L'artista siciliano, la cui scomparsa era purtroppo da qualche anno piuttosto annunciata, è infatti un simbolo assoluto di poliedricità. Anche volendo fermarsi soltanto alla musica, e non si potrebbe perché il Nostro è stato anche regista cinematografico apprezzato oltre che pare buon pittore (ha fallito solo in politica, troppo retto per restare a lungo in cotanta compagnia), ha infatti toccato ogni genere: melodico convenzionale, elettronico d'avanguardia, contemporaneo sperimentale (vinse il premio Stockhausen), progressive, lirico, sinfonico, da balletto, pop (sempre sofisticato, però), rock, etnico, eccetera, spesso consentendo a tutto questo background di infiltrare l'un genere dell'altro, alla fin fine creando una propria originalissima marca stilistica sempre immediatamente identificabile e spesso imitata (quasi sempre indegnamente: fa eccezione la canzonatura amorevole del conterraneo Fiorello, che ha finito per farli diventare amici). Insomma, la sua cifra stilistica è così multiforme che fa di lui un esempio perfetto del concetto che "la musica è una", se ve ne serve uno. Quando ha fatto le "canzonette", è stato per scommessa (letteralmente: era un artista di culto ma di nicchia, e alcuni critici hanno insinuato che fosse perché era incapace di scrivere canzoni da classifica), e questo mi da modo di dare a questo post l'unico taglio che ha senso, visto che di coccodrilli biografici (e di saluti social di colleghi di ogni genere) in questi giorni sarete sommersi su ogni media: quello dei ricordi personali.
La prima volta, infatti, che ho visto Battiato in concerto era nel campo di calcio di Pellaro, una frazione a sud di Reggio. Precisazione per i non meridionali: ho detto campo e non stadio perché non stiamo parlando di tribune e manto erboso, ma di terraccia col palco su un lato. Era appena uscita La voce del padrone, avevo 18 anni e facevo il DJ radiofonico: non potevo mancare. Ma in radio c'erano anche i vinili del "primo" Battiato (le virgolette sono perché era già il secondo: il primo, su cui lui ha sempre glissato, faceva canzonette invendute e campava arrangiando per le case discografiche milanesi, è così che conobbe prima Gaber, poi De Andrè e i Quelli prima che diventassero PFM), quelli che suonava con lo stesso preistorico synt dei primi Pink Floyd e con cui le tv private ma anche la RAI ci facevano le sigle, che se le sentite le ricordate anche se non avete mai saputo che erano le sue. Ma noi eravamo ragazzi e volevamo sentire le hit del nostro beniamino, così lui ci perculava dal palco (giuro, ho avuto questa precisa sensazione, anche se me la sono spiegata solo anni dopo) mettendosi gli occhiali da sole (di notte) mentre sfotteva chi lo fa "per avere più carisma e sintomatico mistero", e accennando i suoi improbabili balletti alla Cochi e Renato ma con la faccia impassibile di un Buster Keaton. Il successo stava arrivando (la "voce" avrebbe superato il milione di copie), la scommessa era vinta.Un paio di anni dopo, quando tornò a Reggio, gli diedero lo stadio della Reggina. Lui forse si andava già stufando del proprio "periodo pop", sta di fatto che dopo un paio di hit cominciò ad eseguire i suoi pezzi dell'epoca precedente, con mia enorme e gradita sorpresa (nel frattempo mi ero comprato quei vinili, e ancora li ho) e contemporaneo crescente fastidio di qualche migliaio di miei concittadini che non capivano che cosa stesse succedendo (qualcuno avrà pure pensato che stesse accordando a lungo gli strumenti, immagino...). Quando cominciò ad avvertirsi qualche mormorio e partire qualche fischio di troppo, ecco Battiato fermarsi, attaccare un lungo mix delle hit più note, e andarsene quasi senza salutare. Insomma, non ho visto le famose esibizioni di musica sperimentale degli anni 70, dove pare che abbia rischiato di prenderle, ma questa l'ho vista.
