venerdì 26 aprile 2019

LASCIATECI FOGNARE

A uno che si fa chiamare Fogna, disinnescando con l'autoironia gli sfottò, si può
perdonare di averlo visto troppo spesso in campo con un linguaggio corporeo a
dir poco irritante, ora però vince pure (immagine tratta dalla gallery di Ubitennis)
Torno a postare dopo una decina di giorni, tempo biblico per la Rete ma pazienza: dal blog non ci ricavo un centesimo e a giudicare dalle statistiche di lettura non siete in tanti ad averne sentito la mancanza, e non solo per il megaponte. Per un rientro soft, parlo di sport, e di quello che pratico, dato che la cronaca finalmente me ne dà occasione.
Come tutti saprete, infatti, nei giorni scorsi un italiano ha vinto un torneo tennistico di primaria importanza, anche se non uno dei primi 4 (detti "slam" perché una volta la gente bene giocava sia a tennis che a bridge) per cui attendiamo dal 1976 di Panatta, e meno male che nel frattempo ci hanno pensato le donne. Inoltre, subito dopo, è arrivata l'ufficialità in merito all'assegnazione alla città di Torino delle ATP finals nelle 5 edizioni dal 2021 al 2025: è il "Masters" maschile, la "finale" tra i migliori 8 dell'anno solare, insomma non proprio uno slam ma quasi. Si tratta di due eventi importantissimi, per gli amanti dello "sport del diavolo".
Fognini che vince a Montecarlo, infatti, potrebbe avere effetti nel medio/lungo termine ben più significativi di quelli di breve termine relativi all'interesse mediatico e social. In Italia più che altrove, infatti, funziona quel meccanismo di traino per cui negli anni 80 eravamo tutti sciatori appresso a Tomba-la-bomba: ecco perché chi vi scrive gioca ancora a tennis nonostante abbia 55 anni suonati e 2 ginocchia malandate, perché quando era ragazzo c'era un certo Panatta che vinceva a ripetizione, anche se molto meno di quanto il suo immenso talento gli avrebbe consentito (ma più, grazie proprio a quel talento, di quanto la sua scarsa voglia di sacrificarsi in allenamento avrebbe permesso a chiunque altro), attorniato da comprimari di tale livello che quell'Italia andò in finale di coppa Davis per cinque volte (anche se ne vinse solo una, che meriterebbe un post a parte, magari vi faccio un post-scriptum) in sei anni. Tra parentesi, gioco ancora, nonostante eccetera, anche proprio perché adotto lo stile di gioco di Adrianone, attaccando appena posso sia sul servizio che in risposta, cosa che richiede tocco e rapidità ma accorciando comunque la durata degli scambi alla fine risulta molto meno usurante. Ora, proprio Panatta ha dichiarato che la sua contentezza per la vittoria italiana è aumentata dall'aver visto uno che gioca di tecnica e fantasia prevalere su uno (si riferiva alla semifinale vinta strapazzando Nadal) che se gli capita di giocare "senza intensità è poca roba". E Sua Maestà Roger Federer sempre in questi giorni ha dichiarato che gli piacerebbe vedere almeno 20 dei top 100 scendere regolarmente a rete. In ogni caso, è possibile che se l'esplosione definitiva di Fognini, pur così tardiva (il nostro è trentaduenne...), dura abbastanza (...e ha una capoccia che magari al prossimo torneo perde da una pippa al primo turno) da inglobare in un ciclo unico quella di uno o più dei ragazzi che si stanno segnalando nel frattempo (più che Cecchinato, che ancora deve convincere di non essere una meteora, direi Berrettini, e almeno uno tra i due teenager Sinner e Musetti, ma magari dietro l'orizzonte c'è anche qualcun altro), il tennis italiano potrebbe registrare un nuovo boom di praticanti, dopo l'onda innescatasi negli anni 70 di cui ancora la cresta domina, infestando i campi di 50/60enni in attesa del "largo ai giovani".
Anche perché nel frattempo arriva il master a Torino. Provo a spiegare ai profani e agli antigrillini per partito preso la differenza con le Olimpiadi a Roma. Le olimpiadi moderne sono state almeno da Atlanta in poi un autentico bagno di sangue per città e Paesi che le hanno ospitate, avendo comportato interventi costosissimi per costruire strutture usate venti giorni e quasi sempre abbandonate subito dopo, risultando però un enorme affare per chi ha organizzato le prime e per chi ha realizzato i secondi: lobbisti di politica sportiva e grandi costruttori che infatti sono sempre in agguato appena fiutano l'occasione. Viceversa, le ATP finals si giocheranno in una struttura già esistente (anzi, ridandole senso prima che si deprezzi, non avendo ospitato sport dopo l'hockey olimpico se non occasionalmente) per almeno cinque edizioni, rispetto alle olimpiadi costando una frazione e generando per un multiplo ricadute sia economiche che sportive. Si tratta, infatti, di un evento di cui si parla in tutto il mondo per tutto l'anno, non solo nell'imminenza dello svolgimento e non solo tra gli addetti ai lavori o tra gli appassionati di tennis.
