mercoledì 6 maggio 2009

OPEL-INO AMARANTO

Dando per chiuso l'accordo non ancora chiuso con Chrysler, Re Magio Marchionne, che ha un futuro da Presidente del Consiglio di centrosinistra quando il Signore in carica passerà a miglior vita (tanto, prima non molla...), si è gettato a capofitto su un altro tavolo di trattativa: acquisire la Opel.
Dopo aver rilanciato la casa torinese nell'unico modo sensato, cioè tornare a fare automobili decenti dopo anni in cui si badava a tutt'altro, finanza in primis, Marchionne approfitta della crisi, che ha colpito Fiat in misura leggermente minore rispetto alla concorrenza, per accaparrarsi pezzi della disastrata industria automobilistica statunitense adesso che sono al minimo (ma lo sono?): compra prima la storica casa della Voyager, fino ad ieri consorziata con Mercedes, pagando per giunta solo in know-how, poi la storica casa della Corsa, che un altro colosso americano sull'orlo del collasso, la General Motors, è costretta a mollare dopo molti decenni. Qui i soldi li deve cacciare, ma intanto approfitta del prestito-ponte che il governo tedesco ha già previsto per salvare un pezzo della propria industria nazionale. Non dimentichiamo che la gestione Marchionne cominciò proprio dall'astuto smarcamento da GM, che aveva comprato a caro prezzo una quota di FIAT e preferì rimetterci quasi tutto pur di rompere l'alleanza e scappar via. E che da quella alleanza erano nati una serie di pianali comuni per auto di tutte le taglie ancora in circolazione (Punto e Corsa, Bravo e Astra, Croma e Signum), che rendono ancora più sensata e conveniente la scelta attuale.
Tutto bene, allora! Cosa temono, dunque, i sindacati italiani e tedeschi? Sono decenni che gli analisti prevedono la riduzione a pochissime unità dei gruppi automobilistici mondiali, con sopravvivenza quindi solo dei più grossi e forti. E' in questa logica che è da tempo in atto una specie di raggruppamento di stelle in galassie, di galassie in ammassi, che ci vorrebbe Margherita Hack per descriverlo. Ma sarà sufficiente? Quando tutto questo cominciò, India e Cina erano ancora sottosviluppate, e oggi bussano alle riunioni dei Grandi. I loro cittadini sono alle soglie della motorizzazione di massa, una specie di quello che successe a noi ai tempi di 600 e 500, moltiplicato per 100. Già questo fattore (che potremmo chiamare Tata dal nome del costruttore indiano che ha appena varato la 600 del suo popolo, la Nano) accelera e trasforma il fenomeno, al punto che Fiat stessa, come tutti gli altri che vogliono avere un futuro, ha già contatti per partnership in quegli immensi Paesi. Ma non basta.
Il pianeta ha risorse limitate. L'esplosione, non solo automobilistica, di entità gigantesche come quelle citate, ma anche il Brasile ad esempio non scherza, ha avvicinato in maniera esponenziale il punto di non ritorno delle politiche di sviluppo basate sulla crescita del PIL. Lo dice pure il futuro Re di Gran Bretagna: non abbiamo che pochi anni per poter fare qualcosa. Se FIAT non vuole che la sua inopinata assurzione (al secondo o terzo posto) nel Gotha dei produttori mondiali di auto non si traduca in un botto più forte quando (presto) ci sarà il crollo, deve approfittare di questa posizione di forza per lavorare ad evitarlo, o almeno a premunirsi contro le sue conseguenze.
In pratica, è bene che in America girino più 500 e meno gipponi. E' bene estendere a tutta la gamma le sinergie progettistiche coi tedeschi dell'omega. Ma non servirà a nulla senza una prepotente fuga in avanti, che a questo punto Fiat dovrebbe essere in grado di compiere, prima al mondo. Pensare e realizzare a tempo di record una gamma di vetture totalmente nuova, che con tre vestiti diversi per i tre mercati, grazie ai tre marchi, si componga essenzialmente di vetture molto piccole ed economiche a motore anche o solo elettrico, vetture medie esclusivamente ibride, e vetture grandi esclusivamente ad idrogeno. Nessuna di queste auto dovrebbe riuscire a superare i 150 orari, ma il governo italiano e quello USA non dovrebbero avere nessun problema a rivedere le norme in modo da negare l'omologazione ad auto che lo facciano. I tedeschi avranno più problemi ma cinesi e indiani no (nel nostro boom Morandi cantava "andavo a cento all'ora" e il numero sembrava tanto a noi bambini anche a sentirlo pronunciare), e se se ne fa una strategia mondiale dovranno adeguarsi anche a Berlino. Certo un conto è subire questo processo di riconversione un altro è averlo guidato. E' questa l'occasione che si presenta a FIAT, ed è da non perdere.
E' un problema culturale, ci siamo in mezzo tutti. Ci sarà un periodo di problematica convivenza con i SUV e altra ferraglia inutilmente pesante ingombrante inquinante e veloce. Ma alla fine si potranno pure smantellare i tutor e limitare gli autovelox. Per le emozioni, non ci sarà problema: sarà come dopo la seconda guerra mondiale, su una vecchia Topolino amaranto, praticamente una due posti che non superava gli 80 all'ora, che "se le lasci sciolta un po' la briglia mi sembra un'Aprilia, rivali non ha...".

