
Il Commissario Montalbano non è un telefilm, non è una fiction, non è un serial, non è uno sceneggiato: nessuna di queste categorie si presta a definire esaustivamente il prodotto. Che per qualità di sceneggiatura, recitazione, fotografia, spessore dei personaggi, regia, cura dei dettagli, eccetera, non può che definirsi film. Difatti, ne girano in media un paio l'anno (stavolta 4, l'ultima due, i prossimi nel 2010), non solo per aspettare la pur fecondissima scrittura di Camilleri, ma probabilmente pure per tenere alta la qualità.
Fattostà che i risultati in termini d'ascolto, alti anche per le ricorrenti repliche dei vecchi episodi, sono sempre più sorprendenti (qui Repubblica.it sull'argomento), per una volta coniugando qualità e quantità, come ai vecchi tempi della Bella Televisione di Una Volta (procuratevi l'Odissea di Franco Rosi con Bekim Femhiu e Irene Papas, per credere...).
I film riescono, tra l'altro, a non perdere troppo rispetto ai celebratissimi libri, sempre bestseller e quindi non bisognosi di pubblicità: la descrizione delle ricette la cui ispirazione al giallista spagnolo Montalban è tributata da Camilleri già nel nome del personaggio (ma entrambi la devono a Simenon), certe godurie dialettali nel narrato (quelle dei dialoghi permangono), e qualche passaggio psicologico. Insomma, il minimo indispensabile. Nell'episodio di domenica, ad esempio, la scena finale è d'azione, il commissario che prende la pistola dalla mano dell'assassina incolpandosi del delitto per legittima difesa e poi va verso il mare si denuda e inizia a nuotare furiosamente. Nel libro invece ci sono le riflessioni di Salvo che capisce di essere stato strumentalizzato dalla fanciulla in cerca di vendetta, di essere caduto nella sua rete d'amore anche perchè reso vulnerabile dall'età e dal logorìo del suo rapporto con Livia (a proposito, è l'unico errore del casting...), e il narratore conclude il tutto con queste bellissime parole, che nel film non potevano essere rese:
"natava e chianciva, natava e chianciva".
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