Negli anni successivi, lo sapete, ha trovato un equilibrio ancora migliore, e ancora più suo, della commistione tra "alto" e "basso" che gli aveva dato il successo commerciale facendo canticchiare ai giovani testi colti di cui non sapevano l'origine, e ha preso a sfornare un capolavoro dietro l'altro, mentre dal vivo poteva capitare di vederlo (io tante di quelle volte che ho letteralmente perso il conto) in concerti i più disparati, da quelli unplugged e rarefatti in cui stava per ore seduto su un tappeto, a quelli in cui si scatenava sull'accompagnamento di una rock band di ragazzine. Incasellabile. Incommensurabile. E ora siccome vi voglio bene, mi azzardo a una selezione di meraviglie da ascoltare imprescindibilmente, escludendo appositamente quelle già molto note, e sapendo da prima che è impossibile non lasciar fuori (anche in una lista lunga come questa, ragion per cui non vi embeddo i video) qualcosa di altrettanto imperdibile:
- Fetus - Un album così, tra l'altro interamente ispirato ad uno dei più grandi scrittori di fantascienza distopici di tutti i tempi, quell'Huxley che i registi dell'operazione coronavirus sicuramente conoscono a memoria, non può non essere ascoltato per intero, se ce la fate;
- Beta - Vi cito solo un verso, che dice tutto (e non solo di Battiato): "Dentro di me vivono la mia identica vita miliardi di microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo. Io, a quale corpo appartengo?";
- Pollution - Come si fa a parlare di inquinamento in una canzone? Facile: leggendo la formula di fisica che regola la portata dei condotti...;
- Aria di rivoluzione - Che vi propongo nella versione dal vivo tratta da Giubbe Rosse del 1989;
- Propriedad prohibida - La conoscete, la conoscete, è stata la sigla per anni di Tg2 Dossier;
- Il re del mondo - Inserita in due album, vi propongo la versione più recente perché l'arrangiamento mi piace di più;
- Stranizza d'amuri - Clamoroso pezzo dialettale del 79, struggente e sofisticato;
- Alexander Platz - Per Milva - scomparsa peraltro pochi giorni fa - scrisse un intero album, di cui questo è solo il brano più noto;
- Un'altra vita - Come vi avevo premesso e promesso, ho saltato gli album più noti e venduti. Questa piccola perla dell'83 è di una attualità clamorosa;
- Mal d'Africa - Squarcio nella memoria degli anni 50/60, in cui non si fa fatica a riconoscersi specie se meridionali;
- L'animale - Uno dei tanti suoi pezzi che in due minuti ti spiegano la natura umana - forse quello che ci riesce meglio;
- Veni l'autunnu - Ancora il siciliano, stavolta con coda araba, pertinente in assoluto ma decisamente non inattesa in Battiato. Passaggio cult: "è inutili ca ddrizzi e fai cannola, lu santu è di marmuru e non sura", decisamente più efficace che dire "stai sprecando la fatica";
- Il mito dell'amore - "Vieni a casa, ti presento i miei" - "Mi tocchi il cuore, e la libertà, ma solo l'idea mi fa sentire prigioniero" - un pugno nello stomaco, su un tappeto musicale così elegiaco che manco te ne accorgi - "ti accorgi che è finita da quando cadi nell'indifferenza: ciò che ci unisce ci dividerà...";
- E ti vengo a cercare - Lo so, questa la conoscete, ma probabilmente non in questa versione clamorosa dei CSI di Giovanni Lindo Ferretti, con un cameo di Battiato in coda - io peraltro l'ho sentita, con enorme gradita sorpresa, prima dal vivo ad uno dei tanti concerti di quella fantastica band che ho visto in quegli anni;
- Giubbe rosse - "Ci vuole un'altra vita" non era un vezzo: il Nostro torna in Sicilia, va a vivere sulle pendici dell'Etna (invoglierà l'amico Lucio Dalla a comprarsi una casa accanto alla sua...), e celebra la cosa con questa meraviglia;
- Atlantide - Si può cantare l'ascesa e la rovina di una civiltà - di qualunque, civiltà, badate bene - in meno di quattro minuti? Se ti chiami Franco Battiato evidentemente si. Questa è senza alcun dubbio la mia canzone preferita, il che con un repertorio del genere dice tutto;
- Breve invito a rinviare il suicidio - Uno dei brani più belli della lunga parentesi in cui mette in musica i testi del filosofo Manlio Sgalambro, che era uno spasso vedere sul palco accanto a lui, sempre meno imbarazzato;
- Di passaggio - Questo è rock (ve l'avevo detto), dall'album della più nota La cura che però avete sentito già citata da tutti;
- Il ballo del potere - In questo pezzo del 99 riprende i suoi stilemi ritmici degli anni 80 mescolandoli con un che di etnico, su un testo, ancora di Sgalambro, antropologico folgorante;
- Shakleton - Storia vera, di eroismo vero, che richiede oltre otto minuti per essere raccontata - ma tranquilli, volano via come le storie senza fine che vi raccontava la nonna;
- Amore che vieni, amore che vai - "Fleurs" sono tre album di cover uno più bello dell'altro, ma questa canzone io ve la linko nella versione che Franco cantò all'evento in memoria dell'amico Fabrizio registrato nell'album tributo "Amico fragile": i due erano amici fin da giovani, e Battiato non ce la fa a finire di cantarla, strozzato dal pianto - in questi giorni Dori Ghezzi non ha mancato di ricordarlo;
- Impressioni di settembre - Tra tutte le cover, vi segnalo questa perché connessa logicamente alla precedente per il tramite della PFM, e perché si tratta probabilmente della canzone più bella della musica italiana in assoluto - ma il mio giudizio potrebbe essere leggermente viziato dall'essere cresciuto ai tempi del progressive;
- Come un sigillo - Tra i tanti pezzi che ha cantato con Alice, e i tantissimi che ha scritto in prima battuta per lei, con cui forse ha avuto una storia d'amore ma sicuramente una lunghissima amicizia, vi segnalo questa, recente e minore rispetto a tutte quelle che già conoscete, ma forse ancora più bella;
- Le aquile non volano a stormi - No, non è quella (meravigliosa) Le aquile che conoscete, ma una bellissima perla recente con musica scritta a quattro mani con un musicista giapponese, e il testo che se vi sentite anche voi uno che rifugge il gregge vi consolerà un pochino;
- Torneremo ancora - Perché è l'ultimo brano inciso da Battiato, quando già stava male e anzi uscito quando oramai non credevamo più che uscisse, dandoci peraltro false speranze; perché il testo è una sorta di testamento spirituale; e perché è così bello, la canzone è così bella, che anche a un miscredente viene voglia di crederci.
2 commenti:
Grazie!
grazie al te del bellissimo telegrafico feedback, che peraltro dal nickname sembra provenire da un ragazzo giovane e la cosa ne aumenta il valore...
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