1 commento:

bravalb ha detto...

"Topolino Amaranto" Si! Meglio il buon P.Conte che ci riporta nostalgicamente al consumato retropensiero del "si stava meglio quando si stava peggio" ma anche ai nastri di partenza di un nuovo divenire che ci veniva pomposamente quanto scelleratamente presentato quale fonte inesauribile di benessere e di giustizia che sempre più diffondendosi avrebbe cambiato volto all'intero pianeta. Si effettivamente, nel breve volgere di 60 anni, ha cambiato volto ma sfigurandolo nel senso che, siamo caduti dalla padella nella brace. Quando la nostalgia prevale sui progetti e i sogni sulla realtà é perché si sono persi i riferimenti cardinali del nostro esistere per andare verso la realizzazione dei nostri desideri: alias Piacere quindi qualità di Vita. E pertanto si va avanti a rattoppi e pezze, che servono solo a nascondere il buco, mentre i bordi sfibrati della struttura "economica" non sono più in grado di reggerne i punti. Di questo passo e a breve ci ritroveremo nuovamente e sempre peggio con lo stesso "buco" allo scoperto. Scusatemi l'esempio campagnolo ma lo trovo molto efficace e sintetico e ancor più per i termini che anche se coloriti sono senz'altro univoci. Si realizza così il vergognoso equilibrio delle parti, dove un lato la categoria dei Mettìnculi, che manovra e dissangua l'umanità e dall'altro la categoria dei Prendìnculi che é disposta, grazie alle generose vasellinature, a bere e digerire di tutto. Serve rammendare, ripensare e ricostruire il tessuto sociale e culturale del lavoro e sopratttutto con la partecipazione attiva proprio di quella categoria che ha sempre svolto un ruolo passivo; sarebbe meglio dire: Attivo nella sua Passività. La cultura del "tanto va bene lo stesso", "io son furbo perché non faccio un cazzo", "io cerco un posto non il lavoro" ecct..ecct...ha contribuito non poco all'attuale situazione. Questo si che ci potrebbe far vincere la nostalgia e tornare fare progetti e soprattutto realizzarli. Ma ormai siamo al punto di non ritorno e con la cultura dei rattoppi, di cui i nostri politici di pezza e certa decotta imprenditoria, possono soltanto addivenire a queste, tanto strombazzate e sbandierate operazioni, che preludono soltanto a "tsunami" sociali di planetaria portata in quanto a breve verranno meno i mezzi di sustentamento. Mentre i sindacati, che hanno sempre fatto da cuscinetto o i cerchiobottisti, assistono in catalessi e parlano come pupazzi in mano al ventriloquo propinandoci bovinamente lo stucchevole ritornello "che ci auguriamo ci siano ricadute anche per l'economia nazionale". Gli auguri si fanno quando si ha timore che le cose andranno male, molto male. Diversamente, se le cose si sa che andranno bene che senso ha farsi gli auguri? E' proprio perché si ha la certezza del peggio. Elementare Watson!. Francamente difronte a tanta commedia e irresponsabile consapevolezza c'é da inorridire. C'é da stare preoccupati eccome. Per essere brevi, ma ci vuole così tanto ad arrivarci? Se il mercato ha bisogno di 10 auto e la nostra capacità produttiva é 100 mi sapete dire come si fa a mantenere in vita lo stesso numero di unità produttive? Ma siamo proprio un popolo di immaturi e irresponsabili che crede ancora alla Befana: bastano le belle maniere e ci si mette a sognare. L'età non sempre fa l'adulto ma semmai dei bambini invecchiati. Il sogno Americano é morto e sepolto, forse era meglio che non fosse mai nato. Di certo, per potere suggellare l'accordo, in Germania non si chiuderanno stabilimenti, anche perché lì i Sindacati sono Sindacati veri, non sono asserviti al Potere Esecutivo come da noi. In Italia si chiuderanno eccome se si chiuderanno stabilimenti con la tecnica di un pochino per volta, piano, piano, step by step per non lacerare gli sfinteri in modo da mantenere alto il piacere di sognare. Ma se già oggi si sono portate all'estero produzioni di modelli decisamente popolari per poi venirli a vendere in Italia. Ricordo a Torino un'esperienza di 25 anni fa, dove i contadini proprietari dei campi e delle coltivazioni circostanti uno stabilimento presidiato dagli operai in sciopero da mesi; dicevo i contadini erano obbligati a montare turni guardia, sia la notte che il giorno, perché gli stessi operai, ormai allo stremo, gli rubavano il raccolto per potere portare a casa almeno qualcosa da mangiare!!! Eh! Si! mi viene in mente una barzelletta, che però non fa tanto ridere semmai pensare, di quel tale che precipitando dai piani alti diceva: " Mah! per adesso va bene" Non basta "testicula tacta et mala fugant" serve invece una responsabile e costruttiva presa di coscienza ma proveniente dal basso. Quanto sappiamo non deve impedirci di sapere quanto dovremmo. Ad maiora

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