Detto che la concomitanza di ospitare in Italia il master maschile per un lustro e di avere finalmente un pacchetto di tennisti che possono vincere tornei non può che far crescere il numero di ragazzini che giocano a tennis, ci si potrebbe chiedere allora perché chi non è già un appassionato di tennis dovrebbe essere contento, della cosa. Provo a spiegarlo, anche se comprendo di non essere certo un osservatore neutrale e quindi predichiarando di esprimere solo un mio personalissimo parere, partendo da lontano. Premesso che qualsiasi sport svolto con costanza e applicazione fa bene a chiunque, e direi più allo spirito che al corpo, bisogna distinguere innanzitutto tra sport di squadra e sport individuali. In entrambi contano la tecnica e la preparazione atletica, ma i primi privilegiano valori come mettere la propria individualità al servizio del collettivo, sentire la responsabilità di gruppo e di ciascuno verso il gruppo, comprendere il proprio ruolo come parte di un meccanismo il cui funzionamento ottimale deve essere sempre tenuto presente come obiettivo da ciascuno e di tutti, sennò si perde anche se tu giganteggi. Nei secondi, invece, prevale l'impossibilità di scaricare ad altri la colpa dell'insuccesso (istinto naturale: per questo molti tennisti se la prendono con la racchetta...), e la necessarietà di trovare un equilibrio con se stessi prima di poter affrontare qualunque avversario. Ma fin qui, il tennis è come la scherma, il tiro a bersaglio, le immersioni, gli scacchi. Il confronto diretto con un avversario toglie dal novero quegli sport individuali dove non c'è, almeno non immediato, come le gare di velocità o resistenza di qualunque tipo, il livello di dispendio energetico e sforzo atletico tolgono anche gli altri sport di racchetta o altro attrezzo in mano, alcuni anche molto duri per carità ma in spazi e/o per tempi molto inferiori, lasciando il tennis in cima alla classifica degli sport individuali competitivi più duri in compagnia della sola boxe. Non a caso la preparazione atletica di un tennista somiglia alla prepugilistica. L'unica differenza, si potrebbe dire con un'iperbole, è che a tennis non si danno e non si pigliano pugni. Quindi se vi piace quest'ultima cosa, scegliete per voi o istradate i vostri figli alla boxe, altrimenti il tennis è la scelta migliore, per uno sviluppo armonico di mente e corpo, di una persona che è più portata a fare i conti con se stesso e a contare su se stesso, o che ha bisogno di migliorare in questo campo. Se invece ha più bisogno di socialità, ci sono gli sport di squadra, tra i quali si noti non ho mai nemmeno di striscio nominato il calcio, che così com'è gestito e insegnato in Italia perde tutti o quasi i benefici connessi alla pratica degli altri sport collettivi.
Se vi è rimasta la curiosità di sapere perché mai lo chiamino "lo sport del diavolo", ci aiuta la cronaca con un caso limite, di una meccanica però che in maniera meno eclatante si presenta spesso e volentieri, sia a livelli professionistici che sui campi dei circoli amatoriali: una tennista di Hong Kong, in un torneo internazionale anche se non di alto livello, sotto per 6-0 5-0 e match point contro, annulla quest'ultimo con uno smash che colpisce il nastro e va di là per poi schizzare sulla riga, e poi recupera e vince l'incontro (finale 0-6 7-6 6-3). Il bizzarro sistema di punteggio non perdona: a tennis non hai mai vinto finché non hai vinto. E non perché può sempre arrivare un colpo da KO o un episodio fortuito qualsivoglia. Perché l'avversario può sempre recuperare, e anche tu. Negli altri sport non capita.
...
Post scriptum. Nel 1976, l'Italia arrivò in finale di Davis battendo la forte Australia in semifinale a Roma, mentre l'altra semi non si giocava per il rifiuto dell'Unione Sovietica di incontrare il Cile di Pinochet. L'Italia si spaccò in due, lungo una linea però più frastagliata di quella allora netta tra sinistra e destra, o meglio tra comunisti e no. Panatta, ad esempio, veniva ascritto a sinistra, essendo tra l'altro un raro esemplare di tennista proletario, riuscito a fare quel mestiere da ricchi solo perché il padre era custode dei campi. Oggi racconta che fu proprio Berlinguer, segretario di un partito allora maggioranza relativa ma che gli accordi di Yalta imponevano all'opposizione - e di li a poco chi tentò di rompere il blocco (e ci avrebbe anche tenuto fuori dalla consorteria monetarista che sfocerà nello SME prima e nella UE a trazione Euro dopo) fu fermato da pallottole solo apparentemente proletarie, dicevo fu Berlinguer a consigliare ai ragazzi di partire perché nello sport si ricordano sempre solo i vincitori e loro erano l'unico ostacolo tra il Cile fascista e l'albo d'oro della coppa del mondo di tennis. Andarono. Videro. Vinsero. Entrando in campo nel doppio decisivo con una maglietta rossa al posto di quella azzurra.

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