
Ma torniamo nel merito. Non sappiamo ancora come le mosse trumpiane si posizionino nel continuum tra boutade estemporanea irrealizzabile e infatti subito rientrata e inizio della fine della globalizzazione ultraliberista, ma anche nella peggiore delle ipotesi sono da salutare come una boccata di aria fresca nello stagno putrido della politica economica internazionale, un segnale che forse un altro mondo è possibile, che non è vero che quello che ci stanno preparando è ineluttabile, c'è ancora un posto nel mondo dove gli elettori possono mettere in condizione un vecchio rincoglionito a rimettere in discussione qualcosa. La globalizzazione può essere, fin dall'inizio, efficacemente descritta con la fisica dei sistemi: è l'accelerazione tecnologica che ha portato con curva iperbolica il mondo a essere un sistema unico, a cominciare dai trasporti per finire alle criptovalute con tutto il resto in mezzo, non ci si può fare molto. Ma questo, lungi dal rappresentare un argomento per l'abbattimento di ogni tipo di frontiera come se davvero il risultato fosse certamente utopico e non distopico come è sotto gli occhi di tutti (ma si sa, chi non vuole vedere non vede), è un motivo in più per propugnare una più attenta e mirata azione degli Stati nazionali a limitarne perlomeno gli effetti più deleteri. Ma questa forse va spiegata meglio.
In economia ci sono essenzialmente tre mercati: merci, capitale e lavoro. Fin dagli inizi della rivoluzione industriale e tecnologica, gli economisti classici ebbero modo di osservare che se tra due Paesi vengono unificati due di questi mercati, il terzo si unifica automaticamente. Precisamente, mi pare fosse un certo Ricardo. Ma fu un certo Marx a inserire questa teoria in un quadro teorico orientato dal punto di vista della gente comune, per non usare termini sputtanati ideologicamente. Diventato il mondo un sistema unico per quanto riguarda le merci, era chiaro che se si consentiva la stessa cosa ai capitali si doveva dare per scontato che sarebbe successa anche al lavoro, con le differenze di velocità e resistenze connesse per natura a ciascuno dei tre ambiti. Gli economisti classici sostenevano che esiste sempre un punto di equilibrio automatico cui tende il sistema economico lasciato libero di agire secondo le sue logiche, peccato che questo punto possa essere tranquillamente al di sotto della sussistenza dei lavoratori, e averlo dimenticato costò al mondo l'entrata in auge dei nazifascismi e una guerra mondiale. Dopo la quale, fu solo l'interregno dei keynesiani che salvò il capitalismo da se stesso, propugnando l'intervento pubblico nell'economia: lo Stato doveva fare tutto quello che poteva per evitare che il mercato lasciato a se stesso portasse alla rovina i suoi cittadini. Il fatto che tra le cose che fecero gli Stati ce ne fossero molte di storte diede modo al liberismo di riprendere piede, col cosiddetto monetarismo (chiamato così perché l'unica leva che concedeva allo Stato era un moderato governo della quantità di moneta in circolazione), ma l'unificazione dei mercati finanziari figlia dei progressi tecnologici informatici completò la globalizzazione, rendendo solo questione di tempo l'unificazione mondiale del mercato del lavoro.
Ecco che Marx mentre veniva cacciato dalla porta (la caduta del blocco comunista fu una questione di soldi) rientrava dalla finestra: il mondo era un immenso "esercito industriale di riserva" che veniva usato per re-impoverire i popoli risarciti della guerra mondiale da trent'anni di keynesismo. Alla fine, si spostano le persone, e prima di loro si sposta la produzione. E intanto la retribuzione del fattore lavoro crolla. A chi tocca fermare questo scempio, o perlomeno tentare in qualche modo di limitarne gli effetti più deleteri, se non agli Stati democratici, quando gli elettori democraticamente eleggono qualcuno dandogli mandato perché lo faccia? Peccato che nel frattempo i padroni del vapore della globalizzazione finanziaria abbiano partorito il mostro chiamato Unione Europea, molto ben mascherato dall'ideologia finto pacifista/progressista, inducendo per tale via gli Stati a cedergli sempre più sovranità. Per cui se noi oggi (è già successo più volte, peraltro, da Berlusconi alla Meloni passando per Grillo) eleggiamo qualcuno per affidargli il compito di cui sopra, questo semplicemente non può. Gli americani (ma non solo loro, ad esempio leggete questa sui messicani), ancora, si. Che invidia